Disturbo evitante personalità
Gentili dottori,
Ho 31 anni e soffro di ansia sociale o disturbo evitante di personalità, ho difficoltà a relazionarmi e a creare rapporti con le persone che non conosco o conosco poco, in particolare in ambienti molto frequentati e in contesti adibiti alla socializzazione (feste, cene, ecc.) in queste situazioni avverto un'ansia molto forte e stressante che non riesco a controllare, mi blocco e sono incapace di parlare e interagire e per questo in genere tendo a isolarmi.
I sintomi fisici che avverto in questi casi sono rossore, palpitazioni e sudorazione.
Sono figlio unico. Ho avuto dei genitori eccessivamente ansiosi: mia madre iperprotettiva, mio padre ipercritico, hanno esercitato su di me un controllo oppressivo (non autoritario ma "affettivo", se così si può dire) questo mi ha portato a chiudermi in me stesso per sfuggire al loro controllo e nello stesso tempo a evitare la socializzazione, sentendomi esposto al giudizio altrui. Sentivo un senso di colpa (che talvolta continuo in parte a provare, seppure so essere immotivato) quando avvertivo che un mio comportamento deludeva le loro aspettative (es.: un cattivo voto a scuola). A questo comportamento non faceva seguito una punizione esplicita ma uno stato ansiogeno e un cambiamento di umore da parte loro: era come se mi dicessero, pur senza esprimerlo a parole: "ci hai deluso, questo da te non ce lo aspettavamo". Più tardi, soprattutto quando ho cominciato a maturare una certa consapevolezza, ho iniziato a covare forte rabbia e rancore nei loro confronti (e non solo).
Ho cominciato ad avvertire un problema nel relazionarmi con gli altri fin dall'infanzia, ma si è acuito nel corso dell'adolescenza (dai 13 ai 18 anni). Negli anni dell'università è rimasto pressoché stabile, impedendomi di avere amicizie e bloccando per alcuni anni la mia carriera da studente, eccetto verso la fine, quando si è un po' attenuato, il che mi ha permesso di fare qualche attività in più (ho potuto partecipare ad alcuni incontri di un gruppo culturale). Mi è stato di grande aiuto il supporto dell'unica persona amica che avessi e alla quale sono molto legato. Nell'ultimo periodo però il rapporto con lei si è notevolmente deteriorato, per la mia incapacità nel coltivare relazioni amicali (del resto non ho avuto "esperienze" pregresse degne di nota) e per la mia aggressività "immagazzinata" che ha provocato attriti.
Sono intenzionato a iniziare una psicoterapia. Finora, eccetto un paio di volte per brevi periodi, non l'ho ancora fatto, sia perché non ero del tutto conscio del problema, sia perché le poche esperienze avute non mi hanno giovato molto (sopratutto una, che più che migliorare ha peggiorato).
Sono però indeciso su come scegliere uno specialista, ho letto che in questi casi la terapia cognitivo-comportamentale dà buoni risultati, mi ci devo affidare oppure sono consigliabili anche altri indirizzi di cura? Ho paura di sbagliare a scegliere e di ritrovarmi sfiduciato e demotivato.
Ringrazio in anticipo.
Ho 31 anni e soffro di ansia sociale o disturbo evitante di personalità, ho difficoltà a relazionarmi e a creare rapporti con le persone che non conosco o conosco poco, in particolare in ambienti molto frequentati e in contesti adibiti alla socializzazione (feste, cene, ecc.) in queste situazioni avverto un'ansia molto forte e stressante che non riesco a controllare, mi blocco e sono incapace di parlare e interagire e per questo in genere tendo a isolarmi.
I sintomi fisici che avverto in questi casi sono rossore, palpitazioni e sudorazione.
Sono figlio unico. Ho avuto dei genitori eccessivamente ansiosi: mia madre iperprotettiva, mio padre ipercritico, hanno esercitato su di me un controllo oppressivo (non autoritario ma "affettivo", se così si può dire) questo mi ha portato a chiudermi in me stesso per sfuggire al loro controllo e nello stesso tempo a evitare la socializzazione, sentendomi esposto al giudizio altrui. Sentivo un senso di colpa (che talvolta continuo in parte a provare, seppure so essere immotivato) quando avvertivo che un mio comportamento deludeva le loro aspettative (es.: un cattivo voto a scuola). A questo comportamento non faceva seguito una punizione esplicita ma uno stato ansiogeno e un cambiamento di umore da parte loro: era come se mi dicessero, pur senza esprimerlo a parole: "ci hai deluso, questo da te non ce lo aspettavamo". Più tardi, soprattutto quando ho cominciato a maturare una certa consapevolezza, ho iniziato a covare forte rabbia e rancore nei loro confronti (e non solo).
Ho cominciato ad avvertire un problema nel relazionarmi con gli altri fin dall'infanzia, ma si è acuito nel corso dell'adolescenza (dai 13 ai 18 anni). Negli anni dell'università è rimasto pressoché stabile, impedendomi di avere amicizie e bloccando per alcuni anni la mia carriera da studente, eccetto verso la fine, quando si è un po' attenuato, il che mi ha permesso di fare qualche attività in più (ho potuto partecipare ad alcuni incontri di un gruppo culturale). Mi è stato di grande aiuto il supporto dell'unica persona amica che avessi e alla quale sono molto legato. Nell'ultimo periodo però il rapporto con lei si è notevolmente deteriorato, per la mia incapacità nel coltivare relazioni amicali (del resto non ho avuto "esperienze" pregresse degne di nota) e per la mia aggressività "immagazzinata" che ha provocato attriti.
Sono intenzionato a iniziare una psicoterapia. Finora, eccetto un paio di volte per brevi periodi, non l'ho ancora fatto, sia perché non ero del tutto conscio del problema, sia perché le poche esperienze avute non mi hanno giovato molto (sopratutto una, che più che migliorare ha peggiorato).
Sono però indeciso su come scegliere uno specialista, ho letto che in questi casi la terapia cognitivo-comportamentale dà buoni risultati, mi ci devo affidare oppure sono consigliabili anche altri indirizzi di cura? Ho paura di sbagliare a scegliere e di ritrovarmi sfiduciato e demotivato.
Ringrazio in anticipo.
[#1]
Gentile Utente,
in effetti le difficoltà che da molto tempo incontra nel relazionarsi e l'ansia (con i relativi sintomi vegetativi) che descrive l'hanno condotta finora ad evitare, a non affrontare con le relative conseguenze cioè il loro consolidarsi.
Ben descrive il clima familiare nel quale è cresciuto, gli effetti che ne conseguivano e l'evolversi delle sue problematiche - mai trattate- che ora sente il bisogno di affrontare adeguatamente.
L'approccio psicoterapico da lei indicato è adatto per i disagi che lamenta. Naturalmente propedeutica ad un percorso psicoterapico è la valutazion/diagnosi di cui si occuperà preliminarmente lo specialista a cui si rivolgerà.
In ogni caso le segnalo questo articolo per maggiori informazioni su alcuni orientamenti psicoterapici
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
Cordialità
in effetti le difficoltà che da molto tempo incontra nel relazionarsi e l'ansia (con i relativi sintomi vegetativi) che descrive l'hanno condotta finora ad evitare, a non affrontare con le relative conseguenze cioè il loro consolidarsi.
Ben descrive il clima familiare nel quale è cresciuto, gli effetti che ne conseguivano e l'evolversi delle sue problematiche - mai trattate- che ora sente il bisogno di affrontare adeguatamente.
L'approccio psicoterapico da lei indicato è adatto per i disagi che lamenta. Naturalmente propedeutica ad un percorso psicoterapico è la valutazion/diagnosi di cui si occuperà preliminarmente lo specialista a cui si rivolgerà.
In ogni caso le segnalo questo articolo per maggiori informazioni su alcuni orientamenti psicoterapici
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
Cordialità
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#2]
Ex utente
Gentile dottoressa, la ringrazio per la risposta, mi scusi se insisto sul punto; nel mio caso è indicato l'approccio cognitivo-comportamentale o va bene anche quello della terapia integrata? Oppure sono entrambi consigliabili allo stesso modo? E la mia scelta deve basarsi maggiormente su questo oppure conta più l'empatia istintiva con lo specialista?
[#3]
Gentile Utente,
mi inserisco nella conversazione solo per dirle, rispetto a quello che ci ha scritto, come sia importante la sua decisione ad intraprendere una psicoterapia.
L'approccio cognitivo-comportamentale, a cui faccio riferimento, risulta essere efficace per le problematiche da lei descritte, tuttavia come sottolineato dalla Collega è necessaria una prima valutazione.
Detto questo, desideravo sottolineare come, dopo essersi informato, sia importante che lei possa affidarsi con fiducia a un Collega per affrontare le sue problematiche, mentre mi sembra che ad ora prevalga in lei la paura di sbagliare (in questo caso la scelta dello specialista), non che questo non sia comprensibile o legittimo, ma è come se una scelta "sbagliata" possa farla rinunciare, ma soprattutto farla (forse) sentire un "fallito", "ecco vedi ho sbagliato un'altra volta .... è inutile, ....".
Non si faccia bloccare dalla paura (eventuale) di sbagliare.
Un cordiale saluto
mi inserisco nella conversazione solo per dirle, rispetto a quello che ci ha scritto, come sia importante la sua decisione ad intraprendere una psicoterapia.
L'approccio cognitivo-comportamentale, a cui faccio riferimento, risulta essere efficace per le problematiche da lei descritte, tuttavia come sottolineato dalla Collega è necessaria una prima valutazione.
Detto questo, desideravo sottolineare come, dopo essersi informato, sia importante che lei possa affidarsi con fiducia a un Collega per affrontare le sue problematiche, mentre mi sembra che ad ora prevalga in lei la paura di sbagliare (in questo caso la scelta dello specialista), non che questo non sia comprensibile o legittimo, ma è come se una scelta "sbagliata" possa farla rinunciare, ma soprattutto farla (forse) sentire un "fallito", "ecco vedi ho sbagliato un'altra volta .... è inutile, ....".
Non si faccia bloccare dalla paura (eventuale) di sbagliare.
Un cordiale saluto
Dott.ssa Ilaria La Manna
Psicologa Psicoterapeuta - Padova
[#4]
Ex utente
Ringrazio anche lei. Effettivamente, come lei dice, ho questa paura, di mia natura tendo a essere perfezionista e a informarmi e rivedere più volte i particolari prima di fare una scelta definitiva, mi sono documentato sui vari indirizzi, avevo pensato anche di leggere alcuni libri, ma mi rendo conto che questo atteggiamento rischia di essere controproducente e spesso mi ostacola in ciò che faccio.
[#5]
Ex utente
Nel caso specifico i miei dubbi riguardavano il fatto di aver cercato alcuni professionisti specializzati nel trattamento di questo disturbo, anche attraverso internet - possibilmente non troppo lontani dalla zona in cui vivo - trovandomi indeciso se scegliere di rivolgermi a chi mi ispirava fiducia "a pelle", anche se non era dell'indirizzo da lei indicato, e chi magari non mi dava a prima vista la stessa sensazione ma fosse esperto del metodo cognitivo comportamentale.
[#6]
La scelta spetterà solo a lei, tuttavia terrei presente le difficoltà che lamentela e l'approccio che risulta essere più efficace.
Il suo dubbio tra un approccio e un altro rispetto anche alla fiducia "a pelle" con il professionista mi faceva venire in mente una cosa, è una suggestione e se lo ritiene uno spunto su cui riflettere ossia il fatto che l'aspetto della fiducia "a pelle" sia per lei importante, indipendentemente dall'approccio; non che questo sia da sottovalutare, anzi, ma mi chiedevo se per lei potesse rappresentare un modo per sentirsi meno giudicato dal professionista.
Le dico questo perché chi lamenta le sue sofferenze spesso fatica nel chiedere un aiuto professionale perché teme il giudizio del terapeuta, rimandando sempre a domani questa scelta.
Naturalmente tenga presente il limite del consulto online, questo è solo uno spunto di riflessione.
Cordialmente
Il suo dubbio tra un approccio e un altro rispetto anche alla fiducia "a pelle" con il professionista mi faceva venire in mente una cosa, è una suggestione e se lo ritiene uno spunto su cui riflettere ossia il fatto che l'aspetto della fiducia "a pelle" sia per lei importante, indipendentemente dall'approccio; non che questo sia da sottovalutare, anzi, ma mi chiedevo se per lei potesse rappresentare un modo per sentirsi meno giudicato dal professionista.
Le dico questo perché chi lamenta le sue sofferenze spesso fatica nel chiedere un aiuto professionale perché teme il giudizio del terapeuta, rimandando sempre a domani questa scelta.
Naturalmente tenga presente il limite del consulto online, questo è solo uno spunto di riflessione.
Cordialmente
[#7]
Ex utente
Effettivamente mi ritrovo in quello che lei ha scritto, spesso cercavo scuse, a volte invece tendevo a negare il problema o a minimizzarlo, oppure mi illudevo che potesse risolversi da solo col tempo. Non mi ha sicuramente aiutato la prima esperienza avuta con uno psicologo che è stata piuttosto negativa e mi ha ulteriormente scoraggiato dal rivolgermi a qualcun altro.
Adesso che mi ci fa pensare sto notando che sono maggiormente propenso a scegliere donne, forse perché tendo a ricreare la protezione delle cure materne, e forse è questo che mi fa sentire di più a mio agio.
Comunque, come lei dice giustamente, alla fine la scelta spetta soltanto a me e quindi in qualche modo dovrò prendere una decisione.
La ringrazio di nuovo per le sue parole, le auguro una buona serata.
Adesso che mi ci fa pensare sto notando che sono maggiormente propenso a scegliere donne, forse perché tendo a ricreare la protezione delle cure materne, e forse è questo che mi fa sentire di più a mio agio.
Comunque, come lei dice giustamente, alla fine la scelta spetta soltanto a me e quindi in qualche modo dovrò prendere una decisione.
La ringrazio di nuovo per le sue parole, le auguro una buona serata.
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Gent.le Ragazzo,
come tu stesso sottolinei il tuo disagio nasce all'interno del contesto relazionale e infatti le relazioni ci contraddistinguono come esseri umani, pertanto se i problemi umani sono problemi di relazione diventa evidente che la relazione terapeutica sia il cruciale elemento del cambiamento psicoterapico.
La ricerca sui fattori di efficacia in psicoterapia si è concentrata sul rapporto fra “fattori specifici” e “fattori terapeutici comuni” nel determinare l’efficacia del trattamento. Dai risultati è emerso che: " le tecniche specifiche, relative al tipo di approccio teorico seguito, incidono sugli esiti della terapia solo per il 10%; un altro 10% della spiegazione degli effetti attiene alle caratteristiche del terapeuta, mentre circa il 50% è da attribuire alle variabili del cliente e del contesto in cui egli vive. Il 30% rimanente riguarda quelli che vengono definiti “fattori terapeutici comuni”: relazione positiva, empatia, ‘calore’, rassicurazione, accettazione, possibilità di ‘insight’, esperienza emotiva correttiva, catarsi." ( Prof. Santo Di Nuovo)
I dati scientifici derivanti dalla ricerca confermano le ipotesi formulate da Carl Rogers, fondatore dell'Approccio centrato sulla Persona, infatti John Norcross, presidente della Task Force 29 (Relazioni Terapeutiche Empiricamente Supportate) dell’American Psychological Association, dichiara che: " abbiamo concordato che le caratteristiche tradizionali della relazione terapeutica – ad esempio l’alleanza nella terapia individuale e la coesione nella terapia di gruppo – e le condizioni facilitanti rogersiane – empatia, considerazione positiva e genuinità – avrebbero costituito gli elementi centrali”; e che “la relazione terapeutica determina in maniera consistente e sostanziale il risultato terapeutico indipendentemente dal tipo di trattamento utilizzato"
Ulteriori conferme arrivano da Lambert e Barley:" in terapia i fattori comuni come l’empatia, il calore e la relazione terapeutica sono risultati più fortemente correlati con gli esiti rispetto agli interventi specializzati di trattamento [...] Decenni di ricerca indicano che la psicoterapia è un processo interpersonale nel quale una componente curativa essenziale è la natura della relazione terapeutica."
Spero di averti fornito dei riferimenti utili per valutare la tua esperienza relazionale durante il colloquio con lo psicoterapeuta, a prescindere dall'orientamento di appartenenza.
Riferimenti bibliografici:
Norcross, J. (ed.) (2002) Psychotherapy relationships that work, New York, Oxford University Press.
Lambert, M.J., Barley, D.E. (2001), Research summary on the therapeutic relationship and psychotherapy outcome. Psychotherapy; Theory/Research/Practice/Training, 38, pp. 357-361.
Dr.ssa SABRINA CAMPLONE
Psicologa-Psicoterapeuta Individuale e di Coppia a Pescara
www.psicologaapescara.it
[#9]
Ex utente
Interessante, forse ho sopravvalutato l'importanza della scelta dell'indirizzo teorico, infatti ci sono persone che mi comunicano maggiore fiducia... anzi più che fiducia direi comprensione e accettazione, e con cui quindi riuscirei meglio a parlare di me (cosa che in genere mi riesce difficile, se non per iscritto). Poi magari la mia può essere solo un'impressione superficiale, ed è facile che mi sbagli, però si dice che la prima impressione è quella che conta.
Naturalmente il mio non è un giudizio sulla persona oggettivo, ma soggettivo, riferito alle mie sensazioni e alla "compatibilità" con le mie caratteristiche.
Grazie comunque dottoressa, per il chiarimento molto utile.
Naturalmente il mio non è un giudizio sulla persona oggettivo, ma soggettivo, riferito alle mie sensazioni e alla "compatibilità" con le mie caratteristiche.
Grazie comunque dottoressa, per il chiarimento molto utile.
[#10]
Sentirsi accettati, compresi e non giudicati non è una sensazione superficiale e ma al contrario il risultato della capacità da parte dello specialista di entrare in relazione con la persona offrendole uno spazio di ascolto e di elaborazione all'interno del quale possa sentirsi sicuro e protetto. Solo allora la persona potrà prendersi il rischio di entrare in contatto con la propria vulnerabilità sapendo che non sarà un viaggio solitario e sterile ma, al contrario un percorso condiviso e fertile nella direzione del cambiamento e del recupero del potere personale.
Questo consulto ha ricevuto 11 risposte e 7.1k visite dal 03/11/2016.
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