Fare il paciere nei litigi genitoriali
Buon pomeriggio dottori,
Ho quasi trent'anni e sono sposata da due anni. Da due anni sono andata via di casa. Sin da bambina, poi adolescente, ho assistito a litigi tra i miei genitori per i più svariati motivi: non solo venivo coinvolta, ma con il tempo ho cominciato a fare diplomazia tra i due. Si trattava di litigi solo verbali, ma che comunque mi facevano star male. Molto spesso, tuttavia, ho preso le difese di mia madre, che sento come elemento debole. L'ho vista piangere molte volte (è una persona ansiosa) e io stessa ne ho sofferto molto. Sono diventata anch'io una persona ansiosa.
Il fatto di essere coinvolta mi è apparso totalmente normale finché, per un problema esterno alla famiglia, ho richiesto un consulto psicologico e ho parlato anche delle mie dinamiche familiari. Attraverso quel percorso ho capito che stavo trascurando me stessa e che mi ero caricata di responsabilità che non mi compete amo.
Da quando vivo fuori dalla casa dei miei genitori mi sento meglio, più libera, felice di avere le mie responsabilità. Sono molto maturata ma quella dinamica non è cambiata. Per intenderci, io non mi sognerei mai di coinvolgere i miei genitori nei litigi tra me e mio marito: li percepisco come fatti intimi, tra me e lui.
Nonostante la maggiore consapevolezza di me stessa e dei miei bisogni, il coinvolgimento nei loro litigi resta. Mi raccontano i loro problemi, soprattutto mia madre si sfoga costantemente con me e rende il mio umore instabile, triste, rabbioso al punto da dover inevitabilmente prendere una posizione e discutere con mio padre o con lei. Padre che adesso vedo da un punto di vista diverso, con più benevolenza, forse perché non sono più in casa.
Mi capita spesso, quando mi sento triste per questo, di pensare che i miei genitori siano un po' egoisti per il loro comportamento, e infantili. Che dovrei essere egoista anch'io, chiedere loro di separarsi, divorziare o di non raccontarmi più niente, ma così facendo mi sentirei in colpa, inutile. Forse perchè adesso mi sembra che il mio coinvolgimento sia utile, ma dentro di me so che non è così.
Ma anche così soffro inevitabilmente. Mi sembra una situazione senza uscita. Vorrei un consiglio, spero di riceverlo da voi.
Grazie per avermi ascoltato.
Ho quasi trent'anni e sono sposata da due anni. Da due anni sono andata via di casa. Sin da bambina, poi adolescente, ho assistito a litigi tra i miei genitori per i più svariati motivi: non solo venivo coinvolta, ma con il tempo ho cominciato a fare diplomazia tra i due. Si trattava di litigi solo verbali, ma che comunque mi facevano star male. Molto spesso, tuttavia, ho preso le difese di mia madre, che sento come elemento debole. L'ho vista piangere molte volte (è una persona ansiosa) e io stessa ne ho sofferto molto. Sono diventata anch'io una persona ansiosa.
Il fatto di essere coinvolta mi è apparso totalmente normale finché, per un problema esterno alla famiglia, ho richiesto un consulto psicologico e ho parlato anche delle mie dinamiche familiari. Attraverso quel percorso ho capito che stavo trascurando me stessa e che mi ero caricata di responsabilità che non mi compete amo.
Da quando vivo fuori dalla casa dei miei genitori mi sento meglio, più libera, felice di avere le mie responsabilità. Sono molto maturata ma quella dinamica non è cambiata. Per intenderci, io non mi sognerei mai di coinvolgere i miei genitori nei litigi tra me e mio marito: li percepisco come fatti intimi, tra me e lui.
Nonostante la maggiore consapevolezza di me stessa e dei miei bisogni, il coinvolgimento nei loro litigi resta. Mi raccontano i loro problemi, soprattutto mia madre si sfoga costantemente con me e rende il mio umore instabile, triste, rabbioso al punto da dover inevitabilmente prendere una posizione e discutere con mio padre o con lei. Padre che adesso vedo da un punto di vista diverso, con più benevolenza, forse perché non sono più in casa.
Mi capita spesso, quando mi sento triste per questo, di pensare che i miei genitori siano un po' egoisti per il loro comportamento, e infantili. Che dovrei essere egoista anch'io, chiedere loro di separarsi, divorziare o di non raccontarmi più niente, ma così facendo mi sentirei in colpa, inutile. Forse perchè adesso mi sembra che il mio coinvolgimento sia utile, ma dentro di me so che non è così.
Ma anche così soffro inevitabilmente. Mi sembra una situazione senza uscita. Vorrei un consiglio, spero di riceverlo da voi.
Grazie per avermi ascoltato.
[#1]
Gentile utente,
Lei sa già che riscontro riceverà da noi: quello che ha già avuto occasionalmete dalla Psicologa a suo tempo; e cioè che
"..mi ero caricata di responsabilità che non mi competevano."
Proprio così.
In realtà sembra esserci una collusione tra Sua madre che chiede il Suo (improprio) aiuto,
e Lei che lo fornisce
a danno di sè e del proprio umore (e della sua famiglia attuale).
Non è egoismo mettere dei confini,
si tratta di indirizzare i Suoi genitori verso altri referenti, più adatti.
O altrimenti a cercare un equilibrio tra loro due.
Capisco che
se questa dinamica dura dall'infanzia
ciò può risultare difficile.
Ma è indispensabile:
"Non parlarmene,
tanto non serve
nè a voi nè a me.", può dire a Sua madre.
Magari la signora si lamenta tanto
eppure non saprebbe stare senza il proprio marito.
Chissà se Lei ne avrà il coraggio.
Il fatto che abbia scritto qui
fa ben sperare.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Lei sa già che riscontro riceverà da noi: quello che ha già avuto occasionalmete dalla Psicologa a suo tempo; e cioè che
"..mi ero caricata di responsabilità che non mi competevano."
Proprio così.
In realtà sembra esserci una collusione tra Sua madre che chiede il Suo (improprio) aiuto,
e Lei che lo fornisce
a danno di sè e del proprio umore (e della sua famiglia attuale).
Non è egoismo mettere dei confini,
si tratta di indirizzare i Suoi genitori verso altri referenti, più adatti.
O altrimenti a cercare un equilibrio tra loro due.
Capisco che
se questa dinamica dura dall'infanzia
ciò può risultare difficile.
Ma è indispensabile:
"Non parlarmene,
tanto non serve
nè a voi nè a me.", può dire a Sua madre.
Magari la signora si lamenta tanto
eppure non saprebbe stare senza il proprio marito.
Chissà se Lei ne avrà il coraggio.
Il fatto che abbia scritto qui
fa ben sperare.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
Grazie dottoressa per la sua risposta.
Come ha compreso, il punto più difficoltoso è slegarmi da mia madre e, di conseguenza, dalle sue lamentele e dai suoi malesseri.
Sento di averne bisogno, ma mi fa paura nonostante la mia età, perché dentro di me sentirei di non averla aiutata e di averla abbandonata se le venisse a mancare anche il mio conforto.
Dove trovare questo coraggio?
Come ha compreso, il punto più difficoltoso è slegarmi da mia madre e, di conseguenza, dalle sue lamentele e dai suoi malesseri.
Sento di averne bisogno, ma mi fa paura nonostante la mia età, perché dentro di me sentirei di non averla aiutata e di averla abbandonata se le venisse a mancare anche il mio conforto.
Dove trovare questo coraggio?
[#3]
"..Dove trovare questo coraggio?.."
Pensando che il Suo "conforto" crea una specie di triangolo, in cui Lei è di appoggio alla madre.
Ma se mancasse il terzo (Lei), la coppia tornerebbe ad essere coppia e la madre sarebbe facilitata a rientrare in essa, senza scappatoie.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Pensando che il Suo "conforto" crea una specie di triangolo, in cui Lei è di appoggio alla madre.
Ma se mancasse il terzo (Lei), la coppia tornerebbe ad essere coppia e la madre sarebbe facilitata a rientrare in essa, senza scappatoie.
Saluti cordiali.
Dott. Brunialti
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 1.3k visite dal 11/11/2018.
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