Ruminazione depressiva

Gentili dottori,

Scrivo per avere qualche deluciazione sull'argomento e fare qualche domanda più nello specifico. Soffro di disturbo bipolare, tuttavia ormai classificato anche da mio psicoterapeuta come depressione ricorrente, a causa della pressocchè totale mancanza di fasi contropolari elevate. Le fasi depressive, quelle invece non mancano. Riesco a star bene per un periodo, re-impossessarmi dei miei interessi, delle uscite con amici, insomma a fare una vita normale, che dopo poco, spesso un mese o due al massimo, ecco di nuovo un altro episodio depressivo. Come potete immaginare la cosa sta diventando alquanto frustrante per me, sia perchè il mio psichiatra continua a ritenermi bipolare e quindi rifiutando di darmi antidepressivi in situazioni come questa, sia perchè una volta sperimentato il benessere, che come ha avuto modo di osservare il terapeuta, non è assolutamente ipomania, io ritorno inevitabilmente in una situazione di stallo totale. In particolare quest'ultimo punto è per me molto doloroso: stare bene per poi ricominciare a star male nuovamente. Adesso, da qualche giorno però mi son chiesto se queste ricadute, aldilà di una possibile gestione farmacologica errata, potessero dipendere da una qualche componente che si può trattare meglio con il terapeuta più che farmacologicamente, trovare un elemento in comune a tutte le ricadute avute in questi anni, ed in effetti il mio occhio è caduto sul meccanismo della ruminazione depressiva. Correggetemi se sbaglio, ma ho capito che la ruminazione di questo genere porta nell'individuo il predisporsi di una nuova ricaduta depressiva ed inoltre il perpetuarsi ed l'ampliarsi di quella in atto, sbaglio? Molto spesso purtroppo mi trovo in questo senso a ruminare sulla mia condizione depressiva, sulla nuova ricaduta in atto. Frasi come "ci risiamo..eccola di nuovo"..."gli altri stanno sempre meglio di me, per loro tutto è facile..io c'ho pure la bipolare, i problemi in famiglia..ecc..", o anche..."come farò con i miei amici ora? Che si erano riabituati a vedermi e adesso mi vedranno scomparire di nuovo? ..Ricominceranno a sfottermi che sono sempre depresso?", ed altre amenità di questo genere..Mi chiedo quindi se questo tipo di mentalità possa perpetuare l'episodio in atto ed aggravarlo e se inoltre in grado di predisporre ad un'ennesima ricaduta depressiva. Ho letto anche l'articolo su rimuginio e ruminazione, mi ritrovo naturalmente molto di più nella seconda. Altra questione, il mio terapeuta è psicoanalista, purtroppo ho visto che spesso questo concetto ed il suo trattamento sono affrontati più spesso nelle terapie di stampo cognitivo-comportamentali, c'è comunque un modo di far presente quest'aspetto al terapeuta o comunque di affrontarlo, semmai in un'ottica diversa? Ed infine, dal mio scritto, per quel che è possibile via internet, riuscite a rendervi conto di quanto quest'aspetto sia importante in me oppure sarebbe meglio concentrarsi su una cura farmacologica adeguata?Grazie,cordialmente.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
La bipolarità può essere data anche dall'alternanza di normalità/depressione, non solo di ipomania/depressione. Non scarterei l'aspetto farmacologico, ma se è attualmente in cura per bipolarità e questa non si sta dimostrando efficace, forse effettivamente qualcosa sarebbe da rivedere. A tale scopo dovrebbe riparlarne con il suo psichiatra, oppure scegliere di cambiarlo per avere un secondo parere.

Allo stesso modo, se la psicoanalisi si sta dimostrando inefficace per il suo problema, potrebbe avere senso pensare a un cambiamento.

>>> purtroppo ho visto che spesso questo concetto ed il suo trattamento sono affrontati più spesso nelle terapie di stampo cognitivo-comportamentali,
>>>

Perché "purtroppo"? Semmai "per fortuna", ci sono altre forme di terapia che se ne occupano.

>>> c'è comunque un modo di far presente quest'aspetto al terapeuta o comunque di affrontarlo, semmai in un'ottica diversa?
>>>

Può provarci, ma la vedo difficile. La psicoanalisi parte da assunti completamente diversi, ritenendo che le "cause" dei problemi psicologici siano da cercare altrove più che nel modo in cui essi si manifestano apertamente. Sarebbe forse più semplice pensare di cambiare terapeuta.

Ho però l'impressione che la sua tendenza alla rimuginazione depressiva le renda difficile anche solo pensare a dei cambiamenti, mi sbaglio?

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Utente
Utente
Gentile dott. Santonocito, purtroppo debbo contraddirla sull'ultima ipotesi: se essere tendenti alla rimuginazione depressiva significa anche essere restio ai cambiamenti, di certo non posso essere io! Purtroppo in questi ultimi anni ne ho vissuti fin troppi e soprattutto cambiato fin troppi psichiatri e terapeuti. Sono in cura psichiatrica da "appena" un anno con quello attuale ed appena alla quinta seduta cin l'attuale terapeuta, un po presto per concludere di cambiarlo..tanto più che chissà come, ne ho trovato uno che mi piace, rimanendo piuttosto sorpreso da ciò in quanto in linea di massima non è approccio che prediligo, ma si sta creando una bella alleanza e l'ultima cosa a cui penso e' cambiare terapeuta, penso piuttosto che comunque cercherò di fargli presente il problema. Mi e' sempre stato insegnato che conta assai di più il rapporto che l'approccio che si adotta, mi sono trovato davanti terapeuti comportamentali che non avevano la benché minima idea di come si conducesse una seduta, cosi come ho avuto esperienza di una terapeuta junghiana con cui si creò un rapporto disastroso...presto conclusosi. Al contrario, penso che questo continuo shopping sia esso proprio espressione di rimuginazione depressiva e di insoddisfazione. Quello tutt'al più che si potrebbe fare e' ottimizzare la terapia farmacologica e far presente quest'aspetto rimuginativo magari allo psichiatra stesso...probabilmente sono un caso resistente farmacologicamente perché, come lei giustamente afferma la bipolarità può esprimersi anche con normalità -depressione e probabilmente andrebbe valutato anche quest'aspetto con lo psichiatra..grazie per l'attenzione, cordialmente.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Sono contento che abbia idee così chiare, questo l'aiuterà a percorrere sino in fondo la strada intrapresa.

Non sento in realtà di essere stato particolarmente "contraddetto", dato che la mia era solo un'ipotesi posta sotto forma di domanda, e che mancavano ancora tutte le informazioni che aggiunto nella nuova replica (l'aver cambiato molti terapeuti e curanti ecc.).

>>> Mi e' sempre stato insegnato che conta assai di più il rapporto che l'approccio che si adotta
>>>

In realtà no. Il fattore più importante in assoluto riguarda il paziente, nel senso di reale motivazione a cambiare. La relazione terapeutica e la competenza del terapeuta vengono dopo, pur essendo fondamentali.

Da un punto di vista strategico la qualità di qualsiasi relazione terapeutica è utile e appropriata quando porta a dei risultati, non quando fa semplicemente "sentire bene" in seduta. Diversamente possono crearsi collusioni e difficoltà a incidere sul problema. Però è certo vero che sentirsi di base a proprio agio con il proprio psicologo è positivo.

Semmai, se il suo caso risente significativamente di aspetti ossessivo-rimuginatori, cosa da verificare e confermare, si potrebbe obiettare che terapie attive e focalizzate come la strategica e la comportamentale potrebbero sbloccare il problema più rapidamente. Diversamente con una terapia analitica potrebbe essere necessario più tempo o non essere addirittura possibile, dato che la psicoanalisi incoraggia a riflettere e dato che ciò può essere controproducente se uno è portato di suo alla rimuginazione e all'ossessività.

D'altra parte, se ha provato e riprovato numerosi terapeuti e curanti e ancora si sente insoddisfatto, potrebbe significare diverse cose. Ad esempio che il suo disturbo è refrattario alla psicoterapia. In questo caso il terapeuta più indicato non sarebbe più un terapeuta, ma una figura che fornisce sostegno per aiutare la persona a tirare avanti, senza possibilità di incidere sul problema. Oppure potrebbe significare che ancora non è stata individuata per lei una cura farmacologica adeguata. E via dicendo.

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