Rifiuto del mio pene
Ho compiuto 30 anni da poco e ho deciso di scrivere per provare a comprendere un aspetto particolare della mia vita.
Non ho mai provato nessun interesse per il sesso. Non mi masturbo, non ho mai avuto un rapporto sessuale completo con penetrazione, non ho mai erezioni spontanee e provo fastidio per avere il pene, preferisco anche urinare da seduto per non doverlo toccare, è come un corpo estraneo nel mio fisico.
Intorno ai 19 anni avevo fatto esami per escludere problemi organici, ormonali ecc, ma non mi era stato trovato nulla di anormale e la diagnosi era stata che la causa poteva essere psicologica; non avevo indagato oltre. Ora sono arrivato a 30 anni e il rapporto con il mio pene non è cambiato, anzi, facendo sport mi capita spesso di vivere il pene come “un ingombro”.
In bicicletta è molto scomodo e spesso risulta dolente dopo itinerari molto lunghi o gite in bicicletta con molti salti
Giocando a calcio mi è capitato spesso di avere problemi per colpi o pallonate proprio lì e soffro di pubalgia
Per il kick-boxing devo fare tutta la vestizione con la conchiglia protettiva per proteggere i genitali
Nell’arrampicata spesso l’imbragatura mi crea fastidio perché tendo a schiacciare o pizzicare malamente le parti intime
Mi capita sempre più spesso di pensare che sarebbe meglio non averlo.
Ho letto di interventi per l’asportazione totale del pene. Non ho minimamente il desiderio di avere una vagina o di cambiare sesso, ho solo il desiderio di liberarmi di qualcosa del mio fisico che non uso e mi sembra un peso.
Ho anche pensato di diventare donatore per un trapianto di pene a favore di qualcuno che abbia la necessità di questo intervento, ma non sono sicuro che si possa fare.
Ho una cura maniacale del mio fisico e sono in forma come un atleta professionista o forse più.
Per questa ragione mi capita spesso di risultare attraente per le donne. Da parte mia invece non provo alcuna attrazione per loro e sono spesso fonte di grandi delusioni. Molti anni fa mi è capitato di trovare in palestra una donna che ha cercato di portarmi a letto in ogni modo. Mi stava sempre addosso e mi provocava in ogni modo, ma io non sono riuscito a provare nessun interesse, nessuno stimolo. Ho avuto con lei un rapporto di sesso orale, ma ho deciso di non andare oltre perché mi sembrava una perdita di tempo.
Sono sicuro anche di non essere omosessuale.
Non ho mai ricercato un rapporto di coppia, preferisco stare con me stesso o con gruppi allargati di persone.
Diciamo che in generale sono molto socievole e mi interessa molto relazionarmi con le persone, ma non cerco rapporti di tipo sessuale e mi vorrei poter liberare del mio organo maschile inutilizzato.
Vorrei un vostro parere in merito alla mia situazione, che immagino non essere piuttosto comune.
Non ho mai provato nessun interesse per il sesso. Non mi masturbo, non ho mai avuto un rapporto sessuale completo con penetrazione, non ho mai erezioni spontanee e provo fastidio per avere il pene, preferisco anche urinare da seduto per non doverlo toccare, è come un corpo estraneo nel mio fisico.
Intorno ai 19 anni avevo fatto esami per escludere problemi organici, ormonali ecc, ma non mi era stato trovato nulla di anormale e la diagnosi era stata che la causa poteva essere psicologica; non avevo indagato oltre. Ora sono arrivato a 30 anni e il rapporto con il mio pene non è cambiato, anzi, facendo sport mi capita spesso di vivere il pene come “un ingombro”.
In bicicletta è molto scomodo e spesso risulta dolente dopo itinerari molto lunghi o gite in bicicletta con molti salti
Giocando a calcio mi è capitato spesso di avere problemi per colpi o pallonate proprio lì e soffro di pubalgia
Per il kick-boxing devo fare tutta la vestizione con la conchiglia protettiva per proteggere i genitali
Nell’arrampicata spesso l’imbragatura mi crea fastidio perché tendo a schiacciare o pizzicare malamente le parti intime
Mi capita sempre più spesso di pensare che sarebbe meglio non averlo.
Ho letto di interventi per l’asportazione totale del pene. Non ho minimamente il desiderio di avere una vagina o di cambiare sesso, ho solo il desiderio di liberarmi di qualcosa del mio fisico che non uso e mi sembra un peso.
Ho anche pensato di diventare donatore per un trapianto di pene a favore di qualcuno che abbia la necessità di questo intervento, ma non sono sicuro che si possa fare.
Ho una cura maniacale del mio fisico e sono in forma come un atleta professionista o forse più.
Per questa ragione mi capita spesso di risultare attraente per le donne. Da parte mia invece non provo alcuna attrazione per loro e sono spesso fonte di grandi delusioni. Molti anni fa mi è capitato di trovare in palestra una donna che ha cercato di portarmi a letto in ogni modo. Mi stava sempre addosso e mi provocava in ogni modo, ma io non sono riuscito a provare nessun interesse, nessuno stimolo. Ho avuto con lei un rapporto di sesso orale, ma ho deciso di non andare oltre perché mi sembrava una perdita di tempo.
Sono sicuro anche di non essere omosessuale.
Non ho mai ricercato un rapporto di coppia, preferisco stare con me stesso o con gruppi allargati di persone.
Diciamo che in generale sono molto socievole e mi interessa molto relazionarmi con le persone, ma non cerco rapporti di tipo sessuale e mi vorrei poter liberare del mio organo maschile inutilizzato.
Vorrei un vostro parere in merito alla mia situazione, che immagino non essere piuttosto comune.
[#1]
Gentile utente,
riguardo agli approfondimenti medici Lei ci dice:
<<Intorno ai 19 anni avevo fatto esami per escludere problemi organici, ormonali ecc, ma non mi era stato trovato nulla di anormale e la diagnosi era stata che la causa poteva essere psicologica;<<.
di che medico si trattava?
Medico di base
urologo
andrologo
.... ?
A fronte di una ipotetica causa psicologica Lei come si è comportato?
che approfondimenti ha fatto?
Ha consulttato uno psicologo psicoterapeuta, magari perfezionato nell'area sessuologica?
con quali eventuali esiti?
Come mai proprio ora si è deciso a riprendere in mano la questione?
riguardo agli approfondimenti medici Lei ci dice:
<<Intorno ai 19 anni avevo fatto esami per escludere problemi organici, ormonali ecc, ma non mi era stato trovato nulla di anormale e la diagnosi era stata che la causa poteva essere psicologica;<<.
di che medico si trattava?
Medico di base
urologo
andrologo
.... ?
A fronte di una ipotetica causa psicologica Lei come si è comportato?
che approfondimenti ha fatto?
Ha consulttato uno psicologo psicoterapeuta, magari perfezionato nell'area sessuologica?
con quali eventuali esiti?
Come mai proprio ora si è deciso a riprendere in mano la questione?
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Ex utente
Gentile dr.ssa, la ringrazio molto per la sua risposta che non avrei immaginato così tempestiva.
Rispondo alle sue domande
1. Mi sono affidato al medico di base che mi ha prescritto diverse visite specialistice e gli specialisti mi hanno fatto fare alcuni esami. Non ricordo esattamente quali figure professionali avessi incontrato, dovrei riprendere in mano i referti. Ricordo che avevamo cercato di guradare tanti aspeti diversi, ma non emerse nulla di particolarmente rilevante.
2. Mi premeva molto capire se avessi un problema fisico. Una volta esclusa questa possibilità il mio lavoro di indagine era finito perchè quella condizione picologica non mi faceva soffrire, non volevo modificarla, non mi interessava occuparmene. Ricordo di non essermi fatto coinvolgere nei discorsi dei miei coetanei riguardo al sesso. Ricordo l'ansia e la frustrazione di chi non riusciva a trovare l'occasione giusta per avere il primo rapporto o chi vantava esperienze e prestazioni superlative. Io non facevo nulla e non mi interessava farlo o parlarne. Non ho quindi mai cercato il supporto di uno psicologo.
3. Perchè ora ho deciso di riprendere in mano la questione: perché mi sono accorto che qualcosa sta cambiando. Il mio pene è sempre stato oggetto di indifferenza e fastidio da parte mia, ma la soluzione è sempre stata quella di ignorarlo.
Oggi mi sto sempre più convincendo di percorrere la possibilità della asportazione chirurgica. Poichè questa è una decisione che riguarda anche il mio fisico e rappresenta un punto di non ritorno, ritengo opportuno preoccuparmene.
Durante l'estate ho provato ad indossare un costume a slip e portare, sotto, una di quelle mutande nascondipene, che permettono di piegarlo verso il basso e fissarlo con un nastrino allo scopo di nasconderlo.
Volevo vedere l'effetto che faceva nelle relazioni con gli altri il fatto di non averlo. A parte la scomodità estrema, visto da fuori sembrava effettivamente quasi non esserci.
Mi sembra di aver rilevato un calante interesse del sesso femminile nei miei confronti, rispetto al solito. Ho scoperto anche una sorprendente solidarietà maschile . Sono stato avvicinato da alcuni ragazzi con problemi di pene piccolo che, notando la mia scarsa dotazione hanno cercato un confronto con me.
Ad una festa in spiaggia, una ragazza un po' brilla mi ha detto che era un peccato che un fisico come il mio avesse così poco negli slip e mi ha consigliato di portare un altro costume che lo rendesse meno evidente.
Un'altra mi ha detto "peccato che non sia un muscolo, perchè con i muscoli ci sai fare"...
Per me sono state esperienze nuove, perchè non ho mai avuto il complesso di avere il pene piccolo, anzi...fin troppo ingmbrante.
Per scegliere la taglia delle mutande nascondipene ho dovuto misurarmi il pene allo stato flaccido. Ho scoperto di avere un membro, allo stato flaccido, di 16,3 cm, che credo non raggiungano tanti uomini in erezione. E' curioso il fatto che io voglia liberarmi di qualcosa che probabilmente susciterebbe l'invidia di molti...
Credo però che non avere del tutto il pene rispetto a sembrare di averlo piccolo possa suscitare reazioni differenti.
Poichè non riesco a immaginare completamente come potrebbe essere una vita senza il pene sono un po' in ansia sul da farsi.
Non so se potrà essere maggiore il disagio oggi di averlo rispetto al disagio che provocherei negli altri e, quindi forse anche in me, per non averlo più...
Rispondo alle sue domande
1. Mi sono affidato al medico di base che mi ha prescritto diverse visite specialistice e gli specialisti mi hanno fatto fare alcuni esami. Non ricordo esattamente quali figure professionali avessi incontrato, dovrei riprendere in mano i referti. Ricordo che avevamo cercato di guradare tanti aspeti diversi, ma non emerse nulla di particolarmente rilevante.
2. Mi premeva molto capire se avessi un problema fisico. Una volta esclusa questa possibilità il mio lavoro di indagine era finito perchè quella condizione picologica non mi faceva soffrire, non volevo modificarla, non mi interessava occuparmene. Ricordo di non essermi fatto coinvolgere nei discorsi dei miei coetanei riguardo al sesso. Ricordo l'ansia e la frustrazione di chi non riusciva a trovare l'occasione giusta per avere il primo rapporto o chi vantava esperienze e prestazioni superlative. Io non facevo nulla e non mi interessava farlo o parlarne. Non ho quindi mai cercato il supporto di uno psicologo.
3. Perchè ora ho deciso di riprendere in mano la questione: perché mi sono accorto che qualcosa sta cambiando. Il mio pene è sempre stato oggetto di indifferenza e fastidio da parte mia, ma la soluzione è sempre stata quella di ignorarlo.
Oggi mi sto sempre più convincendo di percorrere la possibilità della asportazione chirurgica. Poichè questa è una decisione che riguarda anche il mio fisico e rappresenta un punto di non ritorno, ritengo opportuno preoccuparmene.
Durante l'estate ho provato ad indossare un costume a slip e portare, sotto, una di quelle mutande nascondipene, che permettono di piegarlo verso il basso e fissarlo con un nastrino allo scopo di nasconderlo.
Volevo vedere l'effetto che faceva nelle relazioni con gli altri il fatto di non averlo. A parte la scomodità estrema, visto da fuori sembrava effettivamente quasi non esserci.
Mi sembra di aver rilevato un calante interesse del sesso femminile nei miei confronti, rispetto al solito. Ho scoperto anche una sorprendente solidarietà maschile . Sono stato avvicinato da alcuni ragazzi con problemi di pene piccolo che, notando la mia scarsa dotazione hanno cercato un confronto con me.
Ad una festa in spiaggia, una ragazza un po' brilla mi ha detto che era un peccato che un fisico come il mio avesse così poco negli slip e mi ha consigliato di portare un altro costume che lo rendesse meno evidente.
Un'altra mi ha detto "peccato che non sia un muscolo, perchè con i muscoli ci sai fare"...
Per me sono state esperienze nuove, perchè non ho mai avuto il complesso di avere il pene piccolo, anzi...fin troppo ingmbrante.
Per scegliere la taglia delle mutande nascondipene ho dovuto misurarmi il pene allo stato flaccido. Ho scoperto di avere un membro, allo stato flaccido, di 16,3 cm, che credo non raggiungano tanti uomini in erezione. E' curioso il fatto che io voglia liberarmi di qualcosa che probabilmente susciterebbe l'invidia di molti...
Credo però che non avere del tutto il pene rispetto a sembrare di averlo piccolo possa suscitare reazioni differenti.
Poichè non riesco a immaginare completamente come potrebbe essere una vita senza il pene sono un po' in ansia sul da farsi.
Non so se potrà essere maggiore il disagio oggi di averlo rispetto al disagio che provocherei negli altri e, quindi forse anche in me, per non averlo più...
[#3]
Gentile utente,
<<Non so se potrà essere maggiore il disagio oggi di averlo
rispetto al disagio che provocherei negli altri e, quindi forse anche in me,
per non averlo più... <<
interessanti le info che Lei ci fornisce anche in relazione al suo "esperimento",
ma anche il dubbio sopra riportato!
Considerata l'importanza della problematica,
in riferimento non solo al Suo pene,
ma anche riferita alla Sua identità di persona-uomo
e alle Sue relazioni con il proprio e l'altro genere,
Le consiglio vivamente di contattare uno Psicologo psicoterapeuta con esperienza.
Saluti cordiali.
<<Non so se potrà essere maggiore il disagio oggi di averlo
rispetto al disagio che provocherei negli altri e, quindi forse anche in me,
per non averlo più... <<
interessanti le info che Lei ci fornisce anche in relazione al suo "esperimento",
ma anche il dubbio sopra riportato!
Considerata l'importanza della problematica,
in riferimento non solo al Suo pene,
ma anche riferita alla Sua identità di persona-uomo
e alle Sue relazioni con il proprio e l'altro genere,
Le consiglio vivamente di contattare uno Psicologo psicoterapeuta con esperienza.
Saluti cordiali.
[#4]
Salve,
accanto alle considerazioni della Dottoressa Brunialti che condivido, vorrei aggiungere alcune suggestioni, che mi sento di lasciarle in questa sede.
Mi ha colpito il titolo del consulto "Rifiuto del mio pene", che però risulta in secondo piano all'inizio della sua narrazione. Ci parla infatti, come prima cosa, dell'assenza della sessualità.
Mi sono chiesto pertanto se può esserci un nesso tra l'assenza della sessualità e il rifiuto del suo pene.
In un secondo momento, poi, parla delle donne come "fonte di grandi delusioni" e del fatto di non avere "ricercato una vita di coppia".
Questo ulteriore aspetto mi sembra incisivo e potrebbe essere importante approfondirlo.
La certezza con cui ci comunica di non essere omosessuale, inoltre, la trovo significativa. Mi sono chiesto diverse cose in proposito, tra cui: lui sa di non essere omosessuale, perché in qualche modo riconosce di provare un'attrazione per le donne?
Questi aspetti, che risuonano in me dalla lettura del suo racconto, li sento in qualche modo potenzialmente collegati.
Anche la parola "rifiuto" mi colpisce. Ha un carattere intenso, legato come dice a un senso di fastidio, ma potremmo dire anche un senso di rigetto. Così mi sono chiesto se è "il suo pene" che non desidera o se invece rappresenta simbolicamente qualcosa che riguarda la sua persona a livello interiore, che non vorrebbe più.
Mi chiedo, ad esempio, se lei è una persona iper prestazionale e se una parte di lei è stanca di questo, di ricevere cioè interesse solo per il suo fare e mai per il suo essere.
Su questa linea potrebbe muoversi il suo gesto (provocatorio?) di vedere la reazione degli altri rispetto allo slip vuoto.
Non so se queste suggestioni abbiano in lei una qualche risonanza, ma leggendo le sue parole a proposito dello slip, la reazione degli altri sembra essere stata purtroppo una brutta conferma: gli uomini solidali in quanto portatori di un disagio (se non sei performante non vali) e le donne forse deludenti, poiché in verità per loro contano solo l'esteriorità e la performance, non il calore dei sentimenti.
Allora oggi potremmo chiederci se lei stia cercando qualcosa di "suo" che conta, e non è soltanto il "suo pene" e la sua dimensione, ma il valore della sua persona e della libertà di essere se stesso.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
accanto alle considerazioni della Dottoressa Brunialti che condivido, vorrei aggiungere alcune suggestioni, che mi sento di lasciarle in questa sede.
Mi ha colpito il titolo del consulto "Rifiuto del mio pene", che però risulta in secondo piano all'inizio della sua narrazione. Ci parla infatti, come prima cosa, dell'assenza della sessualità.
Mi sono chiesto pertanto se può esserci un nesso tra l'assenza della sessualità e il rifiuto del suo pene.
In un secondo momento, poi, parla delle donne come "fonte di grandi delusioni" e del fatto di non avere "ricercato una vita di coppia".
Questo ulteriore aspetto mi sembra incisivo e potrebbe essere importante approfondirlo.
La certezza con cui ci comunica di non essere omosessuale, inoltre, la trovo significativa. Mi sono chiesto diverse cose in proposito, tra cui: lui sa di non essere omosessuale, perché in qualche modo riconosce di provare un'attrazione per le donne?
Questi aspetti, che risuonano in me dalla lettura del suo racconto, li sento in qualche modo potenzialmente collegati.
Anche la parola "rifiuto" mi colpisce. Ha un carattere intenso, legato come dice a un senso di fastidio, ma potremmo dire anche un senso di rigetto. Così mi sono chiesto se è "il suo pene" che non desidera o se invece rappresenta simbolicamente qualcosa che riguarda la sua persona a livello interiore, che non vorrebbe più.
Mi chiedo, ad esempio, se lei è una persona iper prestazionale e se una parte di lei è stanca di questo, di ricevere cioè interesse solo per il suo fare e mai per il suo essere.
Su questa linea potrebbe muoversi il suo gesto (provocatorio?) di vedere la reazione degli altri rispetto allo slip vuoto.
Non so se queste suggestioni abbiano in lei una qualche risonanza, ma leggendo le sue parole a proposito dello slip, la reazione degli altri sembra essere stata purtroppo una brutta conferma: gli uomini solidali in quanto portatori di un disagio (se non sei performante non vali) e le donne forse deludenti, poiché in verità per loro contano solo l'esteriorità e la performance, non il calore dei sentimenti.
Allora oggi potremmo chiederci se lei stia cercando qualcosa di "suo" che conta, e non è soltanto il "suo pene" e la sua dimensione, ma il valore della sua persona e della libertà di essere se stesso.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#5]
Ex utente
Gentile dr. De Sanctis,
sono sinceramente e profondamente colpito dai suoi ragionamenti e dalla sua capacità di leggere tra le righe... con sensibilità e umanità.
Provo ad andare in ordine.
Si, c'è un forte nesso tra l'assenza della sessualità e il rifiuto del pene e forse è proprio per questo che ho cominciato da lì la mia narrazione.
Ho sempre visto il pene come uno strumento per fare sesso e non avendo mai avuto il desiderio di fare sesso ho sempre pensato fosse inutile anche lo strumento. Non ho mai avuto il desiderio di fare sesso perché questo implica la presenza di una donna e le donne nella mia vita non ci sono mai state...neanche mia madre, che ha lasciato mio padre per un altro uomo quando ero molto piccolo.
Per casa ho sempre visto le donne di mio padre, che non sono mai durate più di un mese e che erano oggetti per soddisfare il suo piacere sessuale.
Quando sono cresciuto, l'idea di avere una vita sessuale come quella di mio padre mi ripugnava e ho cominciato a rifiutare le occasioni di avere rapporti che mi sono capitate.
Mi sono concentrato sulla cura del mio fisico. E' diventata per me una disciplina di vita che condiziona ogni mia abitudine.
La pratica di molte attività sportive e la frequentazione assidua delle palestre (prima per passione e poi anche per mestiere) mi ha portato a relazionarmi sempre più con persone concentrate sul fisico e le prestazioni, piuttosto che sul calore dei sentimenti, a cui magari prestavano anche cura, ma in ambienti e situazioni diverse da quelle che condividevano con me.
Probabilmente ha ragione nel dire che una parte di me si è stancata di questo. Anche il fatto di essere spesso molto svestito, per via dell'attività fisica da svolgere, ha fatto si che il mio pene avesse anche una "vetrina" maggiore rispetto a quella di altre persone che svolgono altri mestieri.
Sono sempre stato avvicinato da persone attratte dal mio fisico tonico, dai miei muscoli scolpiti, dalla tartaruga sulla pancia e dalle dimensioni non piccole del mio pene. Questo era quello che stavano cercando le persone che erano lì e questo è quello che hanno trovato in me. Prima ancora di capire chi fossi, che cosa desiderassi o quali fossero i miei sentimenti avrei avutomi offrivano la possibilità di relazioni sessuali, che tanto mi ricordavano quelle di mio padre e che ho cercato di fuggire con tutto me stesso. Nel mio ambiente, per un certo periodo, si era anche diffusa la sensazione che fossi gay perchè sfuggivo a tutte le donne, tanto che ho cominciato ad essere avvicinato anche dagli uomini. Soprattutto quando facevamo la doccia negli spogliatoi mi accorgevo che mi guardavano soprattutto il pene, sempre lui. Era come un amo specializzato nell'attirare le persone che non mi interessava conoscere. Come ha osservato correttamente lei, non avrei dovuto dire non sono gay, perchè in realtà non sono attirato neanche dalle donne...sono "asessuato"?.
La parola rifiuto voleva proprio comunicare un senso di rigetto. Rigetto verso un elemento del mio corpo che ha spesso attirato persone incapaci di interessarsi anche alla mia anima.
Credo che in tutto questo discorso l'aspetto centrale diventi la sua riflessione conclusiva, che le confermo in pieno. "Allora oggi potremmo chiederci se lei stia cercando qualcosa di "suo" che conta, e non è soltanto il "suo pene" e la sua dimensione, ma il valore della sua persona e della libertà di essere se stesso." Mi sto convincendo che il gesto estremo di liberarmi del pene potrebbe permettermi di aprire questo nuovo capitolo della mia vita, che altrimenti mi sembra di non riuscire a cominciare.
Lo scopo dell'esperimento di nascondere il pene voleva proprio essere questo. Se il mio pene sparisce che cosa vedono in me le persone? In effetti il risultato è stato sconfortante, tanto dallo spingermi a farmi questa domanda: "le persone non vedono niente altro forse perchè non c'é?". E qui torniamo alla sua osservazione: sto cercando qualcosa di mio che conta.
Mi piace molto la sua espressione "il valore della sua persona". Mi sembra di avere sciupato 30 anni della mia vita impegnato in cose di nessun valore ed essere adesso incapace di capire ciò che conta davvero per me, di capire chi sono, la mia identità di persona e di uomo.
Anche in questo caso ha centrato perfettamente la questione scrivendo: "Così mi sono chiesto se è "il suo pene" che non desidera o se invece rappresenta simbolicamente qualcosa che riguarda la sua persona a livello interiore, che non vorrebbe più. "
Mi sorprende molto come lei sia riuscito a leggere nella mia anima più di quanto io stesso riesca a fare. Questo mi da anche la speranza che ci sia qualcosa su cui poter lavorare.
Crede che potrei cominciare questo percorso di ricerca della mia identità anche senza ricorrere a questo gesto estremo?
Crede che se invece decidessi per l'operazione poi mi potrei pentire e non avere più la possibilità di tornare indietro?
Per cercare di capire come essere me stesso sarei anche disposto a questo sacrificio (modificare in modo così radicale una parte del mio fisico è contrario alla mia disciplina di cura del corpo), ma il mio grande timore è che in questo nuovo capitolo il mio nuovo me stesso potrebbe avere bisogno del pene, potrebbe interessarsi al sesso e alla vita di coppia.
Grazie per il suo tempo e per le sue parole.
Ho percepito in lei sincera partecipazione alla mia storia e, francamente, non sono abituato che qualcuno si interessi a me.
sono sinceramente e profondamente colpito dai suoi ragionamenti e dalla sua capacità di leggere tra le righe... con sensibilità e umanità.
Provo ad andare in ordine.
Si, c'è un forte nesso tra l'assenza della sessualità e il rifiuto del pene e forse è proprio per questo che ho cominciato da lì la mia narrazione.
Ho sempre visto il pene come uno strumento per fare sesso e non avendo mai avuto il desiderio di fare sesso ho sempre pensato fosse inutile anche lo strumento. Non ho mai avuto il desiderio di fare sesso perché questo implica la presenza di una donna e le donne nella mia vita non ci sono mai state...neanche mia madre, che ha lasciato mio padre per un altro uomo quando ero molto piccolo.
Per casa ho sempre visto le donne di mio padre, che non sono mai durate più di un mese e che erano oggetti per soddisfare il suo piacere sessuale.
Quando sono cresciuto, l'idea di avere una vita sessuale come quella di mio padre mi ripugnava e ho cominciato a rifiutare le occasioni di avere rapporti che mi sono capitate.
Mi sono concentrato sulla cura del mio fisico. E' diventata per me una disciplina di vita che condiziona ogni mia abitudine.
La pratica di molte attività sportive e la frequentazione assidua delle palestre (prima per passione e poi anche per mestiere) mi ha portato a relazionarmi sempre più con persone concentrate sul fisico e le prestazioni, piuttosto che sul calore dei sentimenti, a cui magari prestavano anche cura, ma in ambienti e situazioni diverse da quelle che condividevano con me.
Probabilmente ha ragione nel dire che una parte di me si è stancata di questo. Anche il fatto di essere spesso molto svestito, per via dell'attività fisica da svolgere, ha fatto si che il mio pene avesse anche una "vetrina" maggiore rispetto a quella di altre persone che svolgono altri mestieri.
Sono sempre stato avvicinato da persone attratte dal mio fisico tonico, dai miei muscoli scolpiti, dalla tartaruga sulla pancia e dalle dimensioni non piccole del mio pene. Questo era quello che stavano cercando le persone che erano lì e questo è quello che hanno trovato in me. Prima ancora di capire chi fossi, che cosa desiderassi o quali fossero i miei sentimenti avrei avutomi offrivano la possibilità di relazioni sessuali, che tanto mi ricordavano quelle di mio padre e che ho cercato di fuggire con tutto me stesso. Nel mio ambiente, per un certo periodo, si era anche diffusa la sensazione che fossi gay perchè sfuggivo a tutte le donne, tanto che ho cominciato ad essere avvicinato anche dagli uomini. Soprattutto quando facevamo la doccia negli spogliatoi mi accorgevo che mi guardavano soprattutto il pene, sempre lui. Era come un amo specializzato nell'attirare le persone che non mi interessava conoscere. Come ha osservato correttamente lei, non avrei dovuto dire non sono gay, perchè in realtà non sono attirato neanche dalle donne...sono "asessuato"?.
La parola rifiuto voleva proprio comunicare un senso di rigetto. Rigetto verso un elemento del mio corpo che ha spesso attirato persone incapaci di interessarsi anche alla mia anima.
Credo che in tutto questo discorso l'aspetto centrale diventi la sua riflessione conclusiva, che le confermo in pieno. "Allora oggi potremmo chiederci se lei stia cercando qualcosa di "suo" che conta, e non è soltanto il "suo pene" e la sua dimensione, ma il valore della sua persona e della libertà di essere se stesso." Mi sto convincendo che il gesto estremo di liberarmi del pene potrebbe permettermi di aprire questo nuovo capitolo della mia vita, che altrimenti mi sembra di non riuscire a cominciare.
Lo scopo dell'esperimento di nascondere il pene voleva proprio essere questo. Se il mio pene sparisce che cosa vedono in me le persone? In effetti il risultato è stato sconfortante, tanto dallo spingermi a farmi questa domanda: "le persone non vedono niente altro forse perchè non c'é?". E qui torniamo alla sua osservazione: sto cercando qualcosa di mio che conta.
Mi piace molto la sua espressione "il valore della sua persona". Mi sembra di avere sciupato 30 anni della mia vita impegnato in cose di nessun valore ed essere adesso incapace di capire ciò che conta davvero per me, di capire chi sono, la mia identità di persona e di uomo.
Anche in questo caso ha centrato perfettamente la questione scrivendo: "Così mi sono chiesto se è "il suo pene" che non desidera o se invece rappresenta simbolicamente qualcosa che riguarda la sua persona a livello interiore, che non vorrebbe più. "
Mi sorprende molto come lei sia riuscito a leggere nella mia anima più di quanto io stesso riesca a fare. Questo mi da anche la speranza che ci sia qualcosa su cui poter lavorare.
Crede che potrei cominciare questo percorso di ricerca della mia identità anche senza ricorrere a questo gesto estremo?
Crede che se invece decidessi per l'operazione poi mi potrei pentire e non avere più la possibilità di tornare indietro?
Per cercare di capire come essere me stesso sarei anche disposto a questo sacrificio (modificare in modo così radicale una parte del mio fisico è contrario alla mia disciplina di cura del corpo), ma il mio grande timore è che in questo nuovo capitolo il mio nuovo me stesso potrebbe avere bisogno del pene, potrebbe interessarsi al sesso e alla vita di coppia.
Grazie per il suo tempo e per le sue parole.
Ho percepito in lei sincera partecipazione alla mia storia e, francamente, non sono abituato che qualcuno si interessi a me.
[#6]
Sono davvero colpito dalla sua capacità riflessiva. Ha colto chiaramente tutto il mio discorso ed è stato in grado di sviluppare delle idee, di accedere ai suoi ricordi, di dare alla sua narrazione una coloritura emotiva vivida, di istituire una forma di dialogo con me, per quanto scritta e virtuale.
Non so se può accorgersi della differenza tra il suo primo testo e quest'ultimo. Questo è un fatto, dal mio punto di vista, estremamente positivo ed è un ottimo punto di partenza, affinché si possa avviare un processo trasformativo, qualora lo decidesse.
Il ricordo che ha avuto di sua madre e quello legato a suo padre sono davvero significativi, meritano la massima attenzione. A volte certe esperienze possono rappresentare forti condizionamenti.
Accanto a questo, non so se è una suggestione corretta, in poche righe mi ha comunicato anche un senso di solitudine relativamente al clima familiare, e mi sono chiesto se ha potuto sviluppare un senso di fiducia e di stabilità interiori nonché un'intimità nelle relazioni.
Potrei dire che ho ipotizzato questo, anche perché ho sentito un senso di freddo, confermato da una sua riflessione raffinata: la cura per il corpo "è diventata per me una disciplina di vita che condiziona ogni mia abitudine", come se unicamente questo le desse un senso di vita, una struttura identitaria potremmo dire.
Altra considerazione acuta la fa quando si accorge di ritrovarsi in un ambiente coerente con un'attenzione estrema per l'immagine esteriore, cosa che rischia di diventare una forma illusoria per quelle persone che ne sono assorbite integralmente.
Quindi è come se dicesse che la sua bellezza e forza esteriori rischiano di essere al contempo anche una condanna per lei.
Relativamente al discorso dell'asessualità, io ipotizzo che lei abbia un'attrazione sessuale, anche se le sembra di non sentirla.
In nome di questa mia personale ipotesi, quando chiede: "Crede che potrei cominciare questo percorso di ricerca della mia identità anche senza ricorrere a questo gesto estremo? Crede che se invece decidessi per l'operazione poi mi potrei pentire e non avere più la possibilità di tornare indietro?", le mie risposte sono sì e sì.
Non deve ricorrere a questo "gesto estremo, si pentirebbe e non potrebbe tornare indietro". Non è "il gesto estremo di liberarsi del pene a permetterle di aprire questo nuovo capitolo della sua vita". Quello che deve fare è un'altra cosa.
Quel gesto o comunque la fantasia di attuarlo, invece, sono una vera e propria mutilazione con cui la dà vinta a chi non è stato capace di considerarla una persona nella sua interezza e nel suo valore. Sono l'espressione di una mutilazione di sé, che ha sentito forse da parte della vita, verso cui mi chiedo se magari nutre un senso di rabbia profonda.
Va comunque detto, se ce ne fosse bisogno, che a livello pratico non si potrebbe intervenire chirurgicamente, poiché non ci sarebbero i requisiti per avviare un procedimento di questo tipo. Ad ogni modo, al di là di questo, mi sembra che anche lei possa condividere con me che verosimilmente non si tratta di una questione fisica. D'altronde l'esperimento degli slip vuoti glielo ha confermato.
C'è una complessità di fattori storici, legati al suo passato familiare, al suo sviluppo soggettivo e a un carico emotivo non indifferente. Questo può avere generato in lei un'esperienza che ha condizionato la sua vita. Deve prendersi cura di sé se non vuole che questo continui ancora, sciupando altri anni della sua vita.
Potrà trasformare questa sua esperienza, se decide di farlo, per cambiare la sua vita, riscoprire la sua sessualità e incontrare chi sarà in grado di darle il calore e la considerazione che merita.
È proprio come dice: "In questo nuovo capitolo il mio nuovo me stesso potrebbe avere bisogno del pene, potrebbe interessarsi al sesso e alla vita di coppia".
Posso dire che quindi mostra di sapere intimamente cosa è giusto fare per se stesso.
Grazie anche a lei per le sue parole e per la sua disponibilità a un dialogo partecipato, attraverso cui generosamente ha narrato i vissuti delicati della sua esistenza e le sue esperienze di vita.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
Non so se può accorgersi della differenza tra il suo primo testo e quest'ultimo. Questo è un fatto, dal mio punto di vista, estremamente positivo ed è un ottimo punto di partenza, affinché si possa avviare un processo trasformativo, qualora lo decidesse.
Il ricordo che ha avuto di sua madre e quello legato a suo padre sono davvero significativi, meritano la massima attenzione. A volte certe esperienze possono rappresentare forti condizionamenti.
Accanto a questo, non so se è una suggestione corretta, in poche righe mi ha comunicato anche un senso di solitudine relativamente al clima familiare, e mi sono chiesto se ha potuto sviluppare un senso di fiducia e di stabilità interiori nonché un'intimità nelle relazioni.
Potrei dire che ho ipotizzato questo, anche perché ho sentito un senso di freddo, confermato da una sua riflessione raffinata: la cura per il corpo "è diventata per me una disciplina di vita che condiziona ogni mia abitudine", come se unicamente questo le desse un senso di vita, una struttura identitaria potremmo dire.
Altra considerazione acuta la fa quando si accorge di ritrovarsi in un ambiente coerente con un'attenzione estrema per l'immagine esteriore, cosa che rischia di diventare una forma illusoria per quelle persone che ne sono assorbite integralmente.
Quindi è come se dicesse che la sua bellezza e forza esteriori rischiano di essere al contempo anche una condanna per lei.
Relativamente al discorso dell'asessualità, io ipotizzo che lei abbia un'attrazione sessuale, anche se le sembra di non sentirla.
In nome di questa mia personale ipotesi, quando chiede: "Crede che potrei cominciare questo percorso di ricerca della mia identità anche senza ricorrere a questo gesto estremo? Crede che se invece decidessi per l'operazione poi mi potrei pentire e non avere più la possibilità di tornare indietro?", le mie risposte sono sì e sì.
Non deve ricorrere a questo "gesto estremo, si pentirebbe e non potrebbe tornare indietro". Non è "il gesto estremo di liberarsi del pene a permetterle di aprire questo nuovo capitolo della sua vita". Quello che deve fare è un'altra cosa.
Quel gesto o comunque la fantasia di attuarlo, invece, sono una vera e propria mutilazione con cui la dà vinta a chi non è stato capace di considerarla una persona nella sua interezza e nel suo valore. Sono l'espressione di una mutilazione di sé, che ha sentito forse da parte della vita, verso cui mi chiedo se magari nutre un senso di rabbia profonda.
Va comunque detto, se ce ne fosse bisogno, che a livello pratico non si potrebbe intervenire chirurgicamente, poiché non ci sarebbero i requisiti per avviare un procedimento di questo tipo. Ad ogni modo, al di là di questo, mi sembra che anche lei possa condividere con me che verosimilmente non si tratta di una questione fisica. D'altronde l'esperimento degli slip vuoti glielo ha confermato.
C'è una complessità di fattori storici, legati al suo passato familiare, al suo sviluppo soggettivo e a un carico emotivo non indifferente. Questo può avere generato in lei un'esperienza che ha condizionato la sua vita. Deve prendersi cura di sé se non vuole che questo continui ancora, sciupando altri anni della sua vita.
Potrà trasformare questa sua esperienza, se decide di farlo, per cambiare la sua vita, riscoprire la sua sessualità e incontrare chi sarà in grado di darle il calore e la considerazione che merita.
È proprio come dice: "In questo nuovo capitolo il mio nuovo me stesso potrebbe avere bisogno del pene, potrebbe interessarsi al sesso e alla vita di coppia".
Posso dire che quindi mostra di sapere intimamente cosa è giusto fare per se stesso.
Grazie anche a lei per le sue parole e per la sua disponibilità a un dialogo partecipato, attraverso cui generosamente ha narrato i vissuti delicati della sua esistenza e le sue esperienze di vita.
Un saluto cordiale,
Enrico de Sanctis
[#7]
Ex utente
Gentile dr. de Sanctis,
mi verrebbe da dire che la differenza tra il mio primo scritto e il secondo l'ha determinata lei con la sua generosità a prendersi cura di me.
Non sbaglia quando percepisce solitudine in relazione al clima familiare in cui sono cresciuto.
Mia madre per me non c'è mai stata, sono molti anni ormai che non abbiamo occasione di sentirci.
Mio padre si è sempre preoccupato di non farmi mancare nulla dal punto di vista economico, ma non abbiamo mai cominciato un percorso affettivo insieme.
Le faccio un esempio per farle capire che cosa intendo.
Quando ancora andavo a scuola ho avuto un incidente con la moto. Nulla di grave, ma sono stato un giorno intero in ospedale per controlli. La persona che guidava l'auto che ha provocato l'incidente mi ha accompagnato al pronto soccorso e ha chiamato mio padre per avvisarlo dell'accaduto. Lui lo ha ringraziato e gli ha chiesto quanti soldi volesse per stare in ospedale con me perchè lui non aveva nessuna intenzione di venire. Uno sconosciuto ha sentito il bisogno umano di starmi accanto e mio padre no.
Diciamo che questo clima familiare mi ha aiutato a imparare a cavarmela da solo e ad avere fiducia nei mie mezzi, consapevole che sarebbero stati gli unici su cui poter contare davvero.
Per quanto riguarda la stabilità interiore credo, in un certo senso, di aver trovato un mio equilibrio evitando di raggiungere un'intimità nelle relazioni, per il timore di rimanerne deluso o essere ancora abbandonato.
Questo significa che ho imparato a vivere solo con me stesso. Non so che cosa voglia dire prendersi cura di qualcuno, condividere esperienze ed emozioni, non mi aspetto nulla dagli altri e gli altri da me. Diciamo che ho cercato, attraverso lo sport, di cercare occasioni di aggregazione, per soddisfare il mio desiderio di appartenere a qualcosa o a qualcuno, dal momento che la mia famiglia, in qualche modo, mi aveva escluso ne ho cercate altre.
Da qui il gruppo dei ragazzi della mountain bike, della palestra di kick boxing, della squadra di calcio, dei ragazzi dell'arrampicata. Tante "famiglie" diverse per cercare di colmare il vuoto lasciato da una, per combattere il senso di isolamento che avvertivo e la sfiducia verso gli altri.
Ha inteso bene anche il discorso della cura del corpo, è stata per me la ricerca di regole, stabilità e disciplina, tutto quello che ho fatto è stato finalizzato a quello, ha dato un senso alla mia esistenza, fino ad ora. E' stata l'unica ragione per cui mi sono alzato dal letto la mattina.
Quel corpo, però, che in qualche modo adesso rappresenta per me anche una condanna, qualcosa da mutilare.
Sì, nutro un sentimento di rabbia profonda nei confronti della mia vita. Intorno ai 21-22 anni ho cominciato a praticare kick boxing perchè ero sopraffatto da una tale rabbia che se non avessi incanalato e sfogato così mi avrebbe portato all'autodistruzione. La mia stessa famiglia mi stava facendo del male, sentivo violati i miei diritti di figlio, i miei bisogni e desideri non soddisfatti. Cercavo di soffocare la mia disperazione prendendomela con chi non se lo meritava, non avevo la forza di guardare in faccia il dolore.
Ha ragione quando scrive "Quel gesto o comunque la fantasia di attuarlo, invece, sono una vera e propria mutilazione con cui la dà vinta a chi non è stato capace di considerarla una persona nella sua interezza e nel suo valore.".
Penso, però, anche che l'idea della mutilazione sia da intendersi come una sorta di punizione che sento il bisogno di infliggermi, per non aver combattuto per fare emergere quell'anima che gli altri non vedevano, per essere diventato il primo "seguace" del mio corpo e non essere riuscito a prendermi cura dello spirito. Ripensandoci oggi, quando ho fatto tutti gli esami per capire se ci fossero problemi fisici alla base della mancanza di desiderio sessuale, mi sono preoccupato solo della parte del corpo. Quando mi hanno detto che poteva essere un problema psicologico mi sono fermato. Sono stato io il primo a mettere il fisico davanti allo spirito e per questo credo che il mio fisico debba pagare.
Probabilmente, come saggiamente suggerisce lei, non è necessario che paghi materialmente e fisicamente.
Lei scrive "Relativamente al discorso dell'asessualità, io ipotizzo che lei abbia un'attrazione sessuale, anche se le sembra di non sentirla."
Su questo aspetto non so davvero che cosa dire. Forse non la sento perchè mi sono imposto di non entrare in intimità relazionale con nessuno, per il timore di soffrire e rimanerne deluso. Forse perchè il sesso mi è sempre stato offerto da persone che non ritenevo coerenti con la mia scala di valori. Forse perchè il sesso ha distrutto la mia vita famigliare e non ho mai avuto intorno a me esempi positivi.
Forse perchè il mio pene non è un muscolo e a forza di non usarlo si è atrofizzato emotivamente. Questa sera mi è venuta la curiosità di masturbarmi, ma non sono riuscito ad avere una erezione. Non so perchè lo abbia fatto, non lo facevo da un tempo inenarrabile...
E' probabile che abbia bisogno di un lungo periodo di "riabilitazione" della mia emotività.
Non credevo di essere capace di aprirmi così tanto e di raccontare i miei pensieri più intimi, ma con lei farlo mi sembra naturale. Ho visto appena una sua foto; non so neanche che voce abbia, che tipo di persona sia, ma la sua attitudine a prendersi cura dell'altro non mi ha lasciato indifferente.
Credo che per lei sia una passione prima che un mestiere.
Ho avuto la curiosità di conoscerla meglio e sono andato a curiosare sul suo profilo e a leggere i commenti degli altri utenti. Mi ha fatto molto piacere riscontrare negli altri la stessa impressione estremamente positiva che io ho avuto di lei. Se mi posso permettere concordo anche con il ragazzo che le ha scritto che nella foto sembra avere una espressione triste; aggiungerei forse anche infastidita dal sole, ma sopra ogni cosa le ribadisco la sensazione di grande umanità che trasmette e che in molti, giustamente , le riconoscono.
Lei mi sembra essere una di quelle persone di valore che forse troppo mi sono mancate nella mia vita.
Per rieducare la mia anima avrei bisogno di una persona come lei...peccato che eserciti a Roma. Non ha mai pensato di venire in Sardegna?
Probabilmente ha ragione quando scrive che intimamente so che cosa sia giusto fare per me stesso, ma in questi anni mi sono mancati la forza e il coraggio di farlo.
Prendermi cura di me stesso. Concretamente come lo tradurrebbe? Da dove posso cominciare e in che modo? E' un tema del quale sono completamente digiuno...non ho neanche mai avuto punti di riferimento affettivi.
Le posso chiedere anche come penserebbe di impostare il lavoro se dovesse prendermi in cura? Non so che cosa significhi intraprendere un percorso di psicoterapia.
La ringrazio ancora molto, mai avrei pensato che un post su internet mi potesse regalare questo. Mi ha restituito un po' di fiducia verso il mondo.
mi verrebbe da dire che la differenza tra il mio primo scritto e il secondo l'ha determinata lei con la sua generosità a prendersi cura di me.
Non sbaglia quando percepisce solitudine in relazione al clima familiare in cui sono cresciuto.
Mia madre per me non c'è mai stata, sono molti anni ormai che non abbiamo occasione di sentirci.
Mio padre si è sempre preoccupato di non farmi mancare nulla dal punto di vista economico, ma non abbiamo mai cominciato un percorso affettivo insieme.
Le faccio un esempio per farle capire che cosa intendo.
Quando ancora andavo a scuola ho avuto un incidente con la moto. Nulla di grave, ma sono stato un giorno intero in ospedale per controlli. La persona che guidava l'auto che ha provocato l'incidente mi ha accompagnato al pronto soccorso e ha chiamato mio padre per avvisarlo dell'accaduto. Lui lo ha ringraziato e gli ha chiesto quanti soldi volesse per stare in ospedale con me perchè lui non aveva nessuna intenzione di venire. Uno sconosciuto ha sentito il bisogno umano di starmi accanto e mio padre no.
Diciamo che questo clima familiare mi ha aiutato a imparare a cavarmela da solo e ad avere fiducia nei mie mezzi, consapevole che sarebbero stati gli unici su cui poter contare davvero.
Per quanto riguarda la stabilità interiore credo, in un certo senso, di aver trovato un mio equilibrio evitando di raggiungere un'intimità nelle relazioni, per il timore di rimanerne deluso o essere ancora abbandonato.
Questo significa che ho imparato a vivere solo con me stesso. Non so che cosa voglia dire prendersi cura di qualcuno, condividere esperienze ed emozioni, non mi aspetto nulla dagli altri e gli altri da me. Diciamo che ho cercato, attraverso lo sport, di cercare occasioni di aggregazione, per soddisfare il mio desiderio di appartenere a qualcosa o a qualcuno, dal momento che la mia famiglia, in qualche modo, mi aveva escluso ne ho cercate altre.
Da qui il gruppo dei ragazzi della mountain bike, della palestra di kick boxing, della squadra di calcio, dei ragazzi dell'arrampicata. Tante "famiglie" diverse per cercare di colmare il vuoto lasciato da una, per combattere il senso di isolamento che avvertivo e la sfiducia verso gli altri.
Ha inteso bene anche il discorso della cura del corpo, è stata per me la ricerca di regole, stabilità e disciplina, tutto quello che ho fatto è stato finalizzato a quello, ha dato un senso alla mia esistenza, fino ad ora. E' stata l'unica ragione per cui mi sono alzato dal letto la mattina.
Quel corpo, però, che in qualche modo adesso rappresenta per me anche una condanna, qualcosa da mutilare.
Sì, nutro un sentimento di rabbia profonda nei confronti della mia vita. Intorno ai 21-22 anni ho cominciato a praticare kick boxing perchè ero sopraffatto da una tale rabbia che se non avessi incanalato e sfogato così mi avrebbe portato all'autodistruzione. La mia stessa famiglia mi stava facendo del male, sentivo violati i miei diritti di figlio, i miei bisogni e desideri non soddisfatti. Cercavo di soffocare la mia disperazione prendendomela con chi non se lo meritava, non avevo la forza di guardare in faccia il dolore.
Ha ragione quando scrive "Quel gesto o comunque la fantasia di attuarlo, invece, sono una vera e propria mutilazione con cui la dà vinta a chi non è stato capace di considerarla una persona nella sua interezza e nel suo valore.".
Penso, però, anche che l'idea della mutilazione sia da intendersi come una sorta di punizione che sento il bisogno di infliggermi, per non aver combattuto per fare emergere quell'anima che gli altri non vedevano, per essere diventato il primo "seguace" del mio corpo e non essere riuscito a prendermi cura dello spirito. Ripensandoci oggi, quando ho fatto tutti gli esami per capire se ci fossero problemi fisici alla base della mancanza di desiderio sessuale, mi sono preoccupato solo della parte del corpo. Quando mi hanno detto che poteva essere un problema psicologico mi sono fermato. Sono stato io il primo a mettere il fisico davanti allo spirito e per questo credo che il mio fisico debba pagare.
Probabilmente, come saggiamente suggerisce lei, non è necessario che paghi materialmente e fisicamente.
Lei scrive "Relativamente al discorso dell'asessualità, io ipotizzo che lei abbia un'attrazione sessuale, anche se le sembra di non sentirla."
Su questo aspetto non so davvero che cosa dire. Forse non la sento perchè mi sono imposto di non entrare in intimità relazionale con nessuno, per il timore di soffrire e rimanerne deluso. Forse perchè il sesso mi è sempre stato offerto da persone che non ritenevo coerenti con la mia scala di valori. Forse perchè il sesso ha distrutto la mia vita famigliare e non ho mai avuto intorno a me esempi positivi.
Forse perchè il mio pene non è un muscolo e a forza di non usarlo si è atrofizzato emotivamente. Questa sera mi è venuta la curiosità di masturbarmi, ma non sono riuscito ad avere una erezione. Non so perchè lo abbia fatto, non lo facevo da un tempo inenarrabile...
E' probabile che abbia bisogno di un lungo periodo di "riabilitazione" della mia emotività.
Non credevo di essere capace di aprirmi così tanto e di raccontare i miei pensieri più intimi, ma con lei farlo mi sembra naturale. Ho visto appena una sua foto; non so neanche che voce abbia, che tipo di persona sia, ma la sua attitudine a prendersi cura dell'altro non mi ha lasciato indifferente.
Credo che per lei sia una passione prima che un mestiere.
Ho avuto la curiosità di conoscerla meglio e sono andato a curiosare sul suo profilo e a leggere i commenti degli altri utenti. Mi ha fatto molto piacere riscontrare negli altri la stessa impressione estremamente positiva che io ho avuto di lei. Se mi posso permettere concordo anche con il ragazzo che le ha scritto che nella foto sembra avere una espressione triste; aggiungerei forse anche infastidita dal sole, ma sopra ogni cosa le ribadisco la sensazione di grande umanità che trasmette e che in molti, giustamente , le riconoscono.
Lei mi sembra essere una di quelle persone di valore che forse troppo mi sono mancate nella mia vita.
Per rieducare la mia anima avrei bisogno di una persona come lei...peccato che eserciti a Roma. Non ha mai pensato di venire in Sardegna?
Probabilmente ha ragione quando scrive che intimamente so che cosa sia giusto fare per me stesso, ma in questi anni mi sono mancati la forza e il coraggio di farlo.
Prendermi cura di me stesso. Concretamente come lo tradurrebbe? Da dove posso cominciare e in che modo? E' un tema del quale sono completamente digiuno...non ho neanche mai avuto punti di riferimento affettivi.
Le posso chiedere anche come penserebbe di impostare il lavoro se dovesse prendermi in cura? Non so che cosa significhi intraprendere un percorso di psicoterapia.
La ringrazio ancora molto, mai avrei pensato che un post su internet mi potesse regalare questo. Mi ha restituito un po' di fiducia verso il mondo.
[#8]
Buongiorno,
quando dice: "Mi verrebbe da dire che la differenza tra il mio primo scritto e il secondo l'ha determinata lei con la sua generosità a prendersi cura di me", d'accordo, ma dobbiamo aggiungere che è stato lei capace di cogliere degli aspetti presenti nella mia risposta e si è aperto.
È come se nel primo scritto si fosse concentrato solo sul corpo, come forse è accaduto in passato: "Ripensandoci oggi, quando ho fatto tutti gli esami per capire se ci fossero problemi fisici alla base della mancanza di desiderio sessuale, mi sono preoccupato solo della parte del corpo. Quando mi hanno detto che poteva essere un problema psicologico mi sono fermato".
Riesco a immaginare facilmente che abbia fatto così, lo ha fatto anche qui. Tuttavia lei ha scritto in area psicologia, forse una parte di lei sapeva che corde avrebbe voluto toccare. Come dicevamo, infatti, nel seguito del suo racconto ha potuto accennare alle sue esperienze, non si è fermato. Ha tracciato un primo nesso storico con la formazione della sua personalità attuale e i suoi stati d'animo di delusione, sfiducia e diffidenza, di vuoto. I suoi ricordi del passato, che accenna in questa sede, sono significativi in proposito.
Oggi sembra quindi voler trovare "la forza e il coraggio" di non fermarsi e sembra desideroso di proseguire dal vivo la strada che ha iniziato a percorrere a partire da qui. Sarei disponibile a vederla a Roma, in Sardegna purtroppo non esercito.
Assieme alla sua capacità riflessiva, la sua apertura è un altro fattore molto positivo. Se da una parte sente di non sapere "che cosa voglia dire prendersi cura di qualcuno, condividere esperienze ed emozioni", dall'altra lei stesso riconosce di poterlo fare, anche se ne sembra sorpreso: "Non credevo di essere capace di aprirmi così tanto e di raccontare i miei pensieri più intimi, ma con lei farlo mi sembra naturale".
"Evitare gli altri per il timore di essere deluso" è un'esperienza dolorosa e mortificante, ed è giusto che lei possa invece acquisire un senso di fiducia che qualcuno possa sintonizzarsi emotivamente con lei e partecipare alla sua vita. Penso che sia questo di cui ha bisogno, non di continuare a mutilare la sua esistenza, come lei sottolinea, punendo ingiustamente se stesso.
Dal vertice del mio orientamento teorico, che è psicoanalitico, lo scambio che abbiamo avuto, di cui stiamo parlando per ora online, è prezioso. Si tratta di valutare se iniziarlo dal vivo, cominciando come ha fatto qui. Mi colpisce che le sembri un tema di cui è "completamente digiuno", mostra invece una padronanza spiccata. Probabilmente non riesce a vedersi e forse trascura il suo potenziale.
Se decidesse di intraprendere un percorso di questo tipo, ogni professionista ha il suo modo di lavorare. Per me contano gli aspetti di cui abbiamo parlato, potrei dire riflessivi ed emotivi.
Le sedute, che devono avere una frequenza consistente e una costanza nel tempo, devono consentire alla persona di fare una nuova esperienza di se stesso.
Quando ad esempio dice che non credeva di aprirsi così tanto, potremmo dire che sta facendo una nuova esperienza di sé. Questo implica tutta una serie di aspetti, per esempio la possibilità di iniziare a fidarsi. Chissà se anche questo l'ha spinta a esplorare la sua sessualità ieri sera, come se sentisse dentro di sé qualcosa di nascente, un potenziale finora soffocato, che può invece esprimersi.
Il fatto che non sia riuscito non deve stupirci, le radici delle sue abitudini sono profonde e legate a un carico emotivo di cui bisogna prendersi cura con il tempo.
L'analisi non è un lavoro razionale, ma una relazione unica, attraverso cui la persona fonda un nuovo modo di stare al mondo, potrei dire rinascendo.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
quando dice: "Mi verrebbe da dire che la differenza tra il mio primo scritto e il secondo l'ha determinata lei con la sua generosità a prendersi cura di me", d'accordo, ma dobbiamo aggiungere che è stato lei capace di cogliere degli aspetti presenti nella mia risposta e si è aperto.
È come se nel primo scritto si fosse concentrato solo sul corpo, come forse è accaduto in passato: "Ripensandoci oggi, quando ho fatto tutti gli esami per capire se ci fossero problemi fisici alla base della mancanza di desiderio sessuale, mi sono preoccupato solo della parte del corpo. Quando mi hanno detto che poteva essere un problema psicologico mi sono fermato".
Riesco a immaginare facilmente che abbia fatto così, lo ha fatto anche qui. Tuttavia lei ha scritto in area psicologia, forse una parte di lei sapeva che corde avrebbe voluto toccare. Come dicevamo, infatti, nel seguito del suo racconto ha potuto accennare alle sue esperienze, non si è fermato. Ha tracciato un primo nesso storico con la formazione della sua personalità attuale e i suoi stati d'animo di delusione, sfiducia e diffidenza, di vuoto. I suoi ricordi del passato, che accenna in questa sede, sono significativi in proposito.
Oggi sembra quindi voler trovare "la forza e il coraggio" di non fermarsi e sembra desideroso di proseguire dal vivo la strada che ha iniziato a percorrere a partire da qui. Sarei disponibile a vederla a Roma, in Sardegna purtroppo non esercito.
Assieme alla sua capacità riflessiva, la sua apertura è un altro fattore molto positivo. Se da una parte sente di non sapere "che cosa voglia dire prendersi cura di qualcuno, condividere esperienze ed emozioni", dall'altra lei stesso riconosce di poterlo fare, anche se ne sembra sorpreso: "Non credevo di essere capace di aprirmi così tanto e di raccontare i miei pensieri più intimi, ma con lei farlo mi sembra naturale".
"Evitare gli altri per il timore di essere deluso" è un'esperienza dolorosa e mortificante, ed è giusto che lei possa invece acquisire un senso di fiducia che qualcuno possa sintonizzarsi emotivamente con lei e partecipare alla sua vita. Penso che sia questo di cui ha bisogno, non di continuare a mutilare la sua esistenza, come lei sottolinea, punendo ingiustamente se stesso.
Dal vertice del mio orientamento teorico, che è psicoanalitico, lo scambio che abbiamo avuto, di cui stiamo parlando per ora online, è prezioso. Si tratta di valutare se iniziarlo dal vivo, cominciando come ha fatto qui. Mi colpisce che le sembri un tema di cui è "completamente digiuno", mostra invece una padronanza spiccata. Probabilmente non riesce a vedersi e forse trascura il suo potenziale.
Se decidesse di intraprendere un percorso di questo tipo, ogni professionista ha il suo modo di lavorare. Per me contano gli aspetti di cui abbiamo parlato, potrei dire riflessivi ed emotivi.
Le sedute, che devono avere una frequenza consistente e una costanza nel tempo, devono consentire alla persona di fare una nuova esperienza di se stesso.
Quando ad esempio dice che non credeva di aprirsi così tanto, potremmo dire che sta facendo una nuova esperienza di sé. Questo implica tutta una serie di aspetti, per esempio la possibilità di iniziare a fidarsi. Chissà se anche questo l'ha spinta a esplorare la sua sessualità ieri sera, come se sentisse dentro di sé qualcosa di nascente, un potenziale finora soffocato, che può invece esprimersi.
Il fatto che non sia riuscito non deve stupirci, le radici delle sue abitudini sono profonde e legate a un carico emotivo di cui bisogna prendersi cura con il tempo.
L'analisi non è un lavoro razionale, ma una relazione unica, attraverso cui la persona fonda un nuovo modo di stare al mondo, potrei dire rinascendo.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#9]
Ex utente
Gentile dottore de Sanctis,
mi perdonerà se le dico che avevo sempre nutrito una certa diffidenza nei confronti della psicologia. Mi sono sempre chiesto che cosa potesse avere da dire su di me una persona che non mi conosce.
Mi devo, invece, profondamente ricredere e penso che rifletterò seriamente sulla possibilità di proseguire con un percorso dal vivo. Mi spiace molto che lei eserciti solo a Roma perché avrei sicuramente chiesto la sua disponibilità a seguirmi, per la prima volta dopo tanto tempo ho sentito la possibilità di fidarmi di qualcuno che non fossi io.
Per troppi anni ho vissuto la delusione di una famiglia a cui non interessavo.
Mia madre non mi ha mai accettato come figlio, non si è mai occupata di me, non si è mai comportata da madre.
Mio padre ha messo al centro della sua vita sempre e solo se stesso. A lui non interessa partecipare alla mia vita, se non economicamente. Ha sempre pensato di poter comprare tutto con i soldi. Non mi ha mai fatto mancare nulla di materiale, ma mi ha fatto mancare tutto in campo affettivo ed emotivo.
Mi vergogno quasi a dirlo, ma la persona che mi è stata più vicina emotivamente nella mia vita è stata una vicina di casa. Purtroppo abbiamo abitato lì solo 3 anni (avevo 13-14-15 anni). Era una signora anziana, che non aveva avuto né figli né nipoti e cercava qualcuno a cui legarsi per avere un po’ di compagnia. Potrei dire che mi ha fatto un po’ da nonna. Io le facevo la spesa e lei mi ricambiava con pomeriggi carichi di umanità.
Quando ci siamo trasferiti per me è stato un trauma, avevo perso l’unica persona che si fosse mai interessata sinceramente a me. Tutte le volte che potevo la andavo a trovare, fino quasi ai 17 anni. Poi un giorno non mi ha più aperto la porta, mi hanno detto che era morta nel sonno. Ero rimasto solo davvero…
Voglio provare a regalarmi questa nuova opportunità di trovare qualcuno che “possa sintonizzarsi emotivamente con me e partecipare alla mia vita.” Il confronto con lei mi fa sperare che sia una esperienza ancora possibile.
Giovedì avremo la riunione con i nuovi tesserati della palestra per presentare attività e istruttori.
Da quando l’ho conosciuta sto pensando a come impostare la mia presentazione. Vorrei provare a fare un primo passo per allontanarmi dall’uomo del fisico e delle prestazioni e avvicinarmi all’uomo dei sentimenti. Credo che se riuscirò a cambiare la mia percezione di me stesso forse riuscirò a mandare all’esterno altri messaggi e le altre persone potrebbero cominciare a vedere tutti quei lati che fino ad ora ho tenuto nascosti e relazionarsi con me in un modo nuovo. Questa riunione mi sembra una buona occasione perchè incontrerò tutte persone nuove, che non mi conoscono. Credo che potrebbe essere una prima opportunità per fare una nuova esperienza di me stesso. Che cosa ne pensa?
Certo, dovrò parlare molto di muscoli, fisico e prestazioni, loro sono qui per questo, ma vorrei che vedessero in me anche altro, ma mi viene molto difficile mettere a fuoco che cosa potrei dire. Non ho mai pensato a me in questo senso.
Lei scrive: “Probabilmente non riesce a vedersi e forse trascura il suo potenziale.” Se non abuso troppo della sua disponibilità, le posso chiedere che cosa lei vede in me? Che cosa le verrebbe da dire, per quel poco che mi ha conosciuto attraverso i miei racconti…?
Mi incuriosisce e mi appassiona molto anche la sua conclusione: “L'analisi non è un lavoro razionale, ma una relazione unica, attraverso cui la persona fonda un nuovo modo di stare al mondo, potrei dire rinascendo.”
L’idea di rinascere, avere una seconda possibilità, giocare un’altra partita con carte nuove mi sembra una liberazione da anni bui e dolorosi. Mi sembra anche uno sforzo importante, in cui rimettere in gioco tutto, nel bene e nel male, le angosce, ma anche gli equilibri faticosamente raggiunti. Nel prendermi cura del mio fisico ho dimostrato disciplina, grande determinazione e capacità di sacrificio. Crede che saprò fare altrettanto nel prendermi cura dell’anima? Quanto tempo può ragionevolmente servire per compiere un percorso del genere? Credo che sarà una strada lunga e tutta in salita.
Mi sembra anche di poter dire che il compagno di questo viaggio, il professionista che mi potrà seguire, avrà un ruolo importante. Lei scrive “dal vertice del mio orientamento teorico, che è psicoanalitico”. Pensa che il suo orientamento teorico sia il più indicato per seguire una situazione come la mia o potrebbero esserci altri approcci più indicati? Secondo lei dovrei cercare un professionista con quale formazione e quale qualifica esattamente? Mi perdoni, ma in questo campo sono particolarmente ignorante e piuttosto confuso.
Avrei anche piacere di farle ancora una domanda personale, la prego di rispondermi solo se lo desidera.
Che cosa la spinge a prendersi cura di me e di tutte le persone che richiedono un consulto on line?
Nella mia esperienza di vita lei è come una specie di marziano, la prima cosa che ho imparato nella mia famiglia è: ognuno fa per sè, non ci si deve aspettare nulla da nessuno e la cura per gli altri non esiste. Sarebbe impensabile vedere mio padre muovere un dito senza secondi fini o remunerazioni economiche. Di mia madre neanche vale la pena parlare.
Leggendo le storie degli altri mi sono accorto di quanto la sofferenza sia parte della vita di tutti. Quanta forza ci vuole per farsi carico delle vite degli altri? Entrare in sintonia con qualcuno con cui voler condividere un percorso di vita credo che voglia dire anche questo…
La ringrazio per tutte le osservazioni che mi ha regalato e per la profondità che ha saputo raggiungere con le sue analisi. Devo dire che mi dispiace sinceramente doverla salutare, ma comprendo che non sarebbe corretto continuare on-line.
Un cordiale saluto.
Mattia
P.S. Spero di non averla infastidita ieri con il commento sulla sua foto, ma ad un certo punto mi è sembrato naturale voler conoscere qualcosa in più della persona a cui stavo raccontando aspetti così delicati della mia vita. Se sono stato invadente la prego di perdonarmi. Per altro in questo nuovo lavoro su me stesso e le mie emozioni mi è anche sembrato naturale condividere con lei sentimenti e curiosità che stavano emergendo.
mi perdonerà se le dico che avevo sempre nutrito una certa diffidenza nei confronti della psicologia. Mi sono sempre chiesto che cosa potesse avere da dire su di me una persona che non mi conosce.
Mi devo, invece, profondamente ricredere e penso che rifletterò seriamente sulla possibilità di proseguire con un percorso dal vivo. Mi spiace molto che lei eserciti solo a Roma perché avrei sicuramente chiesto la sua disponibilità a seguirmi, per la prima volta dopo tanto tempo ho sentito la possibilità di fidarmi di qualcuno che non fossi io.
Per troppi anni ho vissuto la delusione di una famiglia a cui non interessavo.
Mia madre non mi ha mai accettato come figlio, non si è mai occupata di me, non si è mai comportata da madre.
Mio padre ha messo al centro della sua vita sempre e solo se stesso. A lui non interessa partecipare alla mia vita, se non economicamente. Ha sempre pensato di poter comprare tutto con i soldi. Non mi ha mai fatto mancare nulla di materiale, ma mi ha fatto mancare tutto in campo affettivo ed emotivo.
Mi vergogno quasi a dirlo, ma la persona che mi è stata più vicina emotivamente nella mia vita è stata una vicina di casa. Purtroppo abbiamo abitato lì solo 3 anni (avevo 13-14-15 anni). Era una signora anziana, che non aveva avuto né figli né nipoti e cercava qualcuno a cui legarsi per avere un po’ di compagnia. Potrei dire che mi ha fatto un po’ da nonna. Io le facevo la spesa e lei mi ricambiava con pomeriggi carichi di umanità.
Quando ci siamo trasferiti per me è stato un trauma, avevo perso l’unica persona che si fosse mai interessata sinceramente a me. Tutte le volte che potevo la andavo a trovare, fino quasi ai 17 anni. Poi un giorno non mi ha più aperto la porta, mi hanno detto che era morta nel sonno. Ero rimasto solo davvero…
Voglio provare a regalarmi questa nuova opportunità di trovare qualcuno che “possa sintonizzarsi emotivamente con me e partecipare alla mia vita.” Il confronto con lei mi fa sperare che sia una esperienza ancora possibile.
Giovedì avremo la riunione con i nuovi tesserati della palestra per presentare attività e istruttori.
Da quando l’ho conosciuta sto pensando a come impostare la mia presentazione. Vorrei provare a fare un primo passo per allontanarmi dall’uomo del fisico e delle prestazioni e avvicinarmi all’uomo dei sentimenti. Credo che se riuscirò a cambiare la mia percezione di me stesso forse riuscirò a mandare all’esterno altri messaggi e le altre persone potrebbero cominciare a vedere tutti quei lati che fino ad ora ho tenuto nascosti e relazionarsi con me in un modo nuovo. Questa riunione mi sembra una buona occasione perchè incontrerò tutte persone nuove, che non mi conoscono. Credo che potrebbe essere una prima opportunità per fare una nuova esperienza di me stesso. Che cosa ne pensa?
Certo, dovrò parlare molto di muscoli, fisico e prestazioni, loro sono qui per questo, ma vorrei che vedessero in me anche altro, ma mi viene molto difficile mettere a fuoco che cosa potrei dire. Non ho mai pensato a me in questo senso.
Lei scrive: “Probabilmente non riesce a vedersi e forse trascura il suo potenziale.” Se non abuso troppo della sua disponibilità, le posso chiedere che cosa lei vede in me? Che cosa le verrebbe da dire, per quel poco che mi ha conosciuto attraverso i miei racconti…?
Mi incuriosisce e mi appassiona molto anche la sua conclusione: “L'analisi non è un lavoro razionale, ma una relazione unica, attraverso cui la persona fonda un nuovo modo di stare al mondo, potrei dire rinascendo.”
L’idea di rinascere, avere una seconda possibilità, giocare un’altra partita con carte nuove mi sembra una liberazione da anni bui e dolorosi. Mi sembra anche uno sforzo importante, in cui rimettere in gioco tutto, nel bene e nel male, le angosce, ma anche gli equilibri faticosamente raggiunti. Nel prendermi cura del mio fisico ho dimostrato disciplina, grande determinazione e capacità di sacrificio. Crede che saprò fare altrettanto nel prendermi cura dell’anima? Quanto tempo può ragionevolmente servire per compiere un percorso del genere? Credo che sarà una strada lunga e tutta in salita.
Mi sembra anche di poter dire che il compagno di questo viaggio, il professionista che mi potrà seguire, avrà un ruolo importante. Lei scrive “dal vertice del mio orientamento teorico, che è psicoanalitico”. Pensa che il suo orientamento teorico sia il più indicato per seguire una situazione come la mia o potrebbero esserci altri approcci più indicati? Secondo lei dovrei cercare un professionista con quale formazione e quale qualifica esattamente? Mi perdoni, ma in questo campo sono particolarmente ignorante e piuttosto confuso.
Avrei anche piacere di farle ancora una domanda personale, la prego di rispondermi solo se lo desidera.
Che cosa la spinge a prendersi cura di me e di tutte le persone che richiedono un consulto on line?
Nella mia esperienza di vita lei è come una specie di marziano, la prima cosa che ho imparato nella mia famiglia è: ognuno fa per sè, non ci si deve aspettare nulla da nessuno e la cura per gli altri non esiste. Sarebbe impensabile vedere mio padre muovere un dito senza secondi fini o remunerazioni economiche. Di mia madre neanche vale la pena parlare.
Leggendo le storie degli altri mi sono accorto di quanto la sofferenza sia parte della vita di tutti. Quanta forza ci vuole per farsi carico delle vite degli altri? Entrare in sintonia con qualcuno con cui voler condividere un percorso di vita credo che voglia dire anche questo…
La ringrazio per tutte le osservazioni che mi ha regalato e per la profondità che ha saputo raggiungere con le sue analisi. Devo dire che mi dispiace sinceramente doverla salutare, ma comprendo che non sarebbe corretto continuare on-line.
Un cordiale saluto.
Mattia
P.S. Spero di non averla infastidita ieri con il commento sulla sua foto, ma ad un certo punto mi è sembrato naturale voler conoscere qualcosa in più della persona a cui stavo raccontando aspetti così delicati della mia vita. Se sono stato invadente la prego di perdonarmi. Per altro in questo nuovo lavoro su me stesso e le mie emozioni mi è anche sembrato naturale condividere con lei sentimenti e curiosità che stavano emergendo.
[#10]
Caro Mattia,
continuo a trovare ricca la sua narrazione e le sue riflessioni. Per quanto via web, mostra di attraversare il passato e il presente con un movimento interno vitale.
È toccante quando dice: "Ero rimasto solo davvero…", a causa del doloroso colpo dovuto alla perdita della signora anziana, con la quale avevate creato un legame.
Devo dire che più andiamo avanti più aumentano gli stimoli e le domande che sarebbe indispensabile potessimo farci. Come lei stesso dice, online purtroppo abbiamo un limite inequivocabile e non possiamo soffermarci approfondendo la sua esperienza, come merita e vorrei.
Per giovedì, la sua mi sembra un'idea creativa, può senz'altro misurarsi con una parte di Mattia che sta spingendo per emergere. Cambiare il proprio modo di essere cambia anche le relazioni, come lei dice: "Credo che se riuscirò a cambiare la mia percezione di me stesso forse riuscirò a mandare all’esterno altri messaggi e le altre persone potrebbero cominciare a vedere tutti quei lati che fino ad ora ho tenuto nascosti e relazionarsi con me in un modo nuovo".
Bisogna tuttavia ricordarsi che non dipende tutto da lei, come sottolinea analizzando il contesto in cui si trova e le persone che lo frequentano. Messo in conto questo, che per certi versi ci affranca anche da una responsabilità unicamente personale, mi sembra un progetto da attuare e il suo desiderio è promettente per un importante cambiamento di sé.
Non sempre le cose sono semplici o riescono subito e completamente. Come nel caso della masturbazione, che non è riuscita, di cui però ha avuto la curiosità. Sono i primi e indispensabili passi, come lei dice.
E forse non è un caso che fatica a mettere a fuoco quello che potrebbe dire o il modo in cui potrebbe porsi, non è immediato per lei poterlo concepire. Se lo vorrà, però, prima o poi questo accadrà.
Credo che saprà prendersi cura dell'anima, mostra già qui questa intenzione. Può mettere in gioco se stesso, toccare le sue ferite e angosce più profonde, attraversare la costellazione emotiva che ha caratterizzato la sua esistenza e formato il suo presente, rivoluzionare i suoi equilibri e ricrearne di nuovi, esprimersi autenticamente e, come dice, diventare più libero di essere se stesso, senza più sentirsi solo.
È una strada in salita, impegnativa e ambiziosa, può essere difficile, ma non impossibile. Lei è un giovane uomo ed è il momento giusto per cominciare a percorrerla.
Quando chiede: "Quanto tempo può ragionevolmente servire per compiere un percorso del genere?", ha risposto lei stesso.
Personalmente potrei chiederle cosa dice ai nuovi tesserati della palestra quando le fanno la stessa domanda relativamente al corpo. Potrei chiederle quanto tempo e impegno le è servito e le serve ancora per "prendersi cura del suo fisico, con disciplina, grande determinazione e capacità di sacrificio"?
Non c'è una risposta vera in assoluto, che è possibile dare apriori. Certo non è con un tempo breve e una frequenza delle sedute dilatata nel tempo, magari incostante, che si possono ottenere cambiamenti.
È necessario trasformare le proprie abitudini, radicate anche a livello neurobiologico. È un cambiamento profondo della personalità, che non è temporaneo ma stabile, per quanto sempre nel divenire della vita. Questo è quello che le posso rispondere dal mio punto di vista. Ci saranno altri colleghi che potranno dirle diversamente. Come d'altronde anche in palestra, c'è chi promette risultati in poco tempo e con pochi sforzi.
Spero così di avere risposto alla sua domanda circa il mio orientamento teorico e il mio pensiero a riguardo. Per me lo spazio analitico è indispensabile per dare ascolto al malessere, per lo sviluppo della creatività del soggetto e per rifondare se stessi.
Quando mi chiede cosa vedo in lei Mattia, penso di poter dire una persona riflessiva, analitica, desiderosa di mettersi in gioco, capace di dialogare, umana. Sembrano esserci vissuti mortificanti in lei, un senso di sfiducia e diffidenza, un senso di profonda delusione e solitudine, forse anche di scarsa considerazione di sé. Tutto questo può cambiare nel tempo, sviluppando un valore di sé e una libertà di espressione che non ha più bisogno di maschere illusorie né di un'eccedente ammirazione.
"Che cosa la spinge a prendersi cura di me e di tutte le persone che richiedono un consulto on line?", è una domanda grande. Posso dirle alcuni degli aspetti che mi spingono a farlo. Potrei dirle senz'altro una mia passione, delle risonanze personali, il desiderio di uno scambio su vissuti carichi di umanità che riguardano tutti noi.
E anche quello che lei dice, assolutamente, cioè "entrare in sintonia con qualcuno con cui voler condividere un percorso di vita", per quanto online sia giusto un accenno. Le esperienze messe in comune sono una ricchezza per tutti.
Nessun fastidio per il commento sulla foto, mi spiace solo di non essere dal vivo per approfondire di più i suoi vissuti a riguardo nonché il timore di essere invadente. Come le dicevo questo fa parte di un percorso analitico, in cui contano la relazione e la "condivisione di sentimenti e curiosità" emergenti tra paziente e terapeuta. Per questo stesso motivo, non possiamo approfondire tutto questo qui, ma posso dirle che non è stato invadente.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
continuo a trovare ricca la sua narrazione e le sue riflessioni. Per quanto via web, mostra di attraversare il passato e il presente con un movimento interno vitale.
È toccante quando dice: "Ero rimasto solo davvero…", a causa del doloroso colpo dovuto alla perdita della signora anziana, con la quale avevate creato un legame.
Devo dire che più andiamo avanti più aumentano gli stimoli e le domande che sarebbe indispensabile potessimo farci. Come lei stesso dice, online purtroppo abbiamo un limite inequivocabile e non possiamo soffermarci approfondendo la sua esperienza, come merita e vorrei.
Per giovedì, la sua mi sembra un'idea creativa, può senz'altro misurarsi con una parte di Mattia che sta spingendo per emergere. Cambiare il proprio modo di essere cambia anche le relazioni, come lei dice: "Credo che se riuscirò a cambiare la mia percezione di me stesso forse riuscirò a mandare all’esterno altri messaggi e le altre persone potrebbero cominciare a vedere tutti quei lati che fino ad ora ho tenuto nascosti e relazionarsi con me in un modo nuovo".
Bisogna tuttavia ricordarsi che non dipende tutto da lei, come sottolinea analizzando il contesto in cui si trova e le persone che lo frequentano. Messo in conto questo, che per certi versi ci affranca anche da una responsabilità unicamente personale, mi sembra un progetto da attuare e il suo desiderio è promettente per un importante cambiamento di sé.
Non sempre le cose sono semplici o riescono subito e completamente. Come nel caso della masturbazione, che non è riuscita, di cui però ha avuto la curiosità. Sono i primi e indispensabili passi, come lei dice.
E forse non è un caso che fatica a mettere a fuoco quello che potrebbe dire o il modo in cui potrebbe porsi, non è immediato per lei poterlo concepire. Se lo vorrà, però, prima o poi questo accadrà.
Credo che saprà prendersi cura dell'anima, mostra già qui questa intenzione. Può mettere in gioco se stesso, toccare le sue ferite e angosce più profonde, attraversare la costellazione emotiva che ha caratterizzato la sua esistenza e formato il suo presente, rivoluzionare i suoi equilibri e ricrearne di nuovi, esprimersi autenticamente e, come dice, diventare più libero di essere se stesso, senza più sentirsi solo.
È una strada in salita, impegnativa e ambiziosa, può essere difficile, ma non impossibile. Lei è un giovane uomo ed è il momento giusto per cominciare a percorrerla.
Quando chiede: "Quanto tempo può ragionevolmente servire per compiere un percorso del genere?", ha risposto lei stesso.
Personalmente potrei chiederle cosa dice ai nuovi tesserati della palestra quando le fanno la stessa domanda relativamente al corpo. Potrei chiederle quanto tempo e impegno le è servito e le serve ancora per "prendersi cura del suo fisico, con disciplina, grande determinazione e capacità di sacrificio"?
Non c'è una risposta vera in assoluto, che è possibile dare apriori. Certo non è con un tempo breve e una frequenza delle sedute dilatata nel tempo, magari incostante, che si possono ottenere cambiamenti.
È necessario trasformare le proprie abitudini, radicate anche a livello neurobiologico. È un cambiamento profondo della personalità, che non è temporaneo ma stabile, per quanto sempre nel divenire della vita. Questo è quello che le posso rispondere dal mio punto di vista. Ci saranno altri colleghi che potranno dirle diversamente. Come d'altronde anche in palestra, c'è chi promette risultati in poco tempo e con pochi sforzi.
Spero così di avere risposto alla sua domanda circa il mio orientamento teorico e il mio pensiero a riguardo. Per me lo spazio analitico è indispensabile per dare ascolto al malessere, per lo sviluppo della creatività del soggetto e per rifondare se stessi.
Quando mi chiede cosa vedo in lei Mattia, penso di poter dire una persona riflessiva, analitica, desiderosa di mettersi in gioco, capace di dialogare, umana. Sembrano esserci vissuti mortificanti in lei, un senso di sfiducia e diffidenza, un senso di profonda delusione e solitudine, forse anche di scarsa considerazione di sé. Tutto questo può cambiare nel tempo, sviluppando un valore di sé e una libertà di espressione che non ha più bisogno di maschere illusorie né di un'eccedente ammirazione.
"Che cosa la spinge a prendersi cura di me e di tutte le persone che richiedono un consulto on line?", è una domanda grande. Posso dirle alcuni degli aspetti che mi spingono a farlo. Potrei dirle senz'altro una mia passione, delle risonanze personali, il desiderio di uno scambio su vissuti carichi di umanità che riguardano tutti noi.
E anche quello che lei dice, assolutamente, cioè "entrare in sintonia con qualcuno con cui voler condividere un percorso di vita", per quanto online sia giusto un accenno. Le esperienze messe in comune sono una ricchezza per tutti.
Nessun fastidio per il commento sulla foto, mi spiace solo di non essere dal vivo per approfondire di più i suoi vissuti a riguardo nonché il timore di essere invadente. Come le dicevo questo fa parte di un percorso analitico, in cui contano la relazione e la "condivisione di sentimenti e curiosità" emergenti tra paziente e terapeuta. Per questo stesso motivo, non possiamo approfondire tutto questo qui, ma posso dirle che non è stato invadente.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#11]
Ex utente
Gentile dr. De Sanctis,
ho letto con molta attenzione le sue parole, le riflessioni, le analisi e gli spunti che mi ha offerto.
Ho letto la descrizione che ha fatto di me, in cui mi riconosco profondamente.
Ho letto le motivazioni che la spingono a offrire agli altri il suo aiuto professionale e mi sono convinto che lei sia una persona di valore e con dei valori.
Ho riflettuto molto, sono un pochino spaventato e a disagio, ma ho deciso di rivivere una esperienza della mia vita, che non ho mai avuto il coraggio di raccontare a nessuno, per condividerla con lei. Anche se questo non è lo spazio idoneo per fare psicoterapia vera e propria penso che sia arrivato il momento di togliermi un peso dal cuore che porto da molto tempo e non conosco nessuno che si sia avvicinato a me più di lei.
Stavo per compiere 16 anni. Ero un ragazzo timido e mingherlino. Non avevo molti amici ed ero profondamente innamorato della mia bicicletta. Nel mio quartiere mi conoscevano tutti come appassionato di mountain bike perché mi vedevano sempre in sella. Ogni fine settimana approfittavo del bel tempo per fare una gita nei boschi non lontano da casa.
Era una domenica come tante altre ed ero nel bosco con la mia bici. Ad un certo punto incontro un signore a passeggio con la figlia. Non avevamo mai avuto occasione di parlare, ma lo conoscevo bene di vista perché abitava in una casa non lontano dalla mia.
Mi ha chiamato, con una scusa, e io mi sono fermato. Dopo poco ho capito che le sue intenzioni non erano buone, ma mi aveva già immobilizzato. Lui era un uomo grosso e io un ragazzino minuto e spaventato.
Mi ha legato ad un albero con le braccia dietro la schiena e mi ripeteva continuamente che mi sarebbe piaciuto. Io guardavo con speranza e stupore la figlia, ma ho capito subito che anche lei era una sua vittima. Ad un certo punto ha cominciato ad abbassarsi i pantaloni e a farsi toccare da sua figlia per avere una erezione. Non so che cosa avesse, ma era come sfregiato-mutilato. L’erezione tardava a venire ed io ero spettatore impotente. Ad un certo punto ha chiesto alla figlia di abbassare anche i miei pantaloni, dicendo che si sarebbe eccitato di più. Io ho cercato di oppormi, dimenarmi, scalciare, poi ho capito che sarebbe stato peggio per me e per quella ragazza e allora ho lasciato fare. Io non avevo mai avuto esperienze sessuali e non sapevo esattamente che cosa si provasse ad essere toccato da una ragazza. In quella occasione posso dire che il mio pene era come insensibile, non sentivo nemmeno quando la mano era a contatto. Non so se fosse una forma di difesa, il terrore che provavo in quel momento o la pena per i soprusi che una ragazza della mia età doveva subire. Sta di fatto che né lui né io avevamo avuto l’erezione e questo forse fu un bene, perché preso da uno strano senso di sconforto e di depressione, mi liberò.
Mi disse che avrei fatto meglio a non parlare di quella esperienza perché altrimenti avrebbe raccontato di avermi sorpreso nel bosco nel tentativo di violentare sua figlia.
Loro si erano allontanati, avevano ripreso la loro passeggiata, io sono rimasto addossato all’albero con i pantaloni abbassati per un tempo lungo che non saprei quantificare. Non riuscivo a dare un senso a quello che mi era successo. Non riuscivo ad elaborare una esperienza che mi spaventava.
Quando sono rientrato a casa non ho avuto il coraggio di confidarmi con mio padre. Non eravamo pronti per affrontare insieme un discorso di questo tipo e io non ho avuto il coraggio di raccontarlo mai più a nessuno. Nei giorni seguenti continuavo a tormentarmi chiedendomi che cosa avrei potuto fare per la figlia di quell’uomo. Era come se quello che era successo a me fosse stato rimosso e la mia unica preoccupazione fosse per lei. Tante volte mi sono avvicinato a casa loro “spiandoli”. Tante volte ho pensato di parlarne con la polizia, tante volte ho sognato e risognato quella esperienza, ma alla fine non sono stato in grado di fare niente. Non sono stato in grado di prendermi cura di lei. Avevo un profondo senso di colpa che mi tormentava fino a quando ho saputo che qualcuno lo aveva denunciato per un episodio simile che aveva compiuto con altri ragazzi. Lui avrebbe scontato la sua pena e la ragazza forse era salva, ma non per merito mio. La cosa da un lato mi sollevò molto, dall’altro mi sentivo un perdente, un codardo, un ragazzo senza valore, un debole. Credo che sia nata qui l’idea di costruire un fisico forte, ma non mi sono occupato di far crescere anche la mia anima e di liberarla dall’oppressione che la soffocava.
Credo che questa esperienza abbia aggiunto un ulteriore tassello negativo nel mio percorso di avvicinamento alla sessualità, che già in famiglia non era ricco di sensazioni ed esperienze positive. Credo che in gran parte abbia influenzato la mia non voglia di masturbarmi e di avvicinarmi agli altri.
Ero stato tradito, ancora una volta, da una persona che in qualche modo conoscevo, che viveva nel mio quartiere, che vedevo tutti i giorni. Ho sempre avuto i nemici in casa e questo credo che non mi abbia aiutato molto a fidarmi del prossimo.
La sua descrizione non potrebbe essere più calzante: “Sembrano esserci vissuti mortificanti in lei, un senso di sfiducia e diffidenza, un senso di profonda delusione e solitudine, forse anche di scarsa considerazione di sé.”
Spero profondamente che possa essere vero anche quello che scrive dopo: “Tutto questo può cambiare nel tempo, sviluppando un valore di sé e una libertà di espressione che non ha più bisogno di maschere illusorie né di un'eccedente ammirazione.”
Ora che ho scritto questo provo una sensazione strana, che non so descrivere. A rileggere le mie parole mi sembra quasi di leggere il racconto di qualcuno che non sono io, un qualcosa che non mi riguarda, che appartiene ad un passato lontano e ad un’altra vita vissuta, un qualcosa da cui prendere le distanze. Sono in qualche modo sorpreso e stupito. Non avrei immaginato di sentirmi così, è come se non volessi ascoltare le mie vere emozioni e mi chiedo come sarebbe stato se avessi fatto questa esperienza in un incontro dal vivo. Più lo rileggo e più mi sembra un fatto “piccolo” in proporzione al macigno enorme che mi sento sul cuore da tanto tempo.
Mi piacerebbe poter cogliere le sue espressioni mentre leggerà il mio racconto e ascoltare gli stimoli e le domande che le verranno in mente. Concordo con lei quando dice: “online purtroppo abbiamo un limite inequivocabile e non possiamo soffermarci approfondendo la sua esperienza, come merita e vorrei.”, ma ho avuto il profondo desiderio di condividere con lei questa parte di me e sono contento di averlo fatto.
La ringrazio per il lavoro che abbiamo fatto insieme e credo di poterle riconoscere il merito di aver aperto il bunker in cui la mia anima si era rifugiata per sopravvivere e di averle fatto riscoprire il piacere di vivere alla luce del sole. Credo che qualcosa sia cominciato, in qualche modo non mi sento più la stessa persona di ieri…
Con sincera gratitudine,
Mattia
ho letto con molta attenzione le sue parole, le riflessioni, le analisi e gli spunti che mi ha offerto.
Ho letto la descrizione che ha fatto di me, in cui mi riconosco profondamente.
Ho letto le motivazioni che la spingono a offrire agli altri il suo aiuto professionale e mi sono convinto che lei sia una persona di valore e con dei valori.
Ho riflettuto molto, sono un pochino spaventato e a disagio, ma ho deciso di rivivere una esperienza della mia vita, che non ho mai avuto il coraggio di raccontare a nessuno, per condividerla con lei. Anche se questo non è lo spazio idoneo per fare psicoterapia vera e propria penso che sia arrivato il momento di togliermi un peso dal cuore che porto da molto tempo e non conosco nessuno che si sia avvicinato a me più di lei.
Stavo per compiere 16 anni. Ero un ragazzo timido e mingherlino. Non avevo molti amici ed ero profondamente innamorato della mia bicicletta. Nel mio quartiere mi conoscevano tutti come appassionato di mountain bike perché mi vedevano sempre in sella. Ogni fine settimana approfittavo del bel tempo per fare una gita nei boschi non lontano da casa.
Era una domenica come tante altre ed ero nel bosco con la mia bici. Ad un certo punto incontro un signore a passeggio con la figlia. Non avevamo mai avuto occasione di parlare, ma lo conoscevo bene di vista perché abitava in una casa non lontano dalla mia.
Mi ha chiamato, con una scusa, e io mi sono fermato. Dopo poco ho capito che le sue intenzioni non erano buone, ma mi aveva già immobilizzato. Lui era un uomo grosso e io un ragazzino minuto e spaventato.
Mi ha legato ad un albero con le braccia dietro la schiena e mi ripeteva continuamente che mi sarebbe piaciuto. Io guardavo con speranza e stupore la figlia, ma ho capito subito che anche lei era una sua vittima. Ad un certo punto ha cominciato ad abbassarsi i pantaloni e a farsi toccare da sua figlia per avere una erezione. Non so che cosa avesse, ma era come sfregiato-mutilato. L’erezione tardava a venire ed io ero spettatore impotente. Ad un certo punto ha chiesto alla figlia di abbassare anche i miei pantaloni, dicendo che si sarebbe eccitato di più. Io ho cercato di oppormi, dimenarmi, scalciare, poi ho capito che sarebbe stato peggio per me e per quella ragazza e allora ho lasciato fare. Io non avevo mai avuto esperienze sessuali e non sapevo esattamente che cosa si provasse ad essere toccato da una ragazza. In quella occasione posso dire che il mio pene era come insensibile, non sentivo nemmeno quando la mano era a contatto. Non so se fosse una forma di difesa, il terrore che provavo in quel momento o la pena per i soprusi che una ragazza della mia età doveva subire. Sta di fatto che né lui né io avevamo avuto l’erezione e questo forse fu un bene, perché preso da uno strano senso di sconforto e di depressione, mi liberò.
Mi disse che avrei fatto meglio a non parlare di quella esperienza perché altrimenti avrebbe raccontato di avermi sorpreso nel bosco nel tentativo di violentare sua figlia.
Loro si erano allontanati, avevano ripreso la loro passeggiata, io sono rimasto addossato all’albero con i pantaloni abbassati per un tempo lungo che non saprei quantificare. Non riuscivo a dare un senso a quello che mi era successo. Non riuscivo ad elaborare una esperienza che mi spaventava.
Quando sono rientrato a casa non ho avuto il coraggio di confidarmi con mio padre. Non eravamo pronti per affrontare insieme un discorso di questo tipo e io non ho avuto il coraggio di raccontarlo mai più a nessuno. Nei giorni seguenti continuavo a tormentarmi chiedendomi che cosa avrei potuto fare per la figlia di quell’uomo. Era come se quello che era successo a me fosse stato rimosso e la mia unica preoccupazione fosse per lei. Tante volte mi sono avvicinato a casa loro “spiandoli”. Tante volte ho pensato di parlarne con la polizia, tante volte ho sognato e risognato quella esperienza, ma alla fine non sono stato in grado di fare niente. Non sono stato in grado di prendermi cura di lei. Avevo un profondo senso di colpa che mi tormentava fino a quando ho saputo che qualcuno lo aveva denunciato per un episodio simile che aveva compiuto con altri ragazzi. Lui avrebbe scontato la sua pena e la ragazza forse era salva, ma non per merito mio. La cosa da un lato mi sollevò molto, dall’altro mi sentivo un perdente, un codardo, un ragazzo senza valore, un debole. Credo che sia nata qui l’idea di costruire un fisico forte, ma non mi sono occupato di far crescere anche la mia anima e di liberarla dall’oppressione che la soffocava.
Credo che questa esperienza abbia aggiunto un ulteriore tassello negativo nel mio percorso di avvicinamento alla sessualità, che già in famiglia non era ricco di sensazioni ed esperienze positive. Credo che in gran parte abbia influenzato la mia non voglia di masturbarmi e di avvicinarmi agli altri.
Ero stato tradito, ancora una volta, da una persona che in qualche modo conoscevo, che viveva nel mio quartiere, che vedevo tutti i giorni. Ho sempre avuto i nemici in casa e questo credo che non mi abbia aiutato molto a fidarmi del prossimo.
La sua descrizione non potrebbe essere più calzante: “Sembrano esserci vissuti mortificanti in lei, un senso di sfiducia e diffidenza, un senso di profonda delusione e solitudine, forse anche di scarsa considerazione di sé.”
Spero profondamente che possa essere vero anche quello che scrive dopo: “Tutto questo può cambiare nel tempo, sviluppando un valore di sé e una libertà di espressione che non ha più bisogno di maschere illusorie né di un'eccedente ammirazione.”
Ora che ho scritto questo provo una sensazione strana, che non so descrivere. A rileggere le mie parole mi sembra quasi di leggere il racconto di qualcuno che non sono io, un qualcosa che non mi riguarda, che appartiene ad un passato lontano e ad un’altra vita vissuta, un qualcosa da cui prendere le distanze. Sono in qualche modo sorpreso e stupito. Non avrei immaginato di sentirmi così, è come se non volessi ascoltare le mie vere emozioni e mi chiedo come sarebbe stato se avessi fatto questa esperienza in un incontro dal vivo. Più lo rileggo e più mi sembra un fatto “piccolo” in proporzione al macigno enorme che mi sento sul cuore da tanto tempo.
Mi piacerebbe poter cogliere le sue espressioni mentre leggerà il mio racconto e ascoltare gli stimoli e le domande che le verranno in mente. Concordo con lei quando dice: “online purtroppo abbiamo un limite inequivocabile e non possiamo soffermarci approfondendo la sua esperienza, come merita e vorrei.”, ma ho avuto il profondo desiderio di condividere con lei questa parte di me e sono contento di averlo fatto.
La ringrazio per il lavoro che abbiamo fatto insieme e credo di poterle riconoscere il merito di aver aperto il bunker in cui la mia anima si era rifugiata per sopravvivere e di averle fatto riscoprire il piacere di vivere alla luce del sole. Credo che qualcosa sia cominciato, in qualche modo non mi sento più la stessa persona di ieri…
Con sincera gratitudine,
Mattia
[#12]
Caro Mattia,
l'esperienza che ha raccontato è terribile, immagino quanto possa essersi spaventato. È un'esperienza violenta e ingiusta da vivere. Ci sarebbero da dire tante cose.
Le lascio solo una suggestione in questa sede: accanto a un carico emotivo intenso colpisce il senso di impotenza e rassegnazione allo stesso tempo, come se da una parte partecipasse emotivamente, dall'altra parte dovesse prendere una potente distanza di sicurezza. Mi sembra di vivere dentro di me la stessa oscillazione emotivamente, leggendo il suo racconto.
Sento coerenza con questa distanza quando parla dell'anestesia del "suo pene al contatto con la mano", come se non fosse suo. Questo potrebbe suggerire la necessità di eliminare quell'evento drammatico e inatteso, che però stava purtroppo vivendo. Come se l'anestesia fosse una difesa dal terrore in corso relativo a un'esperienza che nessuno mai dovrebbe subire.
Una difesa che è del corpo quanto dell'anima, per usare le sue parole. Successivamente sembra dirlo, il "pene non è mio" così come "io non sono io", quando afferma: "A rileggere le mie parole mi sembra quasi di leggere il racconto di qualcuno che non sono io, un qualcosa che non mi riguarda, che appartiene ad un passato lontano e ad un’altra vita vissuta, un qualcosa da cui prendere le distanze".
È importante poter integrare nel tempo i suoi vissuti interiormente, affinché lei possa riconoscere che lei è lei e il pene è il suo, attraverso una rivitalizzazione di sé. Questo significa riattraversare la sua storia. Credo che "rivivere" il ricordo e poterlo condividere sia un passo fondamentale.
La ringrazio sinceramente per averlo voluto fare con me, e sono contento per lei di questa iniziale apertura da un bunker solo sopravvivenziale. Si è tenuto tutto dentro non potendosi neppure appoggiare a suo padre allora, e questo è un altro aspetto significativo.
Ci tengo che possa proseguire dal vivo Mattia, non resti solo. Sono aspetti estremamente delicati e hanno bisogno di uno spazio d'ascolto diverso da quello online, anche per i necessari approfondimenti legati ai suoi stati d'animo, che non possiamo fare qui. Voglio essere il garante di questo, per quanto mi dispiaccia non poterla aiutare di più e non poter proseguire personalmente con lei.
Prima di salutarla voglio anche dirle che condivido le sue parole, quando dice: "Credo che questa esperienza abbia aggiunto un ulteriore tassello negativo nel mio percorso di avvicinamento alla sessualità, che già in famiglia non era ricco di sensazioni ed esperienze positive. Credo che in gran parte abbia influenzato la mia non voglia di masturbarmi e di avvicinarmi agli altri".
Con questo mi sembra sottolineare l'importanza di questo episodio drammatico assieme ad altre esperienze della sua vita, che potremmo dire legate a un suo passato più antico. Come se ci fossero tanti momenti difficili ed esperienze che potremmo definire traumatiche ad avere condizionato la sua vita, abitata da persone "nemiche" che tradiscono la sua fiducia.
Mattia, la ringrazio nuovamente per questo nostro sentito dialogo e per le sue parole generose. Le faccio un augurio sincero per questo suo inizio promettente.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
l'esperienza che ha raccontato è terribile, immagino quanto possa essersi spaventato. È un'esperienza violenta e ingiusta da vivere. Ci sarebbero da dire tante cose.
Le lascio solo una suggestione in questa sede: accanto a un carico emotivo intenso colpisce il senso di impotenza e rassegnazione allo stesso tempo, come se da una parte partecipasse emotivamente, dall'altra parte dovesse prendere una potente distanza di sicurezza. Mi sembra di vivere dentro di me la stessa oscillazione emotivamente, leggendo il suo racconto.
Sento coerenza con questa distanza quando parla dell'anestesia del "suo pene al contatto con la mano", come se non fosse suo. Questo potrebbe suggerire la necessità di eliminare quell'evento drammatico e inatteso, che però stava purtroppo vivendo. Come se l'anestesia fosse una difesa dal terrore in corso relativo a un'esperienza che nessuno mai dovrebbe subire.
Una difesa che è del corpo quanto dell'anima, per usare le sue parole. Successivamente sembra dirlo, il "pene non è mio" così come "io non sono io", quando afferma: "A rileggere le mie parole mi sembra quasi di leggere il racconto di qualcuno che non sono io, un qualcosa che non mi riguarda, che appartiene ad un passato lontano e ad un’altra vita vissuta, un qualcosa da cui prendere le distanze".
È importante poter integrare nel tempo i suoi vissuti interiormente, affinché lei possa riconoscere che lei è lei e il pene è il suo, attraverso una rivitalizzazione di sé. Questo significa riattraversare la sua storia. Credo che "rivivere" il ricordo e poterlo condividere sia un passo fondamentale.
La ringrazio sinceramente per averlo voluto fare con me, e sono contento per lei di questa iniziale apertura da un bunker solo sopravvivenziale. Si è tenuto tutto dentro non potendosi neppure appoggiare a suo padre allora, e questo è un altro aspetto significativo.
Ci tengo che possa proseguire dal vivo Mattia, non resti solo. Sono aspetti estremamente delicati e hanno bisogno di uno spazio d'ascolto diverso da quello online, anche per i necessari approfondimenti legati ai suoi stati d'animo, che non possiamo fare qui. Voglio essere il garante di questo, per quanto mi dispiaccia non poterla aiutare di più e non poter proseguire personalmente con lei.
Prima di salutarla voglio anche dirle che condivido le sue parole, quando dice: "Credo che questa esperienza abbia aggiunto un ulteriore tassello negativo nel mio percorso di avvicinamento alla sessualità, che già in famiglia non era ricco di sensazioni ed esperienze positive. Credo che in gran parte abbia influenzato la mia non voglia di masturbarmi e di avvicinarmi agli altri".
Con questo mi sembra sottolineare l'importanza di questo episodio drammatico assieme ad altre esperienze della sua vita, che potremmo dire legate a un suo passato più antico. Come se ci fossero tanti momenti difficili ed esperienze che potremmo definire traumatiche ad avere condizionato la sua vita, abitata da persone "nemiche" che tradiscono la sua fiducia.
Mattia, la ringrazio nuovamente per questo nostro sentito dialogo e per le sue parole generose. Le faccio un augurio sincero per questo suo inizio promettente.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#13]
Ex utente
Gentile dr. De Sanctis,
mi perdoni se la disturbo nuovamente, dopo alcune settimane dal nostro commiato, ma mi sta succedendo una cosa che avrei piacere di condividere con lei.
In palestra ho cercato di essere moto accorto e prudente per cercare di non inviare nessun messaggio che potesse suscitare altre idee che non riguardassero esclusivamente la palestra e l'allenamento del fisico.
Contrariamente agli anni passati, ho anche cercato di indossare sempre un abbigliamento che coprisse molto le mie forme e non mettesse in mostra il mio fisico.
Mio malgrado sono riuscito ugualmente ad attirare la curiosità e l'interesse di una donna single che si è iscritta in palestra direi soprattutto per cercare compagnia.
All'inizio mi si è avvicinata in modo discreto, con scherzi, giochi e battute...poi le cose si sono fatte più serie e ha manifestato apertamente le sue intenzioni.
Di fronte al mio comportamento di chiusura e di rifiuto si è molto risentita e offesa.
Dopo alcuni giorni sono venuto a sapere che andava in giro raccontando della nostra esperienza sessuale, in realtà mai avvenuta. Parlava delle mie dimensioni molto scarse e della mia incapacità a mantenere una erezione. Raccontava della sua delusione e del tempo che aveva perso assecondando le mie attenzioni. Praticamente raccontava di un mondo capovolto...
All'inizio ero molto infastidito, poi ho pensato di usarla...in fondo anche lei stava mentendo e non mi sono sentito in colpa più di tanto.
Ho deciso di cavalcare la sua fantasia, ho indossato la mia mutandina nascondi pene e l'ho affrontata direttamente.
All'inizio l'ho attaccata per le voci che stava mettendo in giro e che erano arrivate alle mie orecchie.
Poi le ho confessato che l'avevo rifiutata perché in effetti avevo i problemi che lei casualmente si era inventata. Mi sono abbassato la tuta e le ho fatto vedere lo slip semivuoto e le ho parlato dei miei problemi con il sesso.
Volevo vedere la sua reazione. Volevo vedere se poteva continuare ad essere interessata a me. Volevo vedere se poteva essere una occasione per andare oltre al mio aspetto fisico... Era solo un test...
La sua reazione mi ha sorpreso molto.
All'inizio era molto sulla difensiva, poi ha capito che non ero lì solo per attaccarla, ma per mostrarle un lato vulnerabile della mia persona.
Ha cominciato ad essere molto affettuosa, molto premurosa. Abbiamo cominciato a parlare. Ad un tratto non c'erano più il mio fisico, il mio pene, il test, ma solo i miei sentimenti, le mie emozioni. Ho scoperto in lei un lato sensibile che era insospettabile dietro alla sua maschera da "mangiauomini".
Nella bugia del test che stavo conducendo hanno cominciato ad emergere sensazioni assolutamente vere e reali. Ha toccato alcune mie corde sensibili. Mi ha raccontato molto della sua vita non facile, di alcuni suoi vissuti dolorosi...delle sue paure, della sua necessità di avere accanto un uomo forte... In una sola sera ci siamo avvicinati moltissimo, in un modo che non credevo possibile. E' stato un aprirsi piacevole e arricchente per entrambi.
Quando ci siamo rivisti in palestra, un paio di giorni dopo, il suo atteggiamento era, però, quello di sempre. Mi sono sentito profondamente tradito. Ero tornato ad essere quello minidotato con cui non valeva la pena perdere tempo... Quando ho cercato di appartarmi con lei per chiedere spiegazioni mi ha detto che aveva una "reputazione" da difendere con le sue amiche e che su quel palcoscenico non c'era spazio per far vedere le debolezze che erano emerse durante il nostro incontro. Mi ha detto che per quelle, se volessi, potrebbero esserci altri spazi.
Devo dire che sono piuttosto confuso e disorientato.
Mi sento ferito, deluso e ingannato, anche se non so se posso avere il diritto di rivendicarlo dal momento che avevo deciso di essere io ad ingannare...
Una persona "bella" che decide di indossare una maschera "brutta", quasi avesse il timore che la sua vera anima non sia all'altezza. In qualche modo credo che ci assomigliamo. Io sono un esperto ad indossare maschere e a soffocare la mia anima...
Non so esattamente che cosa intenda dire quando dice che potrebbero esserci degli spazi per le nostre debolezze...non so che futuro potremmo avere, ma per la prima volta sono incuriosito...
Non mi attira l'idea di avere un rapporto sessuale con lei, ma la possibilità di ricreare quel clima di sintonia e di apertura che si era splendidamente creato qualche sera fa.
Avrei un desiderio fortissimo di continuare ad esplorare, a parlare...era come se non esistesse niente altro. Non c'erano obblighi o vincoli, non c'era il tempo, c'eravamo soltanto noi desiderosi di essere semplicemente noi stessi. Non lo avevo mai provato, ma mi fa stare veramente bene...
Non so se riuscirei, però, a sopportare ancora la sua indifferenza del nostro successivo incontro in palestra. Quella sera, quando sono tornato a casa avevo solo una gran voglia di piangere...e come sempre mi sono ritrovato a farlo da solo.
Non so se sono riuscito a spiegare con chiarezza le diverse sfaccettature di questa situazione, ma mi piacerebbe ascoltare le sue sensazioni.
Quando ci siamo scritti la volta scorsa ho provato molto sollievo nel leggere le sue parole e i suoi suggerimenti e in questo momento avrei proprio bisogno di avere accanto una persona con la sua sensibilità.
Le confermo di essermi anche preso l'impegno di cominciare un lavoro con un professionista dal vivo, ma dovrei riuscire a cominciare solo a fine mese...
Semplicemente grazie,
Mattia
mi perdoni se la disturbo nuovamente, dopo alcune settimane dal nostro commiato, ma mi sta succedendo una cosa che avrei piacere di condividere con lei.
In palestra ho cercato di essere moto accorto e prudente per cercare di non inviare nessun messaggio che potesse suscitare altre idee che non riguardassero esclusivamente la palestra e l'allenamento del fisico.
Contrariamente agli anni passati, ho anche cercato di indossare sempre un abbigliamento che coprisse molto le mie forme e non mettesse in mostra il mio fisico.
Mio malgrado sono riuscito ugualmente ad attirare la curiosità e l'interesse di una donna single che si è iscritta in palestra direi soprattutto per cercare compagnia.
All'inizio mi si è avvicinata in modo discreto, con scherzi, giochi e battute...poi le cose si sono fatte più serie e ha manifestato apertamente le sue intenzioni.
Di fronte al mio comportamento di chiusura e di rifiuto si è molto risentita e offesa.
Dopo alcuni giorni sono venuto a sapere che andava in giro raccontando della nostra esperienza sessuale, in realtà mai avvenuta. Parlava delle mie dimensioni molto scarse e della mia incapacità a mantenere una erezione. Raccontava della sua delusione e del tempo che aveva perso assecondando le mie attenzioni. Praticamente raccontava di un mondo capovolto...
All'inizio ero molto infastidito, poi ho pensato di usarla...in fondo anche lei stava mentendo e non mi sono sentito in colpa più di tanto.
Ho deciso di cavalcare la sua fantasia, ho indossato la mia mutandina nascondi pene e l'ho affrontata direttamente.
All'inizio l'ho attaccata per le voci che stava mettendo in giro e che erano arrivate alle mie orecchie.
Poi le ho confessato che l'avevo rifiutata perché in effetti avevo i problemi che lei casualmente si era inventata. Mi sono abbassato la tuta e le ho fatto vedere lo slip semivuoto e le ho parlato dei miei problemi con il sesso.
Volevo vedere la sua reazione. Volevo vedere se poteva continuare ad essere interessata a me. Volevo vedere se poteva essere una occasione per andare oltre al mio aspetto fisico... Era solo un test...
La sua reazione mi ha sorpreso molto.
All'inizio era molto sulla difensiva, poi ha capito che non ero lì solo per attaccarla, ma per mostrarle un lato vulnerabile della mia persona.
Ha cominciato ad essere molto affettuosa, molto premurosa. Abbiamo cominciato a parlare. Ad un tratto non c'erano più il mio fisico, il mio pene, il test, ma solo i miei sentimenti, le mie emozioni. Ho scoperto in lei un lato sensibile che era insospettabile dietro alla sua maschera da "mangiauomini".
Nella bugia del test che stavo conducendo hanno cominciato ad emergere sensazioni assolutamente vere e reali. Ha toccato alcune mie corde sensibili. Mi ha raccontato molto della sua vita non facile, di alcuni suoi vissuti dolorosi...delle sue paure, della sua necessità di avere accanto un uomo forte... In una sola sera ci siamo avvicinati moltissimo, in un modo che non credevo possibile. E' stato un aprirsi piacevole e arricchente per entrambi.
Quando ci siamo rivisti in palestra, un paio di giorni dopo, il suo atteggiamento era, però, quello di sempre. Mi sono sentito profondamente tradito. Ero tornato ad essere quello minidotato con cui non valeva la pena perdere tempo... Quando ho cercato di appartarmi con lei per chiedere spiegazioni mi ha detto che aveva una "reputazione" da difendere con le sue amiche e che su quel palcoscenico non c'era spazio per far vedere le debolezze che erano emerse durante il nostro incontro. Mi ha detto che per quelle, se volessi, potrebbero esserci altri spazi.
Devo dire che sono piuttosto confuso e disorientato.
Mi sento ferito, deluso e ingannato, anche se non so se posso avere il diritto di rivendicarlo dal momento che avevo deciso di essere io ad ingannare...
Una persona "bella" che decide di indossare una maschera "brutta", quasi avesse il timore che la sua vera anima non sia all'altezza. In qualche modo credo che ci assomigliamo. Io sono un esperto ad indossare maschere e a soffocare la mia anima...
Non so esattamente che cosa intenda dire quando dice che potrebbero esserci degli spazi per le nostre debolezze...non so che futuro potremmo avere, ma per la prima volta sono incuriosito...
Non mi attira l'idea di avere un rapporto sessuale con lei, ma la possibilità di ricreare quel clima di sintonia e di apertura che si era splendidamente creato qualche sera fa.
Avrei un desiderio fortissimo di continuare ad esplorare, a parlare...era come se non esistesse niente altro. Non c'erano obblighi o vincoli, non c'era il tempo, c'eravamo soltanto noi desiderosi di essere semplicemente noi stessi. Non lo avevo mai provato, ma mi fa stare veramente bene...
Non so se riuscirei, però, a sopportare ancora la sua indifferenza del nostro successivo incontro in palestra. Quella sera, quando sono tornato a casa avevo solo una gran voglia di piangere...e come sempre mi sono ritrovato a farlo da solo.
Non so se sono riuscito a spiegare con chiarezza le diverse sfaccettature di questa situazione, ma mi piacerebbe ascoltare le sue sensazioni.
Quando ci siamo scritti la volta scorsa ho provato molto sollievo nel leggere le sue parole e i suoi suggerimenti e in questo momento avrei proprio bisogno di avere accanto una persona con la sua sensibilità.
Le confermo di essermi anche preso l'impegno di cominciare un lavoro con un professionista dal vivo, ma dovrei riuscire a cominciare solo a fine mese...
Semplicemente grazie,
Mattia
[#14]
Gentile utente,
<<Una persona "bella" che decide di indossare una maschera "brutta", quasi avesse il timore che la sua vera anima non sia all'altezza.<<
Questo vale per ognuno di voi due.
Lei ha fatto un esperimento pericoloso.
Perchè si lamenta di esser rimasto ferito?
La stessa cosa potrebbe dire la lei,
ingannata nell'esperimento
auto ri/svelatasi nel privato
e poi "smascherata" nel sociale.
Ma, correttamente, la lei ha ribadito le regole del gioco che assieme avere giocato:
apertura nel privato,
facciata nel pubblico.
Se non Le piace, forse potrebbe ipotizzare che
questa strada non produce buoni esiti per la Sua vita ed aspettative.
(E con questo rischio di rappresentare la figura paterna "regolativa" e realistica,
mentre il Collega può essere vissuto come la figura materna accettante ed empatica;
MA ambedue ugualmente necessarie.)
Saluti cordiali.
<<Una persona "bella" che decide di indossare una maschera "brutta", quasi avesse il timore che la sua vera anima non sia all'altezza.<<
Questo vale per ognuno di voi due.
Lei ha fatto un esperimento pericoloso.
Perchè si lamenta di esser rimasto ferito?
La stessa cosa potrebbe dire la lei,
ingannata nell'esperimento
auto ri/svelatasi nel privato
e poi "smascherata" nel sociale.
Ma, correttamente, la lei ha ribadito le regole del gioco che assieme avere giocato:
apertura nel privato,
facciata nel pubblico.
Se non Le piace, forse potrebbe ipotizzare che
questa strada non produce buoni esiti per la Sua vita ed aspettative.
(E con questo rischio di rappresentare la figura paterna "regolativa" e realistica,
mentre il Collega può essere vissuto come la figura materna accettante ed empatica;
MA ambedue ugualmente necessarie.)
Saluti cordiali.
[#15]
Caro Mattia,
il suo racconto mi fa dire innanzitutto che una relazione è l'incontro di due mondi che esistono da tempo e che ognuno porta con sé nell'incontro.
Lei e questa donna avete entrambi messo in campo i vostri vissuti personali e ognuno di voi ha reagito a suo modo a quelli dell'altro.
Questo genera una circolarità, di cui normalmente non ci si occupa, mentre io credo che sia importante osservarla. A volte infatti reagiamo secondo i nostri vissuti e non ci accorgiamo che il messaggio che l'altro ci ha dato non vi corrisponde così realmente.
Mi sento di dire che la sua attitudine in tal senso, la sua intenzione di conoscere e capire cosa accade, di osservare se stesso e il suo modo di entrare in relazione con gli altri, è una cosa particolarmente positiva e non così scontata. Sono caratteristiche che indicano un desiderio e una capacità di investire energie in una ricerca esistenziale ambiziosa e creativa.
Nel caso specifico relativo al racconto tra lei e questa donna, mi sembra che la sua intuizione sia interessante: "In qualche modo credo che ci assomigliamo", dice riferendosi a lei e a questa donna.
Coglie alcune similitudini che effettivamente possono esserci. Forse entrambi indossate delle "maschere" e finite per "ingannarvi". Invece di coltivare dei sentimenti nascenti, che descrive con grande espressività e chiarezza, finite per "usarvi" l'un l'altro, rinunciando alla fine ad aprirvi.
I sentimenti prevalenti restano il senso del rifiuto, il tradimento, la rabbia, la delusione.
Questa donna forse ha bisogno di avere conferme (la reputazione) in quanto "non si sente all'altezza", come lei dice. Forse ha pensato di utilizzare lei come feticcio e non ha tollerato il rifiuto né, potremmo dire poi, le sue dimensioni presunte. Questo agli occhi di lei, magari le dà la conferma di non valere.
Pur emergendo successivamente un aspetto di se stessa autentico, che condivide insieme a lei, potrebbe non essere in grado di coltivarlo, come i fatti del suo racconto ci mostrano.
Lei non è più un feticcio né un eroe a quel punto, ma diventa un uomo con i suoi pregi e le sue vulnerabilità umane. Questo potrebbe destabilizzarla, poiché non vi è più il modo di avere una conferma di sé attraverso "l'uomo forte". Si troverebbe quindi a fare i conti con il suo "non essere all'altezza" nella sua vita, cosa di cui dovrebbe assumersi responsabilità.
Qualcosa che appartiene alla storia di questa donna, quindi, in via ipotetica, potrebbe impedirle di cogliere la ricca occasione di incontro con lei.
Dall'altra parte possiamo chiederci anche come mai lei l'abbia rifiutata in prima battuta. Questa donna ha mostrato interesse per lei, senza una centratura sulle sue dimensioni, e lei avrebbe magari potuto proporle un incontro non sessuale inizialmente?
Questa possibilità non c'è stata perché le intenzioni della donna erano più chiaramente sessuali? Anche in questo caso, eventualmente, possiamo chiederci se i vissuti legati alla sua storia personale non abbiano generato magari alcuni condizionamenti.
Il fatto, invece, che si senta "ferito, deluso, ingannato" dopo che avete parlato quella sera, è comprensibile. Lei ha ingannato questa donna, è vero, ma lo ha fatto per avvicinarsi con cautela, per verificare come rispondeva, forse anche perché era arrabbiato delle sue fantasticherie sul suo conto. Un paio di giorni dopo, invece, l'atteggiamento di questa donna è la peggiore conferma che avrebbe potuto ricevere, dopo che aveva vissuto insieme a lei qualcosa di tanto speciale. E dev'essere stato difficile per lei, come la sua reazione ci testimonia, di profonda tristezza e solitudine.
La domanda che vi farei se vi avessi qui davanti a me come coppia, sarebbe: a lei Mattia di dire come mai ha rifiutato questa donna, nonostante la sua curiosità; alla donna chiederei invece che cosa è significato per lei sentirsi rifiutata, quali corde ha toccato e se riconosce che questo per lei è stato fonte di sofferenza. Vi chiederei inoltre di parlare delle vostre maschere.
Se riusciste a soffermarvi su questi aspetti, e su quelli emergenti in un dialogo dal vivo, magari potreste modificare la fitta e complessa rete di quei rimandi che non consentono un'apertura né una possibilità diversa di incontro.
Questo potrebbe provare a farlo, può prendere l'iniziativa nonostante il rischio del rifiuto e della freddezza che dice di temere. Li deve mettere in conto, tenendo presente quanto potenti possono essere le forze che condizionano questa donna, cosa che può conoscere poiché, come dice, le conosce anche lei sulla sua pelle.
Se entrambi rinunciate, poiché vincono quelle forze, non potrà esserci un'occasione. Ma non è facile Mattia, anche lei deve lottare contro quelle forze appunto.
Potremmo quindi dire che ci sono due ostacoli. Quello della donna non dipende da lei. Il suo invece sì. Se riesce a fare i conti con il suo potrà prendere l'iniziativa e verificare, senza troppi inganni, la disponibilità degli altri e capire se c'è interesse in lei a proseguire quell'incontro.
Se la donna proseguisse con il suo atteggiamento di distanza, ci sarebbe poco da fare.
Io sento che in lei c'è qualcosa di molto significativo che si sta muovendo, qualcosa di nuovo. Lo sento nel suo desiderio così profondo di sintonia e intimità, qualcosa di estremamente vitale e indispensabile per la sua esistenza.
So che in questo momento si sente solo, ma piano piano, se continuerà questa sua ricerca interiore nel modo giusto, sono sicuro che troverà la sua strada e l'amore che merita. Descrive con chiarezza quella dimensione così unica, in cui non c'è più il tempo, ma solo la prodigiosa dimensione di essere insieme per esserci.
Ed è questo che sta giustamente e umanamente cercando.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
il suo racconto mi fa dire innanzitutto che una relazione è l'incontro di due mondi che esistono da tempo e che ognuno porta con sé nell'incontro.
Lei e questa donna avete entrambi messo in campo i vostri vissuti personali e ognuno di voi ha reagito a suo modo a quelli dell'altro.
Questo genera una circolarità, di cui normalmente non ci si occupa, mentre io credo che sia importante osservarla. A volte infatti reagiamo secondo i nostri vissuti e non ci accorgiamo che il messaggio che l'altro ci ha dato non vi corrisponde così realmente.
Mi sento di dire che la sua attitudine in tal senso, la sua intenzione di conoscere e capire cosa accade, di osservare se stesso e il suo modo di entrare in relazione con gli altri, è una cosa particolarmente positiva e non così scontata. Sono caratteristiche che indicano un desiderio e una capacità di investire energie in una ricerca esistenziale ambiziosa e creativa.
Nel caso specifico relativo al racconto tra lei e questa donna, mi sembra che la sua intuizione sia interessante: "In qualche modo credo che ci assomigliamo", dice riferendosi a lei e a questa donna.
Coglie alcune similitudini che effettivamente possono esserci. Forse entrambi indossate delle "maschere" e finite per "ingannarvi". Invece di coltivare dei sentimenti nascenti, che descrive con grande espressività e chiarezza, finite per "usarvi" l'un l'altro, rinunciando alla fine ad aprirvi.
I sentimenti prevalenti restano il senso del rifiuto, il tradimento, la rabbia, la delusione.
Questa donna forse ha bisogno di avere conferme (la reputazione) in quanto "non si sente all'altezza", come lei dice. Forse ha pensato di utilizzare lei come feticcio e non ha tollerato il rifiuto né, potremmo dire poi, le sue dimensioni presunte. Questo agli occhi di lei, magari le dà la conferma di non valere.
Pur emergendo successivamente un aspetto di se stessa autentico, che condivide insieme a lei, potrebbe non essere in grado di coltivarlo, come i fatti del suo racconto ci mostrano.
Lei non è più un feticcio né un eroe a quel punto, ma diventa un uomo con i suoi pregi e le sue vulnerabilità umane. Questo potrebbe destabilizzarla, poiché non vi è più il modo di avere una conferma di sé attraverso "l'uomo forte". Si troverebbe quindi a fare i conti con il suo "non essere all'altezza" nella sua vita, cosa di cui dovrebbe assumersi responsabilità.
Qualcosa che appartiene alla storia di questa donna, quindi, in via ipotetica, potrebbe impedirle di cogliere la ricca occasione di incontro con lei.
Dall'altra parte possiamo chiederci anche come mai lei l'abbia rifiutata in prima battuta. Questa donna ha mostrato interesse per lei, senza una centratura sulle sue dimensioni, e lei avrebbe magari potuto proporle un incontro non sessuale inizialmente?
Questa possibilità non c'è stata perché le intenzioni della donna erano più chiaramente sessuali? Anche in questo caso, eventualmente, possiamo chiederci se i vissuti legati alla sua storia personale non abbiano generato magari alcuni condizionamenti.
Il fatto, invece, che si senta "ferito, deluso, ingannato" dopo che avete parlato quella sera, è comprensibile. Lei ha ingannato questa donna, è vero, ma lo ha fatto per avvicinarsi con cautela, per verificare come rispondeva, forse anche perché era arrabbiato delle sue fantasticherie sul suo conto. Un paio di giorni dopo, invece, l'atteggiamento di questa donna è la peggiore conferma che avrebbe potuto ricevere, dopo che aveva vissuto insieme a lei qualcosa di tanto speciale. E dev'essere stato difficile per lei, come la sua reazione ci testimonia, di profonda tristezza e solitudine.
La domanda che vi farei se vi avessi qui davanti a me come coppia, sarebbe: a lei Mattia di dire come mai ha rifiutato questa donna, nonostante la sua curiosità; alla donna chiederei invece che cosa è significato per lei sentirsi rifiutata, quali corde ha toccato e se riconosce che questo per lei è stato fonte di sofferenza. Vi chiederei inoltre di parlare delle vostre maschere.
Se riusciste a soffermarvi su questi aspetti, e su quelli emergenti in un dialogo dal vivo, magari potreste modificare la fitta e complessa rete di quei rimandi che non consentono un'apertura né una possibilità diversa di incontro.
Questo potrebbe provare a farlo, può prendere l'iniziativa nonostante il rischio del rifiuto e della freddezza che dice di temere. Li deve mettere in conto, tenendo presente quanto potenti possono essere le forze che condizionano questa donna, cosa che può conoscere poiché, come dice, le conosce anche lei sulla sua pelle.
Se entrambi rinunciate, poiché vincono quelle forze, non potrà esserci un'occasione. Ma non è facile Mattia, anche lei deve lottare contro quelle forze appunto.
Potremmo quindi dire che ci sono due ostacoli. Quello della donna non dipende da lei. Il suo invece sì. Se riesce a fare i conti con il suo potrà prendere l'iniziativa e verificare, senza troppi inganni, la disponibilità degli altri e capire se c'è interesse in lei a proseguire quell'incontro.
Se la donna proseguisse con il suo atteggiamento di distanza, ci sarebbe poco da fare.
Io sento che in lei c'è qualcosa di molto significativo che si sta muovendo, qualcosa di nuovo. Lo sento nel suo desiderio così profondo di sintonia e intimità, qualcosa di estremamente vitale e indispensabile per la sua esistenza.
So che in questo momento si sente solo, ma piano piano, se continuerà questa sua ricerca interiore nel modo giusto, sono sicuro che troverà la sua strada e l'amore che merita. Descrive con chiarezza quella dimensione così unica, in cui non c'è più il tempo, ma solo la prodigiosa dimensione di essere insieme per esserci.
Ed è questo che sta giustamente e umanamente cercando.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#16]
Ex utente
Desidero ringraziare entrambi per la disponibilità e provo a rispondere.
Gentile dr.ssa Brunialti,
la ringrazio molto per aver voluto interpretare il ruolo scomodo della "figura paterna regolativa e realistica" e per avermi fatto riflettere sul "gioco" che ho deciso pericolosamente di interpretare.
In effetti devo dire che la "facciata" che la lei ha interpretato nel pubblico mi ha ferito e fatto soffrire perchè non me la aspettavo più dopo l'intimità che avevamo raggiunto solo pochi giorni prima.
Devo anche dire che, per quanto sia stata grande la delusione, il mio gioco sbagliato mi ha permesso di avvicinarmi ad una persona come non avevo mai fatto prima e provare una sensazione di pace nello stare insieme che non conoscevo.
Certamente, come dice lei, è un gioco che non produce buoni esiti...e che ora non so come proseguire...
Gentile dr. De Sanctis,
la ringrazio molto per le sue osservazioni, come sempre articolate e che colgono perfettamente nel segno.
Provo a rispondere alle sue domande.
Perchè ho rifiutato questa donna in prima battuta?
Perchè ogni suo approccio era centrato sul mio fisico, su quanto fossi curato, su quanto fossi in forma, su quanto doveva essere facile per me avere delle ammiratrici...perchè si avvicinava a me con il solo intento di lusingarmi, non di conoscermi. Mi procurava fastidio perchè ai miei occhi incarnava il classico stereotipo negativo della donna che si iscrive in palestra per fare incontri.
Poi ci sono le sue amiche...in alcuni momenti avevo quasi la sensazione di essere l'oggetto di una sorta di scommessa tra di loro...non le interessavo io, ma la mia conquista. Una specie di trofeo da esibire, per ricevere quelle conferme di cui sembra avere bisogno...
Più io cercavo di allontanarmi e più mi sembrava che lei si avvicinasse, mi si offrisse, proprio quella sensazione da cui scappo da tutta la vita.
La sua "maschera pubblica" non mi attirava per nulla, nessuna curiosità, nessun interesse...mi ricordava solo una delle tante donne che avevo già visto cercare di compiacere mio padre.
Non era un problema di sesso, era proprio che non c'era relazione, eravamo su due lunghezze d'onda completamente diverse...come mi capita sempre...
Poi ho avuto la possibiltà di avvicinarmi, anche se con l'inganno, di guardare sotto la maschera e mi sono incuriosito, ho provato interesse e attrazione, non fisica ma intellettuale...ho scoperto una persona fragile e sensibile, che mi poteva capire e che aveva voglia di ascoltarmi...e allora mi sono fidato, aperto...
Poi, come al solito, mi sono sentito tradito dal suo ritorno alla "maschera pubblica" e sono tornati i sentimenti di delusione, rabbia, sensazione di rifiuto, che sembrano essere la mia condanna. Tutte le volte che mi avvicino troppo poi prendo una sberla che mi tramortisce...
Come dice la sua collega, forse erano semplicemente le regole del gioco che stavamo facendo, ma mi hanno fatto male ugualmente.
La seconda domanda riguarda la mia maschera.
Nella mia vita mi sono sempre sentito rifiutato e per questo solo, fragile e indifeso. La scelta di potenziare il fisico credo che sia stata dettata dalla mia incapacità di fortificare la mia anima. Era molto più semplice allenare dei muscoli! L'immagine fisica dell'uomo forte e vigoroso pensavo che potesse meglio proteggere la mia parte sensibile e vulnerabile. Non mi sono accorto, però, che questo tentativo di proteggermi dalle emozioni negative stava anestetizzando la mia capacità di provare sentimenti, anche quelli positivi. Il mio fisico è diventato una sorta di corazza che ha isolato la mia anima dal mondo... Ora che provo, come non mai, il desiderio di entrare in sintonia con qualcuno, di essere ascoltato, compreso e apprezzato al di là del mio aspetto, mi accorgo di non esserne capace e mi sembra che il mio fisico diventi un ostacolo a questo. Da qui il mio rifiuto per il pene, che rappresenta una parte del mio fisico che ha spesso fatto avvicinare le donne sbagliate...
Ora lei mi suggerisce di prendere l'iniziativa, senza troppi inganni, per verificare se c'è la disponibilità degli altri e l'interesse in me a proseguire l'incontro.
Sinceramente non so come comportarmi, non solo per il rischio del rifiuto o della freddezza, ma perchè, ripensandoci, non sono più sicuro di quale sia la maschera e quale la vera lei. E' una donna sensibile e premurosa che si comporta in modo cinico, freddo e distaccato per paura? E' una donna superficiale, manipolatrice e calcolatrice che interpreta il ruolo della donna fragile e sensibile solo per raggiungere il suo scopo? Il mio rifiuto nei suoi confronti ha ferito la sua sensibilità o è stato semplicemente un ostacolo da superare nel suo percorso di conquiste?
Lei mi suggerisce di lottare contro le forze che mi porterebbero a rinunciare, di provare a cogliere l'occasione, di continuare la mia ricerca interiore nel modo giusto per trovare la mia strada e l'amore.
Io, invece, vorrei scappare e mollare tutto, nascondermi, come al solito, nel mio mondo e commiserarmi per una ulteriore sconfitta, ma credo che questa volta non lo farò.
Voglio fidarmi del suo intuito, provare a seguire i suoi suggerimenti, ripagare in qualche modo la sua generosità, che le ha fatto trovare il tempo di rispondermi anche la domenica sera. Proverò a prendere l'iniziativa, senza inganni e senza nascondermi. Proverò ad uscire allo scoperto con tutte le mie fragilità, esponendo anche la mia parte più vulnerabile. In qualche modo credo che lo avessi già deciso e che l'idea di scriverle fosse una ricerca di una conferma, che lei prontamente mi ha fornito. Per sopravvivere a questa sfida che mi sono posto di affrontare, ho stabilito questa regola: se andrà bene avrò colto una buona occasione, se andrà male avrò cercato di cogliere una buona occasione; in ogni caso non sarà un fallimento.
Crede che sia l'ennesimo tentativo di anestetizzare le emozioni ?
Crede che saprò davvero reagire positivamene a un eventuale rifiuto di questa donna o che questo episodio, se si svilupperà in modo negativo, potrà essere un altro tassello negativo che si sommerà agli altri per complicare il mio approccio con l'altro sesso e la sessualità?
Crede che i dubbi sulla maschera di lei siano legittimi o siano solo un tentativo di allontanarmi dalla questione e cedere alle forze che mi porterebbero a rinunciare?
Crede che ce la farò ?
In ogni caso desidero ringraziarla profondamente, perchè mi ha aiutato a sentirmi meno solo, mi ha stimolato a continuare il percorso di ricerca di me stesso, mi ha aiutato a chiarire alcuni meccanismi che si innescano nelle relazioni con gli altri, mi ha fatto capire che se ci si apre con fiducia e sincerità si può avere la fortuna di trovare nell'altro sincero interesse.
Credo che la sua collega abbia coorrettamente lasciato a lei il ruolo di "figura materna accettante ed empatica". Mi sono sentito accolto.
Grazie ancora per l'umanità con cui ha saputo leggere e ricambiare le mie parole.
Spero che il terapeuta che conoscerò a fine mese possa assomigliarle in qualcosa e sia mosso dalla stessa passione e sensibilità che ho riconosciuto e molto apprezzato in lei.
Un cordiale saluto,
Mattia
Gentile dr.ssa Brunialti,
la ringrazio molto per aver voluto interpretare il ruolo scomodo della "figura paterna regolativa e realistica" e per avermi fatto riflettere sul "gioco" che ho deciso pericolosamente di interpretare.
In effetti devo dire che la "facciata" che la lei ha interpretato nel pubblico mi ha ferito e fatto soffrire perchè non me la aspettavo più dopo l'intimità che avevamo raggiunto solo pochi giorni prima.
Devo anche dire che, per quanto sia stata grande la delusione, il mio gioco sbagliato mi ha permesso di avvicinarmi ad una persona come non avevo mai fatto prima e provare una sensazione di pace nello stare insieme che non conoscevo.
Certamente, come dice lei, è un gioco che non produce buoni esiti...e che ora non so come proseguire...
Gentile dr. De Sanctis,
la ringrazio molto per le sue osservazioni, come sempre articolate e che colgono perfettamente nel segno.
Provo a rispondere alle sue domande.
Perchè ho rifiutato questa donna in prima battuta?
Perchè ogni suo approccio era centrato sul mio fisico, su quanto fossi curato, su quanto fossi in forma, su quanto doveva essere facile per me avere delle ammiratrici...perchè si avvicinava a me con il solo intento di lusingarmi, non di conoscermi. Mi procurava fastidio perchè ai miei occhi incarnava il classico stereotipo negativo della donna che si iscrive in palestra per fare incontri.
Poi ci sono le sue amiche...in alcuni momenti avevo quasi la sensazione di essere l'oggetto di una sorta di scommessa tra di loro...non le interessavo io, ma la mia conquista. Una specie di trofeo da esibire, per ricevere quelle conferme di cui sembra avere bisogno...
Più io cercavo di allontanarmi e più mi sembrava che lei si avvicinasse, mi si offrisse, proprio quella sensazione da cui scappo da tutta la vita.
La sua "maschera pubblica" non mi attirava per nulla, nessuna curiosità, nessun interesse...mi ricordava solo una delle tante donne che avevo già visto cercare di compiacere mio padre.
Non era un problema di sesso, era proprio che non c'era relazione, eravamo su due lunghezze d'onda completamente diverse...come mi capita sempre...
Poi ho avuto la possibiltà di avvicinarmi, anche se con l'inganno, di guardare sotto la maschera e mi sono incuriosito, ho provato interesse e attrazione, non fisica ma intellettuale...ho scoperto una persona fragile e sensibile, che mi poteva capire e che aveva voglia di ascoltarmi...e allora mi sono fidato, aperto...
Poi, come al solito, mi sono sentito tradito dal suo ritorno alla "maschera pubblica" e sono tornati i sentimenti di delusione, rabbia, sensazione di rifiuto, che sembrano essere la mia condanna. Tutte le volte che mi avvicino troppo poi prendo una sberla che mi tramortisce...
Come dice la sua collega, forse erano semplicemente le regole del gioco che stavamo facendo, ma mi hanno fatto male ugualmente.
La seconda domanda riguarda la mia maschera.
Nella mia vita mi sono sempre sentito rifiutato e per questo solo, fragile e indifeso. La scelta di potenziare il fisico credo che sia stata dettata dalla mia incapacità di fortificare la mia anima. Era molto più semplice allenare dei muscoli! L'immagine fisica dell'uomo forte e vigoroso pensavo che potesse meglio proteggere la mia parte sensibile e vulnerabile. Non mi sono accorto, però, che questo tentativo di proteggermi dalle emozioni negative stava anestetizzando la mia capacità di provare sentimenti, anche quelli positivi. Il mio fisico è diventato una sorta di corazza che ha isolato la mia anima dal mondo... Ora che provo, come non mai, il desiderio di entrare in sintonia con qualcuno, di essere ascoltato, compreso e apprezzato al di là del mio aspetto, mi accorgo di non esserne capace e mi sembra che il mio fisico diventi un ostacolo a questo. Da qui il mio rifiuto per il pene, che rappresenta una parte del mio fisico che ha spesso fatto avvicinare le donne sbagliate...
Ora lei mi suggerisce di prendere l'iniziativa, senza troppi inganni, per verificare se c'è la disponibilità degli altri e l'interesse in me a proseguire l'incontro.
Sinceramente non so come comportarmi, non solo per il rischio del rifiuto o della freddezza, ma perchè, ripensandoci, non sono più sicuro di quale sia la maschera e quale la vera lei. E' una donna sensibile e premurosa che si comporta in modo cinico, freddo e distaccato per paura? E' una donna superficiale, manipolatrice e calcolatrice che interpreta il ruolo della donna fragile e sensibile solo per raggiungere il suo scopo? Il mio rifiuto nei suoi confronti ha ferito la sua sensibilità o è stato semplicemente un ostacolo da superare nel suo percorso di conquiste?
Lei mi suggerisce di lottare contro le forze che mi porterebbero a rinunciare, di provare a cogliere l'occasione, di continuare la mia ricerca interiore nel modo giusto per trovare la mia strada e l'amore.
Io, invece, vorrei scappare e mollare tutto, nascondermi, come al solito, nel mio mondo e commiserarmi per una ulteriore sconfitta, ma credo che questa volta non lo farò.
Voglio fidarmi del suo intuito, provare a seguire i suoi suggerimenti, ripagare in qualche modo la sua generosità, che le ha fatto trovare il tempo di rispondermi anche la domenica sera. Proverò a prendere l'iniziativa, senza inganni e senza nascondermi. Proverò ad uscire allo scoperto con tutte le mie fragilità, esponendo anche la mia parte più vulnerabile. In qualche modo credo che lo avessi già deciso e che l'idea di scriverle fosse una ricerca di una conferma, che lei prontamente mi ha fornito. Per sopravvivere a questa sfida che mi sono posto di affrontare, ho stabilito questa regola: se andrà bene avrò colto una buona occasione, se andrà male avrò cercato di cogliere una buona occasione; in ogni caso non sarà un fallimento.
Crede che sia l'ennesimo tentativo di anestetizzare le emozioni ?
Crede che saprò davvero reagire positivamene a un eventuale rifiuto di questa donna o che questo episodio, se si svilupperà in modo negativo, potrà essere un altro tassello negativo che si sommerà agli altri per complicare il mio approccio con l'altro sesso e la sessualità?
Crede che i dubbi sulla maschera di lei siano legittimi o siano solo un tentativo di allontanarmi dalla questione e cedere alle forze che mi porterebbero a rinunciare?
Crede che ce la farò ?
In ogni caso desidero ringraziarla profondamente, perchè mi ha aiutato a sentirmi meno solo, mi ha stimolato a continuare il percorso di ricerca di me stesso, mi ha aiutato a chiarire alcuni meccanismi che si innescano nelle relazioni con gli altri, mi ha fatto capire che se ci si apre con fiducia e sincerità si può avere la fortuna di trovare nell'altro sincero interesse.
Credo che la sua collega abbia coorrettamente lasciato a lei il ruolo di "figura materna accettante ed empatica". Mi sono sentito accolto.
Grazie ancora per l'umanità con cui ha saputo leggere e ricambiare le mie parole.
Spero che il terapeuta che conoscerò a fine mese possa assomigliarle in qualcosa e sia mosso dalla stessa passione e sensibilità che ho riconosciuto e molto apprezzato in lei.
Un cordiale saluto,
Mattia
[#17]
Caro Mattia,
la sua capacità di tessere il filo di una narrazione in cui riesce a seguire perfettamente il discorso che le viene proposto e a creare dei nessi con la sua esperienza è sorprendente.
Nelle sue parole ci sono tanti spunti di riflessione. Mi colpisce quando dice che "tutte le volte che si avvicina troppo poi prende una sberla che la tramortisce...". Questo dev'essere terribile e immagino generi in lei un senso di diffidenza e distanza.
Se prendiamo la sua prima riflessione circa la domanda sul suo rifiuto, quello che dice è importante. Intuisce la qualità dell'avvicinarsi di questa donna, cosa che è confermata dal modo in cui si è comportata successivamente riassumendo la "maschera pubblica". Il suo intuito è stato corretto, cosa che non mi stupisce poiché mostra anche nel nostro scambio di averlo.
Tuttavia, sembra succedere qualcosa che rappresenta una sorta di deviazione rispetto alla sua certezza circa le intenzioni di questa donna e alle sue aspettative di esserne deluso. Nonostante tutto, lei decide di avvicinarsi. Questo è un punto che mi ha colpito, perché lei non ammette che questo movimento doveva implicare una sua intenzione, forse una sua curiosità, prima del vostro scambio più intimo.
Voglio dire che forse c'è una parte di lei che non può riconoscersi il desiderio di avvicinarsi, significherebbe forse rivitalizzarsi da quell'anestesia che forse la caratterizza. Questo suo avvicinarsi implica un cambiamento epocale, non è strano se lei non lo vuole riconoscere.
Coerentemente, non potendo riconoscere in lei la curiosità e il desiderio, si avvicina con l'inganno? Potrebbe essere questo il modo per andare con cautela. Rivitalizzarsi da quell'anestesia significa infatti tante cose temute. Significa rivivere certe paure, certe ferite, significa esporsi e rischiare le "sberle", per fare solo alcuni esempi.
Non è facile parlarci qui, questi pensieri hanno bisogno di uno spazio idoneo e di tempo per poterci soffermare.
Nel proporle la mia ipotesi che in lei c'è stato un desiderio di avvicinarsi, provo a immaginare che ci sia una parte di lei che forse non era convinta completamente dell'inautenticità delle intenzioni di questa donna, cioè del fatto che la stesse usando come trofeo e che avesse solo fatto una scommessa, che definirei macabra, con il solo scopo di avere conferme e vincere il suo agognato premio.
Certo lei potrebbe dire che si è avvicinato per una vendetta, per umiliarla e per ridicolizzarla, soprattutto tenendo presente che quello che le ha detto mostrandole il suo slip non è affatto vero.
Questo è assolutamente possibile, ma credo che sia importante che lei possa guardarsi dentro e chiedersi: è solo per vendetta che Mattia si è avvicinato?
Se, come cercavo di proporle, si è avvicinato anche per un desiderio, questo potrebbe essere un buon segno, perché vuol dire che c'è una parte di lei che si muove nel mondo aspettandosi qualcosa di diverso da quello che è sempre stato, magari uno spazio germinativo in cui poterci essere, come lei ci ha detto.
E mi sembra che nella seconda riflessione che fa circa la maschera, lei stesso lo dica: "Ora che provo, come non mai, il desiderio di entrare in sintonia con qualcuno, di essere ascoltato, compreso e apprezzato...". Come se ci fosse in lei un risveglio, che in parte soccombeva chiuso in una corazza e schiacciato dal peso di bilanceri e manubri.
Il fatto di non sentirsi capace non deve scoraggiarla. Intanto non è così vero, e comunque se è una vita che è sotto anestesia, deve ritrovarsi. Come quando ricomincia un allenamento dopo un lungo periodo di pausa, la sua forza sarà inferiore, ma lavorando riuscirà a ottenere il risultato sperato.
In questo caso, lei si sente "solo, fragile e indifeso" e potrà prendersi cura del suo stato d'animo e "allenarsi" per fortificarsi e, senza temere il rifiuto e fidandosi di sé, esprimere se stesso nel mondo.
I no ci saranno, ma lei saprà che arriveranno anche i sì.
Quando dice che "vorrebbe scappare e mollare tutto, nascondersi, come al solito", non è strano come dicevamo, dobbiamo aspettarcelo. Il suo desiderio è un seme, forse un germoglio, mentre l'esperienza del rifiuto e la corazza sono piante robuste e ben radicate. Il germoglio dovrà farsi strada e svilupparsi nel tempo. Anche se le sue intenzioni sono forti, e questo mi sembra già un ottimo segno. Come dire: attenzione al sovrallenamento, tuttavia con questo non voglio dirle che non deve allenarsi, e tanto.
Uscire allo scoperto è importante, non necessariamente deve farlo esponendo "tutte le sue fragilità". Quello che in teoria bisogna fare, ma ripeto che non è semplice, è capire se indossa una maschera quando incontra qualcuno perché si aspetta che senza verrà rifiutato. Capire se legge il comportamento dell'altro, come quello di questa donna, con un suo vissuto aprioristico che dà una coloritura specifica all'immagine dell'altro, che non in verità non vi corrisponde realmente.
Questo non significa ancora che deve aprirsi all'altro con tutte le proprie fragilità, ma significa che può disporsi a capire prima di tutto chi è l'altro, riuscendo a vederlo senza attribuirgli aspetti che appartengono più a se stesso che a lui.
Tenga presente che per arrivare a fare questo è necessario un lungo percorso d'analisi. È come per la palestra, quanti anni ci vogliono, realmente, prima di costruire alcuni chili di massa?
Affinché lei possa capire chi ha davanti, dovrà esporsi prendendo l'iniziativa, desiderando, sperando, investendo. Questo le consentirà di rispondere alle sue domande sul comportamento di questa donna, libero dalla sua maschera, attraverso il suo intuito, il meno condizionato possibile dai suoi vissuti passati. Un rifiuto le costerà certo, ma si è dato l'occasione di scoprirlo.
Quando chiede: "Crede che sia l'ennesimo tentativo di anestetizzare le emozioni ?", credo di no, sento che sta facendo una ricerca vera e propria, con l'affanno tipico di una ricerca autentica.
Alla sua domanda: "Crede che saprò davvero reagire positivamene a un eventuale rifiuto di questa donna o che questo episodio, se si svilupperà in modo negativo, potrà essere un altro tassello negativo che si sommerà agli altri per complicare il mio approccio con l'altro sesso e la sessualità?", potrebbe scoraggiarsi certo, ma poi riprendersi, perché oggi sembra avere ormai deciso di coltivare una parte di sé che vuole togliere la maschera e risvegliarsi dall'anestesia.
E alla sua domanda: "Crede che i dubbi sulla maschera di lei siano legittimi o siano solo un tentativo di allontanarmi dalla questione e cedere alle forze che mi porterebbero a rinunciare?", mi sento di dirle che pone una questione cruciale. È la cosa che più ci tenevo a comunicarle. Non credo di dover aggiungere altro in proposito a questo punto, sono sicuro che troverà le sue risposte.
E, infine, quando chiede: "Crede che ce la farò?", la mia risposta è sì.
Se non sarà questa volta, e il percorso non sarà facile, alla fine riuscirà a farcela. Mi auguro che si trovi bene con il terapeuta scelto, ci tengo. Credo che un percorso analitico le consentirà di sviluppare nel tempo tutto quello di cui ha bisogno per riscoprire la sessualità e l'amore, insieme.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
la sua capacità di tessere il filo di una narrazione in cui riesce a seguire perfettamente il discorso che le viene proposto e a creare dei nessi con la sua esperienza è sorprendente.
Nelle sue parole ci sono tanti spunti di riflessione. Mi colpisce quando dice che "tutte le volte che si avvicina troppo poi prende una sberla che la tramortisce...". Questo dev'essere terribile e immagino generi in lei un senso di diffidenza e distanza.
Se prendiamo la sua prima riflessione circa la domanda sul suo rifiuto, quello che dice è importante. Intuisce la qualità dell'avvicinarsi di questa donna, cosa che è confermata dal modo in cui si è comportata successivamente riassumendo la "maschera pubblica". Il suo intuito è stato corretto, cosa che non mi stupisce poiché mostra anche nel nostro scambio di averlo.
Tuttavia, sembra succedere qualcosa che rappresenta una sorta di deviazione rispetto alla sua certezza circa le intenzioni di questa donna e alle sue aspettative di esserne deluso. Nonostante tutto, lei decide di avvicinarsi. Questo è un punto che mi ha colpito, perché lei non ammette che questo movimento doveva implicare una sua intenzione, forse una sua curiosità, prima del vostro scambio più intimo.
Voglio dire che forse c'è una parte di lei che non può riconoscersi il desiderio di avvicinarsi, significherebbe forse rivitalizzarsi da quell'anestesia che forse la caratterizza. Questo suo avvicinarsi implica un cambiamento epocale, non è strano se lei non lo vuole riconoscere.
Coerentemente, non potendo riconoscere in lei la curiosità e il desiderio, si avvicina con l'inganno? Potrebbe essere questo il modo per andare con cautela. Rivitalizzarsi da quell'anestesia significa infatti tante cose temute. Significa rivivere certe paure, certe ferite, significa esporsi e rischiare le "sberle", per fare solo alcuni esempi.
Non è facile parlarci qui, questi pensieri hanno bisogno di uno spazio idoneo e di tempo per poterci soffermare.
Nel proporle la mia ipotesi che in lei c'è stato un desiderio di avvicinarsi, provo a immaginare che ci sia una parte di lei che forse non era convinta completamente dell'inautenticità delle intenzioni di questa donna, cioè del fatto che la stesse usando come trofeo e che avesse solo fatto una scommessa, che definirei macabra, con il solo scopo di avere conferme e vincere il suo agognato premio.
Certo lei potrebbe dire che si è avvicinato per una vendetta, per umiliarla e per ridicolizzarla, soprattutto tenendo presente che quello che le ha detto mostrandole il suo slip non è affatto vero.
Questo è assolutamente possibile, ma credo che sia importante che lei possa guardarsi dentro e chiedersi: è solo per vendetta che Mattia si è avvicinato?
Se, come cercavo di proporle, si è avvicinato anche per un desiderio, questo potrebbe essere un buon segno, perché vuol dire che c'è una parte di lei che si muove nel mondo aspettandosi qualcosa di diverso da quello che è sempre stato, magari uno spazio germinativo in cui poterci essere, come lei ci ha detto.
E mi sembra che nella seconda riflessione che fa circa la maschera, lei stesso lo dica: "Ora che provo, come non mai, il desiderio di entrare in sintonia con qualcuno, di essere ascoltato, compreso e apprezzato...". Come se ci fosse in lei un risveglio, che in parte soccombeva chiuso in una corazza e schiacciato dal peso di bilanceri e manubri.
Il fatto di non sentirsi capace non deve scoraggiarla. Intanto non è così vero, e comunque se è una vita che è sotto anestesia, deve ritrovarsi. Come quando ricomincia un allenamento dopo un lungo periodo di pausa, la sua forza sarà inferiore, ma lavorando riuscirà a ottenere il risultato sperato.
In questo caso, lei si sente "solo, fragile e indifeso" e potrà prendersi cura del suo stato d'animo e "allenarsi" per fortificarsi e, senza temere il rifiuto e fidandosi di sé, esprimere se stesso nel mondo.
I no ci saranno, ma lei saprà che arriveranno anche i sì.
Quando dice che "vorrebbe scappare e mollare tutto, nascondersi, come al solito", non è strano come dicevamo, dobbiamo aspettarcelo. Il suo desiderio è un seme, forse un germoglio, mentre l'esperienza del rifiuto e la corazza sono piante robuste e ben radicate. Il germoglio dovrà farsi strada e svilupparsi nel tempo. Anche se le sue intenzioni sono forti, e questo mi sembra già un ottimo segno. Come dire: attenzione al sovrallenamento, tuttavia con questo non voglio dirle che non deve allenarsi, e tanto.
Uscire allo scoperto è importante, non necessariamente deve farlo esponendo "tutte le sue fragilità". Quello che in teoria bisogna fare, ma ripeto che non è semplice, è capire se indossa una maschera quando incontra qualcuno perché si aspetta che senza verrà rifiutato. Capire se legge il comportamento dell'altro, come quello di questa donna, con un suo vissuto aprioristico che dà una coloritura specifica all'immagine dell'altro, che non in verità non vi corrisponde realmente.
Questo non significa ancora che deve aprirsi all'altro con tutte le proprie fragilità, ma significa che può disporsi a capire prima di tutto chi è l'altro, riuscendo a vederlo senza attribuirgli aspetti che appartengono più a se stesso che a lui.
Tenga presente che per arrivare a fare questo è necessario un lungo percorso d'analisi. È come per la palestra, quanti anni ci vogliono, realmente, prima di costruire alcuni chili di massa?
Affinché lei possa capire chi ha davanti, dovrà esporsi prendendo l'iniziativa, desiderando, sperando, investendo. Questo le consentirà di rispondere alle sue domande sul comportamento di questa donna, libero dalla sua maschera, attraverso il suo intuito, il meno condizionato possibile dai suoi vissuti passati. Un rifiuto le costerà certo, ma si è dato l'occasione di scoprirlo.
Quando chiede: "Crede che sia l'ennesimo tentativo di anestetizzare le emozioni ?", credo di no, sento che sta facendo una ricerca vera e propria, con l'affanno tipico di una ricerca autentica.
Alla sua domanda: "Crede che saprò davvero reagire positivamene a un eventuale rifiuto di questa donna o che questo episodio, se si svilupperà in modo negativo, potrà essere un altro tassello negativo che si sommerà agli altri per complicare il mio approccio con l'altro sesso e la sessualità?", potrebbe scoraggiarsi certo, ma poi riprendersi, perché oggi sembra avere ormai deciso di coltivare una parte di sé che vuole togliere la maschera e risvegliarsi dall'anestesia.
E alla sua domanda: "Crede che i dubbi sulla maschera di lei siano legittimi o siano solo un tentativo di allontanarmi dalla questione e cedere alle forze che mi porterebbero a rinunciare?", mi sento di dirle che pone una questione cruciale. È la cosa che più ci tenevo a comunicarle. Non credo di dover aggiungere altro in proposito a questo punto, sono sicuro che troverà le sue risposte.
E, infine, quando chiede: "Crede che ce la farò?", la mia risposta è sì.
Se non sarà questa volta, e il percorso non sarà facile, alla fine riuscirà a farcela. Mi auguro che si trovi bene con il terapeuta scelto, ci tengo. Credo che un percorso analitico le consentirà di sviluppare nel tempo tutto quello di cui ha bisogno per riscoprire la sessualità e l'amore, insieme.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 17 risposte e 20k visite dal 18/09/2016.
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