Fratelli stesso psicoterapeuta

Salve, vorrei fare una domanda: se é scritto nel codice deontologico di psicoterapia di non prendere in carico membri della stessa famiglia e se ciò é solo una indicazione di sorta e non una norma impositiva; in tal seconda ipotesi, se possibile, vorrei chiederVi Vostre esperienze dirette, cioè, vale a dire, se avete mai avuto come pazienti persone della stessa famiglia.
Ringrazio, un cordiale saluto
[#1]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Dipende dal contesto: se si tratta di una psicoterapia che coinvolge la famiglia o se è utile alla terapia, non vedo quale sia il problema.
Si tratta di una situazione che La coinvolge personalmente?
Vuole parlarne?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Salve Dr.ssa Pileci, intanto grazie per la Sua risposta.
No, non mi riferivo ad una terapia familiare, ma individuale, di due membri della stessa famiglia: prima inizia uno con una sua terapia individuale, poi va anche l'altro con una sua terapia individuale.
Cosa intende per "contesto... utile alla terapia"? Quale sarebbe un contesto utile?
Quindi non ci sono indicazioni generali, magari contenuti nel codice deontologico degli psicoterapeuti o altrove (studi clinici o altri strumenti utilizzati dagli psicoterapeuti) che sconsigliano di prendere in carico persone legate da vincoli familiari, come fratelli/sorelle?
Nuovamente grazie, un cordiale saluto
[#3]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

il codice deontologico degli psicologi è visionabile sul sito opl.it
ma non capisco se la Sua richiesta riguarda un'esperienza personale o si tratta solo di una curiosità.

Cordiali saluti,
[#4]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Grazie visioneró subito il link che mi ha indicato.
Ed io non capisco la difficoltà a rispondere alla mia domanda e cioè se, da qualche parte -linee guida, protocolli o quant'altro- viene espressamente sconsigliato di prendere in cura, per terapie individuali, persone tra loro legate da vincoli parentali stretti.
Non é una domanda fine a se stessa o di pura curiosità, mi riguarda direttamente.
Nuovamente grazie, un cordiale saluto
[#5]
Dr.ssa Simona Landi Psicoterapeuta, Psicologo 24 1
Gentile Utente,
per noi psicologi non esistono norme nel codice deontologico che vietano o sconsigliano la presa in carico psicoterapeutica di due familiari. Normalmente ci si basa sul buon senso per valutare se questa condizione sia favorevole o meno ai pazienti e non crei danno al percorso terapeutico.

D'altro canto gli psicologi sono strettamente vincolati al segreto professionale, pertanto anche in caso di psicoterapia fra familiari o conoscenti vale tale norma.

Nella mia esperienza è capitato di seguire in psicoterapia fratelli di persone con disabilità che avevo in cura e talvolta di dover fare degli interventi di supporto psicologico con i diversi membri della famiglia in momenti diversi. Non ho mai effettuato percorsi di psicoterapia di due parenti stretti per scelta professionale inviando a colleghi eventuali familiari che richiedevano una psicoterapia.

Se ha ancora dubbi può scrivere qualcosa in più sul motivo della sua domanda.

Cordiali saluti



Dr.ssa Simona Landi
Psicologa, Psicoterapeuta individuale e familiare di formazione Gestatica
Esperta in disturbi dell'etá evolutiva e del neurosv

[#6]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Benissimo, nessuna difficoltà a rispondere alla Sua domanda, soltanto le Linee Guida di questo sito esplicitano chiaramente il fatto che noi professionisti non rispondiamo a curiosità e, dal momento che avevo domandato già nel primo post se si trattava di una curiosità o di una questione personale, ma non avevo ricevuto risposta, Le ho chiesto nuovamente in quale contesto è accaduto ciò che riferisce.

In ogni caso, dal momento che la situazione specifica La riguarda (immagino sia Lei e un Suo parente) e che ci sia il rifiuto del terapeuta a prendervi entrambi in terapia e trattandosi di una scelta del curante, perché non lo chiede direttamente al Collega?

Ciascun terapeuta deve essere messo nelle condizioni di lavorare al meglio per il pz. e se questo terapeuta rifiuta di avere in terapia due persone che si conoscono e che sono legate da vincoli di parentela, le ragioni che lo muovono possono essere diverse o particolari e a noi sconosciute.

Cordiali saluti,
[#7]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
La ringrazio dr.ssa Landi.
Non so se il discorso possa cambiare ma io faccio psicoterapia con uno psichiatra, quindi non so se c'é un codice diversificato.
In internet su tale questione ho trovato poco e le poche informazioni che ho recuperato sconsigliavano, per ragioni deontologiche, la cura di persone tra loro affettivamente legate, ma non trovando il codice deontologico degli psicoterapeuti non sono riuscita a farmi una idea.
Il discorso é complesso e se deciderò di affrontarlo lo farò con chi mi segue; sto cercando di capire se voglio -e se posso- credere in questa alleanza terapeutica o se i sentimenti negativi che provo mi sono di ostacolo
[#8]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

nell'alleanza terapeutica non si crede: si crea una buona alleanza, oppure no. E questo è fondamentale per la riuscita della terapia.
Però vorrei chiederLe verso chi nutre dei sentimenti negativi, il terapeuta col quale dovrebbe iniziare, forse?

Se è così, è sconsigliabile da subito iniziare una terapia, perché si tratterebbe davvero di un ostacolo, come in qualunque rapporto professionale.
[#9]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Grazie dott.ssa Pileci,
il curante é lo stesso per me ed un mio familiare e questa cosa é un bruttissimo problema per me, mi ha condizionato tutta la terapia in senso negativo, compresa la mia mancanza di fiducia nel rapporto terapeutico.
[#10]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
... dott.ssa Pileci, si sono accavallano le risposte: la terapia é già in corso.. Il discorso é veramente complesso, perché capire le mie responsabilità da quelle del terapeuta non mi riesce, per questo chiedevo se ci fossero indicazioni rivolte agli psicoterapeuti riguardo la mia questione.
Non so veramente...
Io Vi ringrazio per la disponibilità e per le Vostre informazioni.
Di nuovo, cordiali saluti
[#11]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Salve, in aggiunta alle opinioni delle colleghe, le lascio anche la mia.

In linea generale, personalmente ritengo che sia da evitare lo svolgimento di una psicoterapia tra fratelli, ancor più se in contemporanea.

È una situazione che, per numerosi motivi, rischia di non essere gestibile per la sua complessità. Ed è giusto che lei possa avere uno spazio tutto suo, più neutro e meno condizionato da elementi troppo incisivi.

Mi sembra inoltre di capire che lei abbia la sua opinione a riguardo: "Il curante é lo stesso per me ed un mio familiare e questa cosa é un bruttissimo problema per me, mi ha condizionato tutta la terapia in senso negativo, compresa la mia mancanza di fiducia nel rapporto terapeutico".

Non sappiamo di più dal suo racconto, quali sono i suoi vissuti negativi nello specifico, tuttavia ascolterei ciò che sente.
Dalle sue parole, mi sembra che abbia cercato già molte informazioni su internet. Forse è ora che lei dia retta a se stessa.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

[#12]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Non é facile scrivere in questo sito, c'è comunque bisogno di tutelare il proprio vissuto, almeno in parte; eppure sono io che ho richiesto Vostri pareri e da Voi informazioni. Cercherò, ora, di non sottrarmi nel raccontare qualcosa di questo mio vissuto, relativo alla questione che ho sollevato.
Sono tanti anni di terapia per me ed é davvero brutto dover pensare di cambiare per un errore iniziale: e di chi? Mio? O del mio terapeuta che nel corso della terapia poteva rendersi conto che parte della mia resistenza poteva dipendere dal fatto che a me pesasse il fatto lui conoscesse un mio familiare stretto? Ed il tempo passa e si condividono momenti importanti; e ci si rende conto che è bravo (in certe cose sto meglio e sono cambiata) ma ci si rende anche conto che qualcosa non va, che se non fosse per quella cosa..
Questa situazione ha fatto sorgere in me una serie di brutti dubbi di preferenze da parte sua, di pregiudizi in lui, difficoltà nel sentirmi libera di parlare, sentire il terapeuta come il "terapeuta di.." e non il mio, mi sono sorti dubbi di qualsiasi tipo.. in maniera del tutto imprevedibile.
Non escludo che il mio terapeuta lo abbia fatto in buona fede ad accettare anche me in terapia, ma credo mi abbia caricato di troppa responsabilità; penso che se può essere giusto vedere se la terapia possa funzionare e cioè appuare che l'esistenza di un legame familiare tra due pazienti non crei difficoltà nel percorso terapeutico, credo anche che il terapeuta abbia gli strumenti per rendersi conto che, invece, così non é, e prendere il discorso con il paziente che sta patendo.
Ho parlato di "buona fede", eppure, al contempo, io questa buona fede la sostituisco poi con tanti dubbi e pensieri negativi e tutto questo crea confusione. Semplicemente credo, mi abbia chiesto troppo; ribadisco: penso che sarebbe dovuto essere responsabilità del terapeuta parlarne, anche se questo può rappresentare una deviazione dal modo in cui si svolge una psicoterapia, in cui é il paziente a dover arrivare a delle conclusioni.
So solo che se oggi dovessi dire la mia sulla psicoterapia, mi limiterei solamente a dire di farla con uno "psicoterapeuta tutto proprio".
Un cordiale saluto
[#13]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.5k 597
Gentile utente,

di regola si evita di prendere due persone della stessa famiglia, ma anche due amiche strette ad es., per vari motivi:

- dal punto di vista del terapeuta:
sia per la complessità nel gestire il segreto,
ma anche per la difficoltà nel gestire i sentimenti che l'una e l'altra delle due persone suscitano nel terapeuta.
E' difficile:
ascoltare senza giudizi e pregiudizi;
fornire un sostegno non condizionato dalla realtà che probabilmente già conosce e di cui ha una sua opinione personale;
mantenere la “neutralità” del setting e della relazione terapeutica;
evitare, magari involontariamente, commenti e opinioni personali (non verbali) condizionando, così, la capacità decisionale e gli stati d’animo del proprio interlocutore;

-Dal punto di vista del paziente/i.
Senza dire dei sentimenti che provano i/le due pazienti, e delle fantasie di "triangolo" che si costruiscono, con le relative dinamiche di esclusione, gelosia, ecc...

E per tutto ciò non occorre "appurare che l'esistenza di un legame familiare tra due pazienti non crei difficoltà nel percorso terapeutico",
la prudenza professionale lo potrebbe suggerire in anticipo.


Ma, mi scusi, come è nata la cosa?
Chi era il primo paziente? Lei o l'altro/a?
E come è avvenuto che si sia preso in terapia il secondo?
C'è stata insistenza affinchè ciò si verificasse?
Da quanto dura questa situazione (anni? mi par di capire)?


Lei ci chiede se ci è mai capitato nella pratica clinica.
Sì, più volte. Ma non nello stesso periodo; e all'insaputa l'uno dell'altro;
oltre che all'insaputa mia nel momento in cui la terapia è iniziata.

Mi spiego attrvaerso un caso piuttosto particolare:
una signora di mezza età giunge per problemi di coppia; dopo un anno dal termine della terapia una ragazza mi viene inviata dalla ginecologa, e poi scopro essere la figlia;
dopo qualche mese dal termine, giunge un ragazzo inviato dal medico di famiglia, figlio della prima e fratello delle seconda.
Nessuno dei tre ha mai immaginato che io conoscessi il ... resto della famiglia.
Io - nonostante la lunga pratica clinica - ho fatto fatica nel non utilizzare (neanche mentalmente) quanto già sapevo di loro ... da altra fonte.

Sono entrata nei dettagli perchè la Sua domanda ci viene posta spesso, nel concreto e in rete: frequentemente chi stima il proprio terapeuta chiede di inviargli un famigliare.
Considerato però che la nostra comunità di pratica possiede molte valide risorse, è opportuno "inviare".
Sempre che il/la terapeuta riesca a tenere a bada il proprio narcisismo (cioè "bravo come me non c'è nessuno") ...















Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#14]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Buongiorno Dott.ssa Brunialti, grazie anche a Lei del Suo contributo. Prima di passare a rispondere -per quanto possibile- vorrei capiremeglio una cosa: quindi "di regola" o "personalmente" non prendete in carico pazienti della stessa famiglia per una pratica esistente tra psicoterapeuti.. Ma la questione che, forse, ha un peso nella psicoterapia, non viene trattata da nessuna parte in termini di studio?

Io ci tengo a dire che non voglio si vada "contro" il mio terapeuta, perchè il mio vissuto é con lui e se questa cosa la risolverò, dovrà essere con lui. Chiaro é un patema che ho dentro.

Io sono stata presa in carico dopo. Il mio familiare si era trovato bene e si stava trovando bene (risolvendo il suo problema) e mi ha consigliato di andare. Sia io che il mio familiare abbiamo avuto precedenti psicoterapie individuali (ciascuno il suo terapeuta) fallimentari. Per questo credo nella buona fede di questo attuale terapeuta, intendo nel prendermi in cura, solo che penso anche che mi abbia chiesto troppo, nel senso che un terapeuta può sapere, più di un paziente, i meccanismi troppo complessi che possono scattare e se si assume questo rischio, deve anche saperlo affrontare in rapporto al paziente (che è una persona prima di essere un paziente, con una sua sensibilità) che ha di fronte. Questo è ciò che penso; se poi mi si tirano fuori argomentazioni su responsabilità individuali, non ci sto, perchè -continuo a pensare- che comunque il rapporto paziente-terapeuta è un rapporto in cui il terapeuta sa di più, è più avanti, è un rapporto in tal senso impari.

La ringrazio per avermi raccontato anche la Sua diretta esperienza.
[#15]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.5k 597

<<questa questione dei parenti seguiti da uno stesso terapeuta dove viene affrontata?

Nel codice deontologico non è compreso.
La decisione del terapeuta, io credo, è frutto
- degli studi fatti sulle dinamiche interpersonali che si sviluppano nel corso della terapia
- delle supervisioni a cui costantemente si sottopone
- della consapevolezza di sè
- ... altro.

A questo punto è opportuno che Lei ne parli apertamente con il Suo terapeuta.

Saluti cordiali.





[#16]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Grazie tantissimo dott.ssa Brunialti, perchè è stata molto esauriente.
Non sarà facile riuscire a parlarne per tanti motivi e per le complessità di cui sopra (io stessa ho pensato che il mio terapeuta avesse pensato di se "bravo come me non c'è nessuno"); il punto non sarà parlarne e basta, ma anche risolvere i problemi che ci sono, dovuti in buona parte proprio anche a questa faccenda.

Cordiali saluti a Lei
[#17]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.5k 597
Parlarne è già un primo passo importante: porta alla luce
i propri non-detti,
i dubbi,
le delusioni,
e tutto quanto la persona gradualmente si sente di svelare di sè.

Non avviene quasi mai in un'unica seduta;
è una ulteriore graduale costruzione di fiducia.

Rappresenta comunque anche il primo gradino per risolvere.

Di cuore, buona avventura!
Ritengo che la psicoterapia sia una entusiamante avventura
che riserva sempre colpi di scena...








[#18]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Grazie ancora Dott.ssa, condivido parola per parola ciò che mi ha scritto. Dopo tanti anni, proprio nel corso di questa psicoterapia, é ciò che ho imparato, soprattutto riguardo le crisi (sono state più le crisi che i momenti in discesa).
Tornando alla questione del post mi sono convinta che per un paziente é meglio che abbia un suo terapeuta, non in comune a suoi familiari. Non sono stata messa in una condizione a me favorevole, anzi tutt'altro, mi sembra come se il mio terapeuta abbia "giocato" con la mia vita, senza fare i conti con la mia umanità di persona.
Spero riusciremo in un dialogo costruttivo, io ed il mio terapeuta, e spero per me in qualche colpo di scena positivo. É difficile il momento,perché é come se lui dovesse riguadagnarsi la mia stima e fiducia.
Grazie tanto, buon lavoro a Lei e di nuovo, cordiali saluti
[#19]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.5k 597
Saluti cordiali ricambiati!





[#20]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Comprendo che non sia facile scrivere, significa aprire discorsi delicati e intimi. Forse questo riguarda il fatto che siamo online e, anche se c'è l'anonimato, si sente comprensibilmente esposta, anche per il fatto di trovarsi a confrontarsi con il pensiero di professionisti che non conosce.

Forse, accanto a questo discorso, la situazione che sta vivendo potrebbe essere difficile da aprire, poiché tocca corde profonde di se stessa.

Il fatto che abbia accennato alla situazione, quindi, entrandone nel merito, sembra indicare il suo desiderio di aprirla e affrontarla, nonostante sia difficile. Questo è un fatto estremamente positivo.

Condivido le riflessioni della Dott.ssa Brunialti e la distinzione tra il punto di vista del terapeuta e quello del paziente. Punti di vista di cui, come lei dice, deve occuparsi il terapeuta, è sua responsabilità.
Quando chiede referenze scientifiche a suffragio del fatto che è sconsigliato prendere in terapia parenti e amici stretti, deve valutare il fatto che la scienza non è una disciplina oggettiva, nel senso positivistico del termine. Non esiste in nessun campo scientifico una verità assoluta. Le parliamo quindi in base al nostro sapere e per la nostra esperienza, perché siamo convinti che sia più opportuno evitare questo tipo di presa in carico, per quanto sia una nostra opinione.

Quello che vorrei sottolineare, infine, è una mia riflessione a fronte del suo racconto. Mi sono cioè chiesto se si trova in un momento del suo lavoro terapeutico in cui sono entrate in scena alcune dinamiche relazionali importanti legate al suo mondo interiore, che si esprimono attraverso il suo desiderio di avere "un terapeuta tutto suo".

Se così fosse, è possibile che al di là della presenza del familiare, questo vissuto si sarebbe manifestato. Per esempio, in assenza del familiare, avrebbe comunque potuto vivere in modo intrusivo la presenza degli altri pazienti del suo terapeuta.

Non è facile dirlo, ed è anche per questo che sarebbe meglio evitare una doppia terapia di questo genere, che a mio avviso può rendere più complesso entrare nel merito dei suoi vissuti.

Parlarne diventa indispensabile, e il terapeuta deve mostrare la sua disposizione a comprendere i suoi vissuti, senza mai attribuirle una colpa a riguardo. Tutt'al più può aprire un discorso su possibili fantasie che all'inizio del suo lavoro possono essere state presenti all'idea di andare da un terapeuta di un suo familiare. Non è una colpa, lei è lì proprio per aprire il suo mondo interiore e occuparsene.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#21]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Grazie Dott. de Sanctis,

Le rispondo subito: la difficoltà a raccontare dipende dal fatto che, nonostante l'anonimato, tengo conto della possibilità che i fatti descritti, i racconti espressi ecc.. possano consentire di venir riconosciuta, che, per quanto sembra una ipotesi lontana, le assicuro é realistica.

In verità il "fastidio" di questa diretta conoscenza del mio terapeuta con il mio familiare l'ho avvertita sin da subito, ma mi sentivo in difetto per essermici messa io in questa situazione; onestamente però, comincio a pensare che la faccenda non sia stata bene trattata dal mio terapeuta: l'esperto della psicoterapia non è il paziente.

Mi chiede se il pensiero del "terapeuta tutto mio" potrebbe riguardare anche altri pazienti o altre persone che ruotano attorno al mio terapeuta. Si potrebbe, ma i problemi che io ho nella mia vita non hanno origine da persone estranee alla mia vita, bensì dal contesto familiare.

Vedremo. Confesso sono molto sconfortata. Ma come mi è stato detto dalla Sua Collega "la psicoterapia può riservare colpi di scena" ed io è ciò che auspico, in senso positivo, si intende.

Cordiali saluti anche a Lei
[#22]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Certo, la capisco sulla possibilità di raccontare di sé. Fa bene a muoversi con cautela, questo è uno spazio anonimo ma, come lei dice, pubblico.

Quando dice: "In verità il "fastidio" di questa diretta conoscenza del mio terapeuta con il mio familiare l'ho avvertita sin da subito, ma mi sentivo in difetto per essermici messa io in questa situazione", fa un discorso prezioso.

Non la conosco, ma mi chiedo se il suo sentirsi in difetto parli di un suo vissuto interiore, come se fosse abituata a essere sotto giudizio.
Se così fosse ad esempio, il fatto che questo emerga nella terapia è positivo, perché può essere affrontato nell'esperienza viva con il terapeuta. Potremmo anche dire che è inevitabile che si verifichi questo, se è il modo radicato in cui lei vede se stessa. Diremmo che lo porta con sé nel mondo.

Lei non è in difetto, quindi il fatto che viva questo stato d'animo merita la massima attenzione, e può aprire eventuali discorsi legati alla sua storia, al suo mondo interno, all'immagine che lei ha di sé.

Bisogna dire che non tutti i terapeuti lavorano con i vissuti del paziente emergenti nella relazione diretta con il terapeuta. Per alcuni rappresenta un ostacolo.
So che questo la può sconcertare, il fatto che noi abbiamo un modo di lavorare che può essere tanto differente l'uno dall'altro. Da una parte può essere una ricchezza, dall'altra mi rendo conto che può generare confusione e rappresentare un limite.

Vorrei che lei potesse porre attenzione al modo in cui il terapeuta risponderà al discorso che lei andrà aprendo su di voi.
Il suo patimento necessita di rispetto e di comprensione, non deve essere rimbalzato a lei come una sua responsabilità o errore, cosa che mi sembra di capire, mi corregga pure se mi sbaglio, sia fin troppo abituata a sentirsi dire nella sua vita in generale.
Lei è lì per fare una nuova esperienza di se stessa, e non per sentirsi nuovamente dire che è lei a essere in difetto.

Dalle sue parole sembra molto legata al suo terapeuta, anche se forse una parte di lei è ferita e arrabbiata.
Quindi mi associo al pensiero della Dott.ssa Brunialti sul fatto che "la psicoterapia riservi colpi di scena" e anche io le auguro di sciogliere le tensioni che sta vivendo e riuscire ad affrontare questa esperienza in modo positivo per la vostra relazione terapeutica e per se stessa.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#23]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
La ringrazio tantissimo Dott. de Sanctis,

é vero, direi che sono molto affezionata al mio terapeuta e mi fa piacere sia emerso; è vero anche che c'è una parte di me ferita ed arrabbiata.

Uno dei motivi per cui non vorrei arrivare a dover cambiare terapeuta é anche perché non ho voglia di aver a che fare con un altro metodo, penso mi creerebbe confusione.
Non mi stupisce il discorso sull'utilizzo dei vissuti del paziente in relazione al terapeuta, rientra nel modo di procedere del mio terapeuta, anche lui, come Lei, ad orientamento psicoanalitico.

La questione del "sentirmi in difetto" e del sentirmi sotto giudizio, non saprei, se ci sarà modo ci lavorerò su.
Spero di riuscire a risolvere questi intoppi nella mia psicoterapia e risolvere così i miei problemi personali.

Di nuovo grazie anche a Lei ed un cordiale saluto
[#24]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Dovrebbe andare tutto bene, nel caso siamo qui.

Grazie anche a lei per averci raccontato la sua esperienza.

Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#25]
Attivo dal 2016 al 2017
Ex utente
Grazie Dott. de Sanctis,

Lo spero. Piano piano si vedrà.
Buon lavoro, cordiali saluti