Crisi universitaria
Gentili dottori,
Sono una studentessa di medicina iscritta al primo anno da ben 4 anni. Nel 2014 mi diplomai con il massimo dei voti tanto da avere diversi riconoscimenti da parte dello stato; quello stesso anno il test di medicina non lo superai e mi iscrissi temporaneamente ad ingegneria biomedica con l'intento di riprovare l'accesso a medicina l'anno dopo. Ad ingegneria mi trovavo bene, era come avevo sempre immaginato la vita universitaria: il corso mi piaceva, con i colleghi un rapporto ottimo stretto in pochissimo tempo e ci si aiutava a vicenda ma tutto questo era destinato a durare poco perche quell'anno il test di medicina fu ad aprile e viste le numerose irregolarità annesse al test, i miei genitori, contro il mio volere, decisero di fare ricorso. Entrai in medicina come ricorsista, lo stesso fece una mia collega di ingegneria, il gruppo creatosi iniziava a sgretolarsi...non sapevo se accettare o meno il ricorso. Alla fine accetto, medicina era quello che volevo fare sin da bambina. Mi ritrovo in un'altra università a 300 km da casa, con un ambiente molto retrogrado rispetto a quello che avevo vissuto fino ad ora, una città che offriva poco rispetto a quella da cui provenivo. I corsi di medicina erano già iniziati, allora decido di immatricolarmi e rimanere subito a seguire le lezioni e non perdere ulteriore tempo; mi sistemo in un convitto temporaneamente, visto il poco preavviso avuto nell'organizzarmi, e qui incontro due ragazze iscritte al primo anno di medicina che mi avrebbero sicuramente aiutata ad inserirmi. Avevo una stanza con un letto, una scrivania ed un armadio, mi sentivo praticamente in carcere e non parlavo mai con nessuno. Conosco queste ragazze, mi fanno mille domande e sono sincera nel dire di essere entrata con il ricorso, per diversi mesi mi fanno sentire fuori luogo, come se fossi un'aliena, e solo dopo scopro che anche loro erano ricorsiste e che mi avevano fatta sentire male inutilmente. Non mi inserisco, conosco altri colleghi il cui loro unico intento era divertirsi, non mi ambiento e torno a casa ogni fine settimana nonostante i 300 km. Finisco il primo anno frequentato completamente da sola senza condividerlo con nessuno e, desiderosa di andarmene, risostengo il test di ammissione altrove che non passo nuovamente e così sarà per i successivi due anni. Mi sono sempre detta di sostenere gli esami necessari per andare avanti e nonostante la preparazione a menadito mi iscrivo agli appelli ma non mi presento. Sento un peso alla bocca dello stomaco, sento di aver deluso i miei genitori che sanno tutto e che mi supportano nonostante tutto e a cui penso di far spendere soldi inutilmente in tasse universitarie. Sono ferma allo stesso punto da tempo perché mi sento male al solo pensiero di dove tornare lì, ogni anno prometto di riuscire ad uscirne ma poi non ci riesco e vedo il test come il mio unico appiglio nell'uscirne perché ho sempre e solo pensato di fare il medico nonostante possa laurearmi tardi. Consigli?
Sono una studentessa di medicina iscritta al primo anno da ben 4 anni. Nel 2014 mi diplomai con il massimo dei voti tanto da avere diversi riconoscimenti da parte dello stato; quello stesso anno il test di medicina non lo superai e mi iscrissi temporaneamente ad ingegneria biomedica con l'intento di riprovare l'accesso a medicina l'anno dopo. Ad ingegneria mi trovavo bene, era come avevo sempre immaginato la vita universitaria: il corso mi piaceva, con i colleghi un rapporto ottimo stretto in pochissimo tempo e ci si aiutava a vicenda ma tutto questo era destinato a durare poco perche quell'anno il test di medicina fu ad aprile e viste le numerose irregolarità annesse al test, i miei genitori, contro il mio volere, decisero di fare ricorso. Entrai in medicina come ricorsista, lo stesso fece una mia collega di ingegneria, il gruppo creatosi iniziava a sgretolarsi...non sapevo se accettare o meno il ricorso. Alla fine accetto, medicina era quello che volevo fare sin da bambina. Mi ritrovo in un'altra università a 300 km da casa, con un ambiente molto retrogrado rispetto a quello che avevo vissuto fino ad ora, una città che offriva poco rispetto a quella da cui provenivo. I corsi di medicina erano già iniziati, allora decido di immatricolarmi e rimanere subito a seguire le lezioni e non perdere ulteriore tempo; mi sistemo in un convitto temporaneamente, visto il poco preavviso avuto nell'organizzarmi, e qui incontro due ragazze iscritte al primo anno di medicina che mi avrebbero sicuramente aiutata ad inserirmi. Avevo una stanza con un letto, una scrivania ed un armadio, mi sentivo praticamente in carcere e non parlavo mai con nessuno. Conosco queste ragazze, mi fanno mille domande e sono sincera nel dire di essere entrata con il ricorso, per diversi mesi mi fanno sentire fuori luogo, come se fossi un'aliena, e solo dopo scopro che anche loro erano ricorsiste e che mi avevano fatta sentire male inutilmente. Non mi inserisco, conosco altri colleghi il cui loro unico intento era divertirsi, non mi ambiento e torno a casa ogni fine settimana nonostante i 300 km. Finisco il primo anno frequentato completamente da sola senza condividerlo con nessuno e, desiderosa di andarmene, risostengo il test di ammissione altrove che non passo nuovamente e così sarà per i successivi due anni. Mi sono sempre detta di sostenere gli esami necessari per andare avanti e nonostante la preparazione a menadito mi iscrivo agli appelli ma non mi presento. Sento un peso alla bocca dello stomaco, sento di aver deluso i miei genitori che sanno tutto e che mi supportano nonostante tutto e a cui penso di far spendere soldi inutilmente in tasse universitarie. Sono ferma allo stesso punto da tempo perché mi sento male al solo pensiero di dove tornare lì, ogni anno prometto di riuscire ad uscirne ma poi non ci riesco e vedo il test come il mio unico appiglio nell'uscirne perché ho sempre e solo pensato di fare il medico nonostante possa laurearmi tardi. Consigli?
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Gentile utente
Il Suo disagio si percepisce chiaramente. Uno dei temi per cui valga la pena approfondire il tutto è il tipo di rapporto che ha coi genitori.
Infatti, mi chiedo se studiare Medicina e Chirurgia sia la Sua più autentica aspirazione oppure sia dovuta a una pressione di entrambi i genitori. Ho avvertito come eccessivamente intrusivo il fatto che, contro il Suo volere, l'abbiano obbligata al ricorso. Il rischio più grande in queste condizioni è il fare qualcosa non per una vocazione autentica, ma per soddisfare esigenze narcisistiche dei propri genitori, con la possibilità di crescere come loro estensione, piuttosto che svilupparsi autenticamente per la persona che davvero si è. E la crisi universitaria che ben descrive potrebbe apparire come una manifestazione di ciò.
Un caro saluto e buona giornata.
Il Suo disagio si percepisce chiaramente. Uno dei temi per cui valga la pena approfondire il tutto è il tipo di rapporto che ha coi genitori.
Infatti, mi chiedo se studiare Medicina e Chirurgia sia la Sua più autentica aspirazione oppure sia dovuta a una pressione di entrambi i genitori. Ho avvertito come eccessivamente intrusivo il fatto che, contro il Suo volere, l'abbiano obbligata al ricorso. Il rischio più grande in queste condizioni è il fare qualcosa non per una vocazione autentica, ma per soddisfare esigenze narcisistiche dei propri genitori, con la possibilità di crescere come loro estensione, piuttosto che svilupparsi autenticamente per la persona che davvero si è. E la crisi universitaria che ben descrive potrebbe apparire come una manifestazione di ciò.
Un caro saluto e buona giornata.
Dott. Adriano Carità
Psicologo, psicoterapeuta
Perfezionato in Psicologia Clinica, Counselling e mindfulness
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.1k visite dal 27/07/2018.
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