Paura di licenziarsi
Vi scrivo perché mi sento intrappolata in un limbo.
Mi sono laureata e nel giro di poco ho trovato lavoro. Ho avuto la fortuna di trovarlo vicino casa, con uno stipendio superiore a quelli soliti che rifilano agli stagisti.
Il problema nasce a causa del mio capo. Un capo lunatico, incline ad arrabbiarsi e stufarsi subito. Un capo per niente paziente, che non ascolta. In 3 mesi che lavoro per lui, non gli ho mai sentito dire “brava”, solo critiche. Il primo mese è stato un inferno. Le critiche erano tantissime, l’aiuto era poco. Sapeva quando mi aveva assunta che ero al primo lavoro, ma si vede che se l’è dimenticato presto.
Di complimenti da parte di persone esterne che hanno visto il mio operato li ho ricevuti. Ho sempre fatto quello che mi chiedeva, sbagliando anche, ma sono lì per imparare. I risultati ottenuti dal mio lavoro non sono bastati. Il merito per le cose di cui i clienti sono rimasti soddisfatti se li è presi lui, passando per l’artefice del lavoro svolto. Quando mi fa una critica io l’accetto, ma per capire spesso gli dico perché avevo svolto il lavoro in quella maniera che mi sembrava giusta. Lui non vuole sentire le mie argomentazioni, mi blocca alla seconda parola dicendo di non rispondere.
E’ capitato 2/3 volte che parlasse con il mio collega nella stessa stanza e non riuscissero a trovare una determinata cosa. Io sapendo dove si trovasse, sono intervenuta e di tutta risposta mi sono sentita dire di non impicciarmi nelle loro cose e di continuare a lavorare. Allora ho imparato a fregarmene e a non parlare di cose “che non conosco e non sono affari miei”.
Ieri ero con un cliente, abbiamo parlato finché non sono arrivati anche il mio capo e il mio collega. Il cliente si è messo a parlare con il mio collega di alcune cose non di mia competenza. Ho ascoltato, ma non sono intervenuta, soprattutto perché non c’entravo nella discussione.
Stamattina il mio capo mi ha rinfacciato che sono stata in silenzio ieri e mi ha vista assente. Non ero assente, ho ascoltato, ma non c’entravo nulla nella loro discussione. Per lui sono solo scuse e mi ha detto apertamente: “se non ti piace questo lavoro è inutile che continui, perdiamo tempo in due”. Io gli ho risposto che non era vero, ma come al solito, zittita. La parte più frustrante è la sua bipolarità. Viene la mattina, mi dice: “fai A”, torna dopo magari un’ora e mi dice: “Perché hai fatto A? Ho detto B!”, così io passo sempre per scema, quella che non capisce le cose.
Ho paura di dire basta. A casa i soldi servono, ho bisogno di costruirmi un futuro, ma sto male. Il lavoro in sé potrebbe anche piacermi, ma l’ambiente fa schifo. Sono infelice e in 2 mesi ho perso anche 4kg perché dal nervoso e dall’ansia che ho la mattina , mi si è chiuso lo stomaco. Ho paura di dire basta ad un lavoro, un lavoro che potrebbe anche diventare sicuro.
E mi ritrovo qui a pensare cosa è meglio per me: stringere i denti, ingoiare i rospi o mollare tutto?
Mi sono laureata e nel giro di poco ho trovato lavoro. Ho avuto la fortuna di trovarlo vicino casa, con uno stipendio superiore a quelli soliti che rifilano agli stagisti.
Il problema nasce a causa del mio capo. Un capo lunatico, incline ad arrabbiarsi e stufarsi subito. Un capo per niente paziente, che non ascolta. In 3 mesi che lavoro per lui, non gli ho mai sentito dire “brava”, solo critiche. Il primo mese è stato un inferno. Le critiche erano tantissime, l’aiuto era poco. Sapeva quando mi aveva assunta che ero al primo lavoro, ma si vede che se l’è dimenticato presto.
Di complimenti da parte di persone esterne che hanno visto il mio operato li ho ricevuti. Ho sempre fatto quello che mi chiedeva, sbagliando anche, ma sono lì per imparare. I risultati ottenuti dal mio lavoro non sono bastati. Il merito per le cose di cui i clienti sono rimasti soddisfatti se li è presi lui, passando per l’artefice del lavoro svolto. Quando mi fa una critica io l’accetto, ma per capire spesso gli dico perché avevo svolto il lavoro in quella maniera che mi sembrava giusta. Lui non vuole sentire le mie argomentazioni, mi blocca alla seconda parola dicendo di non rispondere.
E’ capitato 2/3 volte che parlasse con il mio collega nella stessa stanza e non riuscissero a trovare una determinata cosa. Io sapendo dove si trovasse, sono intervenuta e di tutta risposta mi sono sentita dire di non impicciarmi nelle loro cose e di continuare a lavorare. Allora ho imparato a fregarmene e a non parlare di cose “che non conosco e non sono affari miei”.
Ieri ero con un cliente, abbiamo parlato finché non sono arrivati anche il mio capo e il mio collega. Il cliente si è messo a parlare con il mio collega di alcune cose non di mia competenza. Ho ascoltato, ma non sono intervenuta, soprattutto perché non c’entravo nella discussione.
Stamattina il mio capo mi ha rinfacciato che sono stata in silenzio ieri e mi ha vista assente. Non ero assente, ho ascoltato, ma non c’entravo nulla nella loro discussione. Per lui sono solo scuse e mi ha detto apertamente: “se non ti piace questo lavoro è inutile che continui, perdiamo tempo in due”. Io gli ho risposto che non era vero, ma come al solito, zittita. La parte più frustrante è la sua bipolarità. Viene la mattina, mi dice: “fai A”, torna dopo magari un’ora e mi dice: “Perché hai fatto A? Ho detto B!”, così io passo sempre per scema, quella che non capisce le cose.
Ho paura di dire basta. A casa i soldi servono, ho bisogno di costruirmi un futuro, ma sto male. Il lavoro in sé potrebbe anche piacermi, ma l’ambiente fa schifo. Sono infelice e in 2 mesi ho perso anche 4kg perché dal nervoso e dall’ansia che ho la mattina , mi si è chiuso lo stomaco. Ho paura di dire basta ad un lavoro, un lavoro che potrebbe anche diventare sicuro.
E mi ritrovo qui a pensare cosa è meglio per me: stringere i denti, ingoiare i rospi o mollare tutto?
[#1]
Gent.le Ragazza,
ti è stata offerta un'opportunità lavorativa che ti piace, vicino casa poco dopo esserti laureata , ben retribuita nonostante sia uno stage e che potrebbe diventare un lavoro stabile; ma nonostante ciò, durante i primi tre mesi hai accumulato così tanta tensione da aver perso 4 kg e hai iniziato a fantasticare di abbandonare tutto perché il tuo capo non ti riconosce i tuoi meriti e non perde occasione per svalutarti.
"Ho sempre fatto quello che mi chiedeva, sbagliando anche, ma sono lì per imparare"
Gli errori ci arricchiscono solo se rappresentano opportunità di apprendimento, ma a quanto pare la persona da coinvolgere in questo processo di apprendimento non sei tu ma, paradossalmente il tuo capo, che vorresti fosse paziente se commetti un errore, disposto ad ascoltare le tue giustificazioni e ad apprezzare il tuo operato quando si rivela efficiente.
A questo punto credo sarebbe opportuno interrogarsi sulle alternative possibili a quelle che tu hai già individuato, ovvero
continuare a sopportare oppure abbandonare la "sfida".
Sei proprio sicura che tra sopportazione e rinuncia non ci sia nessun'altra alternativa?
Naturalmente l'alternativa non solo esiste, ma forse è anche più di una, in ogni caso però implica una condizione: ovvero che il cambiamento possa coinvolgerti in prima persona, anziché essere un processo che arriva da fuori (nel tuo caso dal comportamento del capo nei tuoi confronti).
ti è stata offerta un'opportunità lavorativa che ti piace, vicino casa poco dopo esserti laureata , ben retribuita nonostante sia uno stage e che potrebbe diventare un lavoro stabile; ma nonostante ciò, durante i primi tre mesi hai accumulato così tanta tensione da aver perso 4 kg e hai iniziato a fantasticare di abbandonare tutto perché il tuo capo non ti riconosce i tuoi meriti e non perde occasione per svalutarti.
"Ho sempre fatto quello che mi chiedeva, sbagliando anche, ma sono lì per imparare"
Gli errori ci arricchiscono solo se rappresentano opportunità di apprendimento, ma a quanto pare la persona da coinvolgere in questo processo di apprendimento non sei tu ma, paradossalmente il tuo capo, che vorresti fosse paziente se commetti un errore, disposto ad ascoltare le tue giustificazioni e ad apprezzare il tuo operato quando si rivela efficiente.
A questo punto credo sarebbe opportuno interrogarsi sulle alternative possibili a quelle che tu hai già individuato, ovvero
continuare a sopportare oppure abbandonare la "sfida".
Sei proprio sicura che tra sopportazione e rinuncia non ci sia nessun'altra alternativa?
Naturalmente l'alternativa non solo esiste, ma forse è anche più di una, in ogni caso però implica una condizione: ovvero che il cambiamento possa coinvolgerti in prima persona, anziché essere un processo che arriva da fuori (nel tuo caso dal comportamento del capo nei tuoi confronti).
Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it
[#2]
Gentile utente,
i capi uno se li ritrova,
più o meno sopportabili,
più o meno gentili.
E questo avviene sempre.
Lei è fortunata ad avere un lavoro, con questi chiari di luna.
Veda se,
non potendo modificare il Suo capo,
può modificare gli occhi (e il cuore) con cui guarda queste situazioni.
E dunque prenderle in maniera differente.
Il passaggio da studente a lavoratore è sempre difficile.
Da studenti si è "padroni di sè" e se si studia il risultato arriva.
Nel lavoro spesso non è così e all'inizio se ne può soffrire molto.
Poi si capisce il cambio radicale del contesto e si sviluppano anticorpi.
i capi uno se li ritrova,
più o meno sopportabili,
più o meno gentili.
E questo avviene sempre.
Lei è fortunata ad avere un lavoro, con questi chiari di luna.
Veda se,
non potendo modificare il Suo capo,
può modificare gli occhi (e il cuore) con cui guarda queste situazioni.
E dunque prenderle in maniera differente.
Il passaggio da studente a lavoratore è sempre difficile.
Da studenti si è "padroni di sè" e se si studia il risultato arriva.
Nel lavoro spesso non è così e all'inizio se ne può soffrire molto.
Poi si capisce il cambio radicale del contesto e si sviluppano anticorpi.
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 13.2k visite dal 21/02/2017.
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