Odio verso chi riceve pietismo
buonasera ho 20 anni e fin dall'infanzia provo una sensazione molto strana di cui mi vergogno quando ci penso (anche se non ci penso troppo spesso): in pratica ogni volta che mi imbatto in un soggetto (sempre aderente alla realtà, io odio la finzione, non mi interesserebbe) che ha ricevuto pietismo, cioè che ha rischiato di essere trattato male in passato o anche nel presente (ma per fortuna il maltrattamento non ha subito conseguenze gravi), e che successivamente riceve una commiserazione collettiva, come a dire "poverino, speriamo non gli facciano più nulla, nessuno lo tocchi", io mi riempio di forte rabbia; ma non direttamente nei confronti dei soggetti che operano tale pietismo, bensì nei confronti della persona compatita, così iperprotetta. ci sono due categorie di soggetti che, in particolare (ma non in modo esclusivo), considero "fastidiosamente indifesi": il primo gruppo sono i neonati di pochi mesi, il secondo gruppo sono i gatti particolarmente pelosi e/o grassi (non chiedetemi il perchè, in realtà non ho nulla contro le persone grasse, nè contro gli animali grassi in generale). precisando che so alla perfezione laddove evitare di mettere in pratica eventuali velleità del mio lato oscuro, so che se per esempio un bambino di 3 anni maltrattato mi fa davvero pena e sono contento se le persone lo traggono fuori dal contesto ostile e si prendono affettuosamente cura di lui, nel caso di un neonato di 4 mesi che viene trattato male, la mia sensazione è di sadismo (sia chiaro, contro i bambini non farei del male per niente al mondo, infatti provo solo una sensazione di disprezzo quasi violento, ma non provo impulsi all'azione), come se quel povero (me ne rendo conto) neonato meriti che chi lo bistratta o che comunque lo trascura, continui ad infierire senza che esistano quelle fastidiose "mani amorevoli" che sottraggono la vittima indifesa dai suoi aguzzini. (preciso anche che io nella quotidianità non sopporto i bambini e la mia soglia di sopportazione decresce al decrescere della loro età... non so come mai) la storia del gatto è ad esempio che un'amica mi ha raccontato di come è legata al suo gatto e di quanto si fosse dispiaciuta perchè quel gatto si fosse fatto male e fosse rimasto menomato... prefigurai all'istante nella testa che cercavo anche io di fare del male (seppur non gravemente, davo solo dei colpi in testa col palmo della mano) a quel gatto. quando il gatto guarì dalla menomazione, io fui tutto fuorchè contento (anzi...). vedo il volto di gatti come quello, così paffuti, così apparentemente poco svegli e ingenui, e se sento qualcuno che dice "poverino, che carino" ecc. (sia dopo un danno subito dall'animale, sia gratuitamente), io mi riempio di istinti aggressivi verso quel gatto (mentre nelle scene mentali con i neonati, essi soffrono per causa loro, io mi limito a NON soccorrerli). Non so bene cosa chiedere, ma magari potevate fare qualche analisi riguardo questa mostruosità che mi affligge. grazie a tutti in anticipo!
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Le cose che racconta sono abbastanza usuali nell'infanzia: una sorta di gelosa malevolenza verso il fratellino o cuginetto neonato coccolato da tutti proprio con le espressioni "pietistiche" che lei lamenta. A volte si mantengono in età adulta, ma nei casi a me noti questo atteggiamento copre un trauma subito nel passato. In altre parole, chi è irritato per le eccessive "coccole lamentose", chiamiamole così, riservate ad un lattante o un animale, dentro di sé teme larvatamente i essere stato ingiustamente privato di quelle stesse attenzioni. Non sempre questo corrisponde ad un'esperienza reale: il bisogno di supporto, tenerezza e amore è soggettivo. Valutando altri suoi messaggi a questo sito, mi chiedo se lei abbia già preso in considerazione l'idea di affidare ad un bravo terapeuta il carico delle sue preoccupazioni. A me sembrerebbe opportuno. Ci faccia avere notizie. Con molto auguri.
Prof.ssa Anna Potenza (RM) gairos1971@gmail.com
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Ex utente
Grazie mille!! Ho intenzione di rivolgermi ad uno psicoanalista ad orientamento freudiano... purtroppo non penso sia sufficiente limitarsi a sbrogliare le faccende legate alle contingenze e alla quotidianità per poter ritrovare un certo equilibrio, so come sono fatto io e credo mi sarebbe molto utile approcciarmi ai miei problemi tramite un'analisi e una rievocazione del mio passato... mi ritengo sufficientemente disponibile sia a "soffrire il necessario", come intermezzo verso una auspicata stabilità futura, sia ad attuare terapie (specie appunto quella psicoanalitica) che, posso prevedere, possono non dare chissà quali risultati nell'immediato. Lei, dottoressa, è d'accordo su questa preferenza che sento di avere? Cosa farebbe al mio posto, per quel poco che ha saputo di me? Scusi se abuso della sua pazienza! Cordiali saluti!
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Personalmente al suo posto contatterei telefonicamente diversi specialisti, dopo averne valutato i siti professionali, e ne incontrerei più d'uno per farmi dare un parere sul metodo più idoneo al caso, come pure sulla possibile durata, sul costo e sull'efficacia del trattamento. Oggi uno psicoterapeuta, pur non avendo la sfera di cristallo, è tenuto per legge a dare indicazioni di questo genere. Inoltre sempre più ci si orienta a conoscere e praticare una gamma di strategie terapeutiche. Valuti intanto quanto lei stesso è disponibile al cambiamento, allontanandosi dall'idea che la psicoanalisi va a fondo e le altre terapie si limitano a curare i sintomi lasciando intatto il problema. Con molti auguri.
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 4k visite dal 11/12/2017.
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