Psicoterapia interrotta
Buongiorno,
Vorrei chiedere un consiglio. Anni fa ho iniziato un percorso di psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale. La psicoterapeuta mi fece ottima impressione già durante i primi colloqui e sul lungo periodo ebbi conferma del fatto che si trattava di un ottimo medoco. Tuttavia nel corso delle sedute emerse una difficoltà che la dottoressa pose più volte alla mia attenzione ritenendo fosse di tale portata da mettere in discussione la stessa relazione psicoterapica; mentre le parlavo non riuscivo a sostenerne lo sguardo. Questo fatto insieme a quello di sentirmi meglio mi indusse a interrompere la terapia senza molte spiegazioni. Un anno dopo, in un periodo di grandi difficoltà la ricontattai e ne ricevetti una risposta positiva. Ripresi così la terapia, ma le difficoltà si riproposero e ancora una volta andai via. Oggi mi rendo conto che non aveva torto a insistere tanto su questo nodo problematico, perché in esso sta l'origine dei miei problemi e delle mie depressioni. Vorrei dunque nuovamente telefonarle, ma mi chiedo se sia corretto nei suoi confronti. Sono scappata due volte e potrebbe, a ragione forse, ritenere che non esistano i presupposti per intraprendere un nuovo percorso. Ho tenuto un atteggiamento immaturo rifiutando persino di spiegarle le ragioni per le quali lasciavo e mi sento dunque come non in diritto di chiederle una nuova possibilità? Qual è il suo giudizio? Dovrei iniziare un percorso con un altro psicoterapeuta?
Vorrei chiedere un consiglio. Anni fa ho iniziato un percorso di psicoterapia di tipo cognitivo-comportamentale. La psicoterapeuta mi fece ottima impressione già durante i primi colloqui e sul lungo periodo ebbi conferma del fatto che si trattava di un ottimo medoco. Tuttavia nel corso delle sedute emerse una difficoltà che la dottoressa pose più volte alla mia attenzione ritenendo fosse di tale portata da mettere in discussione la stessa relazione psicoterapica; mentre le parlavo non riuscivo a sostenerne lo sguardo. Questo fatto insieme a quello di sentirmi meglio mi indusse a interrompere la terapia senza molte spiegazioni. Un anno dopo, in un periodo di grandi difficoltà la ricontattai e ne ricevetti una risposta positiva. Ripresi così la terapia, ma le difficoltà si riproposero e ancora una volta andai via. Oggi mi rendo conto che non aveva torto a insistere tanto su questo nodo problematico, perché in esso sta l'origine dei miei problemi e delle mie depressioni. Vorrei dunque nuovamente telefonarle, ma mi chiedo se sia corretto nei suoi confronti. Sono scappata due volte e potrebbe, a ragione forse, ritenere che non esistano i presupposti per intraprendere un nuovo percorso. Ho tenuto un atteggiamento immaturo rifiutando persino di spiegarle le ragioni per le quali lasciavo e mi sento dunque come non in diritto di chiederle una nuova possibilità? Qual è il suo giudizio? Dovrei iniziare un percorso con un altro psicoterapeuta?
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Cara Utente,
quanto le è stato fatto osservare:
"la dottoressa pose più volte alla mia attenzione ritenendo fosse di tale portata da mettere in discussione la stessa relazione psicoterapica; mentre le parlavo non riuscivo a sostenerne lo sguardo"
è una conseguenza e non certo la causa del suo problema.
L'assenza di suo padre e i problemi di sua madre hanno probabilmente contribuito a farla crescere senza la possibilità di interiorizzare immagini positive sia di sè stessa che degli altri, e questo potrebbe essere alla base dei suoi sintomi attuali.
Per lavorare su questo tipo di problemi relazionali le consiglio una psicoterapia psicodinamica/psicoanalitica, che non si concentri tanto sul sintomo quanto su ciò che lo provoca, ponendo rimedio alle esperienze relazionali fallimentari del passato.
Per tornare al discorso dello sguardo, consideri che in psicoanalisi il paziente è sdraiato e l'analista si trova alle sua spalle: può quindi capire quanto non sia indispensabile un contatto oculare in seduta e quanto la difficoltà a sostenere lo sguardo altrui sia solo uno dei tanti aspetti superficiali ed esteriori di difficoltà più profonde.
Se lo desidera mi aggiorni,
tanti cari auguri
quanto le è stato fatto osservare:
"la dottoressa pose più volte alla mia attenzione ritenendo fosse di tale portata da mettere in discussione la stessa relazione psicoterapica; mentre le parlavo non riuscivo a sostenerne lo sguardo"
è una conseguenza e non certo la causa del suo problema.
L'assenza di suo padre e i problemi di sua madre hanno probabilmente contribuito a farla crescere senza la possibilità di interiorizzare immagini positive sia di sè stessa che degli altri, e questo potrebbe essere alla base dei suoi sintomi attuali.
Per lavorare su questo tipo di problemi relazionali le consiglio una psicoterapia psicodinamica/psicoanalitica, che non si concentri tanto sul sintomo quanto su ciò che lo provoca, ponendo rimedio alle esperienze relazionali fallimentari del passato.
Per tornare al discorso dello sguardo, consideri che in psicoanalisi il paziente è sdraiato e l'analista si trova alle sua spalle: può quindi capire quanto non sia indispensabile un contatto oculare in seduta e quanto la difficoltà a sostenere lo sguardo altrui sia solo uno dei tanti aspetti superficiali ed esteriori di difficoltà più profonde.
Se lo desidera mi aggiorni,
tanti cari auguri
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
Questo consulto ha ricevuto 1 risposte e 1.5k visite dal 31/07/2017.
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