Coppia, tradimento, confusione sentimentale.
Gentili dottori,
mi rivolgo a Voi, confidando nel Vostro prezioso sostegno, in quanto sto vivendo una situazione piuttosto complessa. Sarà dovuto all'età (comunemente definita "delicata"), o ad una mia personale inclinazione, ma da un anno a questa parte mi ritrovo invischiata in una dimensione sentimentale che definire crisi sarebbe un eufemismo, non tanto per ciò che comporta nella realtà, quanto per quello che scatena nel profondo del mio intimo, tra convinzioni, principi, credenze e moralismi vari.
Attraverso da tempo un "momento" di stanchezza, condiviso dal mio coniuge ma da me vissuto più intensamente. Dopo più di un decennio di matrimonio, molte cose sono rimaste inespresse, altre irrealizzate. Io desideravo un figlio, lui no. Io volevo progettare, andare avanti, perseguire un obiettivo comune, lui no. Continua tuttora a sminuire i miei desideri, le mie esigenze, le mie lamentele, giudicandomi poco ponderata e irragionevole. Per lui tutto comporta un rischio che non vale la pena di correre.
Il punto è, per farla breve, che, circa un anno fa o poco più, ho incontrato un uomo, con cui, lentamente, é nato un rapporto prima di grande stima e adesso di eccezionale complicità. Ho elementi per credere che si tratti della persona che ho sempre cercato, avendoci ragionato molto, avendo provato a respingere (come sto ancora ostinatamente facendo) il suo amore, pur ritenendolo preziosissimo.
Chiedo a Voi, dunque, se sacrificare se stessi per un matrimonio finito e irrecuperabile sia possibile. Se c'è la possibilità di rinunciare ad un sentimento così forte senza ammalarsi. Lo chiedo poiché inizio a somatizzare su più livelli il mio malessere. Riconosco che il problema potrebbe non essere di Vostra pertinenza, in quanto implica troppe variabili, ma vorrei almeno capire, data anche la Vostra esperienza, se matrimoni come il mio finiscano comunque, prima o poi. Temo che i miei sensi di colpa e la mia indecisione siano inutili e dannosi, sia per me che per chi mi sta accanto. Ha senso vivere con questo peso? E, se no, perché non mi decido a darci un taglio netto e ricominciare? Perché è tutto così difficile?
Scusandomi per la concitazione, Vi ringrazio per ogni risposta che vorrete gentilmente darmi.
mi rivolgo a Voi, confidando nel Vostro prezioso sostegno, in quanto sto vivendo una situazione piuttosto complessa. Sarà dovuto all'età (comunemente definita "delicata"), o ad una mia personale inclinazione, ma da un anno a questa parte mi ritrovo invischiata in una dimensione sentimentale che definire crisi sarebbe un eufemismo, non tanto per ciò che comporta nella realtà, quanto per quello che scatena nel profondo del mio intimo, tra convinzioni, principi, credenze e moralismi vari.
Attraverso da tempo un "momento" di stanchezza, condiviso dal mio coniuge ma da me vissuto più intensamente. Dopo più di un decennio di matrimonio, molte cose sono rimaste inespresse, altre irrealizzate. Io desideravo un figlio, lui no. Io volevo progettare, andare avanti, perseguire un obiettivo comune, lui no. Continua tuttora a sminuire i miei desideri, le mie esigenze, le mie lamentele, giudicandomi poco ponderata e irragionevole. Per lui tutto comporta un rischio che non vale la pena di correre.
Il punto è, per farla breve, che, circa un anno fa o poco più, ho incontrato un uomo, con cui, lentamente, é nato un rapporto prima di grande stima e adesso di eccezionale complicità. Ho elementi per credere che si tratti della persona che ho sempre cercato, avendoci ragionato molto, avendo provato a respingere (come sto ancora ostinatamente facendo) il suo amore, pur ritenendolo preziosissimo.
Chiedo a Voi, dunque, se sacrificare se stessi per un matrimonio finito e irrecuperabile sia possibile. Se c'è la possibilità di rinunciare ad un sentimento così forte senza ammalarsi. Lo chiedo poiché inizio a somatizzare su più livelli il mio malessere. Riconosco che il problema potrebbe non essere di Vostra pertinenza, in quanto implica troppe variabili, ma vorrei almeno capire, data anche la Vostra esperienza, se matrimoni come il mio finiscano comunque, prima o poi. Temo che i miei sensi di colpa e la mia indecisione siano inutili e dannosi, sia per me che per chi mi sta accanto. Ha senso vivere con questo peso? E, se no, perché non mi decido a darci un taglio netto e ricominciare? Perché è tutto così difficile?
Scusandomi per la concitazione, Vi ringrazio per ogni risposta che vorrete gentilmente darmi.
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Buongiorno! Premetto che provengo da una posizione fideistica della vita e, dunque, del matrimonio. A mio avviso psiche e spirito vanno 'lavorati' in luoghi diversi e, per quel che leggo, potrebbero esserci anche i presupposti per una nullità matrimoniale. Chiusa la faccenda 'spirituale'. Dal punto di vista psicologico leggo un desiderio deluso sotto ogni punto di vista. Non figli, non obiettivi comuni. I termini ' matrimonio finito e irrecuperabile ' mi rimandano una consapevolezza già chiara nella mente e questo, a prescindere dall'uomo che la interroga dal lato affettivo. In genere mi espongo con il 'salvare il salvabile', ma non c'è parola tra le sue che mi facciano pensare ad un 'salvabile'. O no? La saluto cordialmente, Ferrara Dott.ssa Sara, psicologa-psicoterapeuta
Ferrara Dr.ssa Sara
[#2]
Ex utente
La ringrazio immensamente per la Sua risposta.
Evidentemente il senso del mio malessere traspare per benino, tanto che, rileggendomi a posteriori, colgo io stessa ciò che Lei ha prontamente letto nelle mie parole.
La "nullità" di cui parla, poi, é assolutamente palese. Ma allora, mi domando, perché mi autoinfliggo questo sacrificio? In nome di cosa mi immolerei? In base a quel fideismo di cui parla anche Lei? In virtù della sacralità del "salvare il salvabile"? E, ancora, come si chiude un matrimonio (a quest'ultima non pretendo risposta.)
Grazie ancora.
Evidentemente il senso del mio malessere traspare per benino, tanto che, rileggendomi a posteriori, colgo io stessa ciò che Lei ha prontamente letto nelle mie parole.
La "nullità" di cui parla, poi, é assolutamente palese. Ma allora, mi domando, perché mi autoinfliggo questo sacrificio? In nome di cosa mi immolerei? In base a quel fideismo di cui parla anche Lei? In virtù della sacralità del "salvare il salvabile"? E, ancora, come si chiude un matrimonio (a quest'ultima non pretendo risposta.)
Grazie ancora.
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Le domande che si pone sono domande, che, evidentemente, richiesta di aiuto all'altro. Di certo, a titolo di consiglio, è sempre bene lanciare dei segnali al coniuge che potrebbe crogiolarsi in una situazione stagnante, senza minimamente avere sentore di perdere qualcosa di prezioso. L'altro ci può sempre stupire! È una possibilità da dare a se stessi e alla coppia prima di tutto. Le consiglio di mettere a lavoro le sue domande con un terapeuta della sua zona. Mi sembra, infatti, dotata di ottime capacità di insight, come diciamo noi, e potrebbe fare di questo momento di debolezza, un punto di forza. 'L'autoinfliggersi' è una sua lettura sacrificale. C'è chi si sacrifica una vita per fantasmi altrui... Ma la sua verità è la sua, appunto! La saluto, S.Ferrara, psicologa-psicoterapeuta
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 3.7k visite dal 12/07/2017.
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