La terapia abbia avuto grandi momenti

buongiorno
sono in terapia da uno psicologo da due anni e mezzo con una frequenza settimanale. Il mio psicologo ha una formazione freudiana e di psicosintesi di Assagioli.
Nonostante la terapia abbia disseppellito le motivazioni di molte mie dinamiche che tendono a ripetersi e abbia fatto luce su come le mie relazioni rimettano in gioco uno schema con le figure di riferimento genitoriali, io, almeno per ora ristagno abbastanza nelle mie compulsioni e nelle mie ridondanze. E' come se (e questa domanda l'ho posta anche allo psicologo) mi mancasse un tassello che porta dalla consapevolezza all'azione.La sua risposta è stata "ne dobbiamo parlare fino alla noia" perchè, -sempre a detta sua- la cura si basa sulla consapevolezza. Conoscenza, coscienza e consapevolezza sarebbero questi tre step di cui la consapevolezza è il più evoluto. Parole sue. Ma la consapevolezza non è ancora un agire
Come in tutte le terapie si cade a spesso in ripetizioni che pur partendo da altri miei vissuti ritornano sempre a un rapporto con mia madre.
Lo scorso anno gli ho espresso la sensazione che sentivo come un filone esaurito e che volevo abbandonare la terapia. Lui mi ha risposto che più che un abbandono gli sembrava un interruzione come se stessimo in un percorso produttivo che il mio abbandono avrebbe abortito. Non nego che la terapia abbia avuto grandi momenti di coinvolgimento emotivo dato da investimenti da parte mia su maschere improduttive e assolutamente ripetitive che mi facevano prendere consapevolezza del...tempo perso, ma che io, come dicevo all'inizio di questo post, mi trovo a rimettere in gioco, coma a continuare a giocare su un cavallo perdente, sapendo di perdere. La mia domanda è: è possibile che la tipologia di terapia che usa il mio psicologo sia priva di "qualcosa" che per la mia storia e la mia persona possono invece essere importanti?
E' la prima volta che faccio una terapia seria e così lunga ed è difficile per me capire e sentire quanto io resista a...qualcosa e invece quanto si stia allungando il brodo. Tutte cose che io ho detto in terapia e che oltre a dirmi "io non sono un allungatore di brodi" mi riportavano, a detta sua, a una fuga prima dei termini. La dico in forma popolana: come si fa a dire a un professionista che le sua formazione ha delle falle? Il mio impegno c'è , la mia consapevolezza c'è, la mia introspezione anche, le mie emozioni anche, non ho mai pensato che il lavoro dovesse essere solo il suo. Io non ho altre esperienze in merito e non posso fare un confronto, e dal punto di vista pratico re-iniziare il tutto da un altra parte sarebbe dispendioso sia in termini economici che di tempo ed energia. Per riassumere quello che è gia chiaro, mi sento in dei circoli viziosi, che pur se illuminati nelle loro cause,non danno luogo ad un cambiamento di rotta e ho come la sensazione che al suo metodo manchi un qualcosa e che stiamo ravanando un fondo pentola per me abbastanza abraso. La domanda è: che cosa ne pensate. Grazie.Mauro
[#1]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Egr. sig. Mauro,

mi pare di capire che Lei sia in terapia per un disturbo ossessivo, dico bene?

Io non conosco nello specifico il metodo che usa il Suo terapeuta, ma mi pare che Lei abbia già fatto bene a sollevare il problema con il curante.

La fatica in psicoterapia NON la fa certo il terapeuta, semmai il paziente!

Però, se davvero stiamo parlando di disturbo ossessivo, allora è opportuno davvero passare all'azione, per spezzare le dinamiche ossessive, perchè ha ragione Lei: la sola consapevolezza NON basta a cambiare e a curare una psicopatologia.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
Utente
Utente
gentile dottoressa,

grazie della sua risposta, ma non sono in cura per un disturbo ossessivo. Quando parlo di ricadere in certe dinamiche parlo di relazioni interpersonali, affettive e amicali. Credo che per quanto non sia del settore, ci sia una forte componente narcisistica, con un investimento eccessivo nel "personaggio" e in contropartite apparentemente gratificanti ma che comportano una gran fatica di vivere per una impossibilità di scoprire il fianco e condividere i miei punti deboli con un ritorno di gran solitudine. Con giochi seduttivi a cui non segue una normale ed appagante relazione. E con una relazione attuale non appagante che risponde a bisogni estranei al desiderio. La mia forma di compulsione è proprio questo non voler abbandonare queste ancore per non affogare, come qualcuno che si toglie una maschera e dietro non c'è nulla.
[#3]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
La ringrazio per i chiarimenti sulla problematica.

Lei scrive: "non voler abbandonare queste ancore per non affogare, come qualcuno che si toglie una maschera e dietro non c'è nulla."

Posso chiedere se ci sono dei timori dietro questo Suo NON voler abbandonare queste ancore? Se sì, quali?
[#4]
Utente
Utente
Gentile dottoressa,
i timori riguardano:
- un vuoto sottostante a questa immagine
- una paura di essere abbandonato o meglio "di non essere accettato per ciò che si è"
- un abbandonare questo essere un po "speciale"
- un passaggio repentino da una condizione di apparente sicurezza a uno di vulnerabilità
Questa maschera posticcia presuppone una sorta di finta accettazione delle persone intorno a me, che nasconde invece una malcelata intolleranza e sana aggressività.
il gioco funziona per tutti tranne che per me.
Una figura che cerca consensi e a dir degli altri anche carismatica ma che nasconde un senso di solitudine profonda, un po' come il terapeuta che aiuta gli altri e sembra saper il fatto suo ma che poi rimane incarcerato nella sua stessa trama, non riuscendo a poter-voler esprimere le sue tare, il suo vuoto, le sue gabbie, le sue coazioni. Il mio veleno sono le relazioni. E il mio ossigeno è la solitudine in cui mi rifuggo dove posso.
Per tornare al mio primo messaggio, sapere che questo proviene da una mancanza di rispetto dei miei tempi e della mia persona da parte di un madre richiedente distante e pericolosa (parole del mio terapeuta) non mi aiuta. E nemmeno sapere che sto rispondendo ancora a quelle richieste di sostegno (io a lei) e che ho dovuto crearmi una rete di sostegni effimeri comprando l'accettazione degli altri con -devo dirlo- una mia sensibilità non comune nel capire immediatamente i loro bisogni. Grazie.