Dubbio psico-sociologico
Buongiorno
Voglio chiedere a voi psicologi un dilemma che mi si è venuto a creare.
Premetto che è una domanda a carattere generale e per farmi capire devo spingermi un po’ nei
contenuti.
Leggendo nei vari forum tematici specie di tipo politico, sociale e psicologico, mi sto sempre più rendendo
conto che c’è una fascia di popolazione “problematica”. Cosa intendo con problematica ? Quel tipo di
persone che hanno difficoltà sociali, nel senso esser eternamente soli a livello di amicizie e affetti, aver
estrema difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro o lavorare, non avere nessun talento, non avere
piacere a fare nulla.
A questo ci vanno quasi automaticamente aggiunti (anzi senza quasi) sintomi nevrotici: ansie
più o meno gravi, doc, depressioni, fobie ecc. fino a sconfinare a volte in certi individui in situazioni
invalidanti con annessi ricoveri, trattamenti farmacologici infiniti.
Ora ci troviamo in una società ultracompetitiva dove non dico per affermarsi ma per vivere nella normalità
bisogna essere quasi dei superuomini e se non si è così….. problemi, ora figuriamoci avere un
temperamento di cui sopra.
Secondo me questo spiega anche buona parte del fenomeno dei neet che in fin dei conti sono anche
inoccupabili per il mondo del lavoro per vari motivi (tipo buchi enormi sul curriculum) e cause gia suddette.
Detto questo non è che queste persone abbiano bisogno di veder riconosciuti i loro disagi?
Purtroppo oggi si tende a vedere tutto bianco o nero, e quindi o sei normale al 100% e devi essere
performante come richiesto dalla società e se non c’è la fai è solo colpa tua perché non ti muovi non ti
impegni, o sei disabile e quindi hai i tuoi diritti riconosciuti.
C’è secondo voi una terra di mezzo tra sani e quelli con problematiche nevrotiche serie riconosciute?
Grazie
Voglio chiedere a voi psicologi un dilemma che mi si è venuto a creare.
Premetto che è una domanda a carattere generale e per farmi capire devo spingermi un po’ nei
contenuti.
Leggendo nei vari forum tematici specie di tipo politico, sociale e psicologico, mi sto sempre più rendendo
conto che c’è una fascia di popolazione “problematica”. Cosa intendo con problematica ? Quel tipo di
persone che hanno difficoltà sociali, nel senso esser eternamente soli a livello di amicizie e affetti, aver
estrema difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro o lavorare, non avere nessun talento, non avere
piacere a fare nulla.
A questo ci vanno quasi automaticamente aggiunti (anzi senza quasi) sintomi nevrotici: ansie
più o meno gravi, doc, depressioni, fobie ecc. fino a sconfinare a volte in certi individui in situazioni
invalidanti con annessi ricoveri, trattamenti farmacologici infiniti.
Ora ci troviamo in una società ultracompetitiva dove non dico per affermarsi ma per vivere nella normalità
bisogna essere quasi dei superuomini e se non si è così….. problemi, ora figuriamoci avere un
temperamento di cui sopra.
Secondo me questo spiega anche buona parte del fenomeno dei neet che in fin dei conti sono anche
inoccupabili per il mondo del lavoro per vari motivi (tipo buchi enormi sul curriculum) e cause gia suddette.
Detto questo non è che queste persone abbiano bisogno di veder riconosciuti i loro disagi?
Purtroppo oggi si tende a vedere tutto bianco o nero, e quindi o sei normale al 100% e devi essere
performante come richiesto dalla società e se non c’è la fai è solo colpa tua perché non ti muovi non ti
impegni, o sei disabile e quindi hai i tuoi diritti riconosciuti.
C’è secondo voi una terra di mezzo tra sani e quelli con problematiche nevrotiche serie riconosciute?
Grazie
[#1]
Psicologo
Salve utente, ho letto il suo post e credo di poterle offrire un punto di vista differente. Il bianco o nero è una categorizzazione semplice che viene fatta quasi in automatico dal nostro cervello. Posso dirle che in realtà la Psicologia non può e non deve ragionare operando in questa modalità. Se è infatti vero che alcune modalità di azione sono universali, ciò che è altrettanto vero che ogni essere umano è unico nella sua esperienza ed in quanto tale deve essere preso in esame.
Quindi posso dirle, che no, la Psicologia non ragiona sul bianco o nero.
Saluti
Quindi posso dirle, che no, la Psicologia non ragiona sul bianco o nero.
Saluti
[#2]
Gentile Utente,
Lei pone una domanda cui non è facile rispondere, perchè la risposta dovrebbe essere molto articolata e richiederebbe la stesura di diverse pagine.
Quindi proverò a rispondere con i limiti della inevitabile risposta concisa.
Intanto bisognerebbe accordarsi sul concetto di "normalità", che talvolta è definito dalla statistica, altre dalla norma con la quale si osserva un determinato fenomeno.
Lei chiede: "...Quel tipo di
persone che hanno difficoltà sociali, nel senso esser eternamente soli a livello di amicizie e affetti, aver
estrema difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro o lavorare, non avere nessun talento, non avere
piacere a fare nulla..."
Le difficoltà sociali sono correlate con il disagio:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html
tant'è che le abilità sociali sono un fattore di protezione.
Non essere in grado di costruire una relazione (amicale o sentimentale) pone comunque delle domande, perchè emergono delle difficoltà e degli script appresi nelle prime relazioni della vita.
Dubito che esistano persone prive di talenti, ma ci sono persone che non riconoscono i propri talenti, che non li valorizzano, non sanno che farsene...
Anche per quanto riguarda il lavoro, spesso le difficoltà a stare al lavoro sono correlate al funzionamento della persona. Ci sono delle modalità tipiche di ciascuno di noi che ci rendono più adatti a svolgere determinati lavori. Ad esempio essere socievoli è un fattore predittivo per svolgere alcune professioni, come ad esempio l'infermiere, l'insegnante, il commerciale, ecc...
Ci sono poi alcune altre determinanti del comportamento che sono predittivi di insuccesso: essere ansiosi, ad esempio. Essere eccessivamente ansiosi è un fattore predittivo di insuccesso in tutti gli ambiti.
Ci sono numerosissimi studi che confermano tutto ciò, così come essere affidabili e precisi è predittivo di successo in tutti i campi.
Ovviamente non mi riferisco alla difficoltà nella ricerca del lavoro e nella crisi degli ultimi anni, ma mi sto riferendo a ciò che viene valutato dai selezionatori per scegliere la persona che più di altre aderisce al job profile.
Tra l'altro, oggi la situazione è ancor più complessa perchè il mondo del lavoro cambia notevolmente: se prima era sufficiente avere esperienza, oggi oltre quella bisogna formarsi continuamente, le richieste sono più di tipo emotivo (stress), bisogna lavorare in modo intelligente e non più solo duramente come in passato. Anche la stessa job description ha contorni molto più sfumati, per non parlare delle leggi che si modificano e che hanno ricadute sul lavoratore, che è tenuto ad adeguarsi, talvolta con difficoltà.
Ora, l'essere umano "regge" questi cambiamenti? Darwin potrebbe venirci in soccorso per tentare di dare una risposta.
Però l'aumento della psicopatologia trova spiegazioni meno riduttive di quelle che posso fornire con un semplice consulto on line.
Per rispondere alla domanda dei buchi sul cv, da una parte ci sono persone che sono state "costrette" a scegliere lavori non proprio all'altezza del titolo di studio e che poi hanno mollato... ma ci sono anche tanti studi (es pubblicati da "Il Sole 24 ore") che sottolineano come molti laureati si siano parcheggiati in ruoli molto più bassi (es call center) perchè non avevano un progetto professionale più serio e chiaro.
Ovviamente chi perde il lavoro, chi non può lavorare, ecc... va in sofferenza, non solo per una questione economica, ma soprattutto sociale, d identità, di valore personale e professionale (sentirsi utili).
Posso chiederle se questa situazione in qualche modo la riguarda?
Lei pone una domanda cui non è facile rispondere, perchè la risposta dovrebbe essere molto articolata e richiederebbe la stesura di diverse pagine.
Quindi proverò a rispondere con i limiti della inevitabile risposta concisa.
Intanto bisognerebbe accordarsi sul concetto di "normalità", che talvolta è definito dalla statistica, altre dalla norma con la quale si osserva un determinato fenomeno.
Lei chiede: "...Quel tipo di
persone che hanno difficoltà sociali, nel senso esser eternamente soli a livello di amicizie e affetti, aver
estrema difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro o lavorare, non avere nessun talento, non avere
piacere a fare nulla..."
Le difficoltà sociali sono correlate con il disagio:
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html
tant'è che le abilità sociali sono un fattore di protezione.
Non essere in grado di costruire una relazione (amicale o sentimentale) pone comunque delle domande, perchè emergono delle difficoltà e degli script appresi nelle prime relazioni della vita.
Dubito che esistano persone prive di talenti, ma ci sono persone che non riconoscono i propri talenti, che non li valorizzano, non sanno che farsene...
Anche per quanto riguarda il lavoro, spesso le difficoltà a stare al lavoro sono correlate al funzionamento della persona. Ci sono delle modalità tipiche di ciascuno di noi che ci rendono più adatti a svolgere determinati lavori. Ad esempio essere socievoli è un fattore predittivo per svolgere alcune professioni, come ad esempio l'infermiere, l'insegnante, il commerciale, ecc...
Ci sono poi alcune altre determinanti del comportamento che sono predittivi di insuccesso: essere ansiosi, ad esempio. Essere eccessivamente ansiosi è un fattore predittivo di insuccesso in tutti gli ambiti.
Ci sono numerosissimi studi che confermano tutto ciò, così come essere affidabili e precisi è predittivo di successo in tutti i campi.
Ovviamente non mi riferisco alla difficoltà nella ricerca del lavoro e nella crisi degli ultimi anni, ma mi sto riferendo a ciò che viene valutato dai selezionatori per scegliere la persona che più di altre aderisce al job profile.
Tra l'altro, oggi la situazione è ancor più complessa perchè il mondo del lavoro cambia notevolmente: se prima era sufficiente avere esperienza, oggi oltre quella bisogna formarsi continuamente, le richieste sono più di tipo emotivo (stress), bisogna lavorare in modo intelligente e non più solo duramente come in passato. Anche la stessa job description ha contorni molto più sfumati, per non parlare delle leggi che si modificano e che hanno ricadute sul lavoratore, che è tenuto ad adeguarsi, talvolta con difficoltà.
Ora, l'essere umano "regge" questi cambiamenti? Darwin potrebbe venirci in soccorso per tentare di dare una risposta.
Però l'aumento della psicopatologia trova spiegazioni meno riduttive di quelle che posso fornire con un semplice consulto on line.
Per rispondere alla domanda dei buchi sul cv, da una parte ci sono persone che sono state "costrette" a scegliere lavori non proprio all'altezza del titolo di studio e che poi hanno mollato... ma ci sono anche tanti studi (es pubblicati da "Il Sole 24 ore") che sottolineano come molti laureati si siano parcheggiati in ruoli molto più bassi (es call center) perchè non avevano un progetto professionale più serio e chiaro.
Ovviamente chi perde il lavoro, chi non può lavorare, ecc... va in sofferenza, non solo per una questione economica, ma soprattutto sociale, d identità, di valore personale e professionale (sentirsi utili).
Posso chiederle se questa situazione in qualche modo la riguarda?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#3]
Utente
Gentili dottori vi ringrazio per aver considerato la mia domanda, anche perché quando provo ad esporre questi pensieri fuori, mi guardano come se avessi detto che ho visto gli unicorni.
Dottore dico che è un bene che la psicologia non operi solo sul bianco o sul nero, difatti siamo tutti diversi.
Dottoressa riguardo l'ultima domanda se mi riguarda, è una persona a me vicina che potrebbe rientrare in questo range, ciò non toglie che anch'io faccia non poca fatica ad essere inserito....purtroppo è così, tipo negli ambiti dell'amicizia o degli hobby bisogna sapersi muovere. .
Addentrandomi alla sua risposta l’articolo ci fa capire che le abilità sociali sono apprese e non innate, questo ok, ma il fattore ansiogeno del temperamento non potrebbe determinare o influenzare in maniera più o meno determinante il fattore competenze sociali? E poi la domanda delle domande….non è che il temperamento ansioso è innato? Io da inesperto non lo so, ma da qualche parte in passato ho letto che qualche neuroscienziato propendesse per questo, se così fosse si spiegherebbe il perché delle ostinazioni dei disagi in questa attualità che lei ha ottimamente decritto (soprattutto l’attuale mondo del lavoro).
Comunque non ho capito cosa intende con “Ora, l'essere umano "regge" questi cambiamenti? Darwin potrebbe venirci in soccorso per tentare di dare una risposta”. Forse ho un idea ma non ne sono sicuro.
Grazie
Dottore dico che è un bene che la psicologia non operi solo sul bianco o sul nero, difatti siamo tutti diversi.
Dottoressa riguardo l'ultima domanda se mi riguarda, è una persona a me vicina che potrebbe rientrare in questo range, ciò non toglie che anch'io faccia non poca fatica ad essere inserito....purtroppo è così, tipo negli ambiti dell'amicizia o degli hobby bisogna sapersi muovere. .
Addentrandomi alla sua risposta l’articolo ci fa capire che le abilità sociali sono apprese e non innate, questo ok, ma il fattore ansiogeno del temperamento non potrebbe determinare o influenzare in maniera più o meno determinante il fattore competenze sociali? E poi la domanda delle domande….non è che il temperamento ansioso è innato? Io da inesperto non lo so, ma da qualche parte in passato ho letto che qualche neuroscienziato propendesse per questo, se così fosse si spiegherebbe il perché delle ostinazioni dei disagi in questa attualità che lei ha ottimamente decritto (soprattutto l’attuale mondo del lavoro).
Comunque non ho capito cosa intende con “Ora, l'essere umano "regge" questi cambiamenti? Darwin potrebbe venirci in soccorso per tentare di dare una risposta”. Forse ho un idea ma non ne sono sicuro.
Grazie
[#4]
Gentile Utente,
semplifico ancora per le stesse ragioni citate sopra.
Lei domanda: " il fattore ansiogeno del temperamento non potrebbe determinare o influenzare in maniera più o meno determinante il fattore competenze sociali?"
Certamente. Non siamo tutti uguali ed è vero che io e Lei possiamo apprendere entrambi una determinata abilità, ma modularla in maniera diversa. Tant'è che nell'articolo cito proprio le diverse ragioni per le quali una persona potrebbe non mettere in pratica una abilità. Magari io ho imparato che è preferibile comportarsi in un determinato modo ma, proprio per la complessità umana, non riesco ad attuarla o scelgo di comportarmi diversamente.
Poi, è vero che l'ansia può bloccarci in tante situazioni sociali.
" E poi la domanda delle domande….non è che il temperamento ansioso è innato?"
Noi non siamo solo frutto di apprendimento, ma anche di genetica e di cultura.
Io credo però che il mondo del lavoro oggi sia particolarmente competitivo e probabilmente è questo, insieme ad altri fattori, che contribuisce a rendere le persone molto più ansiose che in passato. Pensiamo, ad esempio, al precariato. In passato una persona entrava in un'azienda e usciva molti anni dopo per andare in pensione. Oggi una persona entra in azienda con un contratto a tempo determinato, con tutta una serie di incertezze (economiche e sociali) e dopo pochi mesi è fuori, dovendo quindi confrontarsi con tutta una serie di frustrazioni e di nuovi costanti apprendimenti.
E' ovvio che campa più serenamente chi esce da un'azienda dopo decenni per andare in pensione e ha un contratto a tempo indeterminato.
Ma è probabile che l'ansia sia una conseguenza di tutto ciò.
Inoltre, proprio perchè l'essere umano è molto complicato e raffinato, se aumenta la competizione, bisogna anche imparare a lavorare in modo intelligente, a gestire ansie ed emotività.
Infine, tutti questi velocissimi cambiamenti ci costringono a cambiare. Pensiamo alle nuove tecnologie che costringono a nuove acquisizioni e nuovi ritmi.
La teoria di Darwin potrebbe suggerirci che l'essere umano potrebbe adattarsi a questi cambiamenti; io credo siano molto veloci e quindi è aperta la discussione sulla salute e sull'adattamento dell'uomo al mondo del lavoro che si evolve.
Cordiali saluti,
semplifico ancora per le stesse ragioni citate sopra.
Lei domanda: " il fattore ansiogeno del temperamento non potrebbe determinare o influenzare in maniera più o meno determinante il fattore competenze sociali?"
Certamente. Non siamo tutti uguali ed è vero che io e Lei possiamo apprendere entrambi una determinata abilità, ma modularla in maniera diversa. Tant'è che nell'articolo cito proprio le diverse ragioni per le quali una persona potrebbe non mettere in pratica una abilità. Magari io ho imparato che è preferibile comportarsi in un determinato modo ma, proprio per la complessità umana, non riesco ad attuarla o scelgo di comportarmi diversamente.
Poi, è vero che l'ansia può bloccarci in tante situazioni sociali.
" E poi la domanda delle domande….non è che il temperamento ansioso è innato?"
Noi non siamo solo frutto di apprendimento, ma anche di genetica e di cultura.
Io credo però che il mondo del lavoro oggi sia particolarmente competitivo e probabilmente è questo, insieme ad altri fattori, che contribuisce a rendere le persone molto più ansiose che in passato. Pensiamo, ad esempio, al precariato. In passato una persona entrava in un'azienda e usciva molti anni dopo per andare in pensione. Oggi una persona entra in azienda con un contratto a tempo determinato, con tutta una serie di incertezze (economiche e sociali) e dopo pochi mesi è fuori, dovendo quindi confrontarsi con tutta una serie di frustrazioni e di nuovi costanti apprendimenti.
E' ovvio che campa più serenamente chi esce da un'azienda dopo decenni per andare in pensione e ha un contratto a tempo indeterminato.
Ma è probabile che l'ansia sia una conseguenza di tutto ciò.
Inoltre, proprio perchè l'essere umano è molto complicato e raffinato, se aumenta la competizione, bisogna anche imparare a lavorare in modo intelligente, a gestire ansie ed emotività.
Infine, tutti questi velocissimi cambiamenti ci costringono a cambiare. Pensiamo alle nuove tecnologie che costringono a nuove acquisizioni e nuovi ritmi.
La teoria di Darwin potrebbe suggerirci che l'essere umano potrebbe adattarsi a questi cambiamenti; io credo siano molto veloci e quindi è aperta la discussione sulla salute e sull'adattamento dell'uomo al mondo del lavoro che si evolve.
Cordiali saluti,
[#5]
Utente
Grazie ancora per la disponibilità e pazienza
Sono d’accordo con quanto afferma e in particolare mi ha fatto riflettere questo:
“Io credo però che il mondo del lavoro oggi sia particolarmente competitivo e probabilmente è questo, insieme ad altri fattori, che contribuisce a rendere le persone molto più ansiose che in passato. Pensiamo, ad esempio, al precariato. In passato una persona entrava in un'azienda e usciva molti anni dopo per andare in pensione. Oggi una persona entra in azienda con un contratto a tempo determinato, con tutta una serie di incertezze (economiche e sociali) e dopo pochi mesi è fuori, dovendo quindi confrontarsi con tutta una serie di frustrazioni e di nuovi costanti apprendimenti.
E' ovvio che campa più serenamente chi esce da un'azienda dopo decenni per andare in pensione e ha un contratto a tempo indeterminato”.
Magari uno è già un po’ predisposto poi ci aggiungiamo questo fattore ed abbiamo creato un nevrotico patologico, non so, sembrerebbe quasi che ci siano gli estremi per una malattia professionale. Inoltre se il fenomeno riguarda già da ora sempre più persone è evidente che si dovrà fare qualcosa, visto che il livello di competitività si alzerà sempre di più, e credo che oltre certi livelli non c’è la si possa proprio fare.
E questo si ricollega a Darwin in quanto avevo pensato l’opposto di quel che ha affermato lei, cioè che ci saranno soggetti che si adegueranno ed adatteranno seppur con grande fatica (i più performanti), ed altri i ”problematici” che saranno sempre più esclusi ed emarginati.
Chiudo con quest’ultime due domande: secondo lei adesso ci sono già individui soprattutto giovani che per quanto detto sopra possono essere considerati inabili al lavoro? E di conseguenza chissà in futuro avere delle agevolazioni tipo invalidità, inserimento nelle categorie protette ecc.?
Grazie
Sono d’accordo con quanto afferma e in particolare mi ha fatto riflettere questo:
“Io credo però che il mondo del lavoro oggi sia particolarmente competitivo e probabilmente è questo, insieme ad altri fattori, che contribuisce a rendere le persone molto più ansiose che in passato. Pensiamo, ad esempio, al precariato. In passato una persona entrava in un'azienda e usciva molti anni dopo per andare in pensione. Oggi una persona entra in azienda con un contratto a tempo determinato, con tutta una serie di incertezze (economiche e sociali) e dopo pochi mesi è fuori, dovendo quindi confrontarsi con tutta una serie di frustrazioni e di nuovi costanti apprendimenti.
E' ovvio che campa più serenamente chi esce da un'azienda dopo decenni per andare in pensione e ha un contratto a tempo indeterminato”.
Magari uno è già un po’ predisposto poi ci aggiungiamo questo fattore ed abbiamo creato un nevrotico patologico, non so, sembrerebbe quasi che ci siano gli estremi per una malattia professionale. Inoltre se il fenomeno riguarda già da ora sempre più persone è evidente che si dovrà fare qualcosa, visto che il livello di competitività si alzerà sempre di più, e credo che oltre certi livelli non c’è la si possa proprio fare.
E questo si ricollega a Darwin in quanto avevo pensato l’opposto di quel che ha affermato lei, cioè che ci saranno soggetti che si adegueranno ed adatteranno seppur con grande fatica (i più performanti), ed altri i ”problematici” che saranno sempre più esclusi ed emarginati.
Chiudo con quest’ultime due domande: secondo lei adesso ci sono già individui soprattutto giovani che per quanto detto sopra possono essere considerati inabili al lavoro? E di conseguenza chissà in futuro avere delle agevolazioni tipo invalidità, inserimento nelle categorie protette ecc.?
Grazie
[#6]
"secondo lei adesso ci sono già individui soprattutto giovani che per quanto detto sopra possono essere considerati inabili al lavoro?"
Spero proprio di no!
" E di conseguenza chissà in futuro avere delle agevolazioni tipo invalidità, inserimento nelle categorie protette ecc.?"
Questa valutazione spetterà eventualmente all'ASL, ma personalmente ritengo sia meglio trattare l'ansia, in quanto è preferibile lavorare sui fattori di protezione.
Cordiali saluti,
Spero proprio di no!
" E di conseguenza chissà in futuro avere delle agevolazioni tipo invalidità, inserimento nelle categorie protette ecc.?"
Questa valutazione spetterà eventualmente all'ASL, ma personalmente ritengo sia meglio trattare l'ansia, in quanto è preferibile lavorare sui fattori di protezione.
Cordiali saluti,
Questo consulto ha ricevuto 7 risposte e 1.3k visite dal 09/03/2018.
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