Ansia di vivere
Buongiorno.
Non è la prima volta che scrivo in questa sezione, ritengo opportuno fare una breve sintesi di quanto accaduto negli ultimi mesi, per arrivare a quello che mi trovo a vivere oggi.
Alcuni mesi fà, il mio terapeuta ha cambiato studio, la mia difficoltà a raggiungerlo soprattutto in un orario poco confortevole per me, ovvero un orario serale che mi creava ancora più ansia rispetto a quella che ho, considerando che sono molto distante e questo implica un viaggio di almeno due ore con i mezzi per arrivare e altre due per tornare. Questa difficoltà mi ha portata ad interrompere la terapia per qualche mese.
Questo periodo di tempo non è stato semplice, ma devo dire che non ho vissuto sentimenti di odio nei suoi confronti, ho continuato a sognare ma ogni giorno vivevo (e vivo) in un continuo stato di ansia. Perché voglio continuare la terapia, ma ho queste difficoltà che mi limitano. A dire la verità è stato ed è tutt'ora un periodo di grande crisi ma anche di grande scoperta, non riesco a vederlo come un periodo completamente negativo perché, nonostante tutto, sono venute fuori molte cose. Il mio terapeuta ha mantenuto un contatto con me, ed è stato un immenso piacere, perché con discrezione, l'ho sentito accanto a me.
c'è stato un momento, però, in cui davvero volevo tornare in terapia ed ho accettato alcune condizioni che dovevano essere temporanee. Tra queste un orario ancora più serale ed un orario di terapia ridotto. In particolare questo orario serale, mi crea parecchi disagi. Ho accettato mettendo in chiaro la mia ansia e ammettendo che avevo bisogno di qualcuno che, nel viaggio, mi facesse compagnia, perché è l'unico modo per stare più tranquilla.
L'ho fatto e sono felice di essere tornata, ma conservo tutt'ora una certa amarezza perché non riusciamo a trovare una soluzione ed io mi trovo, a quest'età, a vivere come un adulto disfunzionale. Mi rendo conto di essere nel bel mezzo di una crisi, ma amici e parenti hanno una vita e non sono disposti a seguirmi. Ed io mi trovo col pensiero fisso di settembre e vedo solo buio. Sono consapevole che mancare le sedute porterà a delle conseguenze, tra cui la decisione del mio terapeuta di non seguirmi più. In questo è stato molto chiaro.
Onestamente, non so più come fare.
Tra pochi giorni dovrei anche partire per una breve vacanza, ed ho il terrore anche di questo. Come di qualunque altra cosa che non rientri nei miei schemi di "normalità".
Non è la prima volta che scrivo in questa sezione, ritengo opportuno fare una breve sintesi di quanto accaduto negli ultimi mesi, per arrivare a quello che mi trovo a vivere oggi.
Alcuni mesi fà, il mio terapeuta ha cambiato studio, la mia difficoltà a raggiungerlo soprattutto in un orario poco confortevole per me, ovvero un orario serale che mi creava ancora più ansia rispetto a quella che ho, considerando che sono molto distante e questo implica un viaggio di almeno due ore con i mezzi per arrivare e altre due per tornare. Questa difficoltà mi ha portata ad interrompere la terapia per qualche mese.
Questo periodo di tempo non è stato semplice, ma devo dire che non ho vissuto sentimenti di odio nei suoi confronti, ho continuato a sognare ma ogni giorno vivevo (e vivo) in un continuo stato di ansia. Perché voglio continuare la terapia, ma ho queste difficoltà che mi limitano. A dire la verità è stato ed è tutt'ora un periodo di grande crisi ma anche di grande scoperta, non riesco a vederlo come un periodo completamente negativo perché, nonostante tutto, sono venute fuori molte cose. Il mio terapeuta ha mantenuto un contatto con me, ed è stato un immenso piacere, perché con discrezione, l'ho sentito accanto a me.
c'è stato un momento, però, in cui davvero volevo tornare in terapia ed ho accettato alcune condizioni che dovevano essere temporanee. Tra queste un orario ancora più serale ed un orario di terapia ridotto. In particolare questo orario serale, mi crea parecchi disagi. Ho accettato mettendo in chiaro la mia ansia e ammettendo che avevo bisogno di qualcuno che, nel viaggio, mi facesse compagnia, perché è l'unico modo per stare più tranquilla.
L'ho fatto e sono felice di essere tornata, ma conservo tutt'ora una certa amarezza perché non riusciamo a trovare una soluzione ed io mi trovo, a quest'età, a vivere come un adulto disfunzionale. Mi rendo conto di essere nel bel mezzo di una crisi, ma amici e parenti hanno una vita e non sono disposti a seguirmi. Ed io mi trovo col pensiero fisso di settembre e vedo solo buio. Sono consapevole che mancare le sedute porterà a delle conseguenze, tra cui la decisione del mio terapeuta di non seguirmi più. In questo è stato molto chiaro.
Onestamente, non so più come fare.
Tra pochi giorni dovrei anche partire per una breve vacanza, ed ho il terrore anche di questo. Come di qualunque altra cosa che non rientri nei miei schemi di "normalità".
[#1]
Gentile utente,
Quale è la sua paura/timore più grande quando pensa che deve viaggiare in bus per andare in terapia e tornare dalla terapia?. Cosa teme di più, in assoluto, di questi spostamenti ?
Oltre all'ansia che avverte, c'è altro che la limita?
Quale è la sua paura/timore più grande quando pensa che deve viaggiare in bus per andare in terapia e tornare dalla terapia?. Cosa teme di più, in assoluto, di questi spostamenti ?
Oltre all'ansia che avverte, c'è altro che la limita?
Dr. Francesco Emanuele Pizzoleo. Psicoterapia cognitiva e cognitivo comportamentale.
[#2]
Ex utente
Devo prendere due treni per arrivare allo studio, la paura principale è quella di perdermi, poi di fare tardi e perdere il treno per il ritorno che è l'ultimo della sera. Oltre ad avere paura di aggressioni e della gente.
Di giorno avevo già questi problemi, ma con il tempo avevo imparato percorsi differenti, quindi nella mia testa avevo delle alternative. Se non mi fossi sentita troppo a mio agio, ad esempio, per il ritorno a casa, chiamavo un taxi. La possibilità di avere tante alternative mi faceva sentire leggermente meno ansiosa.
In questo nuovo studio, al contrario, non ho molte alternative, se non quella di prendere due treni.
Sicuramente mia madre, da quando sono piccola, non ha fatto che insinuare dubbi in me, e rendermi parte delle sue paure, così come quella dell'uscire sola quando è buio. Infatti già da bambina, quando vedo le giornate diventare sempre più corte, come sta accadendo in questi giorni, vivo con un senso d'angoscia particolare.
Di giorno avevo già questi problemi, ma con il tempo avevo imparato percorsi differenti, quindi nella mia testa avevo delle alternative. Se non mi fossi sentita troppo a mio agio, ad esempio, per il ritorno a casa, chiamavo un taxi. La possibilità di avere tante alternative mi faceva sentire leggermente meno ansiosa.
In questo nuovo studio, al contrario, non ho molte alternative, se non quella di prendere due treni.
Sicuramente mia madre, da quando sono piccola, non ha fatto che insinuare dubbi in me, e rendermi parte delle sue paure, così come quella dell'uscire sola quando è buio. Infatti già da bambina, quando vedo le giornate diventare sempre più corte, come sta accadendo in questi giorni, vivo con un senso d'angoscia particolare.
[#3]
Cara ragazza,
Vorrei partire dalla fine della sua risposta. Lei scrive: "Sicuramente mia madre, da quando sono piccola, non ha fatto che insinuare dubbi in me, e rendermi parte delle sue paure, così come quella dell'uscire sola quando è buio". È una probabilità certamente da prendere in considerazione. Ne ha parlato di questo con il suo terapeuta?
Nell'ansia, come nelle altre emozioni, nei modi di fare, di vivere la quotidianità etc.. c'è familiarità. Ciò vuol dire che se si cresce in un ambiente ansiogeno, quella persona avrà maggiori possibilità di assumere e far sue credenze e stili di pensiero orientati verso l'ansia. Ma non c'è motivo di incolpare i nostri genitori per questo. Ogni genitore inevitabilmente commette "errori" nella crescita di una figlia o di un figlio. E dato che non lo fa consapevolmente, non c'è da incolparli.
Una delle componenti dell'ansia difficilmente gestibile, è il controllo ansioso. Ovvero: "devo avere tutto sotto controllo e quindi la certezza assoluta che nulla di ciò che temo possa accadere". In questi casi si parla infatti di intolleranza dell'incertezza. Questo aspetto, verosimilmente, si nota in ciò che scrive: "la paura principale è quella di perdermi, poi di fare tardi e perdere il treno per il ritorno che è l'ultimo della sera. Oltre ad avere paura di aggressioni e della gente". Le sue ansie/paure maggiori riguardano il timore di:
- potersi perdere;
- fare tardi a prendere l'ultimo treno;
- eventuali aggressioni.
3 situazioni che inficerebbero la sua, probabile, tendenza al controllo. E il solo pensiero di poter vivere queste situazioni la spaventa.
Le torna qualcosa?
Tuttavia, lei scrive di importanti passi in avanti che lei ha fatto e di risorse di cui si è appropriata: "Di giorno avevo già questi problemi, ma con il tempo avevo imparato percorsi differenti, quindi nella mia testa avevo delle alternative. Se non mi fossi sentita troppo a mio agio, ad esempio, per il ritorno a casa, chiamavo un taxi. La possibilità di avere tante alternative mi faceva sentire leggermente meno ansiosa."
Quindi questi timori (magari non proprio simili) li viveva già all'inizio, per poi imparare a gestirseli iniziando ad assumere consapevolezza di possibili alternative.
Quindi, quello che mi chiedo e su cui la invito a riflettere è: lei ha già attraversato una situazione ansiogena, uscendone. Se è stata così tanto in gamba da farlo prima, perché non pensare che può riuscire a farlo anche adesso? Anche se oggettivamente le difficoltà di gestione dei tempi sono variate sensibilmente, lei -in potenza- ha le facoltà di poterle fronteggiare. Deve "trasferire" le potenzialità che ha, in atti. In azioni.
Allora perché non proporre al suo terapeuta di lavorare in funzione di ciò?
Che ne pensa?
Vorrei partire dalla fine della sua risposta. Lei scrive: "Sicuramente mia madre, da quando sono piccola, non ha fatto che insinuare dubbi in me, e rendermi parte delle sue paure, così come quella dell'uscire sola quando è buio". È una probabilità certamente da prendere in considerazione. Ne ha parlato di questo con il suo terapeuta?
Nell'ansia, come nelle altre emozioni, nei modi di fare, di vivere la quotidianità etc.. c'è familiarità. Ciò vuol dire che se si cresce in un ambiente ansiogeno, quella persona avrà maggiori possibilità di assumere e far sue credenze e stili di pensiero orientati verso l'ansia. Ma non c'è motivo di incolpare i nostri genitori per questo. Ogni genitore inevitabilmente commette "errori" nella crescita di una figlia o di un figlio. E dato che non lo fa consapevolmente, non c'è da incolparli.
Una delle componenti dell'ansia difficilmente gestibile, è il controllo ansioso. Ovvero: "devo avere tutto sotto controllo e quindi la certezza assoluta che nulla di ciò che temo possa accadere". In questi casi si parla infatti di intolleranza dell'incertezza. Questo aspetto, verosimilmente, si nota in ciò che scrive: "la paura principale è quella di perdermi, poi di fare tardi e perdere il treno per il ritorno che è l'ultimo della sera. Oltre ad avere paura di aggressioni e della gente". Le sue ansie/paure maggiori riguardano il timore di:
- potersi perdere;
- fare tardi a prendere l'ultimo treno;
- eventuali aggressioni.
3 situazioni che inficerebbero la sua, probabile, tendenza al controllo. E il solo pensiero di poter vivere queste situazioni la spaventa.
Le torna qualcosa?
Tuttavia, lei scrive di importanti passi in avanti che lei ha fatto e di risorse di cui si è appropriata: "Di giorno avevo già questi problemi, ma con il tempo avevo imparato percorsi differenti, quindi nella mia testa avevo delle alternative. Se non mi fossi sentita troppo a mio agio, ad esempio, per il ritorno a casa, chiamavo un taxi. La possibilità di avere tante alternative mi faceva sentire leggermente meno ansiosa."
Quindi questi timori (magari non proprio simili) li viveva già all'inizio, per poi imparare a gestirseli iniziando ad assumere consapevolezza di possibili alternative.
Quindi, quello che mi chiedo e su cui la invito a riflettere è: lei ha già attraversato una situazione ansiogena, uscendone. Se è stata così tanto in gamba da farlo prima, perché non pensare che può riuscire a farlo anche adesso? Anche se oggettivamente le difficoltà di gestione dei tempi sono variate sensibilmente, lei -in potenza- ha le facoltà di poterle fronteggiare. Deve "trasferire" le potenzialità che ha, in atti. In azioni.
Allora perché non proporre al suo terapeuta di lavorare in funzione di ciò?
Che ne pensa?
[#4]
Ex utente
Gentile Dr. Pizzoleo,
ho avuto modo di parlare con il mio terapeuta circa il rapporto con mia madre e di alcune questioni familiari, così come nell'ultimo periodo mi sono aperta maggiormente riferendo di questo mio disagio importante legato a queste situazioni.
Temo, però, che inizialmente io sia stata fraintesa, o meglio, questa mia difficoltà è stata interpretata come una possibilità da parte mia di sabotare la terapia stessa.
Mentre il problema, in realtà, c'è sempre stato, ho sempre vissuto il momento del viaggio verso lo studio con molta ansia, ma non la terapia in se, in studio mi sono sempre sentita a mio agio, accolta.
Sì, avverto un notevole disagio quando la mia routine viene sconvolta e questo accade anche per piccole cose. Anche in quei casi vengo assalita da una grande sensazione di angoscia che mi turba profondamente.
"Se è stata così tanto in gamba da farlo prima, perché non pensare che può riuscire a farlo anche adesso?"
La situazione è molto diversa. In questo periodo, che ormai si protrae da diversi mesi, nonostante alcune incomprensioni e alcuni mesi mancati, sono riuscita a riferire al mio terapeuta di un trauma e non avrei mai pensato che sarei riuscita a farlo. Il momento non era dei migliori, perché ero già entrata in crisi per il cambio di studio, a questo si è aggiunto un lutto. Nell'insieme, nulla è stato piacevole.
Quando dico che la situazione è molto diversa intendo proprio questo. Tutte queste vicende e queste grandi "confessioni" mi hanno portato a vivere una crisi in cui la mia ansia si è moltiplicata, e anche cose che prima non mi creavano problemi, adesso mi mandano in paranoia. Ho sempre tanti pensieri "bui". Quando una cosa mi manda in ansia, nella mia testa diventa tutto buio e inizia a creare scenari disastrosi.
Tra pochi giorni dovrei partire, ad esempio, e non ho voglia di farlo. Sono in ansia estrema e purtroppo non posso contattare il mio terapeuta che mi aveva già annunciato che in questi giorni, in via eccezionale, non sarebbe stato reperibile.
Nessuno va in paranoia perché deve andare in vacanza. Io sì. Per i mezzi da prendere, per l'ambiente diverso, per il fatto di dover condividere una stanza ed un'esperienza con una persona che conosco a malapena.
Mi dispiace essermi dilungata in maniera così sterile, un'altra delle mie tendenze è quella di lamentarmi.
ho avuto modo di parlare con il mio terapeuta circa il rapporto con mia madre e di alcune questioni familiari, così come nell'ultimo periodo mi sono aperta maggiormente riferendo di questo mio disagio importante legato a queste situazioni.
Temo, però, che inizialmente io sia stata fraintesa, o meglio, questa mia difficoltà è stata interpretata come una possibilità da parte mia di sabotare la terapia stessa.
Mentre il problema, in realtà, c'è sempre stato, ho sempre vissuto il momento del viaggio verso lo studio con molta ansia, ma non la terapia in se, in studio mi sono sempre sentita a mio agio, accolta.
Sì, avverto un notevole disagio quando la mia routine viene sconvolta e questo accade anche per piccole cose. Anche in quei casi vengo assalita da una grande sensazione di angoscia che mi turba profondamente.
"Se è stata così tanto in gamba da farlo prima, perché non pensare che può riuscire a farlo anche adesso?"
La situazione è molto diversa. In questo periodo, che ormai si protrae da diversi mesi, nonostante alcune incomprensioni e alcuni mesi mancati, sono riuscita a riferire al mio terapeuta di un trauma e non avrei mai pensato che sarei riuscita a farlo. Il momento non era dei migliori, perché ero già entrata in crisi per il cambio di studio, a questo si è aggiunto un lutto. Nell'insieme, nulla è stato piacevole.
Quando dico che la situazione è molto diversa intendo proprio questo. Tutte queste vicende e queste grandi "confessioni" mi hanno portato a vivere una crisi in cui la mia ansia si è moltiplicata, e anche cose che prima non mi creavano problemi, adesso mi mandano in paranoia. Ho sempre tanti pensieri "bui". Quando una cosa mi manda in ansia, nella mia testa diventa tutto buio e inizia a creare scenari disastrosi.
Tra pochi giorni dovrei partire, ad esempio, e non ho voglia di farlo. Sono in ansia estrema e purtroppo non posso contattare il mio terapeuta che mi aveva già annunciato che in questi giorni, in via eccezionale, non sarebbe stato reperibile.
Nessuno va in paranoia perché deve andare in vacanza. Io sì. Per i mezzi da prendere, per l'ambiente diverso, per il fatto di dover condividere una stanza ed un'esperienza con una persona che conosco a malapena.
Mi dispiace essermi dilungata in maniera così sterile, un'altra delle mie tendenze è quella di lamentarmi.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 1.4k visite dal 17/08/2017.
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Approfondimento su Ansia
Cos'è l'ansia? Tipologie dei disturbi d'ansia, sintomi fisici, cognitivi e comportamentali, prevenzione, diagnosi e cure possibili con psicoterapia o farmaci.