Genitorialità, nonni, zia, educazione
Gentili tutti,
sono la madre di una bambina di 3 anni, serena e in buona salute. La famiglia di mio marito affronta da molti anni le conseguenze di un brutto incidente che ha reso la sorella invalida a una gamba nonché estremamente vulnerabile emotivamente. Un grande contributo al miglioramento del suo stato di salute proviene dalla nascita di mia figlia. Per la bambina abbiamo scelto il nome della zia, lei è la madrina di battesimo e la persona che accudisce la bambina durante i nostri orari di lavoro: al mattino porto la bambina a casa di suoceri/cognata (vivono insieme) e vado a riprenderla nel pomeriggio. Mia cognata da sempre è molto premurosa con la bambina: ad esempio, preparava in casa tutti gli omogeneizzati per lo svezzamento. La casa dei miei suoceri si è adeguata alle esigenze della bambina: mia suocera ha comparato i supporti necessari, dei vestiti di ricambio da farle indossare quando lì e attrezzato un'area giochi confortevole e nella quale la bambina trascorre piacevolmente il suo tempo. Io ho sempre però vissuto con disagio queste relazioni perché da principio le attenzioni di mia cognata sono stati eccessivi e, per quanto mi riguarda, diseducativi: ad esempio, la bambina riceve regali (giocattoli) tutti i giorni e qualsiasi richiesta faccia viene esaudita. Non solo: quando al pomeriggio vado a prendere mia figlia, le trovo nell'area giochi e mia cognata è sempre abbracciata alla bambina e in nessun caso interrompe le loro attività oppure la invita a venire da me per rientrare a casa. Io la lascio giocare un altro po' e poi poco alla volta inizio a chiederle di andare. Impiego mediamente 45 minuti prima di riuscire a convincerla a infilare le scarpe e poi uscire: seppure io dica alla bambina di andare, mia cognata continua a giocare con lei come se nulla fosse e a prenderle altri giochi se la bambina ne richiede. Inoltre, spesso, e in mia presenza, le parla nell'orecchio. In tutti questi anni non ho detto niente direttamente a mia cognata (se non richieste facili: non farle bere succo di frutta per pranzo oppure non farla entrare nella tua stanza impregnata di fumo di sigaretta, non comprarle giochi tutti i giorni - ma non sono stata mai ascoltata) e mi sono sempre rivolta a mio marito, il quale però non reputa eccessivo il comportamento della sorella e mi rimanda sempre ai suoi problemi e al bene che vuole alla nipote. Mi dice che dovrei tollerare di più, visti i benefici che in fondo traiamo da questa situazione. Io invece ho paura che queste relazioni, il mio disagio e la mia inibizione nel parlare in quella casa, il rapporto esclusivo-ossessivo che mia cognata ha costruito con la bambina e tutte le tensioni che sono a questo punto esplose, possano essere distruttive per mia figlia, che possa assorbirle e sentirsi disorientata, nei riferimenti, a maggior ragione quest'anno che ha iniziato la scuola (e con un po' di difficoltà). Non voglio che mia figlia diventi strumentale alla salute di mia cognata ma forse è troppo tardi.
sono la madre di una bambina di 3 anni, serena e in buona salute. La famiglia di mio marito affronta da molti anni le conseguenze di un brutto incidente che ha reso la sorella invalida a una gamba nonché estremamente vulnerabile emotivamente. Un grande contributo al miglioramento del suo stato di salute proviene dalla nascita di mia figlia. Per la bambina abbiamo scelto il nome della zia, lei è la madrina di battesimo e la persona che accudisce la bambina durante i nostri orari di lavoro: al mattino porto la bambina a casa di suoceri/cognata (vivono insieme) e vado a riprenderla nel pomeriggio. Mia cognata da sempre è molto premurosa con la bambina: ad esempio, preparava in casa tutti gli omogeneizzati per lo svezzamento. La casa dei miei suoceri si è adeguata alle esigenze della bambina: mia suocera ha comparato i supporti necessari, dei vestiti di ricambio da farle indossare quando lì e attrezzato un'area giochi confortevole e nella quale la bambina trascorre piacevolmente il suo tempo. Io ho sempre però vissuto con disagio queste relazioni perché da principio le attenzioni di mia cognata sono stati eccessivi e, per quanto mi riguarda, diseducativi: ad esempio, la bambina riceve regali (giocattoli) tutti i giorni e qualsiasi richiesta faccia viene esaudita. Non solo: quando al pomeriggio vado a prendere mia figlia, le trovo nell'area giochi e mia cognata è sempre abbracciata alla bambina e in nessun caso interrompe le loro attività oppure la invita a venire da me per rientrare a casa. Io la lascio giocare un altro po' e poi poco alla volta inizio a chiederle di andare. Impiego mediamente 45 minuti prima di riuscire a convincerla a infilare le scarpe e poi uscire: seppure io dica alla bambina di andare, mia cognata continua a giocare con lei come se nulla fosse e a prenderle altri giochi se la bambina ne richiede. Inoltre, spesso, e in mia presenza, le parla nell'orecchio. In tutti questi anni non ho detto niente direttamente a mia cognata (se non richieste facili: non farle bere succo di frutta per pranzo oppure non farla entrare nella tua stanza impregnata di fumo di sigaretta, non comprarle giochi tutti i giorni - ma non sono stata mai ascoltata) e mi sono sempre rivolta a mio marito, il quale però non reputa eccessivo il comportamento della sorella e mi rimanda sempre ai suoi problemi e al bene che vuole alla nipote. Mi dice che dovrei tollerare di più, visti i benefici che in fondo traiamo da questa situazione. Io invece ho paura che queste relazioni, il mio disagio e la mia inibizione nel parlare in quella casa, il rapporto esclusivo-ossessivo che mia cognata ha costruito con la bambina e tutte le tensioni che sono a questo punto esplose, possano essere distruttive per mia figlia, che possa assorbirle e sentirsi disorientata, nei riferimenti, a maggior ragione quest'anno che ha iniziato la scuola (e con un po' di difficoltà). Non voglio che mia figlia diventi strumentale alla salute di mia cognata ma forse è troppo tardi.
[#1]
Gentile utente,
il problema che pone è reale.
Ma ora che la bimba va alla scuola materna potrebbe essere in via di superamento.
E' stato l'inizio ad essere eccessivo, ritengo:
".. Per la bambina abbiamo scelto il nome della zia,
lei è la madrina di battesimo
e la persona che accudisce..."
e dunque è stato "legittimato" un attaccamento da parte della zia, da Lei valutato ora come eccessivo.
Ma nel frattempo è durato tre anni.
Che significa "..tutte le tensioni che sono a questo punto esplose.."? Cosa è avvenuto?
Non sarà facile porre confini,
se non ha Suo marito di supporto.
Ma sarebbe necessario.
Legga con attenzione queste due News, titolate "nonni" dove Lei pensi "cognata":
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/5395-genitori-nonni-guerra-o-pace.html
https://www.medicitalia.it/news/psicologia/5382-nonni-nipoti-la-legge-li-tutela-e-la-psicologia.html
Cosa Le "dicono"?
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Utente
Gentile dottoressa,
grazie per la risposta. Inizio con la sua domanda su cosa è successo: la bambina ha compiuto 3 anni e iniziato la scuola dell'infanzia. La scuola (pubblica) non ha previsto un vero e proprio inserimento: il primo giorno sono stata con lei in classe e ci siamo trattenute circa 1 ora e già il 2 giorno ci hanno fatto uscire, lasciando i bambini (più o meno tutti) in lacrime. La bambina ha continuato a frequentarla (salvo qualche assenza a causa di malattie dell'età) ma piangendo all'ingresso e poi all'uscita. Durante il resto della giornata si mostrava abbastanza preoccupata e chiedeva spesso "ora andiamo a scuola?" "la scuola è chiusa?" "non voglio andarci mai più". Fino a qui tutto regolare fin quando, anche a seguito di prelievo del sangue a cui abbiamo dovuto sottoporla per necessità (cercavamo conferma allergia che le causa tosse asmatica) e che le ha procurato altro stress, ha avuto una "crisi": non voleva mai lasciarmi, aveva paura di uscire di casa, crisi di pianto isterico quando provavo ad allontanarmi, non voleva andare soprattutto a casa della zia (non senza di me, almeno). Mi chiedeva a volte "ma casa di zia non è scuola?". Anche con consiglio del pediatra abbiamo optato per qualche giorno di decompressione: ho preso qualche giorno di malattia e sono stata a casa con lei, senza scuola, senza forzature di alcun tipo. Si è ripresa (da 3 giorni rientrata a scuola: non piange, non chiede insistentemente della scuola, sembra serena). Poco alla volta abbiamo provato a "rieducarla" alle sue abitudini (tra le quali il vasino: chiedeva il pannolino di nuovo) e gradualmente è rientrata anche a casa dei nonni/zia con tranquillità. Quello che ha destato in me preoccupazione è la reazione di mio marito e della sua famiglia: mia cognata è caduta in una specie di depressione perché ha creduto avere perso il rapporto con la nipote; la nonna veniva a casa tutti i giorni dicendole "domani vieni a casa?" "zia ti aspetta" "ieri mi hai promesso saresti venuta, perché non sei venuta più?". La bambina una volta mi ha chiesto "ma zia si è dispiaciuta?" e una sera l'ho sorpresa che diceva al suo bambolotto "perché non vuoi andare a casa della zia?". Io sono stata accusata (da mio marito) di avere gestito male la scuola: sono sempre andata ad accompagnarla io e a prenderla io all'uscita e secondo lui ho escluso da un momento delicato della vita della bambina un altro riferimento importante (la zia) e questo ha fatto crollare le certezze/abitudini di mia figlia tutte insieme. I miei suoceri suggerivano di non mandarla più a scuola: prioritario era recuperare il rapporto con la zia ("che fa bene anche alla bambina" mi ha detto). Io mi sono trovata sola, colpevole e con sulle spalle due rischi grossissimi da gestire: la crisi di mia figlia e l'equilibrio precario di mia cognata. Non ce l'ho fatta, non ho retto e ho sfogato tutto su mio marito, non appena la bambina fosse a letto a dormire. Ora io sto provando a mettere degli argini ma non riesco: la bambina dopo scuola frequenta casa dei nonni serenamente e quando vado a prenderla un po' in anticipo (prima arrivavo per le 18:30; ora sto provando alle 17:30) si ripropone la solita routine (quella a cui accennavo nel primo messaggio) e mia suocera e mio marito mi dicono che dipende solo dalla necessità, della bambina, di cambiare i suoi ritmi un po' alla volta. Il comportamento di mia cognata non è mai problematizzato. Nei giorni a casa ho proposto a mia figlia di giocare "a fare la scuola" con le sue bambole: ora è il suo gioco preferito. Lei nel ruolo di maestra e io (o il padre) nel ruolo di genitore che accompagna i piccoli a scuola. Alle sue verbalizzazioni "ciao bambolotto, ora sei a scuola, mamma ti aspetta nel giardino" (che è quello io le dicevo per rassicurarla sulla mia assenza in classe) il padre aggiungeva sempre "sai che anche i nonni o le zie possono aspettare in giardino?". Ora la bambina gioca allo stesso modo ma a turno immagina che ad accompagnare il bambolotto sia la madre, il padre, la zia, il nonno. Poiché, inoltre, ho ripreso regolarmente anche io il lavoro, riesco solo ad accompagnarla al mattino e alle 12 va la zia. La attuale (e speriamo duratura) serenità della bambina nell'affrontare questo nuovo ingresso a scuola mi mette un po' in crisi e mi lascia insicura: e se avesse avuto ragione il padre e fin dall'inizio, a prenderla, fosse andata la zia? Forse avremmo evitato l'esplosione di questa bomba.
Ho letto i post ai due link: grazie. Leggerli mi aiuta a comprendere diverse cose: l'incapacità di mio marito di "slegarsi" dalla sua famiglia d'origine; la presunzione dei miei suoceri nel proseguire senza limiti di tempo nel proprio ruolo di genitore; la presenza ingombrante di mia cognata; le mie insicurezze di genitore che incidono fortemente nella costruzione del mio rapporto con la famiglia di origine di mio marito, da quando è nata la bambina. Sono consapevole della ricchezza delle relazioni con i nonni e con zii e zie: ho trascorso anche io la mia infanzia a contatto con le famiglie rispettive dei miei genitori. è un tempo prezioso, ricordi bellissimi. Ma le regole, la volontà era quella dei miei genitori. Che pure hanno fatto degli errori, è chiaro. Questo per dire io non voglio allontanarli dalla vita di mia figlia (peggio dopo averli introdotti nella sua vita in modo così pervasivo) ma ho lo stesso necessità di sentirmi libera di comportarmi con lei come meglio ritengo. E libera di sbagliare, anche. Le istruzioni, in fondo, non le ha nessuno.
grazie per la risposta. Inizio con la sua domanda su cosa è successo: la bambina ha compiuto 3 anni e iniziato la scuola dell'infanzia. La scuola (pubblica) non ha previsto un vero e proprio inserimento: il primo giorno sono stata con lei in classe e ci siamo trattenute circa 1 ora e già il 2 giorno ci hanno fatto uscire, lasciando i bambini (più o meno tutti) in lacrime. La bambina ha continuato a frequentarla (salvo qualche assenza a causa di malattie dell'età) ma piangendo all'ingresso e poi all'uscita. Durante il resto della giornata si mostrava abbastanza preoccupata e chiedeva spesso "ora andiamo a scuola?" "la scuola è chiusa?" "non voglio andarci mai più". Fino a qui tutto regolare fin quando, anche a seguito di prelievo del sangue a cui abbiamo dovuto sottoporla per necessità (cercavamo conferma allergia che le causa tosse asmatica) e che le ha procurato altro stress, ha avuto una "crisi": non voleva mai lasciarmi, aveva paura di uscire di casa, crisi di pianto isterico quando provavo ad allontanarmi, non voleva andare soprattutto a casa della zia (non senza di me, almeno). Mi chiedeva a volte "ma casa di zia non è scuola?". Anche con consiglio del pediatra abbiamo optato per qualche giorno di decompressione: ho preso qualche giorno di malattia e sono stata a casa con lei, senza scuola, senza forzature di alcun tipo. Si è ripresa (da 3 giorni rientrata a scuola: non piange, non chiede insistentemente della scuola, sembra serena). Poco alla volta abbiamo provato a "rieducarla" alle sue abitudini (tra le quali il vasino: chiedeva il pannolino di nuovo) e gradualmente è rientrata anche a casa dei nonni/zia con tranquillità. Quello che ha destato in me preoccupazione è la reazione di mio marito e della sua famiglia: mia cognata è caduta in una specie di depressione perché ha creduto avere perso il rapporto con la nipote; la nonna veniva a casa tutti i giorni dicendole "domani vieni a casa?" "zia ti aspetta" "ieri mi hai promesso saresti venuta, perché non sei venuta più?". La bambina una volta mi ha chiesto "ma zia si è dispiaciuta?" e una sera l'ho sorpresa che diceva al suo bambolotto "perché non vuoi andare a casa della zia?". Io sono stata accusata (da mio marito) di avere gestito male la scuola: sono sempre andata ad accompagnarla io e a prenderla io all'uscita e secondo lui ho escluso da un momento delicato della vita della bambina un altro riferimento importante (la zia) e questo ha fatto crollare le certezze/abitudini di mia figlia tutte insieme. I miei suoceri suggerivano di non mandarla più a scuola: prioritario era recuperare il rapporto con la zia ("che fa bene anche alla bambina" mi ha detto). Io mi sono trovata sola, colpevole e con sulle spalle due rischi grossissimi da gestire: la crisi di mia figlia e l'equilibrio precario di mia cognata. Non ce l'ho fatta, non ho retto e ho sfogato tutto su mio marito, non appena la bambina fosse a letto a dormire. Ora io sto provando a mettere degli argini ma non riesco: la bambina dopo scuola frequenta casa dei nonni serenamente e quando vado a prenderla un po' in anticipo (prima arrivavo per le 18:30; ora sto provando alle 17:30) si ripropone la solita routine (quella a cui accennavo nel primo messaggio) e mia suocera e mio marito mi dicono che dipende solo dalla necessità, della bambina, di cambiare i suoi ritmi un po' alla volta. Il comportamento di mia cognata non è mai problematizzato. Nei giorni a casa ho proposto a mia figlia di giocare "a fare la scuola" con le sue bambole: ora è il suo gioco preferito. Lei nel ruolo di maestra e io (o il padre) nel ruolo di genitore che accompagna i piccoli a scuola. Alle sue verbalizzazioni "ciao bambolotto, ora sei a scuola, mamma ti aspetta nel giardino" (che è quello io le dicevo per rassicurarla sulla mia assenza in classe) il padre aggiungeva sempre "sai che anche i nonni o le zie possono aspettare in giardino?". Ora la bambina gioca allo stesso modo ma a turno immagina che ad accompagnare il bambolotto sia la madre, il padre, la zia, il nonno. Poiché, inoltre, ho ripreso regolarmente anche io il lavoro, riesco solo ad accompagnarla al mattino e alle 12 va la zia. La attuale (e speriamo duratura) serenità della bambina nell'affrontare questo nuovo ingresso a scuola mi mette un po' in crisi e mi lascia insicura: e se avesse avuto ragione il padre e fin dall'inizio, a prenderla, fosse andata la zia? Forse avremmo evitato l'esplosione di questa bomba.
Ho letto i post ai due link: grazie. Leggerli mi aiuta a comprendere diverse cose: l'incapacità di mio marito di "slegarsi" dalla sua famiglia d'origine; la presunzione dei miei suoceri nel proseguire senza limiti di tempo nel proprio ruolo di genitore; la presenza ingombrante di mia cognata; le mie insicurezze di genitore che incidono fortemente nella costruzione del mio rapporto con la famiglia di origine di mio marito, da quando è nata la bambina. Sono consapevole della ricchezza delle relazioni con i nonni e con zii e zie: ho trascorso anche io la mia infanzia a contatto con le famiglie rispettive dei miei genitori. è un tempo prezioso, ricordi bellissimi. Ma le regole, la volontà era quella dei miei genitori. Che pure hanno fatto degli errori, è chiaro. Questo per dire io non voglio allontanarli dalla vita di mia figlia (peggio dopo averli introdotti nella sua vita in modo così pervasivo) ma ho lo stesso necessità di sentirmi libera di comportarmi con lei come meglio ritengo. E libera di sbagliare, anche. Le istruzioni, in fondo, non le ha nessuno.
[#3]
Gentile utente,
grande lucidità nell'analisi e nelle decisioni prese.
Se però
- nella negoziazione con i parenti acquisiti si sentisse troppo insicura,
- nella relazione col marito si sentisse poco "accogliente" ( https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3332-mamma-e-amante.html )
chieda aiuto - di persona - ad una nostra/o Collega che sia anche psicoterapeuta.
Confrontarsi aiuta a chiarirsi,
a prendere le distanze, quelle "giuste",
a capire.
E dunque a intraprendere le azioni più giuste nella circostanza specifica.
Se ritiene, ci tenga aggiornati.
Cari saluti.
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 5.1k visite dal 08/11/2017.
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