Voglio capire cosa debbo fare
Il mio precedente consulto è stato rigettato in psichiatria senza nemmeno un commento. So che ciò è stato fatto per il mio interesse, ma sinceramente sono anche stanco di cercare di intuire il volere altrui e di essere rigettato.
Vivo l'abbandono malamente da quando mio padre mi ha rifiutato e ho comunque una vita solitaria dove i rapporti con gli altri, anche le amicizie più strette, le sento sempre insufficienti poco "calorose".
Io voglio capire cosa debbo fare, se sto sbagliando terapia o se forse è davvero la mia situazione a essere irrisolvibile (anche sapere questo aiuta quantomeno a evitare sforzi inutili, gli sforzi stancano e rubano pesanti energie).
Non prendo farmaci e non ho intenzione di prenderne altri, hanno già fatto per me e mi rendo conto che sono stati utili all'inizio ma poi la loro efficacia si è scontrata col muro dei miei problemi reali e della mia vita. Anche il mio attuale psicologo ha iniziato a convenire con la cosa.
Voglio però capire, ed è su questo che vi chiedo il parere, se forse l'attuale psicoterapia si sta rivelando inutile dal momento che non mi genera benessere ne mi permette di operare.
Sto sempre male per non essermi goduto i 20 anni, ora che ne ho 30 vedo la vita attuale e non mi piace, non vedo prospettive allettanti è come se vedo la vita che mi aspetta d'ora in poi con un continuo confronto con quella dei giovani, con la loro spensieratezza, con le rughe che non ci sono ancora e quando ho l'opportunità di conoscere una ragazza mia coetanea (sono ancora vergine, per problemi di famiglia ed educazione ricevuta oltre che di mio basso coraggio) questa non mi piace. Quasi ne faccio più un discorso di età che di tutto il resto.
Ho provato a parlare col terapeuta di queste cose, da anni, anche con terapeuti precedenti. Sembra che il problema in questione, la paura di non poter aver più rapporti con ragazze giovani (che ho forse da quando avevo 24 anni e iniziai a preoccuparmi per l'età) è come non sia mai stata affrontata a dovere.
Non so come si "affronta" questo problema in terapia solo sento che non è mai stato affrontato e negli anni sta peggiorando anche perché io invecchio e le donne che potenzialmente non potrei più avere aumentano.
La mia condizione familiare ha pesato sicuramente, eppure dentro di me sento come se è questo il vero problema che non è mai stato affrontato. Sento come se anche se riuscissi a trovare una donna il problema rimarrebbe, il senso di mancanza di affetto anche.
E' una sensazione bruttissima che non mi fa smettere di chiedere aiuto a nessuno, anche quando un mio consulto viene rimandato in psichiatria. A me non interessa sentire nomi di molecole o altro, voglio risolvere i miei problemi a questo punto diventati esistenziali (o forse lo sono sempre stati).
Nella mia mente riecheggiano costantemente ricordi di occasioni perse, di ragazze giovani non mie e che forse mi hanno fatto perdere tempo con pensieri invece che con azioni.
Poi c'è il problema università...
Vivo l'abbandono malamente da quando mio padre mi ha rifiutato e ho comunque una vita solitaria dove i rapporti con gli altri, anche le amicizie più strette, le sento sempre insufficienti poco "calorose".
Io voglio capire cosa debbo fare, se sto sbagliando terapia o se forse è davvero la mia situazione a essere irrisolvibile (anche sapere questo aiuta quantomeno a evitare sforzi inutili, gli sforzi stancano e rubano pesanti energie).
Non prendo farmaci e non ho intenzione di prenderne altri, hanno già fatto per me e mi rendo conto che sono stati utili all'inizio ma poi la loro efficacia si è scontrata col muro dei miei problemi reali e della mia vita. Anche il mio attuale psicologo ha iniziato a convenire con la cosa.
Voglio però capire, ed è su questo che vi chiedo il parere, se forse l'attuale psicoterapia si sta rivelando inutile dal momento che non mi genera benessere ne mi permette di operare.
Sto sempre male per non essermi goduto i 20 anni, ora che ne ho 30 vedo la vita attuale e non mi piace, non vedo prospettive allettanti è come se vedo la vita che mi aspetta d'ora in poi con un continuo confronto con quella dei giovani, con la loro spensieratezza, con le rughe che non ci sono ancora e quando ho l'opportunità di conoscere una ragazza mia coetanea (sono ancora vergine, per problemi di famiglia ed educazione ricevuta oltre che di mio basso coraggio) questa non mi piace. Quasi ne faccio più un discorso di età che di tutto il resto.
Ho provato a parlare col terapeuta di queste cose, da anni, anche con terapeuti precedenti. Sembra che il problema in questione, la paura di non poter aver più rapporti con ragazze giovani (che ho forse da quando avevo 24 anni e iniziai a preoccuparmi per l'età) è come non sia mai stata affrontata a dovere.
Non so come si "affronta" questo problema in terapia solo sento che non è mai stato affrontato e negli anni sta peggiorando anche perché io invecchio e le donne che potenzialmente non potrei più avere aumentano.
La mia condizione familiare ha pesato sicuramente, eppure dentro di me sento come se è questo il vero problema che non è mai stato affrontato. Sento come se anche se riuscissi a trovare una donna il problema rimarrebbe, il senso di mancanza di affetto anche.
E' una sensazione bruttissima che non mi fa smettere di chiedere aiuto a nessuno, anche quando un mio consulto viene rimandato in psichiatria. A me non interessa sentire nomi di molecole o altro, voglio risolvere i miei problemi a questo punto diventati esistenziali (o forse lo sono sempre stati).
Nella mia mente riecheggiano costantemente ricordi di occasioni perse, di ragazze giovani non mie e che forse mi hanno fatto perdere tempo con pensieri invece che con azioni.
Poi c'è il problema università...
[#1]
Gentile Utente,
per rispondere nel merito, posso chiedere che tipo di psicoterapia sta facendo, con quali obiettivi e quali risultati ha ottenuto fin qui?
Vuole spiegare meglio che cosa intende per "rifiuto" da parte del papà? Questo tema è stato affrontato bene e approfondito in terapia? Con quali conclusioni?
Quale diagnosi è stata posta dal terapeuta?
per rispondere nel merito, posso chiedere che tipo di psicoterapia sta facendo, con quali obiettivi e quali risultati ha ottenuto fin qui?
Vuole spiegare meglio che cosa intende per "rifiuto" da parte del papà? Questo tema è stato affrontato bene e approfondito in terapia? Con quali conclusioni?
Quale diagnosi è stata posta dal terapeuta?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Utente
"per rispondere nel merito, posso chiedere che tipo di psicoterapia sta facendo, con quali obiettivi e quali risultati ha ottenuto fin qui?"
La psicoterapia attuale non ha precisamente un orientamento. Il terapeuta si è specializzato come "sistemico" poi ha lavorato in un centro cognitivo-comportamentale, ecc. quindi di tipo misto, comunque non terapia del profondo tipo psicodinamico.
Ho fatto in passato due anni al CSM da terapeuta psicodinamico, poi un breve periodo presso una junghiana (me ne sono scappato perché mi sentivo solo più sensi di colpa) e poi sei mesi di cognitivo comportamentale. Il tutto senza risultati, anche perché non prendevo farmaci e stavo davvero molto male.
Ora da due anni di terapia gli obbiettivi quelli ancora nessun risultato (dopo 5 anni se consideriamo anche le altre terapie) e per obbiettivi intendo:
1 laurearmi e ricostruirmi una carriera
2 avere rapporti sessuali e trovare relazioni con donne (sono vergine ripeto)
3 si è aggiunto solo negli ultimi anni, trovare la pace col pensiero che ho perso i miei 20 anni, gli anni più belli, deprimendomi, arrabbiandomi, soffrendo come un cane e senza provare emozioni vere e belle.
"Vuole spiegare meglio che cosa intende per "rifiuto" da parte del papà? Questo tema è stato affrontato bene e approfondito in terapia? Con quali conclusioni?"
Ho scritto diverse volte su questo sito e se vuole può rivedere il mio storico. DI base mio padre diagnosticatogli il diabete ha deciso di fare (parole sue) come Sansone coi filistei, distruggendo la sua carriera, la famiglia, i risparmi e tutto questo per fare dispetti al mondo intero e alle persone che ama.
Ho vissuto, e questa è l'espressione che uso spesso perché rende meglio l'idea, un TRAUMA SURREALE. Neanche io ancora oggi riesco a capacitarmi di una logica, di un perché di cosa mi sia successo. So solo che non ho mai visto neanche per raccontato una cosa del genere e ne soffro anche assieme a mia madre per la poca comprensione altrui. Mio padre mi odia e preferirebbe non rivedermi mai più, e questa non è la solita storia di bambini odiati dai padri di cui mi rendo conto il mondo purtroppo è pieno: perché mio padre non era così prima. Era sicuramente un genitore molto imperfetto, faceva molte liti ecc. ma poteva tranquillamente invecchiare come i tanti genitori imperfetti, invece si è trasformato da "semplice" pessimo genitore a demonio in carne ed ossa.
C'è poco da approfondire in terapia di ciò se non tirare avanti e almeno dal punto di vista di ciò che ha fatto mio padre sento di aver superato. Non credo sia merito della terapia ma del tempo che comunque è passato, la terapia è stata più supporto che altro. Il problema oggi, cosa anche questa che dico sempre, sono gli "strascichi", ovvero ciò che questa situazione mi ha lasciato: una carriera universitaria fallita, una vita relazionale a 30 anni peggiore di un dodicenne e senza tutti gli anni d'avanti, un forte senso di lutto per il passato non vissuto.
"Quale diagnosi è stata posta dal terapeuta?"
Bella domanda. Non c'è mai stata che io sappia una precisa diagnosi, se c'è stata è sempre cambiata e non l'ho mai capita.
Secondo me non si può parlare di diagnosi per la mia storia, o meglio l'unica diagnosi sarebbe "vita di m."
Chi non ne soffrirebbe insomma?
La psicoterapia attuale non ha precisamente un orientamento. Il terapeuta si è specializzato come "sistemico" poi ha lavorato in un centro cognitivo-comportamentale, ecc. quindi di tipo misto, comunque non terapia del profondo tipo psicodinamico.
Ho fatto in passato due anni al CSM da terapeuta psicodinamico, poi un breve periodo presso una junghiana (me ne sono scappato perché mi sentivo solo più sensi di colpa) e poi sei mesi di cognitivo comportamentale. Il tutto senza risultati, anche perché non prendevo farmaci e stavo davvero molto male.
Ora da due anni di terapia gli obbiettivi quelli ancora nessun risultato (dopo 5 anni se consideriamo anche le altre terapie) e per obbiettivi intendo:
1 laurearmi e ricostruirmi una carriera
2 avere rapporti sessuali e trovare relazioni con donne (sono vergine ripeto)
3 si è aggiunto solo negli ultimi anni, trovare la pace col pensiero che ho perso i miei 20 anni, gli anni più belli, deprimendomi, arrabbiandomi, soffrendo come un cane e senza provare emozioni vere e belle.
"Vuole spiegare meglio che cosa intende per "rifiuto" da parte del papà? Questo tema è stato affrontato bene e approfondito in terapia? Con quali conclusioni?"
Ho scritto diverse volte su questo sito e se vuole può rivedere il mio storico. DI base mio padre diagnosticatogli il diabete ha deciso di fare (parole sue) come Sansone coi filistei, distruggendo la sua carriera, la famiglia, i risparmi e tutto questo per fare dispetti al mondo intero e alle persone che ama.
Ho vissuto, e questa è l'espressione che uso spesso perché rende meglio l'idea, un TRAUMA SURREALE. Neanche io ancora oggi riesco a capacitarmi di una logica, di un perché di cosa mi sia successo. So solo che non ho mai visto neanche per raccontato una cosa del genere e ne soffro anche assieme a mia madre per la poca comprensione altrui. Mio padre mi odia e preferirebbe non rivedermi mai più, e questa non è la solita storia di bambini odiati dai padri di cui mi rendo conto il mondo purtroppo è pieno: perché mio padre non era così prima. Era sicuramente un genitore molto imperfetto, faceva molte liti ecc. ma poteva tranquillamente invecchiare come i tanti genitori imperfetti, invece si è trasformato da "semplice" pessimo genitore a demonio in carne ed ossa.
C'è poco da approfondire in terapia di ciò se non tirare avanti e almeno dal punto di vista di ciò che ha fatto mio padre sento di aver superato. Non credo sia merito della terapia ma del tempo che comunque è passato, la terapia è stata più supporto che altro. Il problema oggi, cosa anche questa che dico sempre, sono gli "strascichi", ovvero ciò che questa situazione mi ha lasciato: una carriera universitaria fallita, una vita relazionale a 30 anni peggiore di un dodicenne e senza tutti gli anni d'avanti, un forte senso di lutto per il passato non vissuto.
"Quale diagnosi è stata posta dal terapeuta?"
Bella domanda. Non c'è mai stata che io sappia una precisa diagnosi, se c'è stata è sempre cambiata e non l'ho mai capita.
Secondo me non si può parlare di diagnosi per la mia storia, o meglio l'unica diagnosi sarebbe "vita di m."
Chi non ne soffrirebbe insomma?
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 1.1k visite dal 20/08/2017.
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