Disturbo evitante di personalità - Affrontare meglio i rapporti interpersonali
Gentili medici, inizio con il parlarvi (o forse è più corretto scrivervi) del mio problema. Innanzitutto, e cosa non indifferente, la diagnosi clinica sopra riportata, è stata fatta dal mio terapeuta, persona di grande umanità e con cui, dopo 5 anni di conoscenze con persone o per niente qualificabili oppure personalmente inadatte al rapportarsi con me, ho provato fiducia.
Ebbene, i miglioramenti sono iniziati soltanto con questo terapeuta, e la seduta prossima l'avrò venerdì.
Arrivati a questo punto, vi esporrò essenzialmente la ragione del seguente scritto, il quale non ha riferimenti diagnostici, "terapici" o chi ne vuole ne metta, bensì un semplice consiglio che voi dareste a un paziente che avesse intenzione di dire quello che adesso riporterò.
Ho 23 anni, alle spalle un profondo vissuto di sofferenza, solitudine, ansie, depressioni (con ricoveri annessi, dunque depressioni patologiche). Non mi è mai mancata quella dote, innata e in gran parte incompresa da un ambiente famigliare profondamente concreto e razionale, chiamata fantasia, e con essa si prenda in considerazione il mio ardito desiderio artistico, nonché ambizioso, che ho tirato fuori in questi due anni di terapia.
Vi starete dunque chiedendo quale sarà mai il problema e il consiglio che chiedo a voi? Ebbene, in verità, nonostante i miei profondi cambiamenti, come aver suonato il pianoforte in pubblico due volte, aver affrontato un esame di ammissione al conservatorio e averlo brillantemente superato su 100 persone e oltre, entrando tra i 7 soli scelti, perlopiù senza raccomandazioni e l'età avanzata che di certo non aiutava. Ho affrontato la scuola serale, i primi due anni, dopo averla abbandonata a 16 anni ed essermi isolato fino ai 19. Ora ho altri due anni da fare, per potermi diplomare.
Nonostante tutto, in me, resta sempre una recondita e dolorosissima timidezza nei rapporti con gli altri, che mi porta a viverli in modo passivo, ansioso, vergognoso, talvolta angosciato e terrorizzato, desiderando fuggire e apparendo freddo, chiuso, distaccato.
In effetti, peraltro, non ho alcuna cosa da dire. Non mi piace parlare, mi dà la nausea, spesso preferisco stare da solo, ma non sempre necessariamente. A volte desidero sentirmi parte dell'altro, vivere un rapporto dove io riesco a entrare attraverso me nell'anima dell'altro, senza per forza temere una rottura e, dunque, un rifiuto.
Cosa consigliereste voi, a una persona esageratamente e tremendamente timida, introversa, attua all'evitare I rapporti, molto chiusa, anche cinica, pessimista, nichilista, nei periodi più neri misantropa, ma pur sempre estremamente scollegata dall'idea di essere se stessi perché nulla è più bello di sentirsi coinvolti e non respinti?
Dunque, vi chiedo un consiglio spassionato, senza fini di chissà quale origine, ma che possano essere se non altro di riflessione o, se possibile, anche da mettere in pratica. Ne parlerò, magari, anche in terapia, riportando i vostri consigli.
Un cordiale saluto.
Ebbene, i miglioramenti sono iniziati soltanto con questo terapeuta, e la seduta prossima l'avrò venerdì.
Arrivati a questo punto, vi esporrò essenzialmente la ragione del seguente scritto, il quale non ha riferimenti diagnostici, "terapici" o chi ne vuole ne metta, bensì un semplice consiglio che voi dareste a un paziente che avesse intenzione di dire quello che adesso riporterò.
Ho 23 anni, alle spalle un profondo vissuto di sofferenza, solitudine, ansie, depressioni (con ricoveri annessi, dunque depressioni patologiche). Non mi è mai mancata quella dote, innata e in gran parte incompresa da un ambiente famigliare profondamente concreto e razionale, chiamata fantasia, e con essa si prenda in considerazione il mio ardito desiderio artistico, nonché ambizioso, che ho tirato fuori in questi due anni di terapia.
Vi starete dunque chiedendo quale sarà mai il problema e il consiglio che chiedo a voi? Ebbene, in verità, nonostante i miei profondi cambiamenti, come aver suonato il pianoforte in pubblico due volte, aver affrontato un esame di ammissione al conservatorio e averlo brillantemente superato su 100 persone e oltre, entrando tra i 7 soli scelti, perlopiù senza raccomandazioni e l'età avanzata che di certo non aiutava. Ho affrontato la scuola serale, i primi due anni, dopo averla abbandonata a 16 anni ed essermi isolato fino ai 19. Ora ho altri due anni da fare, per potermi diplomare.
Nonostante tutto, in me, resta sempre una recondita e dolorosissima timidezza nei rapporti con gli altri, che mi porta a viverli in modo passivo, ansioso, vergognoso, talvolta angosciato e terrorizzato, desiderando fuggire e apparendo freddo, chiuso, distaccato.
In effetti, peraltro, non ho alcuna cosa da dire. Non mi piace parlare, mi dà la nausea, spesso preferisco stare da solo, ma non sempre necessariamente. A volte desidero sentirmi parte dell'altro, vivere un rapporto dove io riesco a entrare attraverso me nell'anima dell'altro, senza per forza temere una rottura e, dunque, un rifiuto.
Cosa consigliereste voi, a una persona esageratamente e tremendamente timida, introversa, attua all'evitare I rapporti, molto chiusa, anche cinica, pessimista, nichilista, nei periodi più neri misantropa, ma pur sempre estremamente scollegata dall'idea di essere se stessi perché nulla è più bello di sentirsi coinvolti e non respinti?
Dunque, vi chiedo un consiglio spassionato, senza fini di chissà quale origine, ma che possano essere se non altro di riflessione o, se possibile, anche da mettere in pratica. Ne parlerò, magari, anche in terapia, riportando i vostri consigli.
Un cordiale saluto.
[#1]
Gentile ragazzo,
sono commossa dalle sue parole che evidenziano una ricchezza d'animo non comune...
Ammiro i suoi progressi attraverso i quali ha aperto le porte al mondo...
E sento il Suo desiderio urgente di togliere anche le ultime barriere rimaste...
Mi congratulo con Lei per avere trovato finalmente un terapeuta con cui ha instaurato un'alleanza costruttiva ed efficace.
Continui a lavorare con Lui per proseguire nelle vittorie che vuole conseguire, anche se, come Lei stesso vede, esistono momenti in cui sembra di essere fermi, di non fare progressi, di non potere slegarsi da sensazioni che inchiodano. Lei ha vissuto e vive una situazione di vita difficile e complessa: non demorda.
Le auguro tanta serenità
sono commossa dalle sue parole che evidenziano una ricchezza d'animo non comune...
Ammiro i suoi progressi attraverso i quali ha aperto le porte al mondo...
E sento il Suo desiderio urgente di togliere anche le ultime barriere rimaste...
Mi congratulo con Lei per avere trovato finalmente un terapeuta con cui ha instaurato un'alleanza costruttiva ed efficace.
Continui a lavorare con Lui per proseguire nelle vittorie che vuole conseguire, anche se, come Lei stesso vede, esistono momenti in cui sembra di essere fermi, di non fare progressi, di non potere slegarsi da sensazioni che inchiodano. Lei ha vissuto e vive una situazione di vita difficile e complessa: non demorda.
Le auguro tanta serenità
Dr. Monica Zoni, Psicologa clinica, Milano sud e Skype
zoni.monica@gmail.com cell. 3394939556
[#2]
Utente
La ringrazio davvero per la sua risposta. Venerdì ne parlerò bene con il mio terapeuta, perché penso sia una cosa molto importante da affrontare, oltretutto la più complessa.
La ringrazio inoltre per la comprensione, sarebbe fantastico se tutte le persone del mondo fossero in grado, purtroppo non è possibile. Spesso vivo situazioni con gli altri di estremo disagio, tanto da indurmi a chiudere i battenti e isolarmi in una profonda ed estenuante depressione. La cosa che, talvolta, mi fa soffrire più di questo, è il fatto di sapere che io e i miei problemi siamo distaccati dagli altri. Certamente non da tutti, ma se dicessi che ho un tumore al cervello non mancherebbe la comprensione, se affermo di avere paura di cosa può pensare, la stragrande maggioranza delle persone minimizzerebbe. Questa è la cosa più dura, vivere con il proprio problema come se fosse un tutt'uno, dove ogni parte di esso è una condanna eremita.
La ringrazio inoltre per la comprensione, sarebbe fantastico se tutte le persone del mondo fossero in grado, purtroppo non è possibile. Spesso vivo situazioni con gli altri di estremo disagio, tanto da indurmi a chiudere i battenti e isolarmi in una profonda ed estenuante depressione. La cosa che, talvolta, mi fa soffrire più di questo, è il fatto di sapere che io e i miei problemi siamo distaccati dagli altri. Certamente non da tutti, ma se dicessi che ho un tumore al cervello non mancherebbe la comprensione, se affermo di avere paura di cosa può pensare, la stragrande maggioranza delle persone minimizzerebbe. Questa è la cosa più dura, vivere con il proprio problema come se fosse un tutt'uno, dove ogni parte di esso è una condanna eremita.
Questo consulto ha ricevuto 2 risposte e 2.2k visite dal 29/06/2016.
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