Psicoterapia e maternità

Buongiorno, ho bisogno di un consigli sulla psicoterapia che sto seguendo da poco più di 2 anni con incontri una volta al mese. La faccio per capire se voglio diventare madre o meno, ma non ho trovato risposta al mia dilemma, se non questa, della dottoressa: avrò sempre un atteggiamento ambivalente rispetto alla maternità, dovuto al fatto che affronto la questione da donna matura, che non idealizza o estremizza in negativo, ma che ci ragiona su. Tutto questo è comune, ma al di là di questo potrei decidere comunque di diventare madre e portare avanti un impegno che ha, in effetti, aspetti positivi e negativi, per cui il mio atteggiamento è sensato. Queste le conclusioni della dottoressa, che dice di essere arrivata allo stesso punto per se stessa (è diventata madre durante questi 2 anni). Mi ha detto che dovevo solo decidermi, se avere o no un figlio. All'ultimo incontro ha aggiunto che, dal momento che ci penso tanto e continuo a interrogarmi, secondo lei lo voglio.
Io non ne sono così convinta. E ho sempre più dubbi sulla riuscita di questi incontri. E' la seconda esperienza di psicoterapia, ma se la prima è stata positivissima, questa mi pare inutile. Ho dovuto cambiare dottoressa perché la mia si è trasferita. Con la prima ero andata per altri motivi e l'avrei conclusa io, avendo avuto ottimi risultati, se nel frattempo non si fosse messa di mezzo la questione maternità.
Riassumo la questione (affrontata in altri consulti): ho sempre pensato di non volere figli, ma quando ho avuto un problema di salute che ha messo davvero a rischio la possibilità di averne, ho avuto dei dubbi... Nel frattempo ho cominciato una relazione (più che soddisfacente). Risolto quel problema un anno fa, ho fatto esami e consulto per eventuale fecondazione assistita, ma visti gli esiti degli esami mi è stata sconsigliata. Ci sono rimasta molto male, ma abbiamo deciso di non insistere per quella via. Abbiamo provato per vie naturali, ma dopo un anno nulla di fatto. D'altra parte ho rare ovulazioni e mestruazioni scarsissime, che indicano che non produco ovetti adeguati. Il ginecologo consiglia l'ovodonazione, il mio compagno non la vuole e anche io sono molto perplessa. La maternità di cui si parla ora, quindi, è intesa come adozione. Ed è di questa che io non sono convinta, mi sa.
Avere un bambino con il mio compagno era un pensiero che mi generava non poco ansia e timori, ma di cui riuscivo a sentire una bellezza che mi aveva convinto: mi piaceva l'idea di qualcosa che nasceva da noi, intendo proprio in senso fisico. E, crescendolo noi, al mio attuale livello di maturità e consapevolezza, non mi pareva un'impresa titanica. Impegnativa sì, ma potenzialmente felice.
Un'adozione di un bambino, che porta sicuramente con sé problemi, mi spaventa. Non ho voglia di passare il mio tempo a risolvere problemi altrui e vista la mia storia mi pare chiaro perché. Mi spiace per il mio compagno, che più di me voleva un figlio, però non ce la faccio.
Questa psicoterapia ha senso?
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile utente,

"..capire se voglio diventare madre o meno, ma non ho trovato risposta al mia dilemma, se non questa, della dottoressa: avrò sempre un atteggiamento ambivalente rispetto alla maternità.."

Concordo.
La maternità dà e toglie.
Dopo aver fatto una psicoterapia, e dunque aver sviscerato i "sospesi", bisogna solo decidere dove si mette la sottolineatura personale.
Ma nessuno lo può fare al posto Suo,
si tratta della "Sua" vita.

Saluti cordiali.
Carlamaria Brunialti

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
Utente
Utente
Grazie della sua conferma.
Mi chiedo allora se, arrivata a questo punto, non dovrei interrompere il percorso. Incontro dopo incontro, ho sempre di più avuto la sensazione che la psicologa mi spingesse verso la maternità e l'ultima volta in particolare. Insomma, ha detto che voglio un figlio. A me non pare così. Lo volevo a determinate condizioni, non ad ogni costo. E' così "strano"? Sembra pensare che siccome lo volevo naturalmente, ora debba volerlo anche se è la prima a dire che l'adozione è una genitorialità più complicata. Mi sembra di dover subire una punizione per la mia mancata fertilità attuale e il non averci pensato prima! E' come se pensasse che "devo" e siccome abbiamo chiarito che i figli non si fanno perché si deve, mi dicesse che devo perché lo voglio io.
Come se io non mi capissi da sola, ma mi avesse capito lei. Come se volessi una cosa, ma ne avessi paura e tentennassi per quello.
E se invece fossi semplicemente consapevole del fatto che probabilmente mi pentirei, che non vale la pena, che io non voglio farmi carico dei problemi degli altri, che ne ho già avuti abbastanza dei miei, sto finalmente bene, con una bella relazione, realizzata... perché diavolo dovrei complicarmi la vita? Avevo quel desiderio, a certe condizioni, ora non dovrebbe aiutarmi a superare la delusione e basta?
Mi rendo conto che di mezzo c'è il mio rifiuto di un ruolo femminile obbligato, il fatto che mia madre viva la maternità come qualcosa di obbligatorio e irrinunciabile... insomma, mi rendo conto di essere molto sensibile al fatto che qualcuno mi spinga in una certa direzione e che potrei anche a tratti rischiare di sovrapporre mia madre/figura materna/psicologa, ma... sto cercando di essere obiettiva (e per quello ne scrivo qui, per avere un parere esterno) e non mi ritrovo nella conclusione per cui, "se ci penso, vuole dire che lo voglio". Questo è davvero quello che ha detto, non una mia fantasia. Forse ci penso perché una volta al mese mi ci fa pensare! Forse se smetto di andarci potrei guarire la mia ferita da sola, invece di farmi rigirare il coltello nella piaga o sentirmi propinare soluzioni che non sento... Mah. E se tornassi dalla prima psicologa? E' rientrata qualche mese fa dal suo trasferimento che è stato solo temporaneo.
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Guarire da sola,
mentro l'orologio biologico ticchetta...
col fiato sul collo,
difficile.

Le consiglio di leggere anche qui:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3332-mamma-e-amante.html

Tutto il resto lo avrà già esaminato con la Sua Terapeuta.

Saluti cordiali.
Carlamaria Brunialti
[#4]
Utente
Utente
Dottoressa Brunialti, non ho capito il senso della sua risposta. Forse non mi sono espressa chiaramente io. L'orologio biologico non ha più alcuna importanza, se si riferisce alla mia capacità di procreare. Gli interventi che ho subito e il mio attuale livello ormonale non mi permettono di prendere in considerazione nemmeno una fecondazione assistita. L'ovodonazione non la voglio fare. Resta solo l'adozione, che - vista l'età - sarebbe per un bambino grande. L'adozione comporta un impegno più importante, che io non mi sento di prendere. Dunque l'unica cosa che devo guarire è la mia ferita per il fatto che non sarò genitore. Prima di morire, magari, sì. Il tempo passa (intendeva questo con "orologio biologico"?) e intanto bene non sto, vero. Ma neanche 2 anni di terapia mi hanno fatto stare meglio.
E la psicologa lo sa. E ho fatto esperienze migliori con l'altra.
Dunque, l'unica cosa che mi serve capire è se con un'altra psicologa potrei avere migliore fortuna o se mi devo curare da sola. Cioè: è normale che questa si comporti così? Non pare voler prendere in considerazione la mia rinuncia, le pare normale?
L'orologio biologico e il fiato sul collo che tanti si sono messi in bocca per aiutarmi in questi anni non mi hanno mai portato da nessuna parte e francamente mi stupisco che lei li tiri in ballo, ma forse non ci stiamo capendo.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Gentile utente, ho letto tutte le lettere che ci ha mandato negli anni e tutte le risposte dei miei colleghi, come sempre quando decido di proporre il mio parere. Una cosa non mi è chiara: il suo rapporto con le due terapeute. Sembra che all'inizio lei fosse molto contenta dei progressi fatti, poi parla di sospensione dovuta alla maternità della psicologa. E' la seconda, quella che è diventata madre? Quella attuale? Un elemento mi colpisce nell'ultima lettera, e altri due che le attraversano tutte mi sembrano di rilievo. Ultima lettera: il rapporto con la sua psicologa sembra meno aperto, e quindi meno produttivo, di quanto non fosse in passato, fino al punto che lei può avere l'impressione di subire una sorta di costrizione occulta: "E' come se pensasse che "devo" e siccome abbiamo chiarito che i figli non si fanno perché si deve, mi dicesse che devo perché lo voglio io". Un'idea di questo genere secondo me va discussa con la psicologa, che lei decida o meno di continuare la terapia, e forse al termine di questo scritto ne converrà con me. Veniamo agli altri due punti, quelli che percorrono tutta la sua corrispondenza. Il primo è che nella sua vita sembrano esserci troppi abbandoni. Lei dirà: "Proprio per questo scrivo qui, e per questo sono in terapia". Ma il processo di crescita, la riappropriazione di sé stessa, è anche un superamento delle procedure in aut/aut: lei ad un certo punto, mentre ritrova sé stessa, si "libera" della migliore amica, della collega... e per ora non dico nulla della madre. Nello stesso modo ha tagliato molte volte le relazioni sentimentali, e l'effetto che ne consegue -raggelante- è un dialogo sempre ricominciato e sempre interrotto, fino al punto che lei sembra non capire nemmeno cosa questo significhi, quando una mia collega le parla di "intimità tra i partner", come se in ultima analisi non l'avesse mai davvero conosciuta. E veniamo al punto finale, il principale leitmotiv nella sua corrispondenza: sua madre. Colta nei suoi difetti, nelle sue idee inadeguate e mutilanti, diciamo nelle sue "colpe", questa madre è onnipresente, e rischia di esserlo sempre, per la semplice ragione che lei, cara utente, sembra preda di una costante imitazione negativa nei suoi confronti. Vive, cioè, non come sceglie e come le è permesso dalle vicissitudini della vita, ma in contraddittorio con quello che pensa, fa e dice sua madre. Tant'è vero che perfino la sua ipotetica maternità, che in realtà non è più possibile, lei la esprime così: "Mi rendo conto che di mezzo c'è il mio rifiuto di un ruolo femminile obbligato, il fatto che mia madre viva la maternità come qualcosa di obbligatorio e irrinunciabile...". Sembrerebbe, in altre sue lettere, che perfino il suo essere donna, condizione che si può vivere in mille modi, venga in parte da lei rifiutato perché deve combattere un unico modello femminile: quello incarnato o forse solo prescritto dalla mamma. Ed ecco allora che alla sua sensibilità non sfugge il pericolo di poter rifiutare la terapeuta diventata madre, perché la identifica con la sua. Ecco per quale ragione le dico che è meglio definire con la psicologa proprio i punti su cui le sembra di essere, ancora una volta, in un'opposizione che di nuovo la obbliga ad un taglio, una rottura, una fuga... un'uccisione simbolica. Proprio partendo da qui lei potrebbe catturare quel filo per dipanare la matassa, che in mille modi fin qui si è sforzata di ignorare. Ci rifletta.

Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com

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Utente
Utente
Dottoressa Potenza, la ringrazio. Si è presa la briga di andare indietro negli anni (l'ultimo consulto prima di questo era di quasi 3 anni fa) e leggersi un po' la mia storia e devo dire che penso che lei abbia colto moltissimo.
Riguardo al rapporto con le 2 terapeute, provo a chiarire: nei consulti precedenti avevo sempre e solo parlato della prima, che ho incontrato tra il 2013 e il 2015. Con lei ho sospeso circa 6 mesi per la sua maternità, poi ho ripreso. Quando la sua maternità è cominciata, non ne ho cercata un'altra, perché sentivo di avere fatto molti progressi e mi sono voluta misurare da sola. Tanto che non avrei nemmeno ripreso, se nel frattempo non fosse intervenuto il problema di salute che mi ha posto il quesito di una mia eventuale maternità. Con questa prima terapeuta mi sono trovata benissimo. Purtroppo dopo pochi mesi dalla ripresa si è trasferita. Io non avevo ancora risolto la questione maternità, per cui mi sono affidata ad un altra terapeuta da lì in avanti, da inizio 2016, per intenderci. Anche questa seconda terapeuta ha avuto una maternità. Abbiamo quindi sospeso circa 3 mesi e da poco ho ricominciato. Due terapeute, due maternità.
Il rapporto con questa seconda terapeuta non è mai stato positivo come con la prima, proprio mai. La sento meno empatica. Per tanti aspetti mi assomiglia di più. Ma non ho mai avuto l'impressione di progredire granché, anzi. La prima come persona era "materna" (la madre che non ho mai avuto, però, e non so se l'ho mai scritto, ma io a fine terapia ho pensato che mi avesse rimesso al mondo: mi ha dato importanza, rispetto e libertà), la seconda è più amica, ma ora la sento come certe amiche/matrigne, quelle che danno i consigli non richiesti. All'inizio no, solo amica. Ora ha passato "la misura".
Io nel mio processo di crescita mi sono liberata di molte persone, vero. Sono stata anche tentata di prendere una distanza definitiva dai miei genitori, ma non l'ho fatto. Ho deciso di provare a "tenerli al loro posto", farmi rispettare, provare ad essere impermeabile a certi ricatti, certi modi, certe cose. Il rapporto con mia madre è migliorato tantissimo. Ho anche capito molte cose di lei e di noi e ora capisco cosa sta dietro certe cose che dice o fa. Questo per quanto riguarda la madre reale, non so se mi spiego.
Sulle relazioni sentimentali tagliate: probabilmente erano relazioni di altra natura, più di potere, bisogno, dipendenza e non so che altro. Ma oggi non le chiamerei sentimentali.
Sono orgogliosa di me quando penso a quello che ho tagliato. Quello che ho tagliato non poteva cambiare e non ci potevo convivere, proprio no. Ci sono persone con le quali l'unico modo per farsi rispettare è non frequentarle. Con le persone che ho tenuto, ho preso le misure, ho messo i confini, ho chiarito le cose. Con nuove amicizie e colleghi/colleghe a volte ho avuto di nuovo problemi simili a quelli del passato, ma li ho gestiti e non ho dovuto tagliare. La mia attuale relazione sentimentale è diventata una convivenza, funziona bene, mi fa felice da due anni e mezzo! Sinceramente oggi sono abbastanza contenta di me e di come mi relaziono. Non che sia facile, perché io su certe cose rischio sempre di cadere. Ma lo so e provo a gestire.
E veniamo alla madre onnipresente (che non è quella reale, ma quella che io mi porto dentro, certo, e che, se mi sono ben capita, rischio di vedere in altre persone)... Ho vissuto praticamente tutta la vita in negazione della mia idea di madre e donna, verissimo. Anche buttando via il bambino con l'acqua sporca. Cioè: la famiglia è una gabbia, io non voglio la famiglia. Il matrimonio è infelice, io non voglio il matrimonio. Mia madre mi vuole mamma, io non farò la mamma. Oh, poi questo è un nodo duro, perché lei mi voleva mamma, ma si è sempre lamentata del sacrificio che è stato esserlo... e di me naturalmente, pessima figlia. Lei voleva fossi mamma, per fare la nonna. E via dicendo, chi più ne ha più ne metta! Dimenticavo: ho pure paura di diventare una madre come lei e di fare l'infelicità di un figlio. Eppure avevo deciso di provare a diventare mamma, ci ho provato per un anno, ci sto ancora provando nonostante non creda ai miracoli. Questa la matassa che credo lei abbia intuito.
La psicologa che si permette di dire che voglio un figlio e quindi dovrei muovermi per l'adozione mi è arrivata come un eco materno. E' come se mi dicesse da un lato di diventare mamma e dall'altro che sarà una faticaccia enorme, tanto più che un figlio ora non può che essere adottivo, quindi con problemi (lo dice lei).
Però, guardiamo ai fatti, mi dico: un figlio adottivo porta davvero molti problemi con sé, più di un altro. Sono bambini abbandonati, sono bambini impegnativi. A me dispiace, se non ci fossero persone disposte ad occuparsi di persone con problemi (come me) chissà come sarei ridotta! Però io la forza e la voglia per occuparmi (un po' subendoli, un po' cercando di risolverli) di problemi altrui così grandi non ce l'ho. E' questo il punto. Sarà che ho la sensazione di averlo fatto per 40 anni, sarà che conosco i miei limiti, sarà che lo vivevo come impegnativo comunque... ma insomma non credo di non volere un figlio adottivo solo per negare mia madre o la psicologa che mi sembra parlare come mia madre.
Per me è questo il punto. Io vorrei che mi aiutasse a farmi passare la tristezza infinita che a volte mi prende per questa maternità mancata. E non mi pare che consigliarmi una maternità difficile, che io non voglio (non la voglio così difficile), possa essere la soluzione.
Comunque, accolgo il suo suggerimento e al prossimo incontro, dirò di nuovo alla terapeuta che ho deciso di rassegnarmi e che vorrei mi aiutasse a rassegnarmi. Non la taglio via, le dirò come l'ho sentita e vedremo. Ottimista non sono, però, affatto. E ho la netta sensazione di perdere tempo. E continuo a rimpiangere l'altra terapeuta.
Grazie di avere posto tutte quelle questioni, mi ha aiutato a riflettere. Grazie davvero.
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Dr.ssa Anna Potenza Psicologo 4.4k 194
Cara utente, intanto la ringrazio delle sue gentili parole e dei suoi chiarimenti, indispensabili per portare a compimento una parte del mio pensiero che non ha trovato spazio nella risposta precedente. E' il problema dell'elaborazione del lutto, che lei esprime molto bene delineando i suoi rapporti con l'attuale psicologa: "Per me è questo il punto. Io vorrei che mi aiutasse a farmi passare la tristezza infinita che a volte mi prende per questa maternità mancata. E non mi pare che consigliarmi una maternità difficile, che io non voglio (non la voglio così difficile), possa essere la soluzione". Esattamente: questa seconda volta lei è andata in terapia per essere aiutata ad elaborare il lutto di una perdita, la fine precoce della sua vita fertile. Per una ragione o per l'altra, questa richiesta non è stata accolta. Se la mia collega lo abbia fatto a ragion veduta io non posso saperlo, ma suppongo che abbia condotto al meglio la sua terapia. Rimane il fatto che scoprire di non essere più padrona di una parte essenziale della propria vita è un grave lutto, che lei volesse o non volesse avere figli, che fosse o non fosse davvero nella possibilità, anche prima, di concepire, e perfino se ha avuto in passato delle interruzioni di gravidanza. Le dirò che molte donne soffrono per una isterectomia anche quando hanno figli e non ne desiderano altri. Questo lutto non va negato o respinto, offrendo acquisti di ovuli altrui: anche i trentenni che ricorrono a questa pratica, prima devono superare il dolore di non poter trasmettere il proprio DNA; e ancora meno proponendo un figlio adottivo, scelta difficilissima e secondo me da non intendersi come surrogato del figlio non avuto, né come "opera buona". A dirle la verità, non vedo bene neanche la scelta troppo precoce di sostituire un figlio morto con un'immediata e non prevista gravidanza. In genere si carica il secondo figlio di richieste inverosimili, di rimpianti, e in ultima analisi gli si rimprovera per tutta la vita di non essere l'altro e di non aver nemmeno fulmineamente asciugato delle lacrime che non dovevano essere asciugate, ma piante. Venendo alla sua domanda esplicita sull'opportunità di restare con questa terapeuta, di ritirarsi da sola nel suo dolore o di tornare alla psicologa precedente, a me sembra che lei stessa formuli una risposta, quando della prima scrive: "io a fine terapia ho pensato che mi avesse rimesso al mondo: mi ha dato importanza, rispetto e libertà". Sono parole che ogni terapeuta dovrebbe avere impresse nella mente, e anche ogni genitore: dare alla persona di cui ci si prende cura l'equilibrata dose di importanza, rispetto e libertà. Con la seconda, la sua impressione è stata di poco o nessun progresso, anzi di frustrazione, forse reciproca: a nessun professionista piace il vedere i propri sforzi coronati da scarso successo. Lei addirittura scrive: "La sento meno empatica. Per tanti aspetti mi assomiglia di più". Da questa frase dovrebbe partire una valutazione, da farsi con l'attuale psicologa, sull'opportunità di considerare il ritorno alla precedente. Noti che oltre ad essere un passaggio indispensabile per lei stessa, un discorso aperto sarà utile anche all'attuale terapeuta, non per capire eventuali "errori", che magari non esistono, ma per delineare chiaramente i confini delle vostre possibilità di successo; ed eventualmente per rendere agevole alla precedente psicologa un vostro nuovo percorso, senza fare un torto alla collega. Non tutti siamo adatti a tutti, come lei ha ben visto nelle relazioni sentimentali, e la persona che per noi non va bene a volte è il meglio del meglio per molti altri. Le faccio i più vivi auguri. Ci tenga al corrente.