Depressione e consapevolezza dei meccanismi di autosabotaggio

Buonasera, ringrazio per questo spazio e per l’attenzione che vorrete darmi.
Sono una ragazza di 23 anni e da diversi mesi la mia vita è in standby. Ho interrotto gli studi universitari dopo un anno di specialistica per l’insoddisfazione che provavo a riguardo e da mesi non so cosa fare di me (studiare altro? un lavoro? ma cosa?). Passo le giornate nell’apatia, nel dubbio e l’angoscia; sono tornata a vivere dai miei dopo anni come fuori sede.
Mi basta un pensiero per avere le lacrime agli occhi, mi sono allontanata dagli amici, non parlo più con nessuno (se non con i miei genitori), non esco di casa, non riesco ad entusiasmarmi a nulla se non per ore o giornate di ossessione e poi di nuovo il nulla; mi trascino ogni giorno da una stanza all’altra, intrattenendomi con cose inutili o fissando il nulla con pensieri ossessivi. Ho spesso pensieri suicidi (non ho mai però fatto un tentativo).
Spesso ho la nausea, una mancanza di respiro, digerisco male i pasti, spesso non riesco ad addormentarmi per ore; ho pietà di me e mi odio allo stesso tempo. Mi dico: “sono depressa, ho bisogno di aiuto”, ma non riesco a reagire; annaspo, piango e poi mi sento vuota e indifferente.
Questi sono i miei comportamenti, però devo fare un’aggiunta per arrivare alla mia domanda.

Sono un tipo introspettivo e so di essere, se mi si permette l’analogia, sia il burattino che il burattinaio. Io penso, ma so anche di *voler* pensare ciò che penso, ovvero: i pensieri negativi non cadono dal cielo, ma sono la manifestazione di una volontà, consapevole o inconsapevole che sia. So di attuare continuamente meccanismi di autosabotaggio che in generale mi mettono i bastoni tra le ruote in ogni aspetto che ritengo importante della mia vita.
Secondo una riflessione razionale penso che per la “mia depressione” valga questo: se riesco a sfinirmi in un tour de force di sofferenza autoinflitta, riuscirò a convincermi di star davvero soffrendo, di essere malata, e se sono convinta io, gli altri lo saranno subito; se sono depressa non ho bisogno di dare spiegazione dei miei fallimenti, sono malata!
Il problema è che non riesco a fare a meno di avere comportamenti distruttivi, e non riesco a riprendere in mano la mia vita serenamente, scegliere al meglio per il mio futuro. Intanto il tempo mi sta scivolando di mano e ho paura di me, di quello che mi sto facendo.

Spero che sia tutto chiaro fin qua. La mia domanda è: è possibile che sia davvero depressa? Cioè, questo genere di ragionamenti… come chiamarli? Meta-patologici? Il mettere in dubbio le motivazioni per cui si sta male, la consapevolezza di essere i soli artefici della nostra “malattia”, essere convinti di starsi infliggendo la sofferenza da soli e dunque odiarsi per questo, è questa la depressione? Oppure il mio caso è qualcosa di diverso, io *voglio* stare male e quindi faccio sì che possa essere considerata depressa ma di fatto non lo sono?
Sinteticamente: tutte le depressioni sono autoinflitte?
Mi scuso per la lunga lettera.
[#1]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile ragazza,

intanto hai fatto bene a scrivere qui, perchè è un primo passo per fare luce sulla problematica e sul tuo disagio.

Mi pare, però, che il punto non sia tanto (o solo) la depressione, quanto una mancanza di controllo sugli stati emozionali che poi si riversa sulle scelte che compi.

Tu hai già provato a parlarne con il medico di base di questa situazione e di come stai? Se sì, che cosa ti ha suggerito?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
Attivo dal 2017 al 2017
Ex utente
La ringrazio per la risposta, per altro celerissima.
Sì, senza dubbio ho difficoltà nel gestire le mie emozioni. Credo di avere una mania di controllo e questa agisce anche e soprattutto sulle emozioni. Le situazioni inaspettate mi destabilizzano, le emozioni forti che gli altri mi provocano mi inibiscono; sono molto ansiosa.
Sono convinta che in generale il masochismo soddisfi la mania di controllo: il dolore autoinflitto è controllabile, ben definito e prevedibile, a differenza di quello che ci infliggono gli altri.
Probabilmente la zappa sui piedi che mi do da sola è concettualmente uguale (però nessuno in particolare mi sta facendo soffrire, anzi, i miei genitori sono persone stupende che mi vogliono bene e tutti gli amici che hanno provato ad aiutarmi l'hanno fatto con affetto e con buone intenzioni).
Forse potrebbe essere utile aggiungere che ho facilmente sensi di colpa e che sono estremamente critica nei miei confronti.

Non ho parlato a nessuno specialista o medico di tutto questo, pensa che un consulto psicologico sia indicato?
[#3]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Come tu stessa riconosci, questa è una strategia altamente disfunzionale: " il dolore autoinflitto è controllabile, ben definito e prevedibile, a differenza di quello che ci infliggono gli altri. "

Poi, ha perfettamente ragione sul fatto che apparentemente di sembra di avere un maggiore controllo sulla sofferenza; tuttavia ritengo senz'altro opportuna una consulenza psicologica da uno psicologo psicoterapeuta, proprio per capire ancora meglio cosa sta dietro a questa scelta strategica, ma soprattutto a cambiare, iniziando ad utilizzare strategie decisamente meno patologiche, meno disfunzionali, più sane e che ti permettano di elaborare la sofferenza senza che questa ti schiacci.

Inoltre, la sofferenza patologica deve essere eliminata perchè il lavoro dello psicoterapeuta consiste anche in questo; qualora ci fosse la sofferenza che fa parte della vita, allora bisogna imparare a gestirla, senza necessariamente eliminarla (gli eventi spiacevoli possono accadere a chiunque...).

Buona giornata,