Fobia sociale ed evitamento (isolamento sociale)
Buonasera dottori,
torno a scrivere su questo sito per cercare di inquadrare, per quanto possibile, cosa sto vivendo.
Premetto che sto seguendo una terapia cognitivo-comportamentale da maggio 2017, con una dottoressa molto brava ma, a volte, troppo “diretta” e quest’ultima sua caratteristica mi crea un po’ di disagio. Mi spiego meglio.
Mi sono rivolta a lei per una problematica riguardante la separazione affettiva dalla mia ex, da me non correttamente elaborata nonostante fossero passati diversi anni. Per porre rimedio a tale disagio, la dottoressa mi consigliò di iniziare una terapia con la tecnica EMDR, che portò i suoi risultati. Dico portò perché mi è capitato di incrociare la mia ex in questi giorni e, nonostante lei non mi abbia nemmeno visto, sul momento ho provato un forte colpo al petto e un’ansia molto forte. Ogni tanto mi capita di ripensare a lei e non so se il processo di elaborazione sia stato davvero completato fino in fondo.
In secondo luogo, la diagnosi di ansia sociale con isolamento (quasi disturbo evitante di personalità) che mi è stata fatta in seguito alle mie descrizioni di disagio nei contesti sociali. Per risolvere tale disturbo, mi sono stati “prescritti” degli esercizi (inizialmente “semplici”) di contatto con nuove persone che sono riuscito a fare, fino ad arrivare (visto che questi ultimi non avevano portato a grandi risultati) agli esercizi “anti-vergogna” come salutare uno sconosciuto, andare in giro con scarpe diverse, chiedere più volte indicazioni stradali ad uno sconosciuto e così via. Purtroppo però, su questi ho trovato molte difficoltà e non sono riuscito a dirlo alla dottoressa poiché quando le riferì che avevo avuto molto timore nel fare uno di questi esercizi, lei se la “prese” molto. Questo mi ha portato a dirle delle bugie in terapia e ora non so come muovermi. In sostanza, le ho descritto gli esercizi come se li avessi fatti ma in realtà non ho fatto altro che evitarli e lei era molto sollevata dal fatto che avessi trovato la forza di eseguirli. Ora mi trovo in un vicolo cieco, come posso dirglielo?
Per questo mi sono sorti dei dubbi sulla reale efficacia di questa terapia. Bisogna anche dire che, grazie a lei ho ripreso gli studi universitari (proprio questo affascinante materia), sono riuscito a rimettermi a dieta e a perdere parecchi kg grazie alla corsa che non praticavo ormai da anni, a stare un pochino meglio con me stesso. Ma i problemi “grossi” mi sembrano siano rimasti. So quanto il rapporto di fiducia tra terapeuta e paziente sia fondamentale, ma ho avuto davvero molto timore a ripeterle che quell’esercizio (nel dettaglio, quello relativo a salutare uno sconosciuto) non lo avevo fatto. E mi dispiace anche molto di questo. In più, il mio isolamento sociale invece che migliorare sta peggiorando. Esco pochissimo e quando rimango a casa provo un’immensa tristezza che mi porta ad andare a letto e cercare di dormire il prima possibile.
I miei dubbi sono sensati dopo questi mesi di terapia? È normale avere “paura” del terapeuta, o meglio del giudizio che egli può fare su di noi?
In più, non la rivedrò fino ad inizio mese prossimo (causa maternità) e ci sentiamo per mail una volta a settimana per raccontarle come è andato il nuovo esercizio che lei di settimana in settimana mi affida. Ho già mentito una volta, non vorrei mentire ancora.
Grazie.
torno a scrivere su questo sito per cercare di inquadrare, per quanto possibile, cosa sto vivendo.
Premetto che sto seguendo una terapia cognitivo-comportamentale da maggio 2017, con una dottoressa molto brava ma, a volte, troppo “diretta” e quest’ultima sua caratteristica mi crea un po’ di disagio. Mi spiego meglio.
Mi sono rivolta a lei per una problematica riguardante la separazione affettiva dalla mia ex, da me non correttamente elaborata nonostante fossero passati diversi anni. Per porre rimedio a tale disagio, la dottoressa mi consigliò di iniziare una terapia con la tecnica EMDR, che portò i suoi risultati. Dico portò perché mi è capitato di incrociare la mia ex in questi giorni e, nonostante lei non mi abbia nemmeno visto, sul momento ho provato un forte colpo al petto e un’ansia molto forte. Ogni tanto mi capita di ripensare a lei e non so se il processo di elaborazione sia stato davvero completato fino in fondo.
In secondo luogo, la diagnosi di ansia sociale con isolamento (quasi disturbo evitante di personalità) che mi è stata fatta in seguito alle mie descrizioni di disagio nei contesti sociali. Per risolvere tale disturbo, mi sono stati “prescritti” degli esercizi (inizialmente “semplici”) di contatto con nuove persone che sono riuscito a fare, fino ad arrivare (visto che questi ultimi non avevano portato a grandi risultati) agli esercizi “anti-vergogna” come salutare uno sconosciuto, andare in giro con scarpe diverse, chiedere più volte indicazioni stradali ad uno sconosciuto e così via. Purtroppo però, su questi ho trovato molte difficoltà e non sono riuscito a dirlo alla dottoressa poiché quando le riferì che avevo avuto molto timore nel fare uno di questi esercizi, lei se la “prese” molto. Questo mi ha portato a dirle delle bugie in terapia e ora non so come muovermi. In sostanza, le ho descritto gli esercizi come se li avessi fatti ma in realtà non ho fatto altro che evitarli e lei era molto sollevata dal fatto che avessi trovato la forza di eseguirli. Ora mi trovo in un vicolo cieco, come posso dirglielo?
Per questo mi sono sorti dei dubbi sulla reale efficacia di questa terapia. Bisogna anche dire che, grazie a lei ho ripreso gli studi universitari (proprio questo affascinante materia), sono riuscito a rimettermi a dieta e a perdere parecchi kg grazie alla corsa che non praticavo ormai da anni, a stare un pochino meglio con me stesso. Ma i problemi “grossi” mi sembrano siano rimasti. So quanto il rapporto di fiducia tra terapeuta e paziente sia fondamentale, ma ho avuto davvero molto timore a ripeterle che quell’esercizio (nel dettaglio, quello relativo a salutare uno sconosciuto) non lo avevo fatto. E mi dispiace anche molto di questo. In più, il mio isolamento sociale invece che migliorare sta peggiorando. Esco pochissimo e quando rimango a casa provo un’immensa tristezza che mi porta ad andare a letto e cercare di dormire il prima possibile.
I miei dubbi sono sensati dopo questi mesi di terapia? È normale avere “paura” del terapeuta, o meglio del giudizio che egli può fare su di noi?
In più, non la rivedrò fino ad inizio mese prossimo (causa maternità) e ci sentiamo per mail una volta a settimana per raccontarle come è andato il nuovo esercizio che lei di settimana in settimana mi affida. Ho già mentito una volta, non vorrei mentire ancora.
Grazie.
[#1]
Gentile Utente,
con tutti i limiti del consulto on line, non conosco quale utilità possa mai avere quella di salutare un perfetto sconosciuto per strada e sinceramente io non lo farei...!
Ma l'aspetto più inquietante è quello legato alla paura di parlare con il terapeuta: che senso ha la terapia se un pz ha addirittura paura di parlare con chi dovrebbe aiutarlo?
Inoltre, quando il terapeuta Le avrebbe prescritto tali "esercizi", Lei non ha chiesto quali fossero gli obiettivi terapeutici? Il terapeuta non glielo ha detto?
Quali sono gli obiettivi terapeutici?
con tutti i limiti del consulto on line, non conosco quale utilità possa mai avere quella di salutare un perfetto sconosciuto per strada e sinceramente io non lo farei...!
Ma l'aspetto più inquietante è quello legato alla paura di parlare con il terapeuta: che senso ha la terapia se un pz ha addirittura paura di parlare con chi dovrebbe aiutarlo?
Inoltre, quando il terapeuta Le avrebbe prescritto tali "esercizi", Lei non ha chiesto quali fossero gli obiettivi terapeutici? Il terapeuta non glielo ha detto?
Quali sono gli obiettivi terapeutici?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 2.1k visite dal 14/10/2017.
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