Momento pericolosamente complicato

Buongiorno a tutti gli specialisti che avranno modo di leggere questa richiesta di consulto.
Sono un ragazzo ventottenne affetto da disturbo di personalità misto, con tratti ansioso-depressivi, passivo-agressivi e e di evitamento. Possiedo un' invalidità del 75% e tutti i miei problemi hanno fatto sì che io non riuscissi a realizzarmi in nulla nella mia vita. Non ho un lavoro, non esperienze significative in tal senso e non ho mai avuto relazioni di alcun tipo con l'altro sesso. Sono in cura dallo stesso psicoterapeuta dal 2013 e al CPS del mio territorio, la psicoterapia è stata utile fino ad oggi perché ha migliorato molto la mia consapevolezza e capacità a non lasciarmi andare ma ad oggi noto che non basta più. Non riesco ad attivarmi sul campo di lavoro in toto, le poche esperienze che ho fatto sono state traumatiche e ho sviluppato una specie di disgusto per tutto ciò che concerne la società che ruota attorno ad esso.Con le donne ho sviluppato un buon grado di misoginia dovuto a ciò che i social e la vita di tutti giorni mette in evidenza circa il grado di egocentrismo stratosferico della maggior parte mie coetanee. Odio tutto ciò che è puramente calcolo, economia, gerarchia, ricerca di consensi e materialismo. Diciamo che l'oggettiva superficialità e ingiustizia che attanaglia il mondo talvolta mi fa sentire dalla parte "di quello sano" pur essendo clinicamente riconosciuto malato. Ho una crisi esistenziale profonda, ma il mio psicologo negli ultimi anni ha concentrato il suo intero operato su aspetti più pratici,tipici della desensibilizzazione sistematica. Più che altro noto una certa urgenza nell'immettermi nel mondo della produttività e ho cominciato a nutrire dubbi sulla sua onestà intellettuale. Di fatto io ora sto cercando lavoro e mi sto impegnando in tal senso con le fasce protette, perché l'idea di immettermi nel mondo del lavoro senza tutele mi blocca da subito facendomi star male. Oltretutto, memore delle mie poche esperienze, ho la certezza che non riuscirei FISICAMENTE ad affrontare la cosa perché ogni volta,anche per molto meno, vengo pervaso da somatizzazioni molto intense e, per l'appunto, invalidanti. Vivo con i miei, che hanno dovuto adattare la loro educazione al mio stato emotivo, che persiste dalla tenera età di cui io ricordo perfettamente episodi risalenti anche a 24/25 anni fa. A detta di molti conoscenti i miei sono troppo protettivi anche oggi come all'epoca, ma è vero fino a un certo punto per i motivi di cui sopra, perché se a 3/4 anni sei già evidentemente molto più instabile degli altri bambini, l'educazione secondo me diventa indiziata secondaria.
Affrontare le cose le sto affrontando e io più di così sento di non riuscire a fare, ma il tempo e questa società di merda mi mettono le vespe nel sedere e quindi chiedo a voi in termini terapeutici ma anche pratici cosa potrei fare per sentirmi meglio,visto che sto malissimo.Grazie per la gentile attenzione.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Caro utente, premetto che queste domande, anzi proprio questa lettera, chiara e circostanziata, andrebbero mostrate da lei al suo terapeuta. In cinque anni di terapia ci sono stati certamente degli aggiustamenti in corso d'opera, e come previsto ci sono certamente dei traguardi già raggiunti e altri che sono stati progettati e su cui state lavorando. Se lei al momento è scontento, com'è molto comune, molto umano e senza dubbio prodotto anche dal tempo che scorre, il primo a cui dirlo è proprio il suo psichiatra/psicoterapeuta, col quale deciderete insieme i nuovi traguardi raggiungibili e le opportune strategie. Mi colpiscono in particolare due cose: il fatto che lei continui a sentirsi insufficiente per qualunque compito lavorativo e il fatto che continui a sentirsi troppo ostile al mondo femminile e al mondo in generale. Le convinzioni negative di certo non la aiutano, specie quando appaiono eccessivamente generalizzate e perciò poco realistiche. Quanto all'educazione ricevuta dai suoi genitori, che sia stata giusta o sbagliata, ma comunque ispirata in buona fede alla sua tutela, lei è un uomo ancora giovane e in grado di autoeducarsi, con l'aiuto essenziale del suo terapeuta. Ci rifletta. Le faccio i più fervidi auguri per un superamento del suo stato di sofferenza. Ci tenga al corrente.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Grazie per la celere, puntuale e soprattutto ispiratrice risposta. Mi rendo conto di essere molto ostile rispetto a certi aspetti della vita e talvolta di esagerare. Per quanto riguarda il lavoro non mi sento inadatto a qualsivoglia contesto lavorativo bensì a quegli ambienti ostili (largamente diffusi) che ad oggi non riuscirei a reggere perché fatico a controllare la mia emotività anche in contesti extra-lavorativi ben più sani e tranquilli. Quando ho gli occhi addosso per qualsiasi cosa mi si spegne il cervello, e si accende un qualcosa di corrotto e infettato che fa la stessa cosa che un virus fa col PC: fa andare in tilt il sistema. È per tilt intendo dire che tremo incontrollabilmente, mi va il cuore all'impazzata e talvolta vengo colpito da attacchi di panico. Purtroppo la mia realizzazione personale e minata da queste problematiche in tutti gli ambiti, e allora pervaso da un senso di sconfitta totale mi lascio andare a pensieri catastrofici dettati perlopiù dalla frustrazione. Comunque tornando al succo del consulto, quoto con lei sul rivedere e rivalutare il piano terapeutico ed eventuale terapeuta, ma non so come pormi. Non ho nessun imbarazzo nei confronti del terapeuta tranne quello di mettere in dubbio il suo operato
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 193
Gentile utente, le sue parole mi confermano che lei ha al suo attivo intelligenza e preparazione, come si evince dal livello linguistico. Gli aspetti indesiderabili vanno trattati in terapia, a partire dall'accettazione che la porterà alla loro gestione consapevole. Lei conclude con una considerazione comune a molti pazienti i quali hanno creato un buon rapporto col proprio terapeuta ma attraversano un momento di stallo: "Non ho nessun imbarazzo nei confronti del terapeuta tranne quello di mettere in dubbio il suo operato". Non si tratta di mettere in dubbio l'operato del terapeuta, che del resto è sempre frutto di un percorso comune col paziente, a volte più concorde e più produttivo, a volte meno. Si tratta al contrario di riconoscergli la capacità di aggiustare il percorso maneggiando plurimi strumenti professionali, e per parte sua, caro utente, di riconoscere a sé stesso la possibilità di fare un ulteriore sforzo verso un miglioramento sostanziale della sua vita. Rinnovo gli auguri più sentiti.