Paura lavoro
Gentili dottoresse, gentili dottori,
Vi scrivo per sottoporvi una problematica che si sta manifestando in questo periodo prima, suppongo e spero, che assuma una valenza clinica.
Mi trovo in Erasmus in Francia e ho sempre potuto fortunatamente contare sull'aiuto dei miei genitori, salvo qualche parentesi non troppo lunga di lavoretti umili e stage accademici, nonostante a casa non si possa dire di navigare nell'oro. Ciononostante in questo secondo semestre, a fronte di un'assenza delle finanze, è più che mai opportuno ricercare lavoro; sono effettivamente stanco di vedere sacrifici unilaterali da parte dei miei genitori nei miei confronti, considerata pure la presenza della nonna demente a carico in casa nostra. Di conseguenza ho redatto CV e lettera motivazionale in lingua straniera, ne ho stampate diverse copie e nonostante ciò mi sono limitato, dopo circa due settimane, a consegnare questi documenti in soli due negozi dove espressamente veniva richiesto del personale. Tralasciando le effettive difficoltà che si possono avere in uno paese non proprio, mi sta preoccupando l'assenza di intraprendenza che dimostro a me stesso. Nella giornata di oggi ho fatto due passeggiate inconcludenti nel centro della città osservando le vetrine, temporeggiando davanti a catene come H&M e simili sentendo un vero e proprio blocco nell'entrare e candidarmi spontaneamente. Ad esempio sarebbe molto più semplice andare a chiedere se vi fosse necessità di impiego in compagnia di un amico o conoscente bisognoso quanto me, ma in solitudine posso effettivamente dire che oggi ho percepito tensione e repulsione in questo minimo sforzo di intraprendenza. Ne consegue un senso vergogna nei confronti di me stesso e della mia famiglia che, effettivamente, sta mantenendo il mio secondo semestre all'estero dopo aver terminato i fondi europei elargiti nel primo.
Consapevole del fatto che qui vengono poste richieste con problematiche probabilmente più profonde ed impellenti, chiedo consiglio per questi primi segnali di insicurezza e carenza di iniziativa personale.
Vi scrivo per sottoporvi una problematica che si sta manifestando in questo periodo prima, suppongo e spero, che assuma una valenza clinica.
Mi trovo in Erasmus in Francia e ho sempre potuto fortunatamente contare sull'aiuto dei miei genitori, salvo qualche parentesi non troppo lunga di lavoretti umili e stage accademici, nonostante a casa non si possa dire di navigare nell'oro. Ciononostante in questo secondo semestre, a fronte di un'assenza delle finanze, è più che mai opportuno ricercare lavoro; sono effettivamente stanco di vedere sacrifici unilaterali da parte dei miei genitori nei miei confronti, considerata pure la presenza della nonna demente a carico in casa nostra. Di conseguenza ho redatto CV e lettera motivazionale in lingua straniera, ne ho stampate diverse copie e nonostante ciò mi sono limitato, dopo circa due settimane, a consegnare questi documenti in soli due negozi dove espressamente veniva richiesto del personale. Tralasciando le effettive difficoltà che si possono avere in uno paese non proprio, mi sta preoccupando l'assenza di intraprendenza che dimostro a me stesso. Nella giornata di oggi ho fatto due passeggiate inconcludenti nel centro della città osservando le vetrine, temporeggiando davanti a catene come H&M e simili sentendo un vero e proprio blocco nell'entrare e candidarmi spontaneamente. Ad esempio sarebbe molto più semplice andare a chiedere se vi fosse necessità di impiego in compagnia di un amico o conoscente bisognoso quanto me, ma in solitudine posso effettivamente dire che oggi ho percepito tensione e repulsione in questo minimo sforzo di intraprendenza. Ne consegue un senso vergogna nei confronti di me stesso e della mia famiglia che, effettivamente, sta mantenendo il mio secondo semestre all'estero dopo aver terminato i fondi europei elargiti nel primo.
Consapevole del fatto che qui vengono poste richieste con problematiche probabilmente più profonde ed impellenti, chiedo consiglio per questi primi segnali di insicurezza e carenza di iniziativa personale.
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Caro Utente,
mi sembra di capire che lei vive con disagio il fatto che la sua famiglia si è sacrificata per mantenerla per un altro semestre all'estero, ma anche il fatto che non siete sufficientemente benestanti da riuscire a permettervi tutto questo (compresa la gestione della nonna malata) senza entrate supplementari.
A che punto è con gli studi?
Si è impegnato dando il massimo o sente di avere delle colpe perchè non ha fatto tutto il possibile?
Per quale motivo si è fermato in Francia per un secondo semestre dopo l'Erasmus?
Che tipo di lavoro pensa di svolgere dopo la laurea? teme di non trovare un'occupazione in linea con la sua preparazione?
mi sembra di capire che lei vive con disagio il fatto che la sua famiglia si è sacrificata per mantenerla per un altro semestre all'estero, ma anche il fatto che non siete sufficientemente benestanti da riuscire a permettervi tutto questo (compresa la gestione della nonna malata) senza entrate supplementari.
A che punto è con gli studi?
Si è impegnato dando il massimo o sente di avere delle colpe perchè non ha fatto tutto il possibile?
Per quale motivo si è fermato in Francia per un secondo semestre dopo l'Erasmus?
Che tipo di lavoro pensa di svolgere dopo la laurea? teme di non trovare un'occupazione in linea con la sua preparazione?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Utente
Mi scuso, non ho specificato che è proprio il mio Erasmus a durare tutto l'anno accademico e non è stata una scelta separata dall'accademia quella di soffermarmi ancora in Francia. Sostanzialmente i fondi europei già elargiti e corrispondenti al 70% sono esauriti, ed il restante 30% verrà erogato al termine dell'esperienza (fine maggio 2017).
Ho passato tutti gli esami del primo semestre qui in Francia, ed ora sto provvedendo al secondo in cui, se tutto andrà, e farò in modo che vada, bene, terminerò la triennale in Scienze Cognitive e Psicobiologiche. Sto terminando gli studi universitari in tempo, magari senza una media da eccellenza, ma con regolarità. Inoltre ho già ben chiaro come svolgere la tesi per la quale ho già quasi tutta la bibliografia su cui lavorare qui all'estero per poi laurearmi, sperando ancora vada tutto per il meglio, a luglio.
Io non continuerò con la psicologia. La tesi che sto facendo riguarda un'analisi di tipo jungiano su un testo di Hermann Hesse: da qui le voglio far comprendere interessi letterari che intraprenderò in seguito. Ed ecco ancora che questo allungamento accademico presupporrà, per mia coscienza, una certa indipendenza economica. L'Erasmus ha finalmente fatto assaggiare una buona dose di indipendenza generica, ma ora trovare quella economica mi risulta ben più complicato.
Ho passato tutti gli esami del primo semestre qui in Francia, ed ora sto provvedendo al secondo in cui, se tutto andrà, e farò in modo che vada, bene, terminerò la triennale in Scienze Cognitive e Psicobiologiche. Sto terminando gli studi universitari in tempo, magari senza una media da eccellenza, ma con regolarità. Inoltre ho già ben chiaro come svolgere la tesi per la quale ho già quasi tutta la bibliografia su cui lavorare qui all'estero per poi laurearmi, sperando ancora vada tutto per il meglio, a luglio.
Io non continuerò con la psicologia. La tesi che sto facendo riguarda un'analisi di tipo jungiano su un testo di Hermann Hesse: da qui le voglio far comprendere interessi letterari che intraprenderò in seguito. Ed ecco ancora che questo allungamento accademico presupporrà, per mia coscienza, una certa indipendenza economica. L'Erasmus ha finalmente fatto assaggiare una buona dose di indipendenza generica, ma ora trovare quella economica mi risulta ben più complicato.
[#3]
"L'Erasmus ha finalmente fatto assaggiare una buona dose di indipendenza generica, ma ora trovare quella economica mi risulta ben più complicato"
E' indubbio che le due indipendenze - "logistica" e finanziaria - non sempre coincidano e comunque lei se l'è già cavata bene non andando in crisi per la lontananza, come accade a non pochi studenti che si recano lontano da casa per un lungo periodo.
Prima di capire che i suoi interessi sono di tipo letterario pensava di diventare uno psicologo?
Se sì, cosa le ha fatto cambiare idea?
Si sente in colpa o in difetto per aver cambiato obiettivo?
I suoi come l'hanno presa?
Pensa che una laurea in materie letterarie comporterà delle difficoltà nel momento in cui entrerà stabilmente nel mondo del lavoro?
Che lavori ha fatto in precedenza, anche solo transitoriamente?
Ha incontrato qualche difficoltà in quei frangenti?
E' indubbio che le due indipendenze - "logistica" e finanziaria - non sempre coincidano e comunque lei se l'è già cavata bene non andando in crisi per la lontananza, come accade a non pochi studenti che si recano lontano da casa per un lungo periodo.
Prima di capire che i suoi interessi sono di tipo letterario pensava di diventare uno psicologo?
Se sì, cosa le ha fatto cambiare idea?
Si sente in colpa o in difetto per aver cambiato obiettivo?
I suoi come l'hanno presa?
Pensa che una laurea in materie letterarie comporterà delle difficoltà nel momento in cui entrerà stabilmente nel mondo del lavoro?
Che lavori ha fatto in precedenza, anche solo transitoriamente?
Ha incontrato qualche difficoltà in quei frangenti?
[#4]
Utente
Ad essere sincero ho sempre affrontato il mondo accademico come una culla di interessi prima ancora che come vera e propria formazione professionale. Però credo che, al momento dell'iscrizione, mi sentissi piuttosto adeguato ad un'eventuale professione da psicologo. Dopodiché ho riscontrato i caratteri per lo più "freddi" del mio indirizzo in particolare (psicologia sperimentale e ad approccio quantitativo anche in clinica) e ho riscontrato che non fa per me, ma non solo; per quanto possa essere anche molto interessante una carriera psicanalitica, così staccandomi dall'indirizzo triennale, non ritengo di avere la caratura per svolgere questo lavoro con adeguate competenze per tutta la vita. La psicologia, soprattutto quella "occulta" di Jung, resta un vivo interesse ma non credo sia tramutabile in professione. Ho capito fortemente di voler abbracciare finalmente la voce interiore che dice di voler coltivare quello che sento essere il mio talento: la scrittura. Ovviamente una laurea in lettere moderne + magistrale da definire mi può aiutare in fissare le basi che cerco e che ho ignorato alle superiori (vengo da ragioneria), ma riconosco che dire "voglio scrivere" non sia garanzia di stabilità economica. Di conseguenza mi piacerebbe, molto, lavorare come professore alle superiori, è un lavoro che ammiro e che svolgerei molto molto volentieri per quanto riguarda storia e lettere. I miei lo hanno accettato anche alla luce del fatto che per un'eventuale specializzazione psicologica per abilitarsi alla professione i tempi sono comunque molto lunghi, e di conseguenza se facessi le lauree letterarie in tempo e con merito le tempistiche non differirebbero troppo. Però sì, finirei a 28-29 anni e di conseguenza mi hanno esplicitamente richiesto una maggiore autonomia economica.
Ho lavorato 3 settimane in Bretagna (Francia) come ragazzo alla pari, esperienza terminata anzitempo perché non ero il profilo richiesto dalla famiglia, prevalentemente per discrepanze personali che professionali a mio avviso (anche se comprendo che avendo in cura i loro figli ci sia una certa intransigenza), nonostante avessi precisato ancor prima di partire che a 20 anni e senza esperienza pregressa sarebbe stato un rapporto lavorativo tutto in divenire.
Poi circa 4-5 mesi come ragazzo delle consegne in una pizzeria da asporto, terminata per delle questioni veramente bizzarre correlate alla campagna elettorale del mio paese e sulle quali regna ancora lo sdegno di familiari e conoscenti della situazione, sulle quali sorvolo i dettagli al momento.
Da lì, in particolare l'esperienza bretone che ho vissuto come fallimento personale, sì, mi sento più insicuro.
Ho lavorato 3 settimane in Bretagna (Francia) come ragazzo alla pari, esperienza terminata anzitempo perché non ero il profilo richiesto dalla famiglia, prevalentemente per discrepanze personali che professionali a mio avviso (anche se comprendo che avendo in cura i loro figli ci sia una certa intransigenza), nonostante avessi precisato ancor prima di partire che a 20 anni e senza esperienza pregressa sarebbe stato un rapporto lavorativo tutto in divenire.
Poi circa 4-5 mesi come ragazzo delle consegne in una pizzeria da asporto, terminata per delle questioni veramente bizzarre correlate alla campagna elettorale del mio paese e sulle quali regna ancora lo sdegno di familiari e conoscenti della situazione, sulle quali sorvolo i dettagli al momento.
Da lì, in particolare l'esperienza bretone che ho vissuto come fallimento personale, sì, mi sento più insicuro.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 1.6k visite dal 21/02/2017.
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