Psicopatia con delirio di onnipotenza

Buonasera,
per anni ho lavorato da solo a un lavoro molto assorbente, che mi piace molto (gratificante sotto il profilo personale e professionale). I successi ottenuti hanno aperto una nuova possibilità di lavoro, combinandola a quella già esistente, che implica, però, un rapporto con altre persone. Niente di particolarmente stretto o stressante. Complessivamente, sono fortunato sotto questo profilo.
Con l'inizio del nuovo lavoro, però, sono tornate a manifestarsi mie particolari inclinazioni nelle relazioni con gli altri, che mi sembrano piuttosto inquietanti, sebbene di esse (nel mio intimo e privato) io ne sia del tutto orgoglioso.
Risulto una persona timida, riservata, tranquilla, un pò noiosa, anche se piuttosto ironica e sarcastica, gran lavoratrice, intelligente, particolarmente efficiente e ovviamente "sfigata" (pareri raccolti). Insomma, un essere medio trascurabile. Non ho mai avuto ragazze o relazioni stabili e, pur essendo etero, non sento la necessità di accompagnarmi o affiancarmi a qualcuno. Al contrario, sono molto espansivo e diretto nel raccogliere amicizie o forse sarebbe meglio dire contatti umani, sia maschili, sia femminili.
A mio giudizio, sono inoltre una persona estremamente decisa, molto manipolatrice e incredibilmente superba. Un duro sotto il profilo caratteriale, inossidabile e indistruttibile, con mente lucida e razionale, anche nel valutare i miei limiti. Sono infatti convinto di essere molto più intelligente della media e, comunque, di vedere il mondo nel modo più giusto di chiunque (tetro e malefico, con rapporti umani fatti unicamente di conflitti e contrasti). Questo lato cerco di tenerlo nascosto e solo le pochissime persone di cui mi fido nella mia vita lo conoscono. A loro apparisco sostanzialmente disumano o inumano o, al minimo, preoccupante.
Proprio come alle scuole superiori, in questo nuovo contesto organizzato, sento il bisogno principalmente di raccogliere informazioni e fiducia degli altri per poi usarli a mio vantaggio, spesso senza alcuno scopo concreto e razionale effettivo, solo per divertirmi, creando situazioni di contrasto o tensione. Sono attanagliato, fuori dal mio lavoro, da un grande senso di noia verso gli altri, pur ricercandone attivamente la compagnia e spesso venendo evitato, perchè poco interessante, trascurabile o ignorabile.
Con le donne in particolare, mi sento ovviamente attratto, approccio un pò a caso e una volta stretto un rapporto di amicizia o minima confidenza mi sento come appagato (o annoiato) e mi allontano spesso con scuse pseudorazionali, senza concludere nulla. Salvo poi, comportatomi male, riniziare dove possibile il giochetto dall'inizio e interromperlo nuovamente all'improvviso.
Credo che il mio sentirmi superiore contrasti con il mio essere misero reale e questo ingeneri il risentimento e la cattiveria latente verso gli altri. Se esplode, è una rabbia freddissima, violenta nelle attitudini e nelle parole, mai fisicamente (spaventosa, è stato detto).
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Buongiorno,

il suo racconto stimola diverse riflessioni. In particolar modo vorrei condividerne una con lei, cioè il fatto che certe sue caratteristiche sono funzionali in ambito lavorativo ma forse non lo sono in quello relazionale. Mi sono chiesto se è dispiaciuto per questo, se desidera una vicinanza affettiva, potrei dire nonostante tutto.

Sembra vivere sia un sentimento di superiorità sia una percezione di sé come misero, se ho capito bene.
È come se vivesse due estremi, che forse non le consentono di investire nelle relazioni.

Parla di un mondo tetro e malefico, dove ci sono conflitti, inquietudini e forse delusioni, ferite profonde. Mi sono chiesto se custodisce dentro di sé il desiderio di un mondo diverso, in cui potersi fidare per fidarsi, senza cioè dover arrivare a manipolare, non so se possiamo dire a difendersi, soprattutto quando non serve.

Affinché questo possa accadere, a mio avviso, è importante comprendere e accogliere i suoi vissuti interiori. E nel tempo trasformare quell'immagine di sé misera e superiore, potremmo dire impotente e onnipotente. Alla ricerca di una dimensione di possibilità, di quella umana possibilità di essere in un mondo complesso, non sempre facile, ma neppure solamente conflittuale. Dove potrebbe anche scoprire l'amore che forse non aveva messo in conto.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

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Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Egregio dottore,
la ringrazio per la sua risposta.
In effetti, ho sempre cercato di capire le ragioni delle mie stranezze e le ho riportate a una storia familiare non facile, fatta di lutti continui per malattie, e a una vicenda amicale spesso segnata da contrasti perduranti ed estremi (persone come me ne ho incontrate altre due in vita mia e, ovviamente, ci siamo scontrati con durezza).
è chiaro che sono profondamente sfiduciato e l'idea di sentirmi abbandonato/tradito/ingannato mi fa diventare estremamente paranoico.
Ho inventato strategie difensive ai limiti del paradosso: dico a una persona una cosa falsa su un'altra e poi mi accerto se questa notizia è circolata o è stata detta ad altri (spesso, per mia esperienza, finisce per ingigantirsi). Così valuto se questa persona è, perlomeno, affidabile o è una pedina di poco conto. La cosa curiosa è che spesso lo faccio per ingannare il tempo o darmi un'aria di importanza, senza fini pratici e, anzi, rischi piuttosto evidenti.
Quello che non mi è mai stato chiaro è come uscire da una simile paradossalità, perchè comunque la ritengo il tratto migliore della mia personalità. Per fare una citazione da uno studioso poco noto, "se lui va, chi resta?". Il misero e mediocre?
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
I vissuti che evidenzia sono cruciali. Il tradimento, l'abbandono, il senso di rifiuto, la sfiducia e la diffidenza, anche la rabbia e la paura forse.

Capisco quando dice di trovarsi in un paradosso, ma è possibile che la dimensione dell'onnipotenza esista in quanto esiste quella dell'impotenza. In questa sede glielo comunico in teoria, ma nel momento in cui "lui va", questo accade perché non è più il "misero che resta".
In altri termini, è necessario abbassare le difese e contemporaneamente costruire un nuovo sé, cui corrisponderà una percezione differente rispetto all'attuale.

Ad ogni modo comprendo la sua domanda, che è legittima e importante, quando chiede "chi resta", perché è vero che prima di una nuova fondazione di sé, è necessario accogliere la propria storia familiare, il dolore per i lutti nonché le ferite per i tradimenti. Questo da una parte è faticoso e doloroso, dall'altra può destabilizzare poiché decostruisce un equilibrio che ci può dare sicurezza e stabilità.

Affinché si avvii un processo trasformativo e rifondativo, infatti, è necessario riattraversare la propria storia e condividere i propri vissuti, facendo così una nuova esperienza relazionale e di sé.

Un ultimo pensiero. Leggendo le sue parole, mi ha fatto venire in mente l'esperienza della gratuità in senso relazionale e simbolico. Quando cioè un incontro c'è per un interesse reciproco. Senza bisogno di nient'altro.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
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Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Egregio dottore,
la ringrazio nuovamente per la sua risposta.
La curiosità ultima che mi resta è questa: a fronte di un intimo debole che si difende in concezioni megalomani e trame cervellotiche, come si spiega una natura intimamente decisa e senza scrupoli? Cosa che mi viene riconosciuta da tutti, in termini positivi e negativi, con frasi del tipo: "è meglio non averti contro", "ma come fai a essere sempre così sicuro di tutto?" o (la meglio) "oh, però, sei sveglio". Del resto, sia a livello familiare, economico e sociale ho dovuto prendere decisioni grosse e da solo, muovendomi complessivamente bene, che anche persone molto adulte non hanno mai dovuto prendere e, per molti versi, non prenderanno mai.
Come vede dal corso di questa conversazione, mi sono autoanalizzato piuttosto bene da tempo e rintraccio con facilità i miei limiti e le mie patologie mentali (curiosa frase riferitami da poco tempo da persona a cui sono perfettamente noto in tutti i miei lati: "a volte sembri il direttore, a volte l'ultimo dei servi").
Il mio senso di grandezza fondato su un tentativo di nascondere il debole non dovrebbe comportare automaticamente un senso di indecisione, fragilità o debolezza?
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Fa un'osservazione importante, quando chiede: "Il mio senso di grandezza fondato su un tentativo di nascondere il debole non dovrebbe comportare automaticamente un senso di indecisione, fragilità o debolezza?". Parliamo di vissuti e dinamiche non lineari ma complesse, non facilmente riducibili ad unum.

Provo a risponderle dicendole che lei non è soltanto debole come non è soltanto forte - bisogna oltretutto anche intendere che cosa significano debolezza e forza.

Un senso di grandezza, ad esempio, può fondarsi a partire dalle proprie stesse qualità, e poi svilupparsi eccessivamente per alcuni motivi, diventando un'arma a doppio taglio, una trappola per se stessi. Un senso di grandezza, la necessità di essere performanti, la manipolazione, la seduzione, e così via. Tutti aspetti che, in alcuni casi, rischiano di non realizzare autenticamente i propri desideri di vicinanza affettiva e di intimità (che non sono debolezze).

Mostra una capacità riflessiva e una disponibilità al dialogo, ha ragione. Ha svolto o sta svolgendo un percorso psicoterapeutico?

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#6]
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Egregio dottore,
naturalmente la ringrazio per la disponibiltà e cortesia manifestatemi.
Non ho mai seguito alcun percorso terapeutico e non credo che mai lo intraprenderò. Sono semplicemente molto lucido e cinico.
Purtroppo, non credo che riuscirò mai a cambiare la mia natura e, devo confessarle, che mi piacere avere trovato in un professionista come lei una conferma del mio "autogiudizio" personale (eh, il mio ego è un pò fuori controllo, come le ho detto).
Può essere conseguenza di uno stato mentale di questo genere lo sviluppo di atteggiamenti seriali? Intendo violenti o criminali.
Ho spesso pensieri sadici verso gli altri. Cosa curiosa non verso le donne (o almeno donne in quanto tali) o conoscenti/amici (anche qualora vi fossero dei contrasti o motivi di risentimento), quanto piuttosto verso gli estranei in senso indistinto.
Potrei pensare che, data la mia sfiducia generalizzata, i conoscenti e le donne in quanto tali li escluderei perchè mi legano a loro dei rapporti "tranquilizzanti" o perchè non noto molto la differenza fra generi (le donne non hanno niente "da offrire", in quanto donne). Al contrario, l'estraneo è inevitabilmente un nemico e quello che io penso di lui, lui lo pensa di me. Dunque, colpire prima.
Se non vorrà rispondere a questa ulteriore domanda, la capisco, perchè è già stato molto disponibile.
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Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
La ringrazio anch'io sinceramente per il nostro scambio. Purtroppo non possiamo proseguire perché ci sono tanti temi che emergono e domande che sarebbe necessario porre. E non è questa la sede per un dialogo più approfondito, mio malgrado. Sono necessari uno spazio di ascolto e riflessione e di condivisione emotiva dal vivo.

Non le suggerisco di valutare la possibilità di fare una consultazione, mi ha già anticipato le sue intenzioni, e in fondo non c'è bisogno che sia io a consigliarglielo.
Devo però dire che ci sono alcuni aspetti che potrebbero essere approfonditi e sviluppati eventualmente. E potrebbe scoprire nuovi punti di vista su di sé.

Ad ogni modo, in merito alle sue ultime parole, entro solo nel discorso sulla natura, che comunque è stato ricorrente durante il consulto. Il mio punto di vista è che noi non siamo soltanto natura. Devo dire che è un pensiero che ho rubato a grandi maestri, anche se l'ho fatto senz'altro mio, riconquistandolo.
Non siamo equipaggiati per vivere in un ambiente, per il quale non siamo programmati. Per questo siamo creativi e forse anche consapevoli di esistere, con tutto quello che comporta. C'è una continua interazione con l'ambiente, che noi creiamo trasformandolo e, a sua volta, siamo da essi influenzati.

Con questo discorso voglio dire che siamo in un continuo divenire e possiamo cambiare.

Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#8]
Attivo dal 2018 al 2018
Ex utente
Egregio dottore,
la ringrazio per la sua ultima risposta.
Mi resterà ovviamente il dubbio e l'incertezza sugli atteggiamenti e pensieri seriali che talvolta adotto o secerno dalle cellule cerebrali. Soprattutto sul perchè non li sento come negativi, immorali o indecenti, almeno nel mio intimo e li trovo in certa misura gratificanti (controllo, potere, dominio e sadismo, mai sessuali stranamente, però).
Comunque, in effetti, così sarebbe spostare il suo lavoro in un sito web, che non andrebbe certamente bene.