Fine dell'amore
Mi faccio un punto d'onore di non anteporre mai i sentimenti alla razionalità.
In realtà mi disturba parecchio sentire dire che dovremmo ascoltare i nostri sentimenti, seguire il nostro cuore: sono reazioni chimiche del nostro cervello, non diverse dalla voglia di cioccolata, non possono essere seguite così alla cieca.
E lo dico dopo anni di militanza nelle schiere dei romantici.
La premessa era per inquadrare come mi sento ora: lui è virtuale, solo lunghissime chat, e nessuna possibilità che possa esserci qualcosa fra noi per milioni di ragioni pratiche e di buon senso. Nemmeno ne abbiamo mai parlato in realtà.
Ma io sono sposata, con un figlio, e improvvisamente tutto quello che ho accettato in tutti questi lunghi anni sta venendo a chiedermi il conto.
Non sopporto più nulla di ciò su cui ho chiuso un occhio: il tono volgare di voce, le inflessioni dialettali, la stazza che schiaccia chiunque lo circondi, l'egocentrismo, il narcisismo, la mancanza di indipendenza, la necessità di essere sempre applaudito e apprezzato per ogni minima sciocchezza, l'incapacità di accettare quando le persone cambiano o semplicemente provano cose diverse da quelle che lui vorrebbe. Il rancore per le giornate dolorose passate a casa sua, quando io ero quella sbagliata e passavo giorni a piangere.
E' un brav'uomo, un ottimo professionista, un bravissimo padre, ma io non sono felice, né lo sono mai stata, e conosco perfettamente una ad una le ragioni per cui ho accettato, fatto finta di niente, ingoiato i rospi.
Ne ho parlato anche con la mia psicoterapeuta, che mi invita a non guardare gli altri, ma cercare di capire cosa voglio io, per me.
Io vorrei essere libera, vorrei poter aver la possibilità di costruire una vita diversa nei parametri di ciò che sono ora e non di ciò che ero vent'anni fa. Ma non sono capace nemmeno di pensare di infliggere un dolore del genere a lui, che renderebbe la separazione un lunghissimo lutto faticosissimo da gestire, né a nostro figlio, che impallidisce appena sente parlare di qualcuno che non vive più insieme. E tutta la fatica che ci sarebbe da gestire, e tutto il brutto che gli lascerei affrontare da solo riguardo la sua famiglia, e che oggi fa parte banalmente del bagaglio futuro che so di aver comprato con il pacchetto matrimoniale.
Non potrei mai affrontare la separazione. Sono un'utilitarista: la felicità di uno vale meno della felicità di molti.
Lui non vuole venire da un consulente matrimoniale, perché dice che è già stata impegnativa la sua terapia e non vuole affrontarne un'altra. Onestamente, al momento, nemmeno io vorrei far salvare questa relazione, e in maniera illogica e incoerente sto ferma ad aspettare che qualcosa mi salvi.
E continuo a cercare di fare ordine mentale, ma come si vede senza grandi risultati.
Tutte le mie certezze ("se ti innamori di un altro te la fai passare", "se l'amore finisce e c'è un figlio te la fai passare") mi sembrano così ridicole e inconsapevoli.
Come si fa a prendere una decisione?
In realtà mi disturba parecchio sentire dire che dovremmo ascoltare i nostri sentimenti, seguire il nostro cuore: sono reazioni chimiche del nostro cervello, non diverse dalla voglia di cioccolata, non possono essere seguite così alla cieca.
E lo dico dopo anni di militanza nelle schiere dei romantici.
La premessa era per inquadrare come mi sento ora: lui è virtuale, solo lunghissime chat, e nessuna possibilità che possa esserci qualcosa fra noi per milioni di ragioni pratiche e di buon senso. Nemmeno ne abbiamo mai parlato in realtà.
Ma io sono sposata, con un figlio, e improvvisamente tutto quello che ho accettato in tutti questi lunghi anni sta venendo a chiedermi il conto.
Non sopporto più nulla di ciò su cui ho chiuso un occhio: il tono volgare di voce, le inflessioni dialettali, la stazza che schiaccia chiunque lo circondi, l'egocentrismo, il narcisismo, la mancanza di indipendenza, la necessità di essere sempre applaudito e apprezzato per ogni minima sciocchezza, l'incapacità di accettare quando le persone cambiano o semplicemente provano cose diverse da quelle che lui vorrebbe. Il rancore per le giornate dolorose passate a casa sua, quando io ero quella sbagliata e passavo giorni a piangere.
E' un brav'uomo, un ottimo professionista, un bravissimo padre, ma io non sono felice, né lo sono mai stata, e conosco perfettamente una ad una le ragioni per cui ho accettato, fatto finta di niente, ingoiato i rospi.
Ne ho parlato anche con la mia psicoterapeuta, che mi invita a non guardare gli altri, ma cercare di capire cosa voglio io, per me.
Io vorrei essere libera, vorrei poter aver la possibilità di costruire una vita diversa nei parametri di ciò che sono ora e non di ciò che ero vent'anni fa. Ma non sono capace nemmeno di pensare di infliggere un dolore del genere a lui, che renderebbe la separazione un lunghissimo lutto faticosissimo da gestire, né a nostro figlio, che impallidisce appena sente parlare di qualcuno che non vive più insieme. E tutta la fatica che ci sarebbe da gestire, e tutto il brutto che gli lascerei affrontare da solo riguardo la sua famiglia, e che oggi fa parte banalmente del bagaglio futuro che so di aver comprato con il pacchetto matrimoniale.
Non potrei mai affrontare la separazione. Sono un'utilitarista: la felicità di uno vale meno della felicità di molti.
Lui non vuole venire da un consulente matrimoniale, perché dice che è già stata impegnativa la sua terapia e non vuole affrontarne un'altra. Onestamente, al momento, nemmeno io vorrei far salvare questa relazione, e in maniera illogica e incoerente sto ferma ad aspettare che qualcosa mi salvi.
E continuo a cercare di fare ordine mentale, ma come si vede senza grandi risultati.
Tutte le mie certezze ("se ti innamori di un altro te la fai passare", "se l'amore finisce e c'è un figlio te la fai passare") mi sembrano così ridicole e inconsapevoli.
Come si fa a prendere una decisione?
[#1]
Buon pomeriggio,
il suo racconto ci parla del dilemma che si vive quando ci troviamo a fare i conti con la complessità delle relazioni. Cosa fare, usare la ragione o dare ascolto al cuore?
Da una parte lei per prima mi sembra suggerire l’importanza di usare entrambi. Però bisogna anche dire che quando si fa una scelta, questo comunque implica sempre una perdita. E questo può comportare vissuti in parte inevitabili, tra cui colpa, angoscia, paure e dubbi per il futuro. Cambiare e scegliere può essere molto faticoso.
Non so se dico male, ma mi sembra di avere capito che la sua psicoterapeuta la inviti ad ascoltare se stessa, forse tracciando così la strada del cuore. E lei allo stesso tempo ci dice che è disturbata da chi le suggerisce di ascoltare e quindi di seguire i sentimenti.
All’inizio del consulto ci ricorda prima di tutto che antepone la razionalità ai sentimenti. Questo potrebbe parlarci del dilemma che sta vivendo, e anche del suo rapporto con la psicoterapeuta, che potrebbe sollecitarlo, magari generando in lei una refrattarietà o possibile contrarietà? Il mio consiglio, se ce ne fosse bisogno, è di parlarlarne approfonditamente con la psicoterapeuta, anche del fatto che ci ha scritto.
Accanto alla necessità di essere razionale, una parte di lei tuttavia mi sembra comunicare un forte desiderio di essere se stessa, più libera. Al punto che afferma emblematicamente che, dopo tanto tempo, il cuore le sta chiedendo il conto.
Mi chiedo se questo conto la stia mettendo oggi in subbuglio, lo sente caro, e magari le fa vivere un senso di paura e di pericolo. È destabilizzante.
Nessuno può dirle cosa fare, se restare con suo marito o meno. Una cosa però ci tengo a dirla in questa sede, cioè che se un giorno dovesse decidere di cambiare la sua vita, perché sente che oggi non vuole sacrificare se stessa, quello che ha costruito resta un suo patrimonio. La testimonianza di questo è suo figlio e anche suo marito, che sarà per sempre il padre di suo figlio.
Penso che questo momento possa essere un’occasione preziosa per lei, per quanto difficile. Forse l’uomo virtuale le consente una distanza di sicurezza rispetto ai suoi desideri, tenendo a bada il conflitto tra cuore e ragione.
Ma forse oggi questo conflitto sta diventando sempre più intenso, perché il cuore preme per emergere, e questo forse era inevitabile?
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
il suo racconto ci parla del dilemma che si vive quando ci troviamo a fare i conti con la complessità delle relazioni. Cosa fare, usare la ragione o dare ascolto al cuore?
Da una parte lei per prima mi sembra suggerire l’importanza di usare entrambi. Però bisogna anche dire che quando si fa una scelta, questo comunque implica sempre una perdita. E questo può comportare vissuti in parte inevitabili, tra cui colpa, angoscia, paure e dubbi per il futuro. Cambiare e scegliere può essere molto faticoso.
Non so se dico male, ma mi sembra di avere capito che la sua psicoterapeuta la inviti ad ascoltare se stessa, forse tracciando così la strada del cuore. E lei allo stesso tempo ci dice che è disturbata da chi le suggerisce di ascoltare e quindi di seguire i sentimenti.
All’inizio del consulto ci ricorda prima di tutto che antepone la razionalità ai sentimenti. Questo potrebbe parlarci del dilemma che sta vivendo, e anche del suo rapporto con la psicoterapeuta, che potrebbe sollecitarlo, magari generando in lei una refrattarietà o possibile contrarietà? Il mio consiglio, se ce ne fosse bisogno, è di parlarlarne approfonditamente con la psicoterapeuta, anche del fatto che ci ha scritto.
Accanto alla necessità di essere razionale, una parte di lei tuttavia mi sembra comunicare un forte desiderio di essere se stessa, più libera. Al punto che afferma emblematicamente che, dopo tanto tempo, il cuore le sta chiedendo il conto.
Mi chiedo se questo conto la stia mettendo oggi in subbuglio, lo sente caro, e magari le fa vivere un senso di paura e di pericolo. È destabilizzante.
Nessuno può dirle cosa fare, se restare con suo marito o meno. Una cosa però ci tengo a dirla in questa sede, cioè che se un giorno dovesse decidere di cambiare la sua vita, perché sente che oggi non vuole sacrificare se stessa, quello che ha costruito resta un suo patrimonio. La testimonianza di questo è suo figlio e anche suo marito, che sarà per sempre il padre di suo figlio.
Penso che questo momento possa essere un’occasione preziosa per lei, per quanto difficile. Forse l’uomo virtuale le consente una distanza di sicurezza rispetto ai suoi desideri, tenendo a bada il conflitto tra cuore e ragione.
Ma forse oggi questo conflitto sta diventando sempre più intenso, perché il cuore preme per emergere, e questo forse era inevitabile?
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#2]
Utente
Gentile dottor de Sanctis,
grazie molte per il suo commento, che mi dà molto materiale su cui riflettere.
Ci tengo però a rispondere a una sua osservazione, perché mi rendo conto di aver dato adito al fraintendimento: mi trovo molto bene con la mia terapeuta, che mi sa accompagnare con gentilezza lungo questo percorso.
Oggi ho scritto qui perché non è una situazione di cui possa parlare facilmente con amici o conoscenti, e fino al prossimo consulto mi sentivo soffocare.
Il suo dirmi "pensa a quello che vuoi tu" era in risposta alla mia continua domanda "Cosa vuole da me l'uomo virtuale? Mi vuole?": e aveva ben ragione a dirmi che quello è un elemento dell'equazione abbastanza ininfluente, perché qualsiasi sia la mia scelta non dipenderà da eventuali suoi sentimenti verso di me.
Come ha ragione lei, dottore, a dire che ciò che ho costruito rimane comunque. Ma, appunto, non sono mai stata brava a prendere decisioni, ho sempre fatto quello che si doveva, perché si doveva, o quantomeno perché un preconcetto idealizzato mi diceva che quelle erano le regole cui avevo accettato di giocare e dovevo rispettarle.
Ora le regole sono chiare davanti a me, ma anche il tempo che corre sempre più velocemente, e la paura di aver vissuto una vita non mia ed è questo che mi sbalestra completamente.
grazie molte per il suo commento, che mi dà molto materiale su cui riflettere.
Ci tengo però a rispondere a una sua osservazione, perché mi rendo conto di aver dato adito al fraintendimento: mi trovo molto bene con la mia terapeuta, che mi sa accompagnare con gentilezza lungo questo percorso.
Oggi ho scritto qui perché non è una situazione di cui possa parlare facilmente con amici o conoscenti, e fino al prossimo consulto mi sentivo soffocare.
Il suo dirmi "pensa a quello che vuoi tu" era in risposta alla mia continua domanda "Cosa vuole da me l'uomo virtuale? Mi vuole?": e aveva ben ragione a dirmi che quello è un elemento dell'equazione abbastanza ininfluente, perché qualsiasi sia la mia scelta non dipenderà da eventuali suoi sentimenti verso di me.
Come ha ragione lei, dottore, a dire che ciò che ho costruito rimane comunque. Ma, appunto, non sono mai stata brava a prendere decisioni, ho sempre fatto quello che si doveva, perché si doveva, o quantomeno perché un preconcetto idealizzato mi diceva che quelle erano le regole cui avevo accettato di giocare e dovevo rispettarle.
Ora le regole sono chiare davanti a me, ma anche il tempo che corre sempre più velocemente, e la paura di aver vissuto una vita non mia ed è questo che mi sbalestra completamente.
[#3]
È importante che si trovi bene con la sua terapeuta, devo dire che si sente. Non mettevo in dubbio questo, anzi. Poiché quella tra paziente e terapeuta è una relazione, intercorrono vissuti ed emozioni che possono essere anche difficili.
Ad esempio se il terapeuta spinge verso una direzione che spaventa il paziente, potrei dire lo “sbalestra” con le sue parole, può capitare che il paziente vi si opponga in una certa misura.
Questo non deve stupire nè è un aspetto che compromette la relazione, anzi è il segno che si sta procedendo.
A parte questa precisazione, descrive con chiarezza il senso del dovere che spesso ci caratterizza, al punto che viviamo una vita che non è nostra. Lei oggi sta avviando un processo trasformativo enorme, affinché possa riconquistare la sua voce ed esprimerla. E di tempo davanti a sè ce n’è ancora.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Ad esempio se il terapeuta spinge verso una direzione che spaventa il paziente, potrei dire lo “sbalestra” con le sue parole, può capitare che il paziente vi si opponga in una certa misura.
Questo non deve stupire nè è un aspetto che compromette la relazione, anzi è il segno che si sta procedendo.
A parte questa precisazione, descrive con chiarezza il senso del dovere che spesso ci caratterizza, al punto che viviamo una vita che non è nostra. Lei oggi sta avviando un processo trasformativo enorme, affinché possa riconquistare la sua voce ed esprimerla. E di tempo davanti a sè ce n’è ancora.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 1.1k visite dal 22/05/2018.
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