Pensieri ossessivi durante rapporti sessuali e sadismo
Buonasera,
scrivo quì ciò che non ho mai avuto il coraggio di confidare a nessuno nella speranza di poter comprendere...
Da sempre provo eccitazione sessuale nel veder soffrire le persone.
E' più forte di me e ne provo immensa vergogna. Non credo che farei io stessa del male a qualcuno ma se capita un incidente o qualcuno sta male, pur aiutandolo, provo dentro di me una sensazione equiparabile all'orgasmo.
Inoltre, durante i rapporti sessuali, mi capita sempre più spesso di essere aggressiva, ho paura di perdere il controllo e di far del male al mio compagno...
scrivo quì ciò che non ho mai avuto il coraggio di confidare a nessuno nella speranza di poter comprendere...
Da sempre provo eccitazione sessuale nel veder soffrire le persone.
E' più forte di me e ne provo immensa vergogna. Non credo che farei io stessa del male a qualcuno ma se capita un incidente o qualcuno sta male, pur aiutandolo, provo dentro di me una sensazione equiparabile all'orgasmo.
Inoltre, durante i rapporti sessuali, mi capita sempre più spesso di essere aggressiva, ho paura di perdere il controllo e di far del male al mio compagno...
[#1]
Salve a lei,
a volte capita che ci sia un vissuto molto intenso di fronte ad alcune esperienze. Lei parla di un vissuto dal carattere erotizzato e sessuale mescolato a un senso di aggressività che, nel dare il titolo al consulto, chiama sadismo.
Bisogna approfondire la sua storia di vita relazionale e sessuale per meglio comprendere le dinamiche interiori e i vissuti che formano la sua esperienza di oggi.
Dalle sue parole mi colpisce l'esempio che racconta: quando aiuta qualcuno che sta male, prova anche eccitazione. Inoltre lei parla di un incidente, e questo rende ulteriormente suggestivo il suo episodio. Mi hanno colpito sia la componente del malessere altrui dovuta a un incidente sia la sua attitudine ad aiutare.
La sua eccitazione deriva dal malessere degli altri oppure c'entra anche il fatto che lei intervenga in loro aiuto?
Accanto al suo sentire sadico, mi sono chiesto qualcosa di differente, se cioè si sente empatica di fronte al malessere altrui, come se lo conoscesse in prima persona e questo generasse in lei un'emozione di un certo tipo, senz'altro di grande intensità. Se ha voglia di parlarne, lei che ne pensa di questo?
Voglio anche dirle che il fatto che ci abbia scritto è un segno positivo. Ci racconta che non ha mai avuto il coraggio di confidarsi, forse a causa dell'immensa vergogna che sente.
Quando dice di voler comprendere a me sembra che da una parte voglia capire i suoi vissuti interiori, da un'altra parte forse desidera non essere più tanto critica verso se stessa, ma provare a essere più aperta, eventualmente per cambiare o anche per accettare alcune parti di sé.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
a volte capita che ci sia un vissuto molto intenso di fronte ad alcune esperienze. Lei parla di un vissuto dal carattere erotizzato e sessuale mescolato a un senso di aggressività che, nel dare il titolo al consulto, chiama sadismo.
Bisogna approfondire la sua storia di vita relazionale e sessuale per meglio comprendere le dinamiche interiori e i vissuti che formano la sua esperienza di oggi.
Dalle sue parole mi colpisce l'esempio che racconta: quando aiuta qualcuno che sta male, prova anche eccitazione. Inoltre lei parla di un incidente, e questo rende ulteriormente suggestivo il suo episodio. Mi hanno colpito sia la componente del malessere altrui dovuta a un incidente sia la sua attitudine ad aiutare.
La sua eccitazione deriva dal malessere degli altri oppure c'entra anche il fatto che lei intervenga in loro aiuto?
Accanto al suo sentire sadico, mi sono chiesto qualcosa di differente, se cioè si sente empatica di fronte al malessere altrui, come se lo conoscesse in prima persona e questo generasse in lei un'emozione di un certo tipo, senz'altro di grande intensità. Se ha voglia di parlarne, lei che ne pensa di questo?
Voglio anche dirle che il fatto che ci abbia scritto è un segno positivo. Ci racconta che non ha mai avuto il coraggio di confidarsi, forse a causa dell'immensa vergogna che sente.
Quando dice di voler comprendere a me sembra che da una parte voglia capire i suoi vissuti interiori, da un'altra parte forse desidera non essere più tanto critica verso se stessa, ma provare a essere più aperta, eventualmente per cambiare o anche per accettare alcune parti di sé.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#2]
Ex utente
Buonasera Dottore e innanzitutto grazie per il tempo che mi ha dedicato, proverò a rispondere alla sue domande:
"La sua eccitazione deriva dal malessere degli altri oppure c'entra anche il fatto che lei intervenga in loro aiuto?
L'intervenire in aiuto di chi soffre credo dipenda dall'essere consapevole dentro di me che vada fatto non da una vera volontà di lenire le altrui sofferenze
"si sente empatica di fronte al malessere altrui, come se lo conoscesse in prima persona e questo generasse in lei un'emozione di un certo tipo, senz'altro di grande intensità"
si...conosco la sofferenza (soprattutto quella psicologica dovuta ad anni di segregazione ed isolamento) e credo che generi in me una sorta di piacere il fatto che anche "gli altri" soffrano ma l'eccitazione vera e propria, simile alla pulsione sessuale, mi deriva esclusivamente dalla sofferenza fisica altrui (il sangue e le immagini cruente mi eccitano notevolmente) ed è proprio questo che mi spaventa...di sofferenza psicologica non si muore (perlomeno non immediatamente) quindi se anche dovessi agire in modo da crearne pazienza...ma se perdessi il controllo fino a far del male fisico?
"Quando dice di voler comprendere a me sembra che da una parte voglia capire i suoi vissuti interiori, da un'altra parte forse desidera non essere più tanto critica verso se stessa, ma provare a essere più aperta, eventualmente per cambiare o anche per accettare alcune parti di sé."
Quello che desidero è avere il controllo sulla parte "malata" di me...non so se sia genetica o semplice fattore ambientale ma io "sento" di aver ereditato, almeno in parte, i disturbi mentali che puntualmente hanno colpito tutte le generazioni della mia famiglia...
"La sua eccitazione deriva dal malessere degli altri oppure c'entra anche il fatto che lei intervenga in loro aiuto?
L'intervenire in aiuto di chi soffre credo dipenda dall'essere consapevole dentro di me che vada fatto non da una vera volontà di lenire le altrui sofferenze
"si sente empatica di fronte al malessere altrui, come se lo conoscesse in prima persona e questo generasse in lei un'emozione di un certo tipo, senz'altro di grande intensità"
si...conosco la sofferenza (soprattutto quella psicologica dovuta ad anni di segregazione ed isolamento) e credo che generi in me una sorta di piacere il fatto che anche "gli altri" soffrano ma l'eccitazione vera e propria, simile alla pulsione sessuale, mi deriva esclusivamente dalla sofferenza fisica altrui (il sangue e le immagini cruente mi eccitano notevolmente) ed è proprio questo che mi spaventa...di sofferenza psicologica non si muore (perlomeno non immediatamente) quindi se anche dovessi agire in modo da crearne pazienza...ma se perdessi il controllo fino a far del male fisico?
"Quando dice di voler comprendere a me sembra che da una parte voglia capire i suoi vissuti interiori, da un'altra parte forse desidera non essere più tanto critica verso se stessa, ma provare a essere più aperta, eventualmente per cambiare o anche per accettare alcune parti di sé."
Quello che desidero è avere il controllo sulla parte "malata" di me...non so se sia genetica o semplice fattore ambientale ma io "sento" di aver ereditato, almeno in parte, i disturbi mentali che puntualmente hanno colpito tutte le generazioni della mia famiglia...
[#3]
Immagino che debba essere difficile vivere un senso di malessere, che sembra profondo, quando dice di avere vissuto "anni di segregazione e isolamento".
Ho trovato la parola segregazione particolarmente significativa, penso che possa avere vissuto esperienze molto dolorose.
Riflettevo sul fatto che a volte si teme di perdere il controllo perché si vuole reagire a una situazione che ha mutilato la propria esistenza.
Ci sono volte in cui magari viene spontaneo aggredire chi ci ha segregati, ci sono altre volte in cui invece ci sentiamo impotenti e dobbiamo cercare il modo per sopravvivere alla sofferenza.
Ad ogni modo, il suo timore di perdere il controllo potrebbe anche nascondere il desiderio di aprire i capitoli della sua vita legati a queste esperienze di sofferenza, e provare a prendersene cura.
Mi sembra coerente quando, accanto al timore di perdere il controllo, dice di volerlo avere sulla sua parte "malata". Forse sta dicendo che non vuole più esserne sopraffatta passivamente, ma desidera affrontarla in un modo diverso da come ha fatto finora.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Ho trovato la parola segregazione particolarmente significativa, penso che possa avere vissuto esperienze molto dolorose.
Riflettevo sul fatto che a volte si teme di perdere il controllo perché si vuole reagire a una situazione che ha mutilato la propria esistenza.
Ci sono volte in cui magari viene spontaneo aggredire chi ci ha segregati, ci sono altre volte in cui invece ci sentiamo impotenti e dobbiamo cercare il modo per sopravvivere alla sofferenza.
Ad ogni modo, il suo timore di perdere il controllo potrebbe anche nascondere il desiderio di aprire i capitoli della sua vita legati a queste esperienze di sofferenza, e provare a prendersene cura.
Mi sembra coerente quando, accanto al timore di perdere il controllo, dice di volerlo avere sulla sua parte "malata". Forse sta dicendo che non vuole più esserne sopraffatta passivamente, ma desidera affrontarla in un modo diverso da come ha fatto finora.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#4]
Ex utente
"Ho trovato la parola segregazione particolarmente significativa, penso che possa avere vissuto esperienze molto dolorose. "
Premetto che sono italiana e di "buona famiglia" perché quanto racconterò potrebbe rimandare ad usi e costumi di paesi diversi...
Ho usato il termine segregazione perché mi sembrava appropriato nel senso letterario...fino ai 6 anni di età ho vissuto rinchiusa con mia madre in una casa dalla quale non potevamo uscire (porte e finestre erano chiuse da lucchetti).
Uscivamo raramente e sempre in compagnia di mio padre.
Dai 6 anni mi è stato concesso di frequentare le scuole e, sempre saltuariamente, si ripetevano le uscite per far visita ai parenti ma solo e comunque in presenza di mio padre.
Questo fino ai 18 anni...
Poi ho iniziato a lavorare ma, non avendo amici e cercando il più possibile di nascondere la "particolare" situazione che si viveva in casa sono andata avanti tra alti e bassi fino ad ora.
Con il passare del tempo mio padre è invecchiato e ho avuto maggiore libertà, mia madre invece non ha mai voluto uscire di casa tranne in rare occasioni...
"Ci sono volte in cui magari viene spontaneo aggredire chi ci ha segregati"
Ho odiato molto mio padre e tante volte ho desiderato che morisse ma poi quando è morto (l'anno scorso) ho provato varie sensazioni quali dolore, liberazione, perfino malinconia...ma mai gioia, piuttosto il senso di aver "ereditato" qualcosa (la sua malattia?) da lui
"Forse sta dicendo che non vuole più esserne sopraffatta passivamente, ma desidera affrontarla in un modo diverso da come ha fatto finora."
Non ho mai capito perché mia madre ed io abbiamo permesso a mio padre di fare quello che ci ha fatto...
Da bambina la cosa mi sembrava normale...poi ho capito che non lo era e allora ho fatto finta di nulla per (ancora una volta) vergogna...
Raggiunta l'indipendenza economica potevo andar via ma non l'ho fatto...perché era come se sapessi che ormai qualcosa in me era "andato a male"
Non voglio essere come mio padre eppure io lo capivo...capivo i suoi atteggiamenti, capivo l'odio che provava verso la madre che lo aveva maltrattato e, da allora, verso tutte le donne...sia chiaro, capivo ma non giustificavo, come ora non voglio giustificare il mio odio verso "gli altri" verso chi ha avuto una vita normale...solo non voglio che la storia si ripeta...c'è qualcosa di brutto nei geni della mia famiglia...
Premetto che sono italiana e di "buona famiglia" perché quanto racconterò potrebbe rimandare ad usi e costumi di paesi diversi...
Ho usato il termine segregazione perché mi sembrava appropriato nel senso letterario...fino ai 6 anni di età ho vissuto rinchiusa con mia madre in una casa dalla quale non potevamo uscire (porte e finestre erano chiuse da lucchetti).
Uscivamo raramente e sempre in compagnia di mio padre.
Dai 6 anni mi è stato concesso di frequentare le scuole e, sempre saltuariamente, si ripetevano le uscite per far visita ai parenti ma solo e comunque in presenza di mio padre.
Questo fino ai 18 anni...
Poi ho iniziato a lavorare ma, non avendo amici e cercando il più possibile di nascondere la "particolare" situazione che si viveva in casa sono andata avanti tra alti e bassi fino ad ora.
Con il passare del tempo mio padre è invecchiato e ho avuto maggiore libertà, mia madre invece non ha mai voluto uscire di casa tranne in rare occasioni...
"Ci sono volte in cui magari viene spontaneo aggredire chi ci ha segregati"
Ho odiato molto mio padre e tante volte ho desiderato che morisse ma poi quando è morto (l'anno scorso) ho provato varie sensazioni quali dolore, liberazione, perfino malinconia...ma mai gioia, piuttosto il senso di aver "ereditato" qualcosa (la sua malattia?) da lui
"Forse sta dicendo che non vuole più esserne sopraffatta passivamente, ma desidera affrontarla in un modo diverso da come ha fatto finora."
Non ho mai capito perché mia madre ed io abbiamo permesso a mio padre di fare quello che ci ha fatto...
Da bambina la cosa mi sembrava normale...poi ho capito che non lo era e allora ho fatto finta di nulla per (ancora una volta) vergogna...
Raggiunta l'indipendenza economica potevo andar via ma non l'ho fatto...perché era come se sapessi che ormai qualcosa in me era "andato a male"
Non voglio essere come mio padre eppure io lo capivo...capivo i suoi atteggiamenti, capivo l'odio che provava verso la madre che lo aveva maltrattato e, da allora, verso tutte le donne...sia chiaro, capivo ma non giustificavo, come ora non voglio giustificare il mio odio verso "gli altri" verso chi ha avuto una vita normale...solo non voglio che la storia si ripeta...c'è qualcosa di brutto nei geni della mia famiglia...
[#5]
La parola "segregazione" rimanda a un significato storico, emblematico della sua esistenza.
Da come ho capito, sente un insieme di emozioni. Da una parte il peso di un maschilismo opprimente e un senso di vergogna per i vincoli che ha dovuto subire. Si è sentita segregata, potremmo dire imprigionata, forse anche umiliata come persona per questo. Si è sentita anche comprensibilmente rabbiosa a causa di un comportamento di chiusura da parte suo padre. Penso di poter dire che lo abbia sentito ingiusto.
Da un'altra parte, dice anche di vivere un senso di dolore per la sua morte, di malinconia, forse perché ha intuito la sua debolezza, quasi lui avesse il terrore di perdervi, di perdere cioè qualcosa di estremamente prezioso per lui, se avesse tolto quei lucchetti da porte e finestre e vi avesse liberate?
Non so se potremmo dire che è passato un messaggio bellissimo, nel modo più sbagliato possibile.
Sua madre sembra avere accettato tutto questo. Lei sottolinea che anche successivamente, quando avrebbe potuto, non ha sfruttato la sua libertà, così come d'altronde non l'ha cercata prima, ribellandosi o interrompendo il legame con suo padre. Avrebbe potuto farlo poiché era adulta, al contrario di lei che era solo una bambina, che non conosceva altre realtà.
La posizione di sua madre forse non ha favorito la possibilità che qualcuno intervenisse per liberarla da quella situazione di segregazione e oppressione che subiva.
Quando lei dice che c'è una parte di lei che non è andata via nonostante avrebbe potuto, data l'indipendenza economica, sottolinea un aspetto importante. Forse ciò che ha tenuto sua madre lì, in parte trattiene anche lei. Quando siamo abituati a stare in un luogo, anche se viviamo un senso di malessere, possiamo sentirci protetti e fare fatica all'idea di cambiare, magari abbiamo anche paura di affrontare un mondo che non è così semplice, per il quale non ci sentiamo ben equipaggiati. Un mondo in cui possiamo sentirci smarriti e soli.
È una situazione che sento importante approfondire ulteriormente, ma preferisco che questo possa avvenire dal vivo, poiché sento che le sue esperienze e i suoi vissuti emotivi sono intimi e delicati.
Nel caso, può riflettere sulla possibilità di parlarne a voce, se ne sentisse l'esigenza. In questo modo, se svolgesse un certo tipo di lavoro terapeutico, potrà spezzare la ripetizione della sua storia e crearne una nuova, in cui lei potrà affrancarsi da questa visceralità emotiva, comprenderla profondamente, in parte cambiarla in parte accettarla, integrandola in un nuovo modo dentro di sé.
È possibile che ci siano aspetti simili a quelli di suo padre nel suo sentire, ma lei non è suo padre e può mitigarli per trasformare ciò che sente e, forse al contrario di lui, non vuole più provare alla stessa maniera.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Da come ho capito, sente un insieme di emozioni. Da una parte il peso di un maschilismo opprimente e un senso di vergogna per i vincoli che ha dovuto subire. Si è sentita segregata, potremmo dire imprigionata, forse anche umiliata come persona per questo. Si è sentita anche comprensibilmente rabbiosa a causa di un comportamento di chiusura da parte suo padre. Penso di poter dire che lo abbia sentito ingiusto.
Da un'altra parte, dice anche di vivere un senso di dolore per la sua morte, di malinconia, forse perché ha intuito la sua debolezza, quasi lui avesse il terrore di perdervi, di perdere cioè qualcosa di estremamente prezioso per lui, se avesse tolto quei lucchetti da porte e finestre e vi avesse liberate?
Non so se potremmo dire che è passato un messaggio bellissimo, nel modo più sbagliato possibile.
Sua madre sembra avere accettato tutto questo. Lei sottolinea che anche successivamente, quando avrebbe potuto, non ha sfruttato la sua libertà, così come d'altronde non l'ha cercata prima, ribellandosi o interrompendo il legame con suo padre. Avrebbe potuto farlo poiché era adulta, al contrario di lei che era solo una bambina, che non conosceva altre realtà.
La posizione di sua madre forse non ha favorito la possibilità che qualcuno intervenisse per liberarla da quella situazione di segregazione e oppressione che subiva.
Quando lei dice che c'è una parte di lei che non è andata via nonostante avrebbe potuto, data l'indipendenza economica, sottolinea un aspetto importante. Forse ciò che ha tenuto sua madre lì, in parte trattiene anche lei. Quando siamo abituati a stare in un luogo, anche se viviamo un senso di malessere, possiamo sentirci protetti e fare fatica all'idea di cambiare, magari abbiamo anche paura di affrontare un mondo che non è così semplice, per il quale non ci sentiamo ben equipaggiati. Un mondo in cui possiamo sentirci smarriti e soli.
È una situazione che sento importante approfondire ulteriormente, ma preferisco che questo possa avvenire dal vivo, poiché sento che le sue esperienze e i suoi vissuti emotivi sono intimi e delicati.
Nel caso, può riflettere sulla possibilità di parlarne a voce, se ne sentisse l'esigenza. In questo modo, se svolgesse un certo tipo di lavoro terapeutico, potrà spezzare la ripetizione della sua storia e crearne una nuova, in cui lei potrà affrancarsi da questa visceralità emotiva, comprenderla profondamente, in parte cambiarla in parte accettarla, integrandola in un nuovo modo dentro di sé.
È possibile che ci siano aspetti simili a quelli di suo padre nel suo sentire, ma lei non è suo padre e può mitigarli per trasformare ciò che sente e, forse al contrario di lui, non vuole più provare alla stessa maniera.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 5.2k visite dal 21/10/2016.
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