Registrare le sedute
Buona sera.
Ho preso appuntamento per iniziare un percorso di terapia strategica breve al fine di riuscire a fare sesso.
Ho contattato numerosi dottori della mia zona, ma mentre quasi tutti mi hanno risposto di non potermi aiutare, solo uno di loro mi ha risposto positivamente.
La sua risposta comunque non mi convince. Ho preso il primo appuntamento e spero di riuscire a chiarirmi con lui. Le riserve da lui sollevate sulla mia richiesta sono comprensibili, ma le soluzioni che sembra volermi proporre ed i suoi argomenti sono piuttosto deboli. Vedremo insomma.
Nel frattempo però, studiando accuratamente la richiesta che andrò a fargli, ho individuato dei chiari rischi ai quali potrei andare incontro affidandomi alla sua scienza. Sarò sin da subito chiaro con lui in merito a quali limiti dovrà rispettare ed a quale sia l'unica e sola strada che dovrà aiutarmi ad intraprendere. Certamente, di fronte a tale chiarezza, il suo dovere etico e professionale sarebbe o quello di rispettare tassativamente i limiti posti all'inizio della terapia, ed anche quello di non spostare, nel corso della stessa, la mia percezione di quali siano i miei giusti limiti, oppure quello di rinunciare in partenza e dirmi che non si può procedere.
Purtroppo esiste pur sempre la possibilità che egli non faccia il suo dovere, o che sommessamente agisca per infrangere quei limiti. In quest'ottica, gli farò presente che prenderò per una violenza personale, aggravata dalla situazione, un tale comportamento, e che se esso dovesse verificarsi procederei penalmente per essere risarcito e per scongiurare che altri subiscano lo stesso danno.
Il modo migliore per tutelarsi in questo contesto è quindi registrare le sedute, in modo da avere una documentazione nella quale rintracciare gli eventuali comportamenti scorretti.
Con lui non ho ancora sollevato il problema, ma gli ho posto il quesito: "E' possibile registrare le sedute?". Lui ha risposto: "Mi spiace, ma è assolutamente vietato registrare le sedute, poi se vuoi quando ci vediamo ti spiego meglio...".
Per me però è fondamentale per tutelarmi, e non c'è un altro terapeuta al quale rivolgermi.
La cosa migliore sarebbe proporgli tutto l'argomento o tacere e registrare di nascosto?
E qualora mi dicesse di no, avrei problemi se registrassi comunque le sedute?
Esistono vie alternative alla registrazione per provare un abuso in tribunale?
Quali sono le forme di tutela alle quali posso ricorrere?
E se dovesse rifiutarmi come paziente per questi motivi, cosa mi dovrei inventare?
Ho preso appuntamento per iniziare un percorso di terapia strategica breve al fine di riuscire a fare sesso.
Ho contattato numerosi dottori della mia zona, ma mentre quasi tutti mi hanno risposto di non potermi aiutare, solo uno di loro mi ha risposto positivamente.
La sua risposta comunque non mi convince. Ho preso il primo appuntamento e spero di riuscire a chiarirmi con lui. Le riserve da lui sollevate sulla mia richiesta sono comprensibili, ma le soluzioni che sembra volermi proporre ed i suoi argomenti sono piuttosto deboli. Vedremo insomma.
Nel frattempo però, studiando accuratamente la richiesta che andrò a fargli, ho individuato dei chiari rischi ai quali potrei andare incontro affidandomi alla sua scienza. Sarò sin da subito chiaro con lui in merito a quali limiti dovrà rispettare ed a quale sia l'unica e sola strada che dovrà aiutarmi ad intraprendere. Certamente, di fronte a tale chiarezza, il suo dovere etico e professionale sarebbe o quello di rispettare tassativamente i limiti posti all'inizio della terapia, ed anche quello di non spostare, nel corso della stessa, la mia percezione di quali siano i miei giusti limiti, oppure quello di rinunciare in partenza e dirmi che non si può procedere.
Purtroppo esiste pur sempre la possibilità che egli non faccia il suo dovere, o che sommessamente agisca per infrangere quei limiti. In quest'ottica, gli farò presente che prenderò per una violenza personale, aggravata dalla situazione, un tale comportamento, e che se esso dovesse verificarsi procederei penalmente per essere risarcito e per scongiurare che altri subiscano lo stesso danno.
Il modo migliore per tutelarsi in questo contesto è quindi registrare le sedute, in modo da avere una documentazione nella quale rintracciare gli eventuali comportamenti scorretti.
Con lui non ho ancora sollevato il problema, ma gli ho posto il quesito: "E' possibile registrare le sedute?". Lui ha risposto: "Mi spiace, ma è assolutamente vietato registrare le sedute, poi se vuoi quando ci vediamo ti spiego meglio...".
Per me però è fondamentale per tutelarmi, e non c'è un altro terapeuta al quale rivolgermi.
La cosa migliore sarebbe proporgli tutto l'argomento o tacere e registrare di nascosto?
E qualora mi dicesse di no, avrei problemi se registrassi comunque le sedute?
Esistono vie alternative alla registrazione per provare un abuso in tribunale?
Quali sono le forme di tutela alle quali posso ricorrere?
E se dovesse rifiutarmi come paziente per questi motivi, cosa mi dovrei inventare?
[#1]
Non ho mica capito... lei vuole provare un abuso da parte del professionista in tribunale? Posso chiedere da dove nasce l ' idea e come mai ha paura che il professionista possa superare dei limiti ? Quali?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Ex utente
L'abuso ancora non c'è stato e non è detto che ci sarà, ma è sempre meglio prendere delle precauzioni.
Quindi sì, voglio avere un modo per fornire prove concrete in tribunale, qualora l'abuso ci fosse.
L'idea nasce dal fatto che l'abuso è possibile. Si dovrebbe chiedere da dove nascano il diritto, la giustizia e le leggi.
Come mai io ne abbia paura è un quesito malposto. Il professionista può di fatto superare dei limiti, ad esempio suggerendo al paziente, in quel modo persuasivo che è proprio della psicoterapia, cose che al paziente danno fastidio o che non vuole gli siano suggerite. Il che è aggravato dal fatto che ci si trova in un contesto di affidamento medico. O forse vuole dirmi che il medico ha il diritto di fare quello che vuole con la mente del paziente? Io non credo.
Quali siano qui non è importante.
Quindi sì, voglio avere un modo per fornire prove concrete in tribunale, qualora l'abuso ci fosse.
L'idea nasce dal fatto che l'abuso è possibile. Si dovrebbe chiedere da dove nascano il diritto, la giustizia e le leggi.
Come mai io ne abbia paura è un quesito malposto. Il professionista può di fatto superare dei limiti, ad esempio suggerendo al paziente, in quel modo persuasivo che è proprio della psicoterapia, cose che al paziente danno fastidio o che non vuole gli siano suggerite. Il che è aggravato dal fatto che ci si trova in un contesto di affidamento medico. O forse vuole dirmi che il medico ha il diritto di fare quello che vuole con la mente del paziente? Io non credo.
Quali siano qui non è importante.
[#3]
Buongiorno,
all’inizio della sua richiesta di consulenza non capivo perché gli altri colleghi ai quali Lei si era rivolto si erano rifiutati di aiutarla, continuando a leggere le sue parole penso di aver capito il perché.
Non riesco a capire invece il suo livello di diffidenza, a priori, senza nemmeno conoscere il professionista che si farà carico della sua sofferenza.
Posso chiederle perché non fa sesso? (Come scrive lei)
Posso chiederle se ha delle difficoltà relazionali, affettive, o squisitamente sessuali?
Soffre di qualche disfunzione sessuale?
È mai stato da un andrologo?
HA mai effettuato una consulenza andrò sessuologica? Se sì, con quale diagnosi?
Il registrare le sedute, mi sembra una strategia per controllare l’operato del professionista, per una sua mancanza di fiducia di base, immagino.
(Ma siamo online e lo prenda con le pinze, non trattasi di una diagnosi ma di un pensiero a voce alta).
Posso chiederle inoltre, perché scrive a noi, perfetti sconosciuti, prima di affidarsi ad un professionista in carne ed ossa, sconosciuto all’inizio, ma conosciuto in seguito?
Ha risolto le pregresse problematiche per la quelli le abbiamo risposto a lungo? Se si, come?
https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/525178-masochismo-e-responsabilita-altrui.html
all’inizio della sua richiesta di consulenza non capivo perché gli altri colleghi ai quali Lei si era rivolto si erano rifiutati di aiutarla, continuando a leggere le sue parole penso di aver capito il perché.
Non riesco a capire invece il suo livello di diffidenza, a priori, senza nemmeno conoscere il professionista che si farà carico della sua sofferenza.
Posso chiederle perché non fa sesso? (Come scrive lei)
Posso chiederle se ha delle difficoltà relazionali, affettive, o squisitamente sessuali?
Soffre di qualche disfunzione sessuale?
È mai stato da un andrologo?
HA mai effettuato una consulenza andrò sessuologica? Se sì, con quale diagnosi?
Il registrare le sedute, mi sembra una strategia per controllare l’operato del professionista, per una sua mancanza di fiducia di base, immagino.
(Ma siamo online e lo prenda con le pinze, non trattasi di una diagnosi ma di un pensiero a voce alta).
Posso chiederle inoltre, perché scrive a noi, perfetti sconosciuti, prima di affidarsi ad un professionista in carne ed ossa, sconosciuto all’inizio, ma conosciuto in seguito?
Ha risolto le pregresse problematiche per la quelli le abbiamo risposto a lungo? Se si, come?
https://www.medicitalia.it/consulti/psicologia/525178-masochismo-e-responsabilita-altrui.html
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#4]
Ex utente
Dottoressa Randone, mi pare che la sua risposta sia largamente fuori tema.
Quello che vorrei avere è una risposta alle domande su scritte:
"La cosa migliore sarebbe proporgli tutto l'argomento o tacere e registrare di nascosto?
E qualora mi dicesse di no, avrei problemi se registrassi comunque le sedute?
Esistono vie alternative alla registrazione per provare un abuso in tribunale?
Quali sono le forme di tutela alle quali posso ricorrere?
E se dovesse rifiutarmi come paziente per questi motivi, cosa mi dovrei inventare?"
La sue domande sinceramente non le capisco e non mi sembrano utili.
Quello che vorrei avere è una risposta alle domande su scritte:
"La cosa migliore sarebbe proporgli tutto l'argomento o tacere e registrare di nascosto?
E qualora mi dicesse di no, avrei problemi se registrassi comunque le sedute?
Esistono vie alternative alla registrazione per provare un abuso in tribunale?
Quali sono le forme di tutela alle quali posso ricorrere?
E se dovesse rifiutarmi come paziente per questi motivi, cosa mi dovrei inventare?"
La sue domande sinceramente non le capisco e non mi sembrano utili.
[#5]
"suggerendo al paziente, in quel modo persuasivo che è proprio della psicoterapia, cose che al paziente danno fastidio o che non vuole gli siano suggerite"
Lei ha un'idea distorta e fuorviante della psicoterapia che è una relazione d'aiuto fondata sulla fiducia reciproca ed è finalizzata al recupero del potere personale del cliente per favorire un processo di cambiamento.
Nessun professionista può accettare che la persona registri le sedute perché è tenuto al segreto professionale e invece così non sarebbe più in grado di garantirlo.
Registrare di nascosto sarebbe un reato e quindi non è consigliabile.
In caso di abuso può rivolgersi all'Ordine degli Psicologi
http://www.ordinepsicologilazio.it/abuso-professione/
fornendo la sua testimonianza, ma è assurdo partire dal presupposto che ci potrebbe essere e quindi non ci si può fidare.
La sua diffidenza è legittima infatti dopo il primo colloquio lei decide se proseguire il percorso terapeutico ed è libero di interromperlo in qualsiasi momento.
Quindi il rapporto di fiducia si costruisce gradualmente in funzione della qualità della relazione terapeutica.
Lei ha un'idea distorta e fuorviante della psicoterapia che è una relazione d'aiuto fondata sulla fiducia reciproca ed è finalizzata al recupero del potere personale del cliente per favorire un processo di cambiamento.
Nessun professionista può accettare che la persona registri le sedute perché è tenuto al segreto professionale e invece così non sarebbe più in grado di garantirlo.
Registrare di nascosto sarebbe un reato e quindi non è consigliabile.
In caso di abuso può rivolgersi all'Ordine degli Psicologi
http://www.ordinepsicologilazio.it/abuso-professione/
fornendo la sua testimonianza, ma è assurdo partire dal presupposto che ci potrebbe essere e quindi non ci si può fidare.
La sua diffidenza è legittima infatti dopo il primo colloquio lei decide se proseguire il percorso terapeutico ed è libero di interromperlo in qualsiasi momento.
Quindi il rapporto di fiducia si costruisce gradualmente in funzione della qualità della relazione terapeutica.
Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it
[#7]
Ex utente
E comunque no. Non ho un'idea distorta e fuorviante della psicoterapia. Lo psicoterapeuta interviene sulla mente del paziente in modo da permettergli di…. e fargli fare…
Se mi permette di fare quello che io gli dico di permettermi di fare, allora sta facendo il suo lavoro.
Se mi permette di fare altro da quello che io gli dico, o se mi permette di fare quello che io gli dico di non permettermi di fare, allora sta abusando della mia fiducia e della mia persona.
Se mi fa fare ciò che io gli dico di farmi fare, allora sta facendo il suo lavoro.
Se mi fa fare altro da quello che io gli dico, o se mi fa fare quello che io gli dico di non farmi fare, allora sta abusando della mia fiducia e della mia persone.
Voglio solo avere un modo per fargliela pagare in caso di abuso. Un modo per acquisire delle prove tangibili da portare in tribunale. C'è o no questo modo?
Se mi permette di fare quello che io gli dico di permettermi di fare, allora sta facendo il suo lavoro.
Se mi permette di fare altro da quello che io gli dico, o se mi permette di fare quello che io gli dico di non permettermi di fare, allora sta abusando della mia fiducia e della mia persona.
Se mi fa fare ciò che io gli dico di farmi fare, allora sta facendo il suo lavoro.
Se mi fa fare altro da quello che io gli dico, o se mi fa fare quello che io gli dico di non farmi fare, allora sta abusando della mia fiducia e della mia persone.
Voglio solo avere un modo per fargliela pagare in caso di abuso. Un modo per acquisire delle prove tangibili da portare in tribunale. C'è o no questo modo?
[#8]
Esiste un codice deontologico che tutela l'utenza e in caso di abuso può fare una segnalazione all'Ordine degli Psicologi nella quale fornisce la sua testimonianza.
Non posso fare a meno di farle notare che questo atteggiamento pregiudizievole nei confronti della nostra categoria professionale condiziona la possibilità di instaurare, gradualmente, qualsiasi rapporto di fiducia.
Non posso fare a meno di farle notare che questo atteggiamento pregiudizievole nei confronti della nostra categoria professionale condiziona la possibilità di instaurare, gradualmente, qualsiasi rapporto di fiducia.
[#9]
Ad integrazione di quanto già detto:
"A segnalazione inviata si attende il corso della procedura. Sarà cura dell’ente comunicare ricezione e l’apertura di un’indagine. Se la segnalazione riguarda una violazione deontologica, la commissione deontologica apre un’indagine interna. Se la segnalazione riguarda un abuso di professione, punibile penalmente, l’ordine provvede ad inoltrare agli enti preposti.
Anche sugli enti preposti aleggiano opinioni e leggende. Alcuni pensano alla Guardia di Finanza, altri ai Carabinieri, al Ministero della Salute e alcuni non si pongono proprio il problema. Nella realtà dei fatti il corpo preposto a tali indagini sono i NAS, il nucleo antisofisticazioni e sanità dell’arma. E se avessimo qualche scrupolo/dubbio/timore rispetto all’apertura di un indagine, la segnalazione possiamo farla anche direttamente ai NAS."
http://www.altrapsicologia.it/articoli/tutela-psicologo/segnalazione-usi-abusi/
"A segnalazione inviata si attende il corso della procedura. Sarà cura dell’ente comunicare ricezione e l’apertura di un’indagine. Se la segnalazione riguarda una violazione deontologica, la commissione deontologica apre un’indagine interna. Se la segnalazione riguarda un abuso di professione, punibile penalmente, l’ordine provvede ad inoltrare agli enti preposti.
Anche sugli enti preposti aleggiano opinioni e leggende. Alcuni pensano alla Guardia di Finanza, altri ai Carabinieri, al Ministero della Salute e alcuni non si pongono proprio il problema. Nella realtà dei fatti il corpo preposto a tali indagini sono i NAS, il nucleo antisofisticazioni e sanità dell’arma. E se avessimo qualche scrupolo/dubbio/timore rispetto all’apertura di un indagine, la segnalazione possiamo farla anche direttamente ai NAS."
http://www.altrapsicologia.it/articoli/tutela-psicologo/segnalazione-usi-abusi/
[#11]
E se cambiassimo il soggetto:
"... soltanto se IL MEDICO rispetta le regole ed i limiti stabiliti dal paziente..."
- è certo che una certa cura farebbe effetto?
- e quale medico accetterebbe di essere espropriato della propria professionalità? A che pro?
- il pz a questo punto perchè non si cura da solo?
Saluti cordiali.
Carlamaria Brunialti
"... soltanto se IL MEDICO rispetta le regole ed i limiti stabiliti dal paziente..."
- è certo che una certa cura farebbe effetto?
- e quale medico accetterebbe di essere espropriato della propria professionalità? A che pro?
- il pz a questo punto perchè non si cura da solo?
Saluti cordiali.
Carlamaria Brunialti
[#12]
Ex utente
- Nella medicina "non mentale" il paziente può scegliere la cura fra quelle disponibili, indipendentemente da quale sia considerata la più efficace, ed il medico non può imporre una cura invece di un'altra. Se il paziente vuole ricevere una cura che il medico non è in grado di dargli, allora il medico deve rinunciare a curarlo; se il paziente esprime rifiuto nei confronti di una certa cura che il medico vuole fornirgli, allora il medico deve rinunciare a curarlo.
La psicologia deve garantire le stesse tutele al paziente e le stesse limitazioni all'operato dell'operatore.
Inoltre la medicina "non mentale" ha dei criteri oggettivi per stabilire la condizione di salute e malattia. La psicologia manca di questi criteri oggettivi se non a livello euristico molto generale e, siccome non ha a che fare con un oggetto (il corpo biologico meccanico), ma con un soggetto, deve attenersi a dei criteri soggettivi. Il che non può essere un invito all'arbitrio dell'operatore/terapeuta/medico e della sua scuola (sempre diversa da tutte le altre scuole), ma dev'essere l'accettazione incondizionata dei criteri che il paziente stesso stabilisce esplicitamente come criteri della malattia e della salute.
Certo il paziente può non avere gli strumenti per stabilire chiaramente quali siano le condizioni di salute e malattia. In questo caso il terapeuta deve fornirgli due parametri oggettivi: 1) La normalità statistica, come indicazione di ciò che è normale e di ciò che è deviante; 2) I criteri della salute oggettiva: ossia consigliare al paziente di non generare contraddizioni fra la salute oggettiva fisico-fisiologica e quella psichica; 3) Spiegare al paziente quale sia il fine biologico ed evolutivo di ciascuna delle sue funzioni mentali e presentargli la preservazione della vita come valore assoluto di riferimento per ciò che è sano; 4) Spiegargli che l'egoismo è più importante della prosocialità, perché non c'è prosocialità senza egoismo. Una volta forniti questi strumenti, spetta al paziente stabilire ciò che è sano e ciò che è malato nella sua persona.
Inoltre la psicoterapia non deve mai portare ad "estensioni della vita oltre i suoi limiti", cioè non deve mai contraddire la medicina oggettiva. Faccio un esempio: oggettivamente un maschio è sano se ha dei buoni livelli (non so bene quali) di testosterone ed estrogeni, ed è sano se ha i genitali integri e funzionanti (oltre al retto, ma questo discorso lasciamolo stare). Pertanto la psicoterapia non deve violare la salute oggettiva del maschio nel malato di disforia di genere, quindi non deve avallare l'operazione per la "riassegnazione del sesso" in nome di un presunto primato dello psichico sul fisico.
Lo psicoterapeuta che viola queste norme commette un abuso, anche se apparentemente delle leggi ingiuste sembrano consentirglielo (ma comunque la dignità umana ha più valore, anche giuridico, di quelle leggi ingiuste).
- la libertà professionale dello psicoterapeuta finisce dove comincia la libertà del paziente. Rispettare le norme suddette non significa soltanto rispettarle nel contenuto, ma anche nella forma. Cronologicamente prima che inizi la terapia, il paziente presenta al terapeuta le sue richieste; cronologicamente poi comincia la terapia, ed il terapeuta soddisfa le richieste del paziente. Non ci può essere "riaggiornamento" delle richieste del paziente. Laddove c'è un riaggiornamento o rinnovo di questo tipo c'è un abuso da parte del terapeuta, il quale ha modificato la mente del paziente in una direzione non voluta dal paziente.
- il paziente non si cura da solo perché "fra il dire ed il fare c'è di mezzo un mare". Questo non significa che il fare sia scelto dal terapeuta, ma solo che il terapeuta deve aiutare il paziente a fare ciò che il paziente dice.
Visto che abbiamo deviato il discorso in questa direzione: secondo lei il NAS e la commissione deontologica sono d'accordo con le mie tesi? (Perché se non sono d'accordo vuol dire che le tutele non ci sono, che non ha senso per me svolgere la terapia senza tutele, e che questi enti devono evolvere i loro criteri)
In secondo luogo, posto che le mie tesi siano giuste (e lo sono), resta il problema: come si ricavano le prove concrete di un abuso, dal momento che tutta la psicoterapia si svolge in gran segreto, senza pubblico, e non è registrabile?
La psicologia deve garantire le stesse tutele al paziente e le stesse limitazioni all'operato dell'operatore.
Inoltre la medicina "non mentale" ha dei criteri oggettivi per stabilire la condizione di salute e malattia. La psicologia manca di questi criteri oggettivi se non a livello euristico molto generale e, siccome non ha a che fare con un oggetto (il corpo biologico meccanico), ma con un soggetto, deve attenersi a dei criteri soggettivi. Il che non può essere un invito all'arbitrio dell'operatore/terapeuta/medico e della sua scuola (sempre diversa da tutte le altre scuole), ma dev'essere l'accettazione incondizionata dei criteri che il paziente stesso stabilisce esplicitamente come criteri della malattia e della salute.
Certo il paziente può non avere gli strumenti per stabilire chiaramente quali siano le condizioni di salute e malattia. In questo caso il terapeuta deve fornirgli due parametri oggettivi: 1) La normalità statistica, come indicazione di ciò che è normale e di ciò che è deviante; 2) I criteri della salute oggettiva: ossia consigliare al paziente di non generare contraddizioni fra la salute oggettiva fisico-fisiologica e quella psichica; 3) Spiegare al paziente quale sia il fine biologico ed evolutivo di ciascuna delle sue funzioni mentali e presentargli la preservazione della vita come valore assoluto di riferimento per ciò che è sano; 4) Spiegargli che l'egoismo è più importante della prosocialità, perché non c'è prosocialità senza egoismo. Una volta forniti questi strumenti, spetta al paziente stabilire ciò che è sano e ciò che è malato nella sua persona.
Inoltre la psicoterapia non deve mai portare ad "estensioni della vita oltre i suoi limiti", cioè non deve mai contraddire la medicina oggettiva. Faccio un esempio: oggettivamente un maschio è sano se ha dei buoni livelli (non so bene quali) di testosterone ed estrogeni, ed è sano se ha i genitali integri e funzionanti (oltre al retto, ma questo discorso lasciamolo stare). Pertanto la psicoterapia non deve violare la salute oggettiva del maschio nel malato di disforia di genere, quindi non deve avallare l'operazione per la "riassegnazione del sesso" in nome di un presunto primato dello psichico sul fisico.
Lo psicoterapeuta che viola queste norme commette un abuso, anche se apparentemente delle leggi ingiuste sembrano consentirglielo (ma comunque la dignità umana ha più valore, anche giuridico, di quelle leggi ingiuste).
- la libertà professionale dello psicoterapeuta finisce dove comincia la libertà del paziente. Rispettare le norme suddette non significa soltanto rispettarle nel contenuto, ma anche nella forma. Cronologicamente prima che inizi la terapia, il paziente presenta al terapeuta le sue richieste; cronologicamente poi comincia la terapia, ed il terapeuta soddisfa le richieste del paziente. Non ci può essere "riaggiornamento" delle richieste del paziente. Laddove c'è un riaggiornamento o rinnovo di questo tipo c'è un abuso da parte del terapeuta, il quale ha modificato la mente del paziente in una direzione non voluta dal paziente.
- il paziente non si cura da solo perché "fra il dire ed il fare c'è di mezzo un mare". Questo non significa che il fare sia scelto dal terapeuta, ma solo che il terapeuta deve aiutare il paziente a fare ciò che il paziente dice.
Visto che abbiamo deviato il discorso in questa direzione: secondo lei il NAS e la commissione deontologica sono d'accordo con le mie tesi? (Perché se non sono d'accordo vuol dire che le tutele non ci sono, che non ha senso per me svolgere la terapia senza tutele, e che questi enti devono evolvere i loro criteri)
In secondo luogo, posto che le mie tesi siano giuste (e lo sono), resta il problema: come si ricavano le prove concrete di un abuso, dal momento che tutta la psicoterapia si svolge in gran segreto, senza pubblico, e non è registrabile?
[#14]
Tutti questi ragionamenti li porterà a chi tra i Colleghi avrà il piacere di occuparsi di Lei.
Un'unica precisazione sui criteri per definire "..la condizione di salute e malattia. La psicologia manca di questi criteri oggettivi se non a livello euristico molto generale..":
anche la Psicologia tiene in considerazione il DSM V.
___________________________
Del resto ritengo che stiamo uscendo dalle "Linee guida" del sito riguardanti i consulti,
che ci invitano ad occuparci dei disagi e incoraggiano ad evitare questioni generali.
Dott. Brunialti
Un'unica precisazione sui criteri per definire "..la condizione di salute e malattia. La psicologia manca di questi criteri oggettivi se non a livello euristico molto generale..":
anche la Psicologia tiene in considerazione il DSM V.
___________________________
Del resto ritengo che stiamo uscendo dalle "Linee guida" del sito riguardanti i consulti,
che ci invitano ad occuparci dei disagi e incoraggiano ad evitare questioni generali.
Dott. Brunialti
[#17]
“Però ancora non ho ricevuto una spiegazione relativa alle prove di un abuso subito che potrei portare in un'aula di tribunale”
Lei non ha subito nessun abuso.
Stiamo facendo un processo alle intenzioni, e non mi sme fa che ci sia in itinere un collega che abbia il piacere di occuparsi di lei.
Non credo che in questa sede - non giudiziaria - si possa aggiungere altro.
Lei non ha subito nessun abuso.
Stiamo facendo un processo alle intenzioni, e non mi sme fa che ci sia in itinere un collega che abbia il piacere di occuparsi di lei.
Non credo che in questa sede - non giudiziaria - si possa aggiungere altro.
Questo consulto ha ricevuto 17 risposte e 6.1k visite dal 07/06/2018.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.