Tristezza acuta

Cari dottori,
Vi scrivo perché ho un bisogno impellente di sfogarmi con qualcuno, di renderVi partecipi della mia sofferenza, dovuta ad una situazione deprecabile ed incredibile che si trascina da troppo tempo.
Ho quasi 34 primavere, e da quando vidi la luce ho vissuto - genitori a parte - nella solitudine più totale. Se si eccettua qualche raro intermezzo felice, posso tranquillamente asserire come in tutta la mia vita non abbia mai avuto un amico, né un parente col quale poter perlomeno socializzare superficialmente. Di conseguenza sono stato “costretto” a rimanere sempre chiuso in casa (infanzia, adolescenza? E cosa sono?), con la noia unica compagna delle mie abuliche ed insensate giornate (non so nemmeno io come abbia fatto a trovare la forza per studiare e conseguire un diploma di maturità...). Ciò ha naturalmente innescato un circolo vizioso per certi versi raccapricciante che mi ha condotto alla soglia dei 34 anni in uno stato pietoso, senza un briciolo di compagnia, di una fidanzata, di qualche specie animata che s'interessi a me. A parte mia madre in questa mia deprecabile esistenza non sono mai stato amato da nessuno. Come se non bastasse ho la sfortuna di somatizzare i miei problemi, e così mi sono venuti diversi disturbi nervosi, uno su tutti: mi si infiammano gli occhi dopo pochi minuti di visione della TV o di qualsiasi apparecchio digitale, e persino la semplice lettura di un libro - che sino a pochi anni fa costituiva la mia unica valvola di sfogo, che mi teneva in vita - sta diventando un problema. Insomma, ho resistito troppi anni, ma ormai NON CE LA FACCIO PIU'. Così non riesco letteralmente ad andare avanti. Solamente l'amore di e per una donna potrebbe deviare il mio corso esistenziale dal baratro cui sta andando incontro, salvandomi dalle fauci dell'abisso, ma rimanendo quasi sempre chiuso in casa (mi limito a recarmi in palestra e a fare la spesa) l'eventualità che mi fidanzi entro tempi ragionevoli è molto ridotta. E poi mi chiedo: se dovessi iniziare a frequentare una ragazza, come reagirebbe non appena scoprisse della mia esistenza pietosa? Cosa direbbe quando capirebbe che non appena mi allontano 5 km dal centro abitato perdo il senso dell'orientamento come un bimbo di 6 anni (non sono quasi mai uscito fuori città)? Secondo Voi non chiuderebbe subito lì la relazione??? Questi interrogativi mi fanno star male, molto male. La consapevolezza che questa mia solitudine ha altissime probabilità di protrarsi per tutta la vita mi sta uccidendo. Mi vedo chiuso in una trappola mortale.
p.s: fra l'altro non ho nemmeno un lavoro ed anche per questo mi sento un fallito a tutto tondo. Senza un presente. Senza un futuro.
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
Gent.le Utente,
non è chiaro cosa la induce ad avere timore di uscire di casa, parla di costrizione ma non si capisce cosa o chi la costringe.
In ogni caso non è troppo tardi per avviare un processo di cambiamento ma è necessario mettersi in gioco.
Sarebbe opportuno un primo colloquio con uno psicologo per fare il punto della situazione e individuare uno o più obiettivi a breve termini per capire in quale direzione orientare le sue energie.
Uno degli aspetti da affrontare riguarda sicuramente il rigido atteggiamento giudicante che la induce a proiettare sull'altro giudizi che in realtà nascono dentro di lei.

Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it

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Utente
Utente
Il verbo Costringere l'ho messo fra virgolette. Nel senso che da solo dove vado? HO provato ad uscire da solo ma la gente se ti vede da solo ti evita ed è impossibile fare nuove amicizie, almeno dalle mie part. Ed in ogni caso quando sono uscito da solo mi sono annoiato mortalmente. Mi sa che non sono stato capito...
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Dr.ssa Sabrina Camplone Psicoterapeuta, Psicologo 4.9k 87
Il cambiamento non verrà a bussare alla sua porta per offrirle una nuova condizione di vita sul vassoio d'argento.
Si tratta di un processo graduale che non ha nulla a che fare con uscire per fare una passeggiata ma innanzi tutto individuare un interlocutore qualificato, uno psicologo magari del Consultorio Familiare della sua ASL, per avere la possibilità di affrontare il suo disagio individuando strategie concrete.
L'autocommiserazione è la strada percorsa finora non vale la pena tentare di invertire la rotta?