Terapia psicodinamica o cognitivo-comportamentale? Dubbi
Buongiorno
Da alcuni mesi ormai sto seguendo un percorso di terapia di tipo psicodinamico con una diagnosi di ansia anticipatoria con somatizzazioni e depressione. Trascinavo i disturbi depressivi già da diversi anni, ma non avevo lavoro e non potevo curarmi con costanza. Nel 2016 si sono aggiunte anche delle somatizzazioni molto invalidanti; ho cominciato una cura farmacologica con uno psichiatra, ma nel 2017, dopo una brutta ricaduta, mi è stato consigliato di fare anche psicoterapia.
Ho conosciuto una psicologa a degli incontri gratuiti presso un centro di sostegno e ho deciso di continuare la terapia con lei privatamente. E' una persona che mi ispira fiducia, con cui mi sono trovata subito bene. Sinceramente non ho badato alla tipologia di approccio terapeutico; stavo male, cercavo sollievo, e non mi sono posta il problema.
Mentirei se dicessi che questi mesi di terapia mi abbiamo portato un reale beneficio, o perlomeno tangibile; sto prendendo atto di alcune parti di me, ne ho tirate fuori delle altre che erano nascoste, sto capendo cose che prima non capivo, ma non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità. So che è un processo certamente lungo, ma a volte ho dei dubbi.
Spesso si legge che la miglior psicoterapia per l'ansia sia quella cognitivo-comportamentale e non nascondo che tutte queste informazioni a volte mi confondono. Amo l'approccio "freudiano" della mia terapeuta, ma ho paura di sbagliare; per chi sta male il tempo è sempre fondamentale e il futuro un'incognita insopportabile.
Che non sia l'approccio adatto a me o ai miei disturbi? Oppure mi sto facendo solo influenzare?
Grazie
Da alcuni mesi ormai sto seguendo un percorso di terapia di tipo psicodinamico con una diagnosi di ansia anticipatoria con somatizzazioni e depressione. Trascinavo i disturbi depressivi già da diversi anni, ma non avevo lavoro e non potevo curarmi con costanza. Nel 2016 si sono aggiunte anche delle somatizzazioni molto invalidanti; ho cominciato una cura farmacologica con uno psichiatra, ma nel 2017, dopo una brutta ricaduta, mi è stato consigliato di fare anche psicoterapia.
Ho conosciuto una psicologa a degli incontri gratuiti presso un centro di sostegno e ho deciso di continuare la terapia con lei privatamente. E' una persona che mi ispira fiducia, con cui mi sono trovata subito bene. Sinceramente non ho badato alla tipologia di approccio terapeutico; stavo male, cercavo sollievo, e non mi sono posta il problema.
Mentirei se dicessi che questi mesi di terapia mi abbiamo portato un reale beneficio, o perlomeno tangibile; sto prendendo atto di alcune parti di me, ne ho tirate fuori delle altre che erano nascoste, sto capendo cose che prima non capivo, ma non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità. So che è un processo certamente lungo, ma a volte ho dei dubbi.
Spesso si legge che la miglior psicoterapia per l'ansia sia quella cognitivo-comportamentale e non nascondo che tutte queste informazioni a volte mi confondono. Amo l'approccio "freudiano" della mia terapeuta, ma ho paura di sbagliare; per chi sta male il tempo è sempre fondamentale e il futuro un'incognita insopportabile.
Che non sia l'approccio adatto a me o ai miei disturbi? Oppure mi sto facendo solo influenzare?
Grazie
[#1]
"Mentirei se dicessi che questi mesi di terapia mi abbiamo portato un reale beneficio, o perlomeno tangibile; sto prendendo atto di alcune parti di me, ne ho tirate fuori delle altre che erano nascoste, sto capendo cose che prima non capivo, ma non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità. "
Questa non è la descrizione di un percorso terapeutico efficace, se è tale anche minimo ma un processo di cambiamento dovrebbe essere almeno avviato.
Al di là dell'orientamento la ricerca scientifica sui fattori di efficacia in psicoterapia da decenni indica che l'aspetto che fa la differenza è la qualità della relazione terapeutica.
Pertanto è fondamentale affrontare apertamente questi aspetti con la psicoterapeuta e fare un bilancio del percorso svolto finora, identificando degli obiettivi terapeutici che vi consentano di confrontarvi periodicamente e comprendere a che punto siete della psicoterapia.
Infine la focalizzazione sul sintomo è tipica delle fasi iniziali di un percorso, il fatto che sia ancora così presente è già un indicatore di un processo di elaborazione che non sembra non adeguatamente sviluppato.
Questa non è la descrizione di un percorso terapeutico efficace, se è tale anche minimo ma un processo di cambiamento dovrebbe essere almeno avviato.
Al di là dell'orientamento la ricerca scientifica sui fattori di efficacia in psicoterapia da decenni indica che l'aspetto che fa la differenza è la qualità della relazione terapeutica.
Pertanto è fondamentale affrontare apertamente questi aspetti con la psicoterapeuta e fare un bilancio del percorso svolto finora, identificando degli obiettivi terapeutici che vi consentano di confrontarvi periodicamente e comprendere a che punto siete della psicoterapia.
Infine la focalizzazione sul sintomo è tipica delle fasi iniziali di un percorso, il fatto che sia ancora così presente è già un indicatore di un processo di elaborazione che non sembra non adeguatamente sviluppato.
Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it
[#2]
Utente
"Infine la focalizzazione sul sintomo è tipica delle fasi iniziali di un percorso, il fatto che sia ancora così presente è già un indicatore di un processo di elaborazione che non sembra non adeguatamente sviluppato."
Intende dire che, dopo alcuni mesi di terapia, le mie parole mostrano ancora ansia?
La Dottoressa mi ha sempre detto di avere pazienza, che l'elaborazione richiede del tempo e che io mostro sempre una certa fretta.
Ma io cosa posso fare se non affidarmi?
Intende dire che, dopo alcuni mesi di terapia, le mie parole mostrano ancora ansia?
La Dottoressa mi ha sempre detto di avere pazienza, che l'elaborazione richiede del tempo e che io mostro sempre una certa fretta.
Ma io cosa posso fare se non affidarmi?
[#3]
Psicologo
Gentile Utente,
oltre ad accodarmi a quanto detto dalla dott.ssa Camplone, le vorrei offrire un ulteriore spunto di riflessione.
Da quel che scrive mi sembra che uno dei suoi obiettivi sia legato al seguente virgolettato:
"non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità".
Se ho ben inteso, lei sente che nella sua vita quotidiana non riscontra dei benefici tangibili, mi sembra come se la sua vita scorra con gli stessi vissuti pre-terapia e questo le mette il dubbio circa l'efficacia del suo percorso terapeutico.
Se ciò che ho appena scritto è corretto, mi chiedo se questi dubbi li ha comunicati alla sua terapeuta, potrebbe esserle utile farlo per chiarire eventuali obiettivi terapeutici non apertamente concordati.
oltre ad accodarmi a quanto detto dalla dott.ssa Camplone, le vorrei offrire un ulteriore spunto di riflessione.
Da quel che scrive mi sembra che uno dei suoi obiettivi sia legato al seguente virgolettato:
"non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità".
Se ho ben inteso, lei sente che nella sua vita quotidiana non riscontra dei benefici tangibili, mi sembra come se la sua vita scorra con gli stessi vissuti pre-terapia e questo le mette il dubbio circa l'efficacia del suo percorso terapeutico.
Se ciò che ho appena scritto è corretto, mi chiedo se questi dubbi li ha comunicati alla sua terapeuta, potrebbe esserle utile farlo per chiarire eventuali obiettivi terapeutici non apertamente concordati.
[#4]
Utente
Sì Dottore, quel che mi scrive è corretto. I miei dubbi sono legati esattamente a questo.
Ne ho parlato con la terapeuta, spiegandole che mi sento molto insicura nel gestire la mia ansia nel quotidiano. Le ho chiesto se aveva dei consigli o delle tecniche da insegnarmi, ma lei mi ha sempre invitato a pazientare dicendomi che le mie ansie hanno un'origine profonda e radicata nel tempo e tre mesi non sono sufficienti per elaborare il tutto: "Lei non deve FARE qualcosa, lei deve SENTIRE le sue emozioni".
Ora certamente mi sono più chiari alcuni dei miei pensieri negativi automatici, abbiamo sciolto qualche nodo del passato, solo che io non so ancora come applicare queste nuove consapevolezze al presente. E da qui i miei dubbi.
Ne ho parlato con la terapeuta, spiegandole che mi sento molto insicura nel gestire la mia ansia nel quotidiano. Le ho chiesto se aveva dei consigli o delle tecniche da insegnarmi, ma lei mi ha sempre invitato a pazientare dicendomi che le mie ansie hanno un'origine profonda e radicata nel tempo e tre mesi non sono sufficienti per elaborare il tutto: "Lei non deve FARE qualcosa, lei deve SENTIRE le sue emozioni".
Ora certamente mi sono più chiari alcuni dei miei pensieri negativi automatici, abbiamo sciolto qualche nodo del passato, solo che io non so ancora come applicare queste nuove consapevolezze al presente. E da qui i miei dubbi.
[#5]
Psicologo
Se quello che lei ritiene assolutamente prioritario è imparare delle strategie comportamentali per gestire la sua ansia allora l'approccio cognitivo-comportamentale è tra i più adatti; tuttavia, come le ha detto la collega che la segue, potrebbe essere maggiormente importante (sia in termini di gestione dei sintomi che soprattutto in termini di cambiamento del proprio funzionamento) che lei affronti un percorso che vada ben oltre le strategie di gestione della propria ansia.
Quando lei scrive che ha delle nuove consapevolezze che però non riesce ad applicare al suo presente, la mia ipotesi riguarda che ciò non avviene perchè lei è ancora "preda" delle sue emozioni.
Le sue consapevolezze razionali probabilmente non sono integrate, ossia non sono ben correlate alla controparte emotiva.
Finchè lei non riuscirà a sentire le proprie emozioni, dare loro un nome ed un significato, ritroverà dentro sè, da un lato, un mare emotivo, dall'altro, una lucida razionalità di ciò che i suoi processi logici le fanno comprendere.
Ne conseguirà che rischia di avere un piano emotivo scollato dal piano razionale, e questo la porta a non sapere come gestire le sue ansie.
Credo che probabilmente è per questo motivo che la collega ha cercato di focalizzarla sulle sue emozioni, perchè solo scoprendo i vissuti correlati alle sue emozioni, accettando queste ed integrandole con i loro significati, riuscirà a cambiare il proprio modo di funzionare.
Quando lei scrive che ha delle nuove consapevolezze che però non riesce ad applicare al suo presente, la mia ipotesi riguarda che ciò non avviene perchè lei è ancora "preda" delle sue emozioni.
Le sue consapevolezze razionali probabilmente non sono integrate, ossia non sono ben correlate alla controparte emotiva.
Finchè lei non riuscirà a sentire le proprie emozioni, dare loro un nome ed un significato, ritroverà dentro sè, da un lato, un mare emotivo, dall'altro, una lucida razionalità di ciò che i suoi processi logici le fanno comprendere.
Ne conseguirà che rischia di avere un piano emotivo scollato dal piano razionale, e questo la porta a non sapere come gestire le sue ansie.
Credo che probabilmente è per questo motivo che la collega ha cercato di focalizzarla sulle sue emozioni, perchè solo scoprendo i vissuti correlati alle sue emozioni, accettando queste ed integrandole con i loro significati, riuscirà a cambiare il proprio modo di funzionare.
[#6]
Utente
Mi ritrovo molto in queste sue parole Dottore. Da quando la mia depressione ha "virato" verso la somatizzazione, tutti i miei sentimenti\emozioni\sensazioni si sono come appiattiti o legati esclusivamente ai disturbi fisici.
Per farle un esempio, così come ho detto anche alla terapeuta, da quando è cominciato tutto questo non riesco più a piangere. Eppure prima mi capitava molto spesso, ero emotiva, mi disperavo letteralmente.
Nell'ultimo anno l'emozione preponderante è sempre solo la paura; di ricadere, di sbagliare, di sentirmi male, ma del tutto inespressa. La sento, ma non riesco a esprimerla, mi sembra che imploda dentro me.
Grazie per il suo consulto, forse ho davvero bisogno solo di un pò di tempo in più per "riconnettermi" a me stessa.
Per farle un esempio, così come ho detto anche alla terapeuta, da quando è cominciato tutto questo non riesco più a piangere. Eppure prima mi capitava molto spesso, ero emotiva, mi disperavo letteralmente.
Nell'ultimo anno l'emozione preponderante è sempre solo la paura; di ricadere, di sbagliare, di sentirmi male, ma del tutto inespressa. La sento, ma non riesco a esprimerla, mi sembra che imploda dentro me.
Grazie per il suo consulto, forse ho davvero bisogno solo di un pò di tempo in più per "riconnettermi" a me stessa.
[#7]
Psicologo
Sono molto lieto di esserlo stato utile.
La voglio salutare con quest'ultima riflessione.
Nel suo passato aveva un rapporto molto differente con le sue emozioni, prima ne era allagata, ma col tempo, e per motivi che qui non è possibile desumere, ha cercato di essere contenitiva rispetto a quel mondo emotivo.
Contenere le proprie emozioni talvolta può portare alla sensazione di non averle proprio, ma le emozioni sono energia e se questa viene tappata in qualche modo, verrà canalizzata in altro modo (somatizzazione).
La somatizzazione, se da un punto di vista quotidiano rappresenta senza dubbio un problema invalidante, dall'altro essa è il modo con cui il suo mondo interiore le parla attraverso il corpo per dirle che ci sono segnali di cambiamento che vorrebbero essere ascoltati e accettati.
Detto ciò, se si concederà l'onore di affrontare questo viaggio interiore, non posso che farle i miei migliori auguri perchè solo le persone più coraggiose riescono a concederselo.
La voglio salutare con quest'ultima riflessione.
Nel suo passato aveva un rapporto molto differente con le sue emozioni, prima ne era allagata, ma col tempo, e per motivi che qui non è possibile desumere, ha cercato di essere contenitiva rispetto a quel mondo emotivo.
Contenere le proprie emozioni talvolta può portare alla sensazione di non averle proprio, ma le emozioni sono energia e se questa viene tappata in qualche modo, verrà canalizzata in altro modo (somatizzazione).
La somatizzazione, se da un punto di vista quotidiano rappresenta senza dubbio un problema invalidante, dall'altro essa è il modo con cui il suo mondo interiore le parla attraverso il corpo per dirle che ci sono segnali di cambiamento che vorrebbero essere ascoltati e accettati.
Detto ciò, se si concederà l'onore di affrontare questo viaggio interiore, non posso che farle i miei migliori auguri perchè solo le persone più coraggiose riescono a concederselo.
[#8]
Gentile Utente,
vorrei accostare anche il mio parere a quello dei Colleghi, nella speranza di offrire nuovi spunti.
Lei scrive: "Mentirei se dicessi che questi mesi di terapia mi abbiamo portato un reale beneficio, o perlomeno tangibile; sto prendendo atto di alcune parti di me, ne ho tirate fuori delle altre che erano nascoste, sto capendo cose che prima non capivo, ma non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità. So che è un processo certamente lungo, ma a volte ho dei dubbi."
e anche: "...le mie ansie hanno un'origine profonda e radicata nel tempo e tre mesi non sono sufficienti per elaborare il tutto: "Lei non deve FARE qualcosa, lei deve SENTIRE le sue emozioni".
Parto da quest'ultima affermazione. Mentre Lei FA qualcosa, SENTE anche delle emozioni! Ad esempio, io posso in questo momento scrivere e dialogare con Lei (faccio qualcosa) ed essere nello stesso tempo serena (sento qualcosa).
Oppure potrei fare qualcosa (scrivere al pc) ed essere turbata e in apprensione (emozione).
In terapia cognitivo-comportamentale si insegna al paziente a sentire le proprie emozioni (perchè spesso il pz. ansioso è alessitimico ed incapace di leggere correttamente le proprie emozioni), ma mentre sente le emozioni, egli PENSA qualcosa e in un determinato modo. Ciò potrebbe, insieme ad un determinato tipo di emozioni, spingerlo a COMPORTARSI in un certo modo piuttosto che in un altro.
Chiaramente emozioni, pensieri e comportamenti si influenzano reciprocamente.
Non è detto che non si possa agire prima sui comportamenti. Tutt'altro! Spessissimo si prescrivono in terapia, già dalla prima seduta, dei comportamenti precisi che hanno una ricaduta su pensieri ed emozioni.
Le faccio un esempio, per spiegarmi meglio. Se io evito di fare qualcosa perchè mi viene l'ansia e sento che evitando sto meglio, l'ansia scende e i miei pensieri non sono relativi al non farcela, o all'essere inadeguata, la prescrizione sarà proprio di NON evitare, in modo da spezzare col tempo questa dinamica.
Che cosa cambia? Io affronterò il problema, seguendo le istruzioni del terapeuta, le mie emozioni saranno diverse, ma anche i miei pensieri (riguardo me stessa, la situazione contingente e gli altri).
Questo facilita e velocizza il cambiamento.
Come vede, mentre Lei FA, riesce anche nello stesso tempo a CAPIRE il problema e come Lei stessa funziona.
Cordiali saluti,
vorrei accostare anche il mio parere a quello dei Colleghi, nella speranza di offrire nuovi spunti.
Lei scrive: "Mentirei se dicessi che questi mesi di terapia mi abbiamo portato un reale beneficio, o perlomeno tangibile; sto prendendo atto di alcune parti di me, ne ho tirate fuori delle altre che erano nascoste, sto capendo cose che prima non capivo, ma non ho in mano strategie o strumenti per affrontare la quotidianità. So che è un processo certamente lungo, ma a volte ho dei dubbi."
e anche: "...le mie ansie hanno un'origine profonda e radicata nel tempo e tre mesi non sono sufficienti per elaborare il tutto: "Lei non deve FARE qualcosa, lei deve SENTIRE le sue emozioni".
Parto da quest'ultima affermazione. Mentre Lei FA qualcosa, SENTE anche delle emozioni! Ad esempio, io posso in questo momento scrivere e dialogare con Lei (faccio qualcosa) ed essere nello stesso tempo serena (sento qualcosa).
Oppure potrei fare qualcosa (scrivere al pc) ed essere turbata e in apprensione (emozione).
In terapia cognitivo-comportamentale si insegna al paziente a sentire le proprie emozioni (perchè spesso il pz. ansioso è alessitimico ed incapace di leggere correttamente le proprie emozioni), ma mentre sente le emozioni, egli PENSA qualcosa e in un determinato modo. Ciò potrebbe, insieme ad un determinato tipo di emozioni, spingerlo a COMPORTARSI in un certo modo piuttosto che in un altro.
Chiaramente emozioni, pensieri e comportamenti si influenzano reciprocamente.
Non è detto che non si possa agire prima sui comportamenti. Tutt'altro! Spessissimo si prescrivono in terapia, già dalla prima seduta, dei comportamenti precisi che hanno una ricaduta su pensieri ed emozioni.
Le faccio un esempio, per spiegarmi meglio. Se io evito di fare qualcosa perchè mi viene l'ansia e sento che evitando sto meglio, l'ansia scende e i miei pensieri non sono relativi al non farcela, o all'essere inadeguata, la prescrizione sarà proprio di NON evitare, in modo da spezzare col tempo questa dinamica.
Che cosa cambia? Io affronterò il problema, seguendo le istruzioni del terapeuta, le mie emozioni saranno diverse, ma anche i miei pensieri (riguardo me stessa, la situazione contingente e gli altri).
Questo facilita e velocizza il cambiamento.
Come vede, mentre Lei FA, riesce anche nello stesso tempo a CAPIRE il problema e come Lei stessa funziona.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
Questo consulto ha ricevuto 8 risposte e 5.6k visite dal 04/05/2018.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.