Depressione da studio

Buongiorno. Mio figlio ha iniziato da poco a farsi aiutare da uno psicologo poiché vive male l'università da circa un anno. Riesce bene negli studi ma ha una visione pessimistica del percorso scolastico (ha dato in due anni metà esami con buoni risultati) e del futuro. Gli è stata ventilata la possibilità, nel caso le sedute non bastassero, di ricorrere ai farmaci. Potrebbe smettere gli studi ma pare che questa sia solo la causa scatenante. Voi cosa mi consigliate? Grazie
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Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
Gentile mamma,

è difficile parlare di un "terzo" che qui non si è espresso..

Suo figlio è già in terapia, e dunque ha già uno specialista che si occupa di lui.

Una visita psichiatrica servirebbe a verificare l'utilità o necessità dei farmaci, ma lasciamo prima che lo psicologo (è anche psicoterapeuta, vero?) abbia il tempo di fare il proprio lavoro.

L'ansia materna non facilita il percorso del figlio, che può anzi sentirsi in colpa per le preoccupazioni che causa.

Saluti cordiali.

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

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Dr. Ermanno Moscatelli Psicologo, Psicoterapeuta 14
Gentile utente,
la situazione descritta per tuo figlio non è purtroppo rara ed è spesso associata (secondo le più diffuse interpretazioni) ad una serie di fattori sociali cui solo in parte la rete familiare è in grado di rispondere efficacemente.
A prescindere da questo ritengo che sia opportuno valutare INSIEME (figlio e genitori) quanto la scelta universitaria sia stata libera in quanto può succedere che involontariamente (ed inconsapevolmente) i genitori inducano i propri figli verso scelte che questi non sentono proprie con la conseguenza di sentirsi o costretti o inadeguati ... ed entrambe le situazioni non sono di benessere!
Questo tende ad associarsi a tutte le difficoltà che il passaggio all'università inevitabilmente implica (oggi più che in passato per fattori socioculturali su cui non mi dilungo ma che sono i medesimi alla base del fenomeno NEET).
Questo non significa ovviamente che tuo figlio debba lasciare o cambiare università e neanche soprattutto che voi, come genitori, dobbiate in qualche modo "tirarvi indietro": si tratta solamente di condividere la scelta e supportare in modo adeguato vostro figlio che non è certamente più un adolescente ma evidentemente non è, come gran parte dei suoi coetanei, del tutto adulto.
Non vorrei spaventarvi ma la ricerca sociologica ci suggerisce che l'adolescenza (ovvero il periodo di più difficile gestione del rapporto genitori-figli) si sta allungando a dismisura ... quindi buon lavoro!

Se il/la collega che lo sta seguendo sta ipotizzando un uso di farmaci (suppongo dopo essersi confrontato/a con uno psichiatra!) evidentemente ha notato segni che indicano come le sole risorse personali del ragazzo non siano più sufficienti e quindi, ragione di più, un coinvolgimento attivo della rete familiare mi sembra un tentativo da fare.

saluti

Ermanno Moscatelli, Ph.D.
psicologo psicoterapeuta

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Utente
Utente
Grazie per le sollecite risposte. Probabilmente il mio malessere, dovuto al fatto che lo vedo star male, influisce negativamente sulla sua situazione. Cercherò di non trasmettergli ulteriore ansia..... saluti