Bulimia: a chi mi rivolgo per curarmi se non posso pagare una terapia?

Gentili medici,
chiedo un aiuto per poter trovare uno specialista nella mia zona.

Sono affetta da bulimia oramai da molti anni (quasi 10), ultimamente credevo di esserne uscita visto che ero riuscita a controllare, cioè ad abbandonare, la sintomatologia. Credo che in un certo senso il problema sia proprio questo: essendosi finalmente fatta strada in me l'idea per cui, semplificando estremamente, la sintomatologia bulimica è solo un modo per tentare di tenere "a bada" ben altri problemi radicati nella mia psiche, sono riuscita in un primo momento ad abbandonare i comportamenti bulimici.

Purtroppo però tutti i "problemi nascosti" e sottostanti al sintomo sono venuti fuori sotto forma di ansie e paure, d'altra parte credo che evitare tutto ciò fosse la ragion d'essere del sintomo.

Per farla breve anche la sintomatologia è tornata, senza che però questa riesca più minimamente a tenermi in un certo senso all'oscuro e protetta dai reali problemi e dalle reali ansie.

Vorrei sapere a chi posso rivolgermi nella zona di Ferrara (posso arrivare anche a Bologna, ma con il treno, niente auto) e tutto l'iter da seguire per poter ottenere di essere curata, considerando che non posso pagarmi una psicoterapia privata e che attualmente ancora non ho la residenza a Ferrara e dunque non ho il medico di base qui.

Chiedo anche se c'è una minima speranza che nel settore pubblico io abbia la possibilità di ricevere una cura adeguata al mio problema, che non vi nascondo essere oramai decisamente grave, non tanto il sintomo bulimico quanto "tutto il resto", nel senso che condiziona molto pesantemente tutta la mia vita, affettiva, relazionale, professionale ed economica.

Anche se ci fosse un bravo terapista non specializzato in DCA credo che potrebbe comunque aiutarmi, perché, lo ribadisco, quello che realmente mi affligge e mi preoccupa oggi non è la sintomatologia bulimica.

Grazie

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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Cara Utente,

mi spiace molto, ma da qui non possiamo consigliare singoli professionisti.

Esistono strutture pubbliche che si occupano dei DCA, può trovarle tranquillamente in rete nella zona nella quale potrebbe spostarsi per la terapia, come questa:
http://www.ausl.fe.it/azienda/dipartimenti/daismdp/staff/m.o.-interaziendale-del-servizio-per-i-disturbi-del-comportamento-alimentare-d.c.a.#null

Non credo che sia importante che il suo medico di base riceva nella zona nella quale si farebbe seguire perchè in Italia è possibile tranquillamente rivolgersi a strutture pubbliche anche al di fuori della propria provincia o regione.

Ha ragione a sottolineare il fatto che i DCA non sono un problema alimentare, ma sono la manifestazione di un malessere più profondo e le segnalo che di solito il soggetto bulimico è la "pecora nera" della famiglia, cioè la persona che riceve tutte le proiezioni (in senso psicoanalitico) delle parti negative delle personalità dei propri familiari.
Spesso i bulimici sono soggetti ai quali viene chiesto molto (senza che venga riconosciuto ciò che fa) e contestato molto, ricevono offese e accuse in famiglia, sono trattati come se non facessero mai abbastanza e come se non avessero gli stessi diritti degli altri, e reagiscono sviluppando sintomi sul piano alimentare.
Altre volte sono persone che non sanno dire di no e che accumulano molta rabbia per questo, sfogandosi con le abbuffate.
C'è un libro molto interessante sull'argomento, "Troppo buone!" di R. Gockel, se lo trovasse glielo consiglierei sicuramente.

Di conseguenza, oltre alla terapia farmacologica, che vedo da altri consulti sta già effettuando, per stare bene è importante che lavori su questi aspetti e sulla sua autostima, molto probabilmente carente.

Le faccio tanti auguri, mi aggiorni quando lo desidera.

Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it

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Utente
Utente
La ringrazio davvero molto della risposta dottoressa.
In realtà forse dovrei specificare che, pur essendo attualmente "prevalentemente" bulimica, ho avuto anche periodi di anoressia nella mia storia clinica, e in generale ho aspetti della personalità anche anoressica, non solo in ambito alimentare: ad esempio alterno periodi di grande confusione e del tutto inconcludenti, a periodi in cui sono assolutamente perfezionista, direi che si può dire che o faccio le cose alla perfezione o non le faccio affatto (l'aspetto del perfezionismo comunque l'ho molto molto ridimensionato negli anni), in generale sono una persona estremamente controllata, con comportamenti ossessivo compulsivi improntati appunto al controllo, non faccio uso di sostanze psicotrope di nessun tipo, rifuggo da tutto quello che può o potrebbe diventare una dipendenza (tranne in rari e brevi periodi della mia vita) e ricordo che ad esempio quando decisi di smettere di fumare, una volta presa la decisione lo feci da un giorno all'altro, senza mai più toccare sigaretta... Penso che siano aspetti della personalità identificabili come anoressici.
Nello specifico è vero che i miei genitori hanno sempre preteso tanto da me, ma credendo anche moltissimo in me e nel mio potenziale, cosa questa che probabilmente, vista la mia scarsissima autostima, ha contribuito a scatenare in me un senso di inadeguatezza a cui ho cercato di rimediare con il perfezionismo. Io credo che buona parte dei miei problemi, guardando alle relazioni famigliari derivino dall'incapacità di comunicare correttamente e sopratutto di esprimere emozioni e affetto in maniera aperta dei miei genitori, che probabilmente sono anche loro vittime di un'educazione troppo rigida in questo senso.

Le terapie fatte in passato non hanno mai avuto buon esito, in buona parte perché ero io a fare resistenza (ero ancora aggrappata disperatamente al mio sintomo) e le cure con fluoxetina le ho smesse al massimo entro un anno, senza comunque nessun beneficio né alcuna conseguenza a livello di dipendenza ed anzi non è stata un'esperienza negativa, ma cominciava a darmi effetti avversi, come un aumento del nervosismo e dell'ansietà. In ogni caso al momento preferirei evitare i farmaci, li vedo come, almeno nel mio caso, soluzioni illusorie e temporanee.
La ringrazio ancora per i consigli, per quanto riguarda il libro conosco l'autrice, ho letto due dei sui libri in passato, "Donne che mangiano troppo" e non ricordo il titolo del secondo. Leggerò anche questo, ma non subito: in questo momento sento un gran bisogno di evitare l'immersione in questa "dimensione", voglio psicologicamente allontanarmi dal mondo dei DCA (fase che in realtà è già in atto da alcuni anni) e sento il bisogno di rivolgere la mia attenzione e le mie energie altrove...
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Non escluda del tutto la possibilità di avvalersi anche di una terapia farmacologica: solo perchè la fluoxetina le ha dato effetti avversi e nessun risultato non significa che non ci siano altri farmaci che magari potrebbero essere d'aiuto - per quanto la terapia fondamentale sia sempre quella psicologica.

Le sue considerazioni sul perfezionismo, componente essenziale dei DCA, sono condivisibili e sarebbe importante che anche i suoi genitori venissero coinvolti nella terapia, se questo non è avvenuto già in passato.
[#4]
Utente
Utente
In realtà la mia esperienza con la fluoxetina è stata nel complesso positiva, ma diciamo che credo nel fatto che i farmaci, tutti, andrebbero ridotti al minimo ed a casi di effettiva necessità, e a maggior ragione quelli che agiscono sulla chimica del cervello. Se è vero che in alcuni casi, come nei pazienti psichiatrici, sono fondamentali e permettono loro di avere una vita un po' più normale, che senza questi non gli sarebbe possibile, è anche vero che del funzionamento del cervello sappiamo ancora davvero pochissimo, e credo sia rischioso "giocare" appunto con la chimica cerebrale, si rischia magari di migliorare un aspetto ma poi di peggiorarne un altro. Mi creda se Le dico che ho conosciuto fin troppe ragazze a cui sono stati prescritti farmaci (specialmente benzodiazepine) che gli hanno provocato dipendenze dalle quali ci sono voluti anni e un durissimo lavoro per liberarsi... Purtroppo questo mi ha lasciato la sensazione che forse a volte alcuni psichiatri li prescrivano con un po' di leggerezza, in buona fede certo, per facilitare la terapia, considerandoli un male minore, ma a volte così non è, e diventano invece un altro problema che si aggiunge ai già troppi che abbiamo.
Detto questo non li escludo assolutamente del tutto, ma devono restare davvero "l'ultima spiaggia" e devo essere adeguatamente informata a riguardo, come fu in passato per la fluoxetina che infatti accettai di prendere.

I miei non voglio coinvolgerli nella terapia (sono consapevole che questo stesso mio rifiuto è parte del problema), loro non sanno nemmeno precisamente quale sia il mio problema, anche se ovviamente sono ben consapevoli che "qualcosa non va", e da molti anni; visto che appunto non comunichiamo su cose come sentimenti, emozioni e DEBOLEZZE, sono purtroppo le ultime persone con cui mi sento di scoprirmi su tale argomento...
Sono riuscita negli anni a confidare ad alcune persone a me vicine del mio problema, e sono contentissima di averlo fatto, e sto cercando di proseguire su questa strada di apertura, e sono riuscita a far capire ai miei che ho un problema e che se non lo risolvo non posso andare avanti nella vita come loro vorrebbero, ma di entrare più nello specifico ancora non mi sento. Del resto ormai non sono più una ragazzina e i miei li vedo pochissimo perché abitiamo lontani (di questo mi dispiace); in fine non voglio creargli sensi di colpa e farli star male, so che già sono consapevoli di essere in parte responsabili dei miei problemi.

La ringrazio davvero del tempo che mi dedica.
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Abita da sola o ha un compagno?

E' importante che abbia cercato un po' alla volta di aprirsi con gli altri, ma le faccio presente questa sua affermazione:

"ovviamente sono ben consapevoli che "qualcosa non va", e da molti anni; visto che appunto non comunichiamo su cose come sentimenti, emozioni e DEBOLEZZE, sono purtroppo le ultime persone con cui mi sento di scoprirmi su tale argomento..."

per sottolineare il fatto che non può considerare i DCA come "debolezze". L'anoressia colpisce anzi spesso ragazze molto intelligenti e capaci, che ambiscono alla perfezione: si tratta di una malattia e non di qualcosa di cui vergognarsi o ritenersi colpevoli.
Coinvolgere i suoi sarebbe più utile nel caso in cui viveste ancora assieme, ma se siete lontani il quadro cambia.
In ogni caso aver taciuto il suo disagio non può che averla fatta sentire ancora più sola e "debole", anche se debole non è.
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Utente
Utente
Lei ha ragione dottoressa, infatti ho scritto "debolezze" in maiuscolo come se fossero delle virgolette, proprio per sottolineare che io vivo come tali cose che so, razionalmente, non essere tali (non solo il DCA, anche i sentimenti stessi...)
A livello razionale io oramai, anche per via della lettura di moltissimi libri, anche i più tecnici, ed articoli, ho compreso molto di questa malattia, il problema è che questo non è minimamente sufficiente a vincerla ed anzi, come mi è stato spiegato in passato da un terapista, può dar luogo al meccanismo di difesa della razionalizzazione, per cui in qualche modo quasi lo giustifica. E questo mi fa un po' paura, perché comprendo che capire, anche se mi ha fatto fare molti passi avanti, non è sufficiente.
Io razionalmente so che non si tratta di debolezze ma le vivo comunque come tali, debolezze non in quanto tali ma per il fatto in sé di scoprirmi, di rivelarmi completamente, senza protezione. E' questo che mi disturba. Inoltre so che i miei si darebbero ancora più colpe di quante già non se ne diano, in particolare mia madre, e mi dispiacerebbe davvero molto. Magari più avanti si vedrà, ma ora mi sembra inutile coinvolgerli più di tanto, anche perché no, non abitiamo insieme e nemmeno nella stessa città, e io vivo da sola.

Una cosa che sto cercando di fare è proprio aprirmi e mostrarmi senza difese a quelle pochissime persone di cui ho imparato a fidarmi negli anni (come amicizie storiche e importanti) e che allo stesso tempo non potrebbero sentirsi colpevoli della mia situazione, persone del cui giudizio mi importa, perché è facile aprirsi con estranei viceversa, del cui giudizio non ci importa, ma che allo stesso tempo mi fanno sentire sicura. E, piano piano, un piccolo passo alla volta, perché davvero è difficilissimo, mi sto mostrando per quella che sono.

Grazie ancora. :)
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Sono passi importanti, che ha compiuto con grande difficoltà, e la avviano sicuramente verso la guarigione perchè mostrarsi non perfetta e accettare di essere non perfetta è parte del problema.

Il voler comprendere razionalmente tutti i meccanismi di una psicopatologia che dipende da altri fattori, di stampo emotivo e relazionale, fa parte del desiderio di avere e mantenere il controllo su di sè e sulla propria situazione, ma non è certo sufficiente a cambiare le cose perchè lei non "decide" di sentirsi come si sente.

Ha poi contattato la struttura che le ho indicato?
O ne ha trovate altre?
[#8]
Utente
Utente
Non ci avevo riflettuto, sul fatto che anche il voler capire come "funziona la mia mente" in relazione alla malattia potrebbe essere un tentativo inconscio di mantenere il controllo...
C'è da dire che il capire determinati meccanismi a volte mi è stato di aiuto per scardinarli pian piano, se non altro disattivando dei meccanismi di rinforzo al sintomo di cui prima non ero cosciente, e di cui sono diventata cosciente poi. Però sì, non è sufficiente per guarire perché non sta solo alla mia volontà, ha ragione, ho letto i suoi articoli in proposito e mi hanno aiutata a sentirmi anche meno "colpevole" per il mio stato, e sopratutto per l'incapacità di uscirne da sola. Non vorrei però che diventasse una giustificazione per il fatto di non riuscire a raggiungere determinati obiettivi nella vita, che pure altre ragazze con il mio stesso disturbo, seppur con grandissima fatica, hanno raggiunto...

Ho letto come funziona sul sito che mi ha dato, ma devo essere sincera, non l'ho ancora contattato perché in verità non mi fido molto del servizio pubblico in questo settore della salute, sono molto prevenuta. Infatti chiedevo nel mio primo intervento se ci sia qualche possibilità di cura del mio disturbo, oltretutto cronicizzato, tramite il servizio pubblico...
Anche il fatto di non poter scegliere la scuola di specializzazione, e quindi il tipo di terapia, di chi mi seguirà è un limite per me, so che ci sono obiettivamente terapie che non si sono dimostrate efficaci per la cura dei DCA.
Mi sto informando sui professionisti privati, per vedere se in qualche modo, magari diminuendo il numero delle sedute (in accordo con il professionista) potrò permettermi economicamente un percorso di cura; in caso contrario mi rivolgerò SICURAMENTE alla struttura che mi ha indicato, ma con non molta fiducia ad esser sincera...
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Può anche contattare l'ABA (http://www.bulimianoressia.it) e richiedere dei nominativi di professionisti da loro formati che ricevano nella sua zona: l'importante è che non si fermi al "capire", ma che cambi prospettiva e accetti di lavorare sul "sentire".

E' vero che ci sono persone guarite dall'anoressia che con grandi sforzi hanno trovato la propria strada e si sono realizzate nella vita, ma anche in questa sua considerazione mio sembra sia presente quel perfezionismo che fa parte del problema.
Mi spiego: è positivo che abbia presente che l'anoressia si può curare e che c'è la possibilità di "rifarsi una vita" dopo la guarigione, ma la invito a non mettersi in competizione o comunque in paragone con le altre pazienti perchè ogni situazione è a sè stante:

"Non vorrei però che diventasse una giustificazione per il fatto di non riuscire a raggiungere determinati obiettivi nella vita, che pure altre ragazze con il mio stesso disturbo, seppur con grandissima fatica, hanno raggiunto...".

Non sta facendo una gara: pensi a risolvere il problema e non si faccia risucchiare dalla logica del paragone con le altre, perchè rimane pur sempre lo stesso tipo di logica prestazionale/perfezionistica che nutre l'anoressia.
[#10]
Utente
Utente
No, non è una questione di gara o di competizione mi creda, è vero che è un meccanismo molto tipico di questa malattia ma in questo caso il mio pensiero tradisce unicamente una preoccupazione per il mio futuro. A volte penso che se sono rimasta così indietro rispetto a molti miei coetanei (non affetti da DCA) è appunto a causa del mio DCA, però poi vedo che ci sono ragazze che conosco anche personalmente, affette da DCA, che comunque sono riuscite ad andare avanti nella vita e raggiungere degli obiettivi; questo non vuol dire che non soffrano o che abbiano una bella vita, anzi magari stanno "peggio di me" (in altre parole non è una giustificazione per restare malata: anche se si riesce ad essere, nonostante il DCA, funzionali all'interno della società, bisogna comunque guarire per avere una vita decente e smettere di soffrire) però almeno devono preoccuparsi meno degli aspetti materiali della vita. Io ad esempio se adesso non ho i soldi per curarmi è anche (sopratutto) a causa degli errori e delle scelte sbagliate che ho commesso in passato.
Insomma, quando si ha un DCA fare TUTTO richiede il triplo dello sforzo, però mi domando come mai io non riesca a portare avanti più o meno decentemente la mia vita, e viceversa interrompa, lasci a metà ogni cosa che inizio. E visto che altre ragazze invece ci riescono, non mi sento di dare la colpa "al DCA" per questo, ma "a me stessa"... come se ci fosse quasi una distinzione tra le due cose! Questo mi porta a credere che riuscire guarire a guarire no, non dipende unicamente dalla propria volontà, ma quest'ultima cosa sì invece.
Credo di non sentirmi giustificata dal DCA per i miei errori, e sopratutto perché persevero in questi, come in un circolo vizioso da cui non riesco ad uscire.

La ringrazio sia del suo intervento, che mi ha portata a riflettere, e sopratutto della dritta sull'ABA: pur conoscendo benissimo questa organizzazione, non essendoci sedi nella mia città non avevo pensato di potermi rivolgere anche a loro!
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Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
" quando si ha un DCA fare TUTTO richiede il triplo dello sforzo, però mi domando come mai io non riesca a portare avanti più o meno decentemente la mia vita, e viceversa interrompa, lasci a metà ogni cosa che inizio. E visto che altre ragazze invece ci riescono, non mi sento di dare la colpa "al DCA" per questo, ma "a me stessa"... come se ci fosse quasi una distinzione tra le due cose! Questo mi porta a credere che riuscire a guarire no, non dipende unicamente dalla propria volontà, ma quest'ultima cosa sì invece"

Non sia troppo dura con sè stessa: lei non si sta curando e sarebbe un po' troppo aspettarsi che riuscisse a conseguire determinati obiettivi senza alcun aiuto.

Il fatto che lasci a metà tutto quello che inizia può dipendere tranquillamente dal DCA perchè ovviamente il disturbo imbriglia molte delle sue energie; non le consente inoltre di essere tranquilla e di scegliere bene su cosa puntare.
[#12]
Utente
Utente
Infatti il problema è anche a monte, nel non saper scegliere su cosa puntare. In molti sensi, ma in particolare credo che quando si passa troppo tempo ad ignorare o addirittura a seppellire le proprie emozioni e i propri bisogni, poi ci si trova ad avere la sensazione di non conoscere affatto se stessi, e di non sapere cosa realmente si voglia nella vita e cosa ci può rendere felici...

La ringrazio molto dottoressa, desidero informarla che ho finalmente dei nomi di terapeuti a cui rivolgermi (la scelta sarà necessariamente influenzata anche dal costo delle sedute) e mi sto informando sulla possibilità di detrarre come spese mediche parte del costo della terapia.

La saluto con affetto
[#13]
Dr.ssa Flavia Massaro Psicologo 12.5k 233
Ricambio il saluto e attendo sue notizie.
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