Ansia sociale e solitudine
Salve gentili dottori, sono sempre stata una persona molto ansiosa e timida, sono cresciuta con i miei nonni nonostante i miei genitori siano in vita (mia madre mi lasciò ai nonni appena nata perchè si ammalò di depressione post partum, alla fine sono rimasta con loro e mentre i miei genitori hanno avuto i miei fratelli) da piccola io vedevo i miei genitori occuparsi dei miei fratelli mentre invece di me non si preoccupavano e lasciavano che fossero i miei nonni a prendersi cura di me (una volta da ragazzina ho sentito mia madre dire che non sentiva niente nei miei confronti, che era come se non fossi sua figlia, ma ho sempre cercato di giustificarla attribuendo tale comportamento alla depressione) questo mi ha generato molta insicurezza, se i miei genitori non mi hanno voluta chi mai potrà volermi? Ho passato un'adolescenza difficile, sono andata più volte in terapia ed ho preso anche psicofarmaci per trattare la mia ansia e depressione, questi facevano effetto inizialmente ma poi tornavo ansiosa e depressa. Ho quasi 30 anni e non sono indipendente, non sono riuscita a studiare (mi ero iscritta all'università e nonostante andassi bene ho rinunciato per via dell'ansia, stavo proprio male con lo stomaco, ero dimagrita molto) non ho amici, e di trovare lavoro neanche se ne parla, vivo una situazione di costante ansia (tanto che somatizzo a livello fisico, ho problemi a livello gastrico e intestinale) perchè mia nonna è anziana e non potrà occuparsi di me in eterno, inoltre ho dei gravi problemi relazionali con l'altro sesso, sto frequentando due ragazzi ma loro non sanno l'uno dell'altro, so che è una cosa orribile ma ho timore di rimanere sola e cerco delle sicurezze nei rapporti sentimentali. Ah, dimenticavo l'ipocondria, perchè si sono anche ipocondriaca, insomma sono un catorcio umano, una persona profondamente problematica che Leopardi mi fa un baffo. Non so come uscire da questa situazione, la cosa più urgente per me ora è trovare lavoro ma è al contempo la cosa che mi spaventa di più, sono una persona molto sensibile, non mi piace creare problemi al prossimo, temo di essere inadatta al mondo del lavoro e non riesco a propormi per nessun tipo di lavoro (ma anche se mi proponessi probabilmente verrei scartata.) mi piacerebbe anche avere degli amici per sfogarmi e svagarmi un pò non dover ricercare sempre la compagnia maschile, vorrei dei consigli da voi, cosa potrei fare per uscire da questa situazione? Grazie in anticipo per l'eventuale risposta.
[#1]
Gentile utente,
Lei non è problematica ne tantomeno fa un baffo a Leopardi, Lei è una donna che porta con se un grande dolore che verosimilmente è quello dell’abbandono.
E tutto ciò che sperimenta:
- verosimile senso di - non amabilità- :”se i miei genitori non mi hanno voluta chi mai potrà volermi?”.
- autocritica negativa: “sono un catorcio umano, una persona profondamente problematica che Leopardi mi fa un baffo“
- ansia ipocondriaca
- ansia/timore di creare problemi all’altro a sè
- timore di essere nuovamente abbandonata e, quindi di rimanere da sola di nuovo: “sto frequentando due ragazzi ma loro non sanno l'uno dell'altro”. Ci sta ed è comprensibile. Non è orrendo. Se teme di restare sola nelle relazioni affettive (cosa che ha già sperimentato da bambina), è comprensibile tenersi strette diverse persone contemporaneamente perché il pensiero diventa quello che: “comunque vada con uno dei due, l’altro c’è e non rimarrò sola”.
- ansia/timore di essere incapace sul e nel lavoro
è abbastanza probabile che altro non siano se non “scorie” estremamente dolorose a cui un un abbandono conduce.
Si, è vero, lei è stata in terapia, avrà assunto antidepressivi... ma a che pro?
Con quale scopo?
Nella sua vita lei si è sentita dire da sua madre (sottolineo: la propria madre): “non provo niente per te”. Il concetto è questo!
Verosimilmente ci sono falle dolorose riconducibili alla fase di attaccamento genitoriale.
Un senso di non amabilità percepita non di rado conduce a sentirsi non voluti, non capaci, senza valore...
Ed è probabile che sia proprio sui legami (non legami) di attaccamento che occorrerebbe lavorare con un/una collega psicologo psicoterapeuta.
Credo che re-inventarsi come donna che guarda al mondo delle relazioni affettive in modo meno terrifico e disfunzionale, le possa tornare utile.
Lei non è problematica ne tantomeno fa un baffo a Leopardi, Lei è una donna che porta con se un grande dolore che verosimilmente è quello dell’abbandono.
E tutto ciò che sperimenta:
- verosimile senso di - non amabilità- :”se i miei genitori non mi hanno voluta chi mai potrà volermi?”.
- autocritica negativa: “sono un catorcio umano, una persona profondamente problematica che Leopardi mi fa un baffo“
- ansia ipocondriaca
- ansia/timore di creare problemi all’altro a sè
- timore di essere nuovamente abbandonata e, quindi di rimanere da sola di nuovo: “sto frequentando due ragazzi ma loro non sanno l'uno dell'altro”. Ci sta ed è comprensibile. Non è orrendo. Se teme di restare sola nelle relazioni affettive (cosa che ha già sperimentato da bambina), è comprensibile tenersi strette diverse persone contemporaneamente perché il pensiero diventa quello che: “comunque vada con uno dei due, l’altro c’è e non rimarrò sola”.
- ansia/timore di essere incapace sul e nel lavoro
è abbastanza probabile che altro non siano se non “scorie” estremamente dolorose a cui un un abbandono conduce.
Si, è vero, lei è stata in terapia, avrà assunto antidepressivi... ma a che pro?
Con quale scopo?
Nella sua vita lei si è sentita dire da sua madre (sottolineo: la propria madre): “non provo niente per te”. Il concetto è questo!
Verosimilmente ci sono falle dolorose riconducibili alla fase di attaccamento genitoriale.
Un senso di non amabilità percepita non di rado conduce a sentirsi non voluti, non capaci, senza valore...
Ed è probabile che sia proprio sui legami (non legami) di attaccamento che occorrerebbe lavorare con un/una collega psicologo psicoterapeuta.
Credo che re-inventarsi come donna che guarda al mondo delle relazioni affettive in modo meno terrifico e disfunzionale, le possa tornare utile.
Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo. Psicoterapia cognitiva e cognitivo comportamentale.
[#2]
Utente
Gentile dottor Pizzoleo grazie per la sua risposta, dunque mi consiglia di intraprendere nuovamente un percorso psicologico? Due anni fa ho fatto una visita psichiatrica al csm del mio comune e la dottoressa che mi ha visitata mi ha un pò demoralizzata dicendomi che alla mia età ormai non è più possibile "guarire" totalmente, magari non ha tutti i torti più passano gli anni più è difficile cambiare, ma a me interesserebbe semplicemente migliorare la mia ansia sociale così che io possa lavorare serenamente e risolvere i miei problemi affettivi, la situazione con questi due ragazzi mi procura molta ansia ma da sola non so come risolvere, ho paura di ferire uno dei due e non lo voglio assolutamente. Pensa che da una terapia farmacologica potrei trarre giovamento in questo senso? Grazie ancora e buona giornata.
[#3]
direi di si. Potrebbe concretamente pensare di avvalersi dell’aiuto specialistico di un collega psicologo psicoterapeuta che si interessi di modalità e stili di attaccamento in età adulta.
Verosimilmente questo le consentirebbe di assumere, inizialmente, maggiore consapevolezza:
- di cosa ha funzionato e cosa no all’interno dei primi legami di attaccamento che ha sperimentato in età infantile e durante lo sviluppo;
- se (dico “se” perché siamo online e ben comprenderà che non possiamo fare altro che ipotizzare) queste prime modalità affettivo-relazionali sono o meno alla base delle sue probabili ansie di perdita dell’altro e di abbandono (restare sola) e/o se successivamente all’adolescenza, altri fattori hanno contribuito a mantenerle o accrescere i suoi timori di inadeguatezza (come ad esempio sul lavoro) , le sue ansie riferite allo stato di salute e le paure abbandoniche e di non amabilità;
e successivamente di proporsi, grazie alla psicoterapia, nello sviluppo di abilità e competenze emotive, affettive, cognitive e relazionali che le permettano di guardare e percepire la realtà in modo non solo meno terrifico ma soprattutto in modo sano e funzionale con l’obiettivo di vivere tutte le dinamiche della sua vita personale ed interpersonale in modo più sano e funzionale per lei e per l’altro e quindi meno spaventante e caotico.
Credo che questa citazione riassuma un po tutto: "Compito dello psicoterapeuta è quello di assistere la persona nella ricerca del suo vero sé e poi di aiutarla a trovare il coraggio di essere quel sé". (Rollo May)
“Pensa che da una terapia farmacologica potrei trarre giovamento in questo senso?” Da qui non possiamo rispondere a questa domanda: primo perché siamo psicologi e non medici psichiatri; secondo, anche se lo fossimo, occorre che eventualmente sia il o la collega al quale si rivolgerà a pensare o in fase di inquadramento diagnostico o durante la terapia e in accordo con lei, se possa essere il caso di associare alla psicoterapia una terapia farmacologica di pertinenza medico psichiatrica.
Legga questo breve articolo riguardo gli studi scientifici sui legami di attaccamento http://www.stateofmind.it/2017/07/john-bowlby-attaccamento/
P.S: L’eta non è una variabile che preclude la possibilità di proporsi in una percorso terapeutico di ricostruzione del proprio passato doloroso con l’obiettivo di acquisire abilità e competenze più funzionali al proprio benessere presente e futuro
Stia bene!
Verosimilmente questo le consentirebbe di assumere, inizialmente, maggiore consapevolezza:
- di cosa ha funzionato e cosa no all’interno dei primi legami di attaccamento che ha sperimentato in età infantile e durante lo sviluppo;
- se (dico “se” perché siamo online e ben comprenderà che non possiamo fare altro che ipotizzare) queste prime modalità affettivo-relazionali sono o meno alla base delle sue probabili ansie di perdita dell’altro e di abbandono (restare sola) e/o se successivamente all’adolescenza, altri fattori hanno contribuito a mantenerle o accrescere i suoi timori di inadeguatezza (come ad esempio sul lavoro) , le sue ansie riferite allo stato di salute e le paure abbandoniche e di non amabilità;
e successivamente di proporsi, grazie alla psicoterapia, nello sviluppo di abilità e competenze emotive, affettive, cognitive e relazionali che le permettano di guardare e percepire la realtà in modo non solo meno terrifico ma soprattutto in modo sano e funzionale con l’obiettivo di vivere tutte le dinamiche della sua vita personale ed interpersonale in modo più sano e funzionale per lei e per l’altro e quindi meno spaventante e caotico.
Credo che questa citazione riassuma un po tutto: "Compito dello psicoterapeuta è quello di assistere la persona nella ricerca del suo vero sé e poi di aiutarla a trovare il coraggio di essere quel sé". (Rollo May)
“Pensa che da una terapia farmacologica potrei trarre giovamento in questo senso?” Da qui non possiamo rispondere a questa domanda: primo perché siamo psicologi e non medici psichiatri; secondo, anche se lo fossimo, occorre che eventualmente sia il o la collega al quale si rivolgerà a pensare o in fase di inquadramento diagnostico o durante la terapia e in accordo con lei, se possa essere il caso di associare alla psicoterapia una terapia farmacologica di pertinenza medico psichiatrica.
Legga questo breve articolo riguardo gli studi scientifici sui legami di attaccamento http://www.stateofmind.it/2017/07/john-bowlby-attaccamento/
P.S: L’eta non è una variabile che preclude la possibilità di proporsi in una percorso terapeutico di ricostruzione del proprio passato doloroso con l’obiettivo di acquisire abilità e competenze più funzionali al proprio benessere presente e futuro
Stia bene!
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 1.9k visite dal 06/07/2018.
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Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.