Abusi infantili
Buongiorno,
scrivo perché ho bisogno di un consiglio per poter affrontare una situazione che forse ho sottovalutato per tanto tempo e che ora non riesco più a controllare. Il consulto riguarderebbe mia moglie vittima di abusi. Vi chiedo scusa se sarò lungo. Quindici anni fa, appena fidanzati mia moglie, mi confesso di aver subito abusi da parte del padre. Nell'incoscienza dei miei 20 anni non fui in grado di cogliere la sua richiesta di aiuto e a quelle parole segui un abbraccio e una promessa. Da più volte cercai di affrontare l'argomento ma Lei non ha mai più manifestato voglia di parlarne. Negli anni capii che la madre sapeva e che, probabilmente, altri sapevano (un giorno mi confidò che da bambina aveva detto tutto agli assistenti sociali) ma nessuno, ne familiari ne altri, presero provvedimenti. Notavo in Lei (così come nelle altre) una forma di amore/odio nei confronti del papà (una specie di morbosità) una forma di risentimento/compassione nei confronti della mamma che non ha mai saputo affrontare la situazione ma nel contempo ha amato 9 figli tra i quali due disabili.
Suo padre riusciva a mantenere un controllo quasi totalizzante sulla vita delle figlie. Un padre padrone nello stato puro del termine, lo definirei.
Ed ecco arrivare al mio problema. Anche da ragazzi durante le discussioni dimostrava nei miei confronti una rabbia impressionante fenomeno che è aumentato dopo la nascita dei bimbi ed è peggiorato dopo la scomparsa del padre (ed io che credevo che una volta scomparso sarebbe finito tutto). Per esempio basta che io le dica che non ho fame per essere aggredito ed accusato di non gratificarla mai e da li la discussione prende un percorso incerto pieno di insulti e parolacce e se non rispondo è peggio. La cosa si amplifica maggiormente quandola discussione riguarda ii miei. Ai suoi tutto era concesso (perchè queste esplosioni di rabbia c'è le hanno tutte in famiglia) agli amici gli si perdona tutto anche le mancanze di rispetto nei confronti dei bimbi ai miei no e la colpa è mia che non la difendo (da cosa poi, vorrei capirlo).
Per esempio ha iniziato a provare queste sensazioni anche nei confronti di mio fratello,con il quale ho un rapporto profondo e che conosce da prima di conoscere me e per il quale ha sempre dimostrato un affetto e una stima particolare ma da quest'anno ha notato che gli sforzi che lei fa per dimostrare il suo affetto non vengono più apprezzati e quindi non merita più di vedere ne lei e ne i miei figli (parliamo sempre di 15 giorni l'anno).
A volte mi dice che io confronto al padre sono nulla perché lui certe cose le avrebbe risolte subito... bhe sicuro perché avrebbe picchiato la moglie fino allo sfinimento...
Tra sorelle non parlano mai di quanto accaduto, anzi, nessuna di loro sa cosa abbia subito l'altra.
Ho proposto un percorso di terapia di coppia ma non ne vuole sapere dice che il matto sono io che lei c'è stata dalla psicologa dopo il parto e non ne ha più bisogno.
Cosa posso fare? Grazie
scrivo perché ho bisogno di un consiglio per poter affrontare una situazione che forse ho sottovalutato per tanto tempo e che ora non riesco più a controllare. Il consulto riguarderebbe mia moglie vittima di abusi. Vi chiedo scusa se sarò lungo. Quindici anni fa, appena fidanzati mia moglie, mi confesso di aver subito abusi da parte del padre. Nell'incoscienza dei miei 20 anni non fui in grado di cogliere la sua richiesta di aiuto e a quelle parole segui un abbraccio e una promessa. Da più volte cercai di affrontare l'argomento ma Lei non ha mai più manifestato voglia di parlarne. Negli anni capii che la madre sapeva e che, probabilmente, altri sapevano (un giorno mi confidò che da bambina aveva detto tutto agli assistenti sociali) ma nessuno, ne familiari ne altri, presero provvedimenti. Notavo in Lei (così come nelle altre) una forma di amore/odio nei confronti del papà (una specie di morbosità) una forma di risentimento/compassione nei confronti della mamma che non ha mai saputo affrontare la situazione ma nel contempo ha amato 9 figli tra i quali due disabili.
Suo padre riusciva a mantenere un controllo quasi totalizzante sulla vita delle figlie. Un padre padrone nello stato puro del termine, lo definirei.
Ed ecco arrivare al mio problema. Anche da ragazzi durante le discussioni dimostrava nei miei confronti una rabbia impressionante fenomeno che è aumentato dopo la nascita dei bimbi ed è peggiorato dopo la scomparsa del padre (ed io che credevo che una volta scomparso sarebbe finito tutto). Per esempio basta che io le dica che non ho fame per essere aggredito ed accusato di non gratificarla mai e da li la discussione prende un percorso incerto pieno di insulti e parolacce e se non rispondo è peggio. La cosa si amplifica maggiormente quandola discussione riguarda ii miei. Ai suoi tutto era concesso (perchè queste esplosioni di rabbia c'è le hanno tutte in famiglia) agli amici gli si perdona tutto anche le mancanze di rispetto nei confronti dei bimbi ai miei no e la colpa è mia che non la difendo (da cosa poi, vorrei capirlo).
Per esempio ha iniziato a provare queste sensazioni anche nei confronti di mio fratello,con il quale ho un rapporto profondo e che conosce da prima di conoscere me e per il quale ha sempre dimostrato un affetto e una stima particolare ma da quest'anno ha notato che gli sforzi che lei fa per dimostrare il suo affetto non vengono più apprezzati e quindi non merita più di vedere ne lei e ne i miei figli (parliamo sempre di 15 giorni l'anno).
A volte mi dice che io confronto al padre sono nulla perché lui certe cose le avrebbe risolte subito... bhe sicuro perché avrebbe picchiato la moglie fino allo sfinimento...
Tra sorelle non parlano mai di quanto accaduto, anzi, nessuna di loro sa cosa abbia subito l'altra.
Ho proposto un percorso di terapia di coppia ma non ne vuole sapere dice che il matto sono io che lei c'è stata dalla psicologa dopo il parto e non ne ha più bisogno.
Cosa posso fare? Grazie
[#1]
Purtroppo niente.
Nessuno può aiutare chi non vuole essere aiutato.
Suggerisca a sua moglie, per il bene di tutti, in primis di se stessa, di andare in consultazione .
É possibile che il clinico che la riceverà sarà talmente bravo da farle prendere coscienza di avere bisogno di aiuto.
Nessuno può aiutare chi non vuole essere aiutato.
Suggerisca a sua moglie, per il bene di tutti, in primis di se stessa, di andare in consultazione .
É possibile che il clinico che la riceverà sarà talmente bravo da farle prendere coscienza di avere bisogno di aiuto.
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#2]
Gentile Utente,
la prima cosa che conviene fare in situazioni come quella che Lei sta vivendo è che sia Lei (che ci sta scrivendo) a rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta, in modo da sapere come comportarsi in maniera più efficace con Sua moglie, imparando a capire e a gestire i suoi scatti di rabbia e ciò che dall'esterno e all'apparenza può sembrare incomprensibile.
In questo modo è spesso possibile agganciare anche il coniuge per la psicoterapia: sarà possibile richiedere la presenza in studio di Sua moglie, dicendole che si ha bisogno del suo aiuto per proseguire nella terapia.
Di solito, quando il pz. è inconsapevole del proprio disagio, è sempre opportuno convocare in studio prima il congiunto per poter poi agganciare il pz.
Per quanto riguarda l'ambivalenza dei sentimenti di Sua moglie verso il papà e l'accaduto, ciò è da riferirsi proprio a quanto successo. Infatti, le vittime di abuso, soprattutto se l'abusante è una persona dalla quale dovremmo aspettarci aiuto e protezione, non riescono a leggere correttamente l'accaduto.
L'ambivalenza di Sua moglie è dovuta al fatto che la persona abusata non coglie in modo chiaro l'abuso in sé, ma oscilla tra il senso di colpa, la vergogna, la rabbia, ecc... perché non capisce che tutta la responsabilità dell'abuso è esclusivamente dell'adulto abusante. Se poi il responsabile è il papà, il tutto è ancora più difficile.
E' anche probabile che per Sua moglie la modalità autoritaria di suo padre sia la sola conosciuta e quindi invocata anche in casa, perché le pare risoluta davanti ai problemi da risolvere.
In ogni caso, perché non prova a prenotare per se stesso una consulenza per poi agganciare anche Sua moglie, dietro le istruzioni del terapeuta?
la prima cosa che conviene fare in situazioni come quella che Lei sta vivendo è che sia Lei (che ci sta scrivendo) a rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta, in modo da sapere come comportarsi in maniera più efficace con Sua moglie, imparando a capire e a gestire i suoi scatti di rabbia e ciò che dall'esterno e all'apparenza può sembrare incomprensibile.
In questo modo è spesso possibile agganciare anche il coniuge per la psicoterapia: sarà possibile richiedere la presenza in studio di Sua moglie, dicendole che si ha bisogno del suo aiuto per proseguire nella terapia.
Di solito, quando il pz. è inconsapevole del proprio disagio, è sempre opportuno convocare in studio prima il congiunto per poter poi agganciare il pz.
Per quanto riguarda l'ambivalenza dei sentimenti di Sua moglie verso il papà e l'accaduto, ciò è da riferirsi proprio a quanto successo. Infatti, le vittime di abuso, soprattutto se l'abusante è una persona dalla quale dovremmo aspettarci aiuto e protezione, non riescono a leggere correttamente l'accaduto.
L'ambivalenza di Sua moglie è dovuta al fatto che la persona abusata non coglie in modo chiaro l'abuso in sé, ma oscilla tra il senso di colpa, la vergogna, la rabbia, ecc... perché non capisce che tutta la responsabilità dell'abuso è esclusivamente dell'adulto abusante. Se poi il responsabile è il papà, il tutto è ancora più difficile.
E' anche probabile che per Sua moglie la modalità autoritaria di suo padre sia la sola conosciuta e quindi invocata anche in casa, perché le pare risoluta davanti ai problemi da risolvere.
In ogni caso, perché non prova a prenotare per se stesso una consulenza per poi agganciare anche Sua moglie, dietro le istruzioni del terapeuta?
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#3]
Gentile utente,
Per Sua moglie Lei non puo' e soprattutto non DEVE fare nulla!
La persona per la quale invece sarebbe il caso di fare qualcosa e' Lei.
Credo infatti che Lei soffra nei confronti del comportamento di Sua moglie di una forma di *diffidenza* o addirittura *gelosia*, come se si sentisse *in secondo piano* rispetto al padre.
E' una situazione incresciosa e dolorosa per Lei.
Quindi ci pensi!
Lei ha solo 34 anni e penso sia nel Suo interesse predisporsi ad una vita coniugale lunga e felice con Sua moglie, e quindi risolvere le Sue problematiche ( Sue di Lei che ci ha scritto!).
I miei auguri.
Per Sua moglie Lei non puo' e soprattutto non DEVE fare nulla!
La persona per la quale invece sarebbe il caso di fare qualcosa e' Lei.
Credo infatti che Lei soffra nei confronti del comportamento di Sua moglie di una forma di *diffidenza* o addirittura *gelosia*, come se si sentisse *in secondo piano* rispetto al padre.
E' una situazione incresciosa e dolorosa per Lei.
Quindi ci pensi!
Lei ha solo 34 anni e penso sia nel Suo interesse predisporsi ad una vita coniugale lunga e felice con Sua moglie, e quindi risolvere le Sue problematiche ( Sue di Lei che ci ha scritto!).
I miei auguri.
Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132
Questo consulto ha ricevuto 3 risposte e 2.5k visite dal 03/09/2016.
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