Paura di assillare il terapeuta e come comportarsi al rientro dalle ferie

Gentili Dottori,
(ahimè avrei voluto essere più breve di così, comunque...)
Durante l'ultima seduta prima della pausa invernale, il mio terapeuta credo abbia dimenticato di concordare la modalità con cui riprendere la terapia, ovvero se devo essere io a contattarla o il contrario. Per la precedente pausa estiva questo problema non c'è stato: ha lasciato decidere me, e decisi che sarei stato io a farmi sentire a Settembre.
Adesso non so cosa fare.
Il fatto è questo: ho iniziato una psicoterapia per risolvere delle problematiche, ma nel frattempo se ne sono create delle altre, molte delle quali legate al rapporto terapeutico. Già in passato le ho parlato della mia paura di risultare stressante. Questa pausa invernale non mi fatto per niente bene, ma nonostante ciò non vorrei essere io a scriverle per paura di risultare pressante. Preciso che al di fuori delle sedute non ho mai scritto nulla, se non per confermare/spostare una seduta. Capisco che lo psicoterapeuta per professionalità è tenuto a farsi carico delle difficili situazioni dei pazienti, ma ho la forte sensazione che se non andassi più, la mia terapeuta sarebbe più sollevata. In buona sostanza, per me sarebbe importante che fosse lei a scrivermi, quantomeno saprei che da parte sua c'è la disponibilità e la voglia di continuare. Disponibilità che mi ha sempre espresso, ma credo che ogni tanto i fatti possano essere più efficaci delle parole (se anche risultassi il più insopportabile dei pazienti, un terapeuta non lo direbbe mai).
Alla luce di quanto raccontato:
1) sarebbe meglio aspettare, o prendere l'iniziativa e scriverle (restando col dubbio che la terapeuta farebbe volentieri a meno di me) ?
2) cercando sul sito e in generale su internet, non trovo un modus operandi sul come riprendere una terapia dopo le pause. C'è una condotta comune o è a discrezione del terapeuta?
Vi ringrazio!
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598

Gentile utente,

Se la Sua Psicoterapeuta lavora privatamente (cioè a pagamento) c'è anche il problema di non voler dare l'impressione di "cercare clienti".
D'altronde da parte sua la terapeuta "mi ha sempre espresso..Disponibilità".
E dunque se Lei chiede un appuntamento di valutazione della situazione non mi sembra fuori luogo. In quella sede deciderete insieme cosa fare.

Perchè farsi tanti problemi?
La relazione terapeutica può (deve?) essere caratterizzata da una certa "semplicità"
pur all'interno delle regole concordate.
Essendo una relazione asimmetrica (cioè non paritaria) il/la terapeuta non contatta il paziente per evitare che egli si senta "pressato"; al contrario lascia a lui/lei l'iniziativa. Come del resto la Sua psicoterapeuta ha fatto già nella pausa estiva.

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#2]
Utente
Utente
Dott.ssa Brunialti la ringrazio tanto per la risposta.

"Se la Sua Psicoterapeuta lavora privatamente (cioè a pagamento) c'è anche il problema di non voler dare l'impressione di "cercare clienti"."
Sì, lavora privatamente. In effetti ho pensato a questo inconveniente. La mia speranza è che non si ponga questo problema, conoscendo me e la mia situazione

"E dunque se Lei chiede un appuntamento di valutazione della situazione non mi sembra fuori luogo. In quella sede deciderete insieme cosa fare."
Non mi sono spiegato bene, non metto in dubbio la possibilità di non continuare. Mi sono trovato bene dalla prima fino all'ultima seduta. Forse mi trovo perfino troppo bene.
Ma Le chiedo: un'eccessiva dipendenza dal terapeuta va risolta continuando il dialogo e dandosi tempo, o ci sono casi in cui l'unico rimedio è la separazione?

"Perchè farsi tanti problemi?"
Perchè ho il terribile sentore di essere di peso, o magari che i miei problemi non possano essere risolti con quel tipo di psicoterapia o peggio ancora che non ci sia una soluzione ben precisa.

"Essendo una relazione asimmetrica (cioè non paritaria) il/la terapeuta non contatta il paziente per evitare che egli si senta "pressato" "
Questa evenienza non c'è, dato il mio attaccamento alla terapia e alla terapeuta. Anzi è il contrario, cerco di risultare meno fastidioso e pressante possibile. Ho annullato anche un appuntamento prima di natale per evitare di esternare ancora una volta i miei pensieri suicidi.

Dunque in casi come questi, dove non è stato detto "chi deve cercare chi", se il paziente non si fa più sentire, la terapia finisce lì? In realtà so già la risposta, ma volevo scriverlo lo stesso.
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
"sarebbe meglio aspettare, o prendere l'iniziativa e scriverle (restando col dubbio che la terapeuta farebbe volentieri a meno di me) ?"

A me questo sembra un test che spesso e volentieri i pazienti fanno al terapeuta durante la psicoterapia.
Chiaramente si tratta di test fatti in modo inconsapevole e che sono strettamente legati legati al problema che porta il pz. in terapia, come Lei stesso sta confermando sopra, ovvero la paura di risultare un rompiscatole...

Ma a Lei che cosa serve?

Le chiedo questo perchè il pz. ha l'unico compito di usare a proprio vantaggio la psicoterapia, ponendo non solo al terapeuta TUTTE le domande di cui necessita risposta, ma anche dichiarando le proprie DIFFICOLTA' (siano esse legate ad esempio agli orari delle sedute, alla frequenze, ecc...).

Apparentemente questa domanda e questo cruccio che Lei ha in mente possono sembrare di semplice soluzione, ma capisco che se per Lei è problematico il fatto di non dare problemi agli altri, lo vivrà senz'altro male.

Posso chiedere quali sono gli obiettivi della psicoterapia?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

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Utente
Utente
Dr.Pileci grazie per le sue parole, anche se sembra poco sta rendendo questa mia giornata meno amara delle ultime.

"Posso chiedere quali sono gli obiettivi della psicoterapia?"
Certo che può chiedere. Ho iniziato per problemi relazionali con l'altro sesso e ansia da prestazione sessuale, ma oggi a distanza di quasi un anno direi che la psicoterapia ha fatto ancora di più, ha messo in luce il fatto, ahimè incredibile, che ho "dormito" per 26 anni, sotto tutti i punti di vista (anche a livello di carriera universitaria), e congelando (=evitando) le situazioni per me ansiogene. Sono cresciuto in una famiglia con padre assente, dove vige il silenzio totale sui sentimenti, emozioni e sul parlare di fatti personali. Mi sono inoltre "accorto" come mancasse totalmente il contatto fisico, mancanza cronicizzata dal fatto che quasi non ne avuto neanche fuori dal contesto familiare. La psicoterapia è stata per me una grande esperienza, che ha portato risultati anche "pratici" su cui non mi dilungo. La spinta però è avvenuta anche nell'altra direzione, l'attaccamento per la terapeuta mi ha portato un grande malessere dal quale sono nate una serie di conseguenze nuove per me (prostitute, autolesionismo, alcol (da solo e a volte anche nel pomeriggio), ricerca continua di informazioni su internet sulla terapeuta, pensieri suicidi). Con quest'ultima pausa invernale ho ripreso a star male, con pensieri suicidi costanti. Passo metà della giornata a letto, non ho voglia di mangiare e di bere. La presenza di altre persone in casa mi sta servendo, perchè almeno per cena sono costretto a far finta di niente, non potrei sobbarcarmi discussioni in casa. Da un pò di tempo esco solo se vengo cercato dagli amici, almeno su quelli non ho carenze.

"Ma a Lei che cosa serve?"
Mi serve per il fatto che ho vissuto ignorando i bisogni dell'altro, infatti ho sempre avuto la sensazione che mi mancasse qualcosa nel relazionarmi con gli altri e soprattutto nelle relazioni affettive, e dunque, paradossalmente in un periodo di difficoltà mia, ho bisogno di pensare "all'altro". Ma al di là di questo, sono realmente dispiaciuto per la sua posizione. Penso che da qualche tempo non sappia più come aiutarmi, non c'è una direzione precisa in questo periodo, perchè "cado" in continuazione. . Non sono solo ipotesi: qualche seduta fa mi ha consigliato una visita da uno psichiatra, ma mi sono rifiutato.

Detto questo, forse ora capirà un pò meglio perchè mi manca quella "semplicità" di cui parlava la dr.essa Brunialti e perchè possa trovarmi in difficoltà anche per mandare un messaggio. Ad essere sincero l'idea del suicidio ora mi è entrata dentro con più convinzione, sono sempre più convinto di non farcela in generale. La terapia mi ha sbloccato sotto diversi punti di vsta, ma mi ha reso molto consapevole del ritardo globale accumulato. Ma c'è ancora una cosa che ho voglia di fare è andare alle sedute. Ma ad oggi non penso che le scriverò. e' tutto molto caotico, mi rendo conto
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

la sofferenza legata alla presa di consapevolezza di "aver perso tempo" posso capirla, ma che cosa potrebbe fare, rimuginando sul passato, sull'aver perso occasioni, su come è andata fin qui? Non può fare nulla rispetto al passato.

Ma Lei ha un grande potere sul futuro, perchè quello può certamente sceglierlo e decidere che fare anche in virtù delle "scoperte" che ha fatto in terapia.

Se la terapeuta sente di non poterLa aiutare, quello è un problema della terapeuta e NON Suo; eventualmente la Collega La invierà da un altro Collega (ha già proposto una consulenza psichiatrica, che potrebbe essere utilissima).

Se la sentirebbe di far leggere questo scambio alla Sua terapeuta? Non crede che potrebbe aiutarLa?
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Utente
Utente
Dr.essa Pileci la ringrazio.
Temevo una risposta del genere. Vede, non è solo un problema del tempo passato buttato via. Il presente è insopportabile, e non ho più un grande interesse nel futuro.
E non è neanche questo ciò che mi fa stare male. Quei problemi magari inconsciamente li avevo già prima. Ho cominciato a soffire la mancanza del terapeuta. Sento la fine di una seduta come qualcosa di simile a un lutto. La terapia e la terapeuta mi ha dato una grande vitalità, che però è tornata indietro, e con gli interessi. In ogni caso non voglio barattare quello con dei farmaci. Ma capisco bene la sua posizione e quella della mia terapeuta, anch'io di fronte a un paziente di questo tipo consiglierei il farmaco, per tutelare lui e me. Il mio ruolo però non è quello, e le dico che l'idea comune de "la vita a tutti i costi" non mi appartiene.

Magari starà pensando per quale motivo allora continuare gli incontri. Per fare un esempio estremo, ho letto di persone che una volta venute a conoscenza di avere anche pochi anni o mesi di vita a causa di una malattia, iniziano una psicoterapia. C'è forse da curare qualcosa? No, il terapeuta accompagna la persona.

"Se la sentirebbe di far leggere questo scambio alla Sua terapeuta? Non crede che potrebbe aiutarLa?"
Non è necessario, la mia terapeuta è a conoscenza di tutto, tranne sul fatto che non penso ci sia una "cura" per una convinzione.

Ho letto tante richieste sul sito, e quasi tutti sperano di avere risposte sul da farsi, nonostante siano già in terapia. Infatti a dire il vero non avevo reale intenzione di parlarne, una terapeuta ce l'ho già e mi va piuttosto bene. Quello che ho chiesto è una delle poche cose di cui non posso parlare, per una questione logica (non ha senso contattare una persona per chiederle se la si può contattare). Comunque è un ulteriore motivo per riflettere, se lei si è "sbilanciata" sulla questione dello psichiatra, così come la Dr.essa Brunialti parla di un incontro "per decidere cosa fare" evidentemente qualcosa significa. Ma ancora una volta nonostante la mia incapacità di accorciare e semplificare non mi sono spiegato bene, lei parla di "inviarla da un altro Collega" con una certa nonchalance. Devo supporre che una risposta a una mia precedente domanda l'ho avuta :
"Ma Le chiedo: un'eccessiva dipendenza dal terapeuta va risolta continuando il dialogo e dandosi tempo, o ci sono casi in cui l'unico rimedio è la separazione?"
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Utente
Utente
Gentili Dr.esse ho riflettuto sul consulto e sulla mia situazione. Risulterò contraddittorio con quanto detto prima, ma non importa. Credo che a questo punto debba spiegarmi fino in fondo per cercare di capire cosa stia succedendo e sperare di intravedere un minimo di luce in quello che sta diventando un incubo.
Vi chiedo un pò di pazienza.

Credo che il salto relazionale da prima di incontrare la mia terapeuta a dopo sia stato talmente grande da aver prodotto un attaccamento che considero assolutamente patologico. La mia dipendenza per lei è totale, praticamente adesso vedo ogni cosa relazionandola a lei. La definirei bene anche come un'ossessione. Qualsiasi cosa faccia, che sia per esempio stare con gli amici o conoscere ragazze, è di poco valore e interesse. Mi "nutro" delle informazioni sul suo conto e dei suoi aneddoti personali per capire il più possibile come sia la sua vita, vita a cui ambirei ma che non avrò mai, visto che ai miei ritardi "di vita" vanno sommati dei tratti sicuramente non sani (lei stessa mi ha parlato di possibilità di tratti bordeline, tratti bipolari e tratti narcisistici). E di certo rileggendo proprio adesso queste miei parole temo che il problema possa essere perfino più grave.
Non posso neanche più considerare questa situazione come un'idealizzazione, dato che non la considero priva di difetti, nè fisici, nè personali, nè professionali. L'integrazione delle imperfezioni però non la sminuisce ai miei occhi, anzi. Temendo il peggio, ho letto di storie di stalker e similari, ma almeno questo non mi riguarda perchè non troverei nessuna soddisfazione nel tentare di costringere e possedere l'altro. Per me è fondamentale che le cose si facciano in due. Questo aspetto è così forte che, seppur mi spetterebbe come voi stesse mi avete suggerito, non riesco nemmero a scriverle perchè mi sembrerebbe un modo per costringerla a vedermi, seppur si tratterebbe di regolari colloqui terapeutici. Per sua bontà d'animo e professionalità non mi respingerebbe, come avrebbe potuto fare già tempo fa. Ecco perchè spero sia lei a mostrare l'interesse per prima. Ma sto pensando anche se voi mi avete suggerito di farmi sentire è perchè sapete bene che in questi casi il terapeuta non muoverà un dito, per evitare, oltre i motivi detti prima, "scompensi" nelle fantasie del pz. Ma io da sempre sono ben consapevole dell'impossibilità di un mio partecipare alla sua vita. Sarei io stesso a rifiutarmi. Ciò nonostante il dolore rimane. E' dolore e basta, che non so come arginare. Per esempio il pensare a non vederla più, al fatto che andrà avanti con la sua vita è insostenibile per me. E' come aver visto che si può vivere in un certo modo, con una maturità e una contemporanea spensieratezza (includendo il campo sessuale) che mi ha colpito. Da questo modo di vivere mi sento escluso. Aver appreso questo direttamente da lei e la sua vita personale ha distrutto la mia autostima, già bassa in partenza e diventata nulla da diversi mesi ormai. Riconoscere che ho delle qualità non produce nessun effetto. Non è stato difficile per me razionalizzare l'idea del suicidio, che considero addirittura attraente certe volte. Mi sembra di resistere contro un malessere troppo grande. Ho cercato di fare leva sulla stima e sulla gratitudine che ho nei suoi confronti, ma non è servito, questi ultimi 20 giorni sono un disastro. Neanche nel sonno trovo pace, di tanto in tanto faccio incubi su di lei, sempre con gli stessi temi..paura di essere abbandonato, profonda invidia per la sua vita personale, umiliazione per provare un amore (è amore?) insensato, costruito artificialmente, dentro una stanza, a tempo determinato e sotto iniezioni economiche. Non riesco più a staccare il pensiero, mi basta guardare i segni che mi sono rimasti sulle mani per inquietarmi. E' imbarazzante, è una grande follia. Avevo iniziato la psicoterapia per tentare di sollevare quella cosa chiamata "qualità della vita". Incredibile, non pensavo fossi messo così male, fossi così malato

Vi chiedo un parere. Se mi forzassi a scriverle, l'ideale secondo me sarebbe continuare la terapia e attraverso lei stessa provare a cambiare questo stato mentale. Se smettessi di vederla adesso, resterei bloccato. Ho bisogno di pensarla come si pensa a un qualunque essere umano, o quasi. Ma se la verità è andare da uno psichiatra e bombardarmi di farmaci voglio saperlo. Sono qui per un parere esterno e autorevole, non basta quella della mia terapeuta che si trova nella scomoda posizione di essere sia la persona che si occupa del mio male sia l'oggetto in questione. Voi invece siete esterni alla vicenda. Mi verrebbe da scrivere aiuto, forse lo stare così paralizzato in questi giorni può essermi utile. Vi ringrazio
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Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
"un'eccessiva dipendenza dal terapeuta va risolta continuando il dialogo e dandosi tempo, o ci sono casi in cui l'unico rimedio è la separazione?"

Dipende caso per caso e che cosa intendiamo per "dipendenza". Diciamo che scopo ultimo della terapia è proprio fare in modo che il pz. non abbia più bisogno del terapeuta.

Cordialmente,
[#9]
Utente
Utente
Gentile Dr.essa Pileci,
cosa si intende per dipendenza credo lo possa desumere dai miei interventi. Ho usato più termini perchè non so quali di questi possa essere quello corretto, e in ogni caso a cosa servirebbe daparte mia?
Onestamente interpreto il suo non entrare nella questione come un brutto segno, ma forse in questo momento è meglio non fidarmi delle mie sensazioni. Cercherò di fare
la cosa giusta, grazie ancora.