Consigli su andamento psicoterapia e possibilità di cambiare psicologa
Salve dottori,
Ho iniziato a soffrire di disturbi di ansia alquanto invalidante dall'età di 19 anni. Il periodo lungo e continuato di queste manifestazioni ha fatto sì che si sviluppasse, inoltre, una forma lieve di depressione e a quel punto non ho potuto fare altro che rivolgermi ad uno psichiatra, il quale mi prescrisse una cura a base di Paroxetina da effettuare per 6 mesi. La cura fu una vera e propria panacea, tanto è vero che prima di ricontattare lo psichiatra per la sospensione della terapia ho fatto passare ben 2 anni, contento di liberarmi del farmaco perchè ormai ero "guarito". Ma, appena arrivato alla dose minima, complice anche una fumata di erba, mi si sono ripresentati tutti i sintomi che 2 anni prima mi avevano portato alla cura. Iniziai di nuovo la stessa terapia, stessi dosaggi, stessi effetti miracolosi. La mia vita scorreva così liscia che ho aspettato di nuovo 2 anni prima di sentire la necessità di scalare il farmaco, periodo che è coinciso con la fine dell'università, l'inizio di un attività lavorativa e un breve viaggio all'estero con gli amici. Ancora una volta a 23 anni, dopo questa esperienza in cui già avvertivo "qualcosa di strano", si è progressivamente ripresentata l'ansia ma questa volta credevo di essere più forte e di superare questo momento addirittura da solo, fino a che non è sopraggiunto un episodio depressivo un po' più grave dei precedenti e da qui la necessità di rivolgermi allo specialista. Per superare il "momento critico" lo psichiatra mi ha prescritto sì il farmaco, ma ci siamo trovati d'accordo sul fatto che si deve fare qualcosa in più... c'è bisogno di indagare, soprattutto per il futuro che mi attende e non posso, non voglio ricaderci sempre e la voglia di sciogliere questo nodo ed essere una persona equilibrata è davvero tanta. Così è da 7 settimane, 7 sedute, che sto affrontando una psicoterapia cognitivo-comportamentale da una psicologa dal mio punto di vista dolce e professionale, che sa quello che fa. Sembrava aver capito il nocciolo della situazione: il farmaco funge da tappo per le mie paure e tristezze e una volta eliminato questo tappo, esse fuoriescono, stile vaso di Pandora. All'inizio della terapia, per le prime 2-3 sedute, c'è stato subito un buon feeling, tanto è vero che uscivo dallo studio contento e speranzoso e stavo notando dei miglioramenti sulla base dei suoi consigli. Soprattutto sentivo che quei miglioramenti dipendevano solo da me e non dal farmaco, che avevo iniziato a riprendere solo da pochi giorni. Ho notato, però, fin dall'inizio della terapia, una seppur minima riluttanza da parte sua ad iniziare la terapia in concomitanza all'uso del farmaco, come se le desse un po' fastidio; sensazione che lei subito mi ha smentito. La prima domanda che vorrei porvi è questa... Dalle vostre esperienze,affinchè la psicoterapia sia efficace è necessario che il paziente stia male, con sintomi invalidanti? E' abbastanza comune affrontare la TCC quando si è già in farmacoterapia? Grazie.
Ho iniziato a soffrire di disturbi di ansia alquanto invalidante dall'età di 19 anni. Il periodo lungo e continuato di queste manifestazioni ha fatto sì che si sviluppasse, inoltre, una forma lieve di depressione e a quel punto non ho potuto fare altro che rivolgermi ad uno psichiatra, il quale mi prescrisse una cura a base di Paroxetina da effettuare per 6 mesi. La cura fu una vera e propria panacea, tanto è vero che prima di ricontattare lo psichiatra per la sospensione della terapia ho fatto passare ben 2 anni, contento di liberarmi del farmaco perchè ormai ero "guarito". Ma, appena arrivato alla dose minima, complice anche una fumata di erba, mi si sono ripresentati tutti i sintomi che 2 anni prima mi avevano portato alla cura. Iniziai di nuovo la stessa terapia, stessi dosaggi, stessi effetti miracolosi. La mia vita scorreva così liscia che ho aspettato di nuovo 2 anni prima di sentire la necessità di scalare il farmaco, periodo che è coinciso con la fine dell'università, l'inizio di un attività lavorativa e un breve viaggio all'estero con gli amici. Ancora una volta a 23 anni, dopo questa esperienza in cui già avvertivo "qualcosa di strano", si è progressivamente ripresentata l'ansia ma questa volta credevo di essere più forte e di superare questo momento addirittura da solo, fino a che non è sopraggiunto un episodio depressivo un po' più grave dei precedenti e da qui la necessità di rivolgermi allo specialista. Per superare il "momento critico" lo psichiatra mi ha prescritto sì il farmaco, ma ci siamo trovati d'accordo sul fatto che si deve fare qualcosa in più... c'è bisogno di indagare, soprattutto per il futuro che mi attende e non posso, non voglio ricaderci sempre e la voglia di sciogliere questo nodo ed essere una persona equilibrata è davvero tanta. Così è da 7 settimane, 7 sedute, che sto affrontando una psicoterapia cognitivo-comportamentale da una psicologa dal mio punto di vista dolce e professionale, che sa quello che fa. Sembrava aver capito il nocciolo della situazione: il farmaco funge da tappo per le mie paure e tristezze e una volta eliminato questo tappo, esse fuoriescono, stile vaso di Pandora. All'inizio della terapia, per le prime 2-3 sedute, c'è stato subito un buon feeling, tanto è vero che uscivo dallo studio contento e speranzoso e stavo notando dei miglioramenti sulla base dei suoi consigli. Soprattutto sentivo che quei miglioramenti dipendevano solo da me e non dal farmaco, che avevo iniziato a riprendere solo da pochi giorni. Ho notato, però, fin dall'inizio della terapia, una seppur minima riluttanza da parte sua ad iniziare la terapia in concomitanza all'uso del farmaco, come se le desse un po' fastidio; sensazione che lei subito mi ha smentito. La prima domanda che vorrei porvi è questa... Dalle vostre esperienze,affinchè la psicoterapia sia efficace è necessario che il paziente stia male, con sintomi invalidanti? E' abbastanza comune affrontare la TCC quando si è già in farmacoterapia? Grazie.
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<<Dalle vostre esperienze,affinchè la psicoterapia sia efficace è necessario che il paziente stia male, con sintomi invalidanti?>>
In generale, è semmai vero il contrario: se i sintomi sono davvero invalidanti, risulta piuttosto difficile che si riesca ad effettuare un efficace lavoro psicoterapeutico.
<<E' abbastanza comune affrontare la TCC quando si è già in farmacoterapia?>>
Sempre in termini generali, è comune e spesso indicato abbinare psicoterapia e terapia farmacologica.
Saluti cordiali.
In generale, è semmai vero il contrario: se i sintomi sono davvero invalidanti, risulta piuttosto difficile che si riesca ad effettuare un efficace lavoro psicoterapeutico.
<<E' abbastanza comune affrontare la TCC quando si è già in farmacoterapia?>>
Sempre in termini generali, è comune e spesso indicato abbinare psicoterapia e terapia farmacologica.
Saluti cordiali.
Dr.ssa Paola Scalco, Psicoterapia Cognitiva e Sessuologia Clinica
ASTI - Cell. 331 5246947
https://whatsapp.com/channel/0029Va982SIIN9ipi00hwO2i
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Utente
Grazie Dr.ssa Scalco per la celere risposta. In effetti è quello che pensavo. Continuo con la spiegazione perché avevo raggiunto il limite di parole.
Dicevo che cominciavo a sentirmi meglio, finché non ho dovuto partecipare ad un evento per me gravoso (andare a vedere una partita allo stadio lontano dalla mia città), che sono riuscito ad affrontare sotto incoraggiamento ma con una fortissima ansia anticipatoria e un livello di tensione così elevato che l'ho vissuto quasi come un evento traumatico. Infatti mi ha lasciato uno strascico di tristezza per alcuni giorni dopo. La psicologa mi ha subito tirato su, dicendomi che è normale avere delle oscillazioni, soprattutto in vista di un evento stressante e che era passato troppo poco tempo (circa 3 settimane) dall'inizio della terapia.
Così ho iniziato di nuovo la mia lenta ripresa e per circa un mese sono stato "bene", anche se avevo notato una non completa remissione dei sintomi nonostante fossero passati i 15-20 giorni di refrattarietà dell'antidepressivo.
L' evento più recente risale a circa 10 giorni fa, periodo in cui sono letteralmente crollato all'ansia anticipatoria in vista di un Concorso professionale che si è svolto lontano dalla mia città. Credo di aver avuto in questo periodo l'evento depressivo più acuto della mia vita. Volontà di fare qualsiasi cosa annullata, rallentamento psicomotorio, parole ridotte al minimo, ma soprattutto terrore al pensiero di svolgere attività sociali e relazionali. Non so quale forza mi ha permesso di stare 2 giorni lontano da casa in questo stato, ma ne sono uscito notevolmente traumatizzato e soprattutto con una sensazione di fallimento profondo. Mi sentivo senza speranze così ho chiamato lo psichiatra che mi ha aumentato la dose del farmaco. Dopo tre giorni quella sensazione forte di apatia e paura è già scemata. All'ultimo colloquio con la psicologa l'ho vista, però, un po' contrariata riguardo all'assunzione di una dose maggiore di farmaco, ritenendo più saggio contattare lei una prossima volta come primo consulto. Ciò mi ha lasciato con un leggero senso di colpa per aver ricorso subito alla soluzione più semplice, ma purtroppo per me era diventato un bisogno. Come considerate questa situazione? Possibile che a quasi 2 mesi di terapia abbia avuto una ricaduta così forte? Ci sono i presupposti per pensare che la psicoterapia stia fallendo? Scusate se mi sono dilungato ma volevo spiegare bene la situazione. Grazie mille.
Dicevo che cominciavo a sentirmi meglio, finché non ho dovuto partecipare ad un evento per me gravoso (andare a vedere una partita allo stadio lontano dalla mia città), che sono riuscito ad affrontare sotto incoraggiamento ma con una fortissima ansia anticipatoria e un livello di tensione così elevato che l'ho vissuto quasi come un evento traumatico. Infatti mi ha lasciato uno strascico di tristezza per alcuni giorni dopo. La psicologa mi ha subito tirato su, dicendomi che è normale avere delle oscillazioni, soprattutto in vista di un evento stressante e che era passato troppo poco tempo (circa 3 settimane) dall'inizio della terapia.
Così ho iniziato di nuovo la mia lenta ripresa e per circa un mese sono stato "bene", anche se avevo notato una non completa remissione dei sintomi nonostante fossero passati i 15-20 giorni di refrattarietà dell'antidepressivo.
L' evento più recente risale a circa 10 giorni fa, periodo in cui sono letteralmente crollato all'ansia anticipatoria in vista di un Concorso professionale che si è svolto lontano dalla mia città. Credo di aver avuto in questo periodo l'evento depressivo più acuto della mia vita. Volontà di fare qualsiasi cosa annullata, rallentamento psicomotorio, parole ridotte al minimo, ma soprattutto terrore al pensiero di svolgere attività sociali e relazionali. Non so quale forza mi ha permesso di stare 2 giorni lontano da casa in questo stato, ma ne sono uscito notevolmente traumatizzato e soprattutto con una sensazione di fallimento profondo. Mi sentivo senza speranze così ho chiamato lo psichiatra che mi ha aumentato la dose del farmaco. Dopo tre giorni quella sensazione forte di apatia e paura è già scemata. All'ultimo colloquio con la psicologa l'ho vista, però, un po' contrariata riguardo all'assunzione di una dose maggiore di farmaco, ritenendo più saggio contattare lei una prossima volta come primo consulto. Ciò mi ha lasciato con un leggero senso di colpa per aver ricorso subito alla soluzione più semplice, ma purtroppo per me era diventato un bisogno. Come considerate questa situazione? Possibile che a quasi 2 mesi di terapia abbia avuto una ricaduta così forte? Ci sono i presupposti per pensare che la psicoterapia stia fallendo? Scusate se mi sono dilungato ma volevo spiegare bene la situazione. Grazie mille.
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<<Possibile che a quasi 2 mesi di terapia abbia avuto una ricaduta così forte? Ci sono i presupposti per pensare che la psicoterapia stia fallendo? >>
Ogni percorso psicoterapeutico è unico e differente da tutti gli altri, perché frutto dell'incontro di due individui con le loro peculiarità.
Due mesi, a mio avviso, comunque sono proprio pochi per giudicare l'andamento della terapia, e ancor di più per pensare ad un suo fallimento.
Sembra invece che Lei, più che esserne attore psotagonista, sia uno spettatore critico della psicoterapia; che invece di viverla da dentro, mettendo con convinzione "le mani in pasta", la osservi dal di fuori...
Credo che farebbe davvero bene a discuterne con la psicoterapeuta, perché tutta questa attenzione (o anche diffidenza?) posta sull'andamento del percorso che sta facendo, mi pare la stia distraendo dal "lavoro" da svolgere, con il rischio di compromettere sul serio l'efficacia della terapia.
Cordialità.
Ogni percorso psicoterapeutico è unico e differente da tutti gli altri, perché frutto dell'incontro di due individui con le loro peculiarità.
Due mesi, a mio avviso, comunque sono proprio pochi per giudicare l'andamento della terapia, e ancor di più per pensare ad un suo fallimento.
Sembra invece che Lei, più che esserne attore psotagonista, sia uno spettatore critico della psicoterapia; che invece di viverla da dentro, mettendo con convinzione "le mani in pasta", la osservi dal di fuori...
Credo che farebbe davvero bene a discuterne con la psicoterapeuta, perché tutta questa attenzione (o anche diffidenza?) posta sull'andamento del percorso che sta facendo, mi pare la stia distraendo dal "lavoro" da svolgere, con il rischio di compromettere sul serio l'efficacia della terapia.
Cordialità.
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Utente
Gentile dottoressa,
Purtroppo la "diffidenza" è proprio il sentimento che sento in questo momento nei confronti della psicoterapia perché sono passato da una grande fiducia in essa dal momento che mi sentivo meglio e stavo vedendo aspetti positivi ad una situazione di sfiducia in seguito all'ultimo evento che sento che un po' mi ha segnato negativamente... Diciamo che forse ho prospettive eccessivamente positive e nel momento in cui ricado mi scoraggio altrettanto eccessivamente. Sfiducia che però non sento solo nei confronti della psicoterapia, ma anche in me stesso...
Purtroppo la "diffidenza" è proprio il sentimento che sento in questo momento nei confronti della psicoterapia perché sono passato da una grande fiducia in essa dal momento che mi sentivo meglio e stavo vedendo aspetti positivi ad una situazione di sfiducia in seguito all'ultimo evento che sento che un po' mi ha segnato negativamente... Diciamo che forse ho prospettive eccessivamente positive e nel momento in cui ricado mi scoraggio altrettanto eccessivamente. Sfiducia che però non sento solo nei confronti della psicoterapia, ma anche in me stesso...
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Utente
Gentile dottoressa,
Grazie mille per i suoi consigli. Sicuramente approfondiró questa situazione nella prossima seduta. "Autosabotaggio" è proprio quello che mi riprometto di evitare ogni volta, ma che alla fine faccio sempre... Quasi mi volessi fare del male da solo con i miei pensieri negativi, come un masochista. Ahimè ho uno schema di pensiero da sostituire, quantomeno da modificare e spero proprio di riuscirci. Buona giornata e buon lavoro.
Grazie mille per i suoi consigli. Sicuramente approfondiró questa situazione nella prossima seduta. "Autosabotaggio" è proprio quello che mi riprometto di evitare ogni volta, ma che alla fine faccio sempre... Quasi mi volessi fare del male da solo con i miei pensieri negativi, come un masochista. Ahimè ho uno schema di pensiero da sostituire, quantomeno da modificare e spero proprio di riuscirci. Buona giornata e buon lavoro.
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 1.7k visite dal 29/06/2016.
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