Da mesi soffro di ansi che mi hanno portata a soffrire di attacchi di panico
Sono una ragazza di 23 anni, da mesi soffro di ansi che mi hanno portata a soffrire di attacchi di panico. Nel mese di maggio ne ho avuto uno particolarmente brutto, dove ho avuto anche una colite ansiosa(premetto che sono una persona asiosa in generale e somatizzo sempre con lo stomaco), che mi ha portato a non scendere più. Ho così iniziato un percorso terapeutico di tipo sistemico relazionale da un paio di mesi, anche per cercare di risolvere la mia eccessiva timidezza. Ora la situazione mi sembra peggiorata, ogni volta che so che devo scendere mi vengono crisi di ansia con pianto e mal di pancia, ed è per questo che ho lasciato andare del tutto la mi vita sociale e mi sento in uno stato di apatia-depressivo. Non mi sento spronata e non sento la forza di riprendere la mia vita in mano. Con lo psiscologo credo di aver capito alcune cose della mia vita, peró l’ansia è rimasta, mi sembra che lui si concentri più sulle mie emozioni che sul problema in se, mi sembra di girare in tondo quando parliamo del panico, della mia ansia, non mi sento che mi sta dando un aiuto concreto. Mi sono chiesta dunque se sia il tipo di approccio corretto per questo problema, oppure se ci voglia più tempo.
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Gentile utente, per gli attacchi di panico ci sono delle tecniche che è opportuno insegnare ai pazienti perché imparino a gestirli; altrettanto per la forma di agorafobia che mi sembra lei segnali (se ho capito bene, quando parla di "scendere" lei vuol dire "uscire di casa"?). Se ha l'impressione che il suo psicologo non stia affrontando le cose nei termini che lei preferirebbe, gliene parli. Leggendo le sue parole "l’ansia è rimasta, mi sembra che lui si concentri più sulle mie emozioni che sul problema in sé, mi sembra di girare in tondo quando parliamo del panico, della mia ansia, non mi sento che mi sta dando un aiuto concreto" sembra che si sia indebolita quella fiducia di svolgere un efficace lavoro comune che tanta parte ha nella guarigione del paziente. Potrei aggiungere che di norma è l'approccio cognitivo-comportamentale il più diretto in questi casi, ma ritengo che ormai ogni bravo professionista sappia gestire le tecniche più idonee, e per contro ciascun metodo viene modulato dall'esperienza del terapeuta e dalla sua valutazione del paziente. A volte ci si avvale anche della collaborazione di un medico, nell'ipotesi che i farmaci possano accelerare la soluzione del problema. Le faccio molti auguri. Ci tenga al corrente.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 694 visite dal 16/07/2018.
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