Non mi sento amato da mio padre e questo si ripercuote negativamente nella mia vita.
Buonasera,
vi chiedo aiuto per una situazione che ad oggi è diventata troppo ingombrante per continuare ad evitarla.
Ho sempre avuto un rapporto tormentato con un padre terribile.
Il mio rapporto con mio padre è stata più una convivenza forzata che un vero rapporto umano, fin da piccolo si è sempre mostrato molto duro nei miei confronti, assolutamente privo di qualsiasi manifestazione d'affetto che avesse anche la minima parvenza di sincerità, totalmente distante e distaccato. Non ha mai voluto giocare con me quando ero bambino, non mi ha mai accompagnato nel mio percorso di crescita e di ricerca di riferimenti ma anzi, si è sempre mostrato ostile cercando di svalutarmi.
Ad oggi posso dire di odiarlo, frequentemente mi ritrovo a fantasticare su situazioni nelle quali lo picchio violentemente o lo uccido, provo un fortissimo desiderio di recargli dolore, sia fisico che emotivo.
Tutto questo però non toglie che io mi senta fortemente limitato da questa mancanza di affetto che percepisco. Potrei provare a descrivere ciò che provo ma dubito che ci riuscirei, verso mio padre sento solamente intimidazione e paura, neanche il minimo straccio di sentimento o legame. E non parlo di chissà quale rapporto idilliaco padre-figlio, ma del minimo che ci si dovrebbe aspettare per il semplice fatto di avere davanti un essere umano.
Niente, non ci riesco, ogni volta che sono con lui si parla solamente di cose banali, perché non riesco ad aprirmi, e non so perché. So solo che lo odio, o che almeno penso di odiarlo.
Vi chiedo aiuto perché non so più come risolvere questa situazione. Qualche mese fa provai a parlare con lui dicendogli quanto soffrissi per la sua mancanza di approvazione, e lui mi rispose che per quanto lo riguardava, io potevo diventare ciò che volevo e che mi avrebbe sostenuto comunque. Tutto questo, a parole. Nonostante in quell'occasione io l'abbia visto toccato, non sono riuscito a sentirlo come sincero, non riesco assolutamente a sentirmi amato in nessun modo. Non riesco a staccarmi da questa cosa, io voglio trovare la mia strada e diventare un uomo totalmente differente da quel fallito di mio padre, che trova sempre nuovi pretesti per urlare e minacciare la famiglia.
Il motivo di questa "urgenza", nasce da un episodio che ho vissuto qualche mese fa.
Mi trovavo a casa da solo con mio padre, e come al solito si parlava del più e del meno. Improvvisamente, senza alcune spiegazione logica (per me), le sue parole hanno cominciato a suonare in maniera diversa. Sarà stato il modo in cui parlava o altro, ma per la prima volta ho sentito che stava comunicando con me sinceramente, e non semplicemente sputando parole. All'improvviso, sentivo che mi voleva bene, ed è stato come se si colmasse un vuoto in me. In quel momento mi sono sentito talmente bene con me stesso che vorrei provare sempre quelle sensazioni. Il punto è: come fare?
Sì può arrivare a sentirsi veramente amati?
Grazie a chi avrà voglia di leggere.
vi chiedo aiuto per una situazione che ad oggi è diventata troppo ingombrante per continuare ad evitarla.
Ho sempre avuto un rapporto tormentato con un padre terribile.
Il mio rapporto con mio padre è stata più una convivenza forzata che un vero rapporto umano, fin da piccolo si è sempre mostrato molto duro nei miei confronti, assolutamente privo di qualsiasi manifestazione d'affetto che avesse anche la minima parvenza di sincerità, totalmente distante e distaccato. Non ha mai voluto giocare con me quando ero bambino, non mi ha mai accompagnato nel mio percorso di crescita e di ricerca di riferimenti ma anzi, si è sempre mostrato ostile cercando di svalutarmi.
Ad oggi posso dire di odiarlo, frequentemente mi ritrovo a fantasticare su situazioni nelle quali lo picchio violentemente o lo uccido, provo un fortissimo desiderio di recargli dolore, sia fisico che emotivo.
Tutto questo però non toglie che io mi senta fortemente limitato da questa mancanza di affetto che percepisco. Potrei provare a descrivere ciò che provo ma dubito che ci riuscirei, verso mio padre sento solamente intimidazione e paura, neanche il minimo straccio di sentimento o legame. E non parlo di chissà quale rapporto idilliaco padre-figlio, ma del minimo che ci si dovrebbe aspettare per il semplice fatto di avere davanti un essere umano.
Niente, non ci riesco, ogni volta che sono con lui si parla solamente di cose banali, perché non riesco ad aprirmi, e non so perché. So solo che lo odio, o che almeno penso di odiarlo.
Vi chiedo aiuto perché non so più come risolvere questa situazione. Qualche mese fa provai a parlare con lui dicendogli quanto soffrissi per la sua mancanza di approvazione, e lui mi rispose che per quanto lo riguardava, io potevo diventare ciò che volevo e che mi avrebbe sostenuto comunque. Tutto questo, a parole. Nonostante in quell'occasione io l'abbia visto toccato, non sono riuscito a sentirlo come sincero, non riesco assolutamente a sentirmi amato in nessun modo. Non riesco a staccarmi da questa cosa, io voglio trovare la mia strada e diventare un uomo totalmente differente da quel fallito di mio padre, che trova sempre nuovi pretesti per urlare e minacciare la famiglia.
Il motivo di questa "urgenza", nasce da un episodio che ho vissuto qualche mese fa.
Mi trovavo a casa da solo con mio padre, e come al solito si parlava del più e del meno. Improvvisamente, senza alcune spiegazione logica (per me), le sue parole hanno cominciato a suonare in maniera diversa. Sarà stato il modo in cui parlava o altro, ma per la prima volta ho sentito che stava comunicando con me sinceramente, e non semplicemente sputando parole. All'improvviso, sentivo che mi voleva bene, ed è stato come se si colmasse un vuoto in me. In quel momento mi sono sentito talmente bene con me stesso che vorrei provare sempre quelle sensazioni. Il punto è: come fare?
Sì può arrivare a sentirsi veramente amati?
Grazie a chi avrà voglia di leggere.
[#1]
Gentile utente,
Lei descrive con molta appropriatezza le Sue sensazioni e stati d'animo.
E quindo ci è possibile comprendere il disagio che prova non sentendosi amato.
Lei utilizza frequentemente il termine "odio".
Mi creda, lo percepisco più come un risentimento nato dalla delusione.
Non a caso si dice che l'odio è l'altra faccia dell'amore, nel senso che il sentimento intenso che si prova nasce dall'amore deluso.
Chissà come è nata e cresciuta in Lei la convinzione che Suo padre non La ami.
Eppure quando Lei glielo ha chiesto, lui ha risposto che <<io potevo diventare ciò che volevo e che mi avrebbe sostenuto comunque<< :
frase che caratterizza l'amore incondizionato.
Nel secondo episodio, quando Lei
<<All'improvviso, sentivo che mi voleva bene, ed è stato come se si colmasse un vuoto in me. <<
forse qualcosa ha iniziato a cambiare dentro di Lei.
Forse inizia a svilupparsi una fiducia di potervi comprendere, di percepire l'amore.
Può darsi che anche Suo padre abbia le proprie difficoltà nell'essere all'altezza delle Sue aspettative.
Non ci dice nulla dell'amore di Sua madre...
Lei descrive con molta appropriatezza le Sue sensazioni e stati d'animo.
E quindo ci è possibile comprendere il disagio che prova non sentendosi amato.
Lei utilizza frequentemente il termine "odio".
Mi creda, lo percepisco più come un risentimento nato dalla delusione.
Non a caso si dice che l'odio è l'altra faccia dell'amore, nel senso che il sentimento intenso che si prova nasce dall'amore deluso.
Chissà come è nata e cresciuta in Lei la convinzione che Suo padre non La ami.
Eppure quando Lei glielo ha chiesto, lui ha risposto che <<io potevo diventare ciò che volevo e che mi avrebbe sostenuto comunque<< :
frase che caratterizza l'amore incondizionato.
Nel secondo episodio, quando Lei
<<All'improvviso, sentivo che mi voleva bene, ed è stato come se si colmasse un vuoto in me. <<
forse qualcosa ha iniziato a cambiare dentro di Lei.
Forse inizia a svilupparsi una fiducia di potervi comprendere, di percepire l'amore.
Può darsi che anche Suo padre abbia le proprie difficoltà nell'essere all'altezza delle Sue aspettative.
Non ci dice nulla dell'amore di Sua madre...
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Ex utente
Gentile Dott.ssa Brunialti,
la ringrazio innanzitutto per la sua risposta. Non ho fatto cenno a mia madre perché da lei non avrei potuto chiedere di più. Mi ha sempre appoggiato e, al di là di questo, mi ha sempre fatto sentire amato. Ho percepito e continuo a percepire la differenza tra una conversazione con lei ed una con mio padre. Mia madre ascolta, non giudica, e al di là del fatto che possa condividere o meno determinate scelte è sempre compensiva e lascia che ognuno viva la sua vita e coltivi le proprie convinzioni.
Mio padre no. Mio padre non ascolta, mai, si limita a sentirti distrattamente ed a subcomunicare (in maniera tutt'altro che sottile poi) la sua non-voglia di conversare. E' sempre pronto a giudicare, minacciare, sottomettere chiunque, è una persona di una falsità ed incoerenza rare, che non si fa scrupoli a spendere soldi per le sue esigenze anche in un momento in cui ci si mette a tavola a pranzo e non si sa se ci sarà occasione di farlo anche a cena.
Sono deluso, e molto. Non saprei neanche da dove cominciare ad elencarne i motivi, mi servirebbe uno spazio pressoché infinito. Sono deluso e molto, molto arrabbiato per questi suoi continui atteggiamenti prepotenti, questi ricatti emotivi con cui mi condiziona da 24 anni, questo suo giudicare a tutto spiano. E il fatto di doverlo sopportare praticamente tutto il giorno senza poterlo mandare a quel paese (purtroppo mi serve un tetto) mi crea ancora più frustrazione, perché devo reprime costantemente questo mio impulso di urlargli contro ciò che penso di lui.
Ovviamente la sensazione di "comprensione" è svanita qualche minuto dopo, quando mio padre ha ricominciato la sua solita routine fatta di giudizi-ricatti-prepotenze ecc. Il suo lunatismo mi uccide.
Quanto alle aspettative dottoressa, credo di poter dire di non aver mai preteso nulla di che. Due calci ad un pallone insieme a lui, 5 minuti di chiacchere, un contatto umano di qualsiasi genere. Non l'ho avuto da piccolo, e adesso faccio fatica anche a pensare di avere un rapporto sincero con mio padre.
Forse le sembrerà che io mi contraddica, e sicuramente è così, ma questa è la situazione che sto affrontando.
la ringrazio innanzitutto per la sua risposta. Non ho fatto cenno a mia madre perché da lei non avrei potuto chiedere di più. Mi ha sempre appoggiato e, al di là di questo, mi ha sempre fatto sentire amato. Ho percepito e continuo a percepire la differenza tra una conversazione con lei ed una con mio padre. Mia madre ascolta, non giudica, e al di là del fatto che possa condividere o meno determinate scelte è sempre compensiva e lascia che ognuno viva la sua vita e coltivi le proprie convinzioni.
Mio padre no. Mio padre non ascolta, mai, si limita a sentirti distrattamente ed a subcomunicare (in maniera tutt'altro che sottile poi) la sua non-voglia di conversare. E' sempre pronto a giudicare, minacciare, sottomettere chiunque, è una persona di una falsità ed incoerenza rare, che non si fa scrupoli a spendere soldi per le sue esigenze anche in un momento in cui ci si mette a tavola a pranzo e non si sa se ci sarà occasione di farlo anche a cena.
Sono deluso, e molto. Non saprei neanche da dove cominciare ad elencarne i motivi, mi servirebbe uno spazio pressoché infinito. Sono deluso e molto, molto arrabbiato per questi suoi continui atteggiamenti prepotenti, questi ricatti emotivi con cui mi condiziona da 24 anni, questo suo giudicare a tutto spiano. E il fatto di doverlo sopportare praticamente tutto il giorno senza poterlo mandare a quel paese (purtroppo mi serve un tetto) mi crea ancora più frustrazione, perché devo reprime costantemente questo mio impulso di urlargli contro ciò che penso di lui.
Ovviamente la sensazione di "comprensione" è svanita qualche minuto dopo, quando mio padre ha ricominciato la sua solita routine fatta di giudizi-ricatti-prepotenze ecc. Il suo lunatismo mi uccide.
Quanto alle aspettative dottoressa, credo di poter dire di non aver mai preteso nulla di che. Due calci ad un pallone insieme a lui, 5 minuti di chiacchere, un contatto umano di qualsiasi genere. Non l'ho avuto da piccolo, e adesso faccio fatica anche a pensare di avere un rapporto sincero con mio padre.
Forse le sembrerà che io mi contraddica, e sicuramente è così, ma questa è la situazione che sto affrontando.
[#3]
Gentile utente,
ci sono differenze di carattere,
ci sono stereotipi di genere (più radicati in persone di una certa età) che fanno sì che il maschile abbia più difficoltà a mettersi in presa diretta con i propri sentimenti e a mostrarli
ci sono differenze educative per cui i padri "devono" rappresentare" la parte forte e dura, proprio perchè le madri rappresentano quella tenera e accettante...
E' difficile crescere coraggiosi di fronte alla vita se si è accompagnati da questa sensazione di non-amore. Ma, considerato che non si può contare sul cambiamento degli altri ma solo e unicamente sul proprio, Le consiglierei di farsi aituare da un nostro Collega di persona..
Ci ha mai pensato?
ci sono differenze di carattere,
ci sono stereotipi di genere (più radicati in persone di una certa età) che fanno sì che il maschile abbia più difficoltà a mettersi in presa diretta con i propri sentimenti e a mostrarli
ci sono differenze educative per cui i padri "devono" rappresentare" la parte forte e dura, proprio perchè le madri rappresentano quella tenera e accettante...
E' difficile crescere coraggiosi di fronte alla vita se si è accompagnati da questa sensazione di non-amore. Ma, considerato che non si può contare sul cambiamento degli altri ma solo e unicamente sul proprio, Le consiglierei di farsi aituare da un nostro Collega di persona..
Ci ha mai pensato?
[#4]
Ex utente
Sono disposto a qualsiasi cosa per tornare a provare quelle sensazioni, per rientrare in quello stato di assoluta pace e fiducia in me stesso.
Eppure non so perché, ogni volta che penso a come dare una svolta a questa situazione mi viene in mente solamente l'ingaggiare uno scontro verbale con mio padre. Dopo averle provate tutte, mi rimane solamente di dirgli quanto inadeguato sia stato come uomo e come padre.
_______
MODIFICA: mi scusi dottoressa, ho aggiunto queste righe proprio mentre lei postava la sua risposta. Risponderò il prima possibile.
Eppure non so perché, ogni volta che penso a come dare una svolta a questa situazione mi viene in mente solamente l'ingaggiare uno scontro verbale con mio padre. Dopo averle provate tutte, mi rimane solamente di dirgli quanto inadeguato sia stato come uomo e come padre.
_______
MODIFICA: mi scusi dottoressa, ho aggiunto queste righe proprio mentre lei postava la sua risposta. Risponderò il prima possibile.
[#7]
Aggiungo:
Nel frattempo ho pregato lo Staff di togliere il nome e cognome, che aveva scritto per esteso nel Consulto.
Per motivi di Sua privacy Le consiglio di evitarlo in futuro; noi specialisti i dati li vediamo riservatamente.
Saluti cordiali.
Nel frattempo ho pregato lo Staff di togliere il nome e cognome, che aveva scritto per esteso nel Consulto.
Per motivi di Sua privacy Le consiglio di evitarlo in futuro; noi specialisti i dati li vediamo riservatamente.
Saluti cordiali.
[#8]
Salve, leggendo le sue parole, mi sento di aggiungere alcune riflessioni personali accanto a quelle della dottoressa Brunialti, che condivido.
Anche io ho trovato molto vivido il suo racconto dal punto di vista emotivo. Ho sentito centrali due emozioni, che mi ha trasmesso intensamente: la rabbia e la paura.
È necessario darsi la possibilità di approfondire dal vivo i vissuti esistenziali che riguardano la sua esperienza, che ruotano intorno a queste emozioni che forse, oggi, cercano una loro espressione e una nuova collocazione.
Posso immaginare, attraverso le sue parole, la rabbia per un padre che non l'ascolta, "distante e distaccato", che la giudica o non la considera, con il comprensibile effetto di farla sentire svalutato.
Accanto alla rabbia, un senso di paura che, se non ho inteso male, provo a ipotizzare legata a un senso di ostilità e di prepotenza, come se si sentisse minacciato e indifeso.
E così, vivendo questi sentimenti, lei ha sviluppato un senso di diffidenza e di freddezza verso di lui.
Devo dire che ho trovato la sua domanda un ottimo segno, quando si chiede: "Sì può arrivare a sentirsi veramente amati?".
Questo vuol dire che il suo desiderio d'amore è chiaro e forte, e ne sente una legittima esigenza.
Trovo significativo e importante sentire frequente, nel suo racconto, il bisogno umano di un rapporto e di un legame, come se volesse cambiare questa situazione. Come se volesse cambiare anche se stesso nelle relazioni, dandosi quel valore che ha sentito carente.
La risposta alla sua domanda certamente non è semplice, apre discorsi importanti e molteplici e ci riguarda tutti, noi individui all'interno delle relazioni umane.
In questa sede mi sento di dire una cosa sola: "sentirsi amati" significa sia essere amati dall'altro sia essere capaci di riconoscere quell'amore che l'altro, con le sue possibilità (a volte estremamente limitate), è capace di dare.
Certo il bambino vede il padre come un eroe che sa e può tutto. Ma a mano a mano che quel bambino diventa grande, può chiedersi: è davvero così?
Dopo una vita intera in cui si è stabilito un certo modo di relazionarsi, non mi stupisce se nonostante senta "suo padre toccato", lei viva comunque un senso di "distacco". Fa fatica a credergli, è comprensibile, lo dice lei stesso che ha vissuto così per 24 anni. I sentimenti di rabbie e paura sono ancora inevitabilmente intensi e prevalenti. E forse quello non è comunque il modo in cui vorrebbe ricevere amore.
Allo stesso tempo però ha percepito che suo padre è stato toccato dal suo discorso. Questo vuole anche dire che lei è importante e ha un valore. Chissà, quindi, se quando ci racconta l'episodio accaduto qualche mese fa è cambiato qualcosa dentro di sé e tra di voi.
Magari questo può essere un punto iniziale da cui partire, accanto alle sue riflessioni che ha cominciato a fare insieme a noi.
Condivido quando parla della necessità di uno spazio "infinito" per esprimere se stesso. È infatti necessario uno spazio idoneo in cui lei possa esprimere dal vivo i suoi sentimenti e i suoi pensieri.
Il consiglio della dottoressa Brunialti di valutare una psicoterapia è anche il mio, poiché è quella la sede adatta dove poter raccontarsi intimamente e trovare risposta alle sue preziose e umane domande.
Anche perché ci parla di un suo desiderio che non è così comune né scontato: non vuole più "evitare" questa situazione, e questo significa avere il desiderio di affrontarla, la forza di farsi carico di un cambiamento, senza più attendere o proseguire facendo finta di niente.
Questo sentimento merita la massima attenzione e potremmo dire che inizia a tracciare quella strada che lei vuole "trovare" per "diventare un uomo".
I consultori sono una possibilità, ma se preferisce rivolgersi a un professionista privato, può chiederne i costi, magari potrebbe scoprire che sono alla sua portata.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
Anche io ho trovato molto vivido il suo racconto dal punto di vista emotivo. Ho sentito centrali due emozioni, che mi ha trasmesso intensamente: la rabbia e la paura.
È necessario darsi la possibilità di approfondire dal vivo i vissuti esistenziali che riguardano la sua esperienza, che ruotano intorno a queste emozioni che forse, oggi, cercano una loro espressione e una nuova collocazione.
Posso immaginare, attraverso le sue parole, la rabbia per un padre che non l'ascolta, "distante e distaccato", che la giudica o non la considera, con il comprensibile effetto di farla sentire svalutato.
Accanto alla rabbia, un senso di paura che, se non ho inteso male, provo a ipotizzare legata a un senso di ostilità e di prepotenza, come se si sentisse minacciato e indifeso.
E così, vivendo questi sentimenti, lei ha sviluppato un senso di diffidenza e di freddezza verso di lui.
Devo dire che ho trovato la sua domanda un ottimo segno, quando si chiede: "Sì può arrivare a sentirsi veramente amati?".
Questo vuol dire che il suo desiderio d'amore è chiaro e forte, e ne sente una legittima esigenza.
Trovo significativo e importante sentire frequente, nel suo racconto, il bisogno umano di un rapporto e di un legame, come se volesse cambiare questa situazione. Come se volesse cambiare anche se stesso nelle relazioni, dandosi quel valore che ha sentito carente.
La risposta alla sua domanda certamente non è semplice, apre discorsi importanti e molteplici e ci riguarda tutti, noi individui all'interno delle relazioni umane.
In questa sede mi sento di dire una cosa sola: "sentirsi amati" significa sia essere amati dall'altro sia essere capaci di riconoscere quell'amore che l'altro, con le sue possibilità (a volte estremamente limitate), è capace di dare.
Certo il bambino vede il padre come un eroe che sa e può tutto. Ma a mano a mano che quel bambino diventa grande, può chiedersi: è davvero così?
Dopo una vita intera in cui si è stabilito un certo modo di relazionarsi, non mi stupisce se nonostante senta "suo padre toccato", lei viva comunque un senso di "distacco". Fa fatica a credergli, è comprensibile, lo dice lei stesso che ha vissuto così per 24 anni. I sentimenti di rabbie e paura sono ancora inevitabilmente intensi e prevalenti. E forse quello non è comunque il modo in cui vorrebbe ricevere amore.
Allo stesso tempo però ha percepito che suo padre è stato toccato dal suo discorso. Questo vuole anche dire che lei è importante e ha un valore. Chissà, quindi, se quando ci racconta l'episodio accaduto qualche mese fa è cambiato qualcosa dentro di sé e tra di voi.
Magari questo può essere un punto iniziale da cui partire, accanto alle sue riflessioni che ha cominciato a fare insieme a noi.
Condivido quando parla della necessità di uno spazio "infinito" per esprimere se stesso. È infatti necessario uno spazio idoneo in cui lei possa esprimere dal vivo i suoi sentimenti e i suoi pensieri.
Il consiglio della dottoressa Brunialti di valutare una psicoterapia è anche il mio, poiché è quella la sede adatta dove poter raccontarsi intimamente e trovare risposta alle sue preziose e umane domande.
Anche perché ci parla di un suo desiderio che non è così comune né scontato: non vuole più "evitare" questa situazione, e questo significa avere il desiderio di affrontarla, la forza di farsi carico di un cambiamento, senza più attendere o proseguire facendo finta di niente.
Questo sentimento merita la massima attenzione e potremmo dire che inizia a tracciare quella strada che lei vuole "trovare" per "diventare un uomo".
I consultori sono una possibilità, ma se preferisce rivolgersi a un professionista privato, può chiederne i costi, magari potrebbe scoprire che sono alla sua portata.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#9]
Ex utente
Gentile Dr. De Sanctis,
ringrazio anche lei per la sua risposta. Sì, la paura nasce ovviamente da un suo atteggiamento ostile, anche se essendo onesto devo dire che non ho tanto paura di uno scontro fisico quanto di sentirmi ulteriormente rimproverato. Uno schiaffo almeno sarebbe un contatto umano, altri insulti no.
Dubito che quell'episodio sia stato un punto di svolta, dopo poco tempo mio padre è tornato ad essere la solita persona. Anzi, sono reduce da una litigata in cui mi ha chiamato con appellitivi che non pensavo avrebbe mai potuto usare, sono rimasto schifato anche per i suoi standard. Adesso non gli parlo da una settimana, vediamo se riesco a smuovere qualcosa. Insomma, magari lo sarà per me, ma non per "noi".
Ovviamente ha ragione quando dice che dietro questo atteggiamento c'è un grido disperato di approvazione, di amore, di affetto. Lo riconosco in primis io stesso.
E riconosco anche di trasmettere questo bisogno nel mio quotidiano: sono la classica persona tendenzialmente menefreghista ma che sotto sotto brama sempre approvazione ed è costantemente in preda al senso di colpa. E se devo dirla tutta, questo senso di colpa mi uccide, perché non riesco ad inquadrarlo. Credo di aver collegato correttamente i rapporti causa-effetto che spieghino i miei complessi, ma a questa perenne ed opprimente sensazione di colpa non riesco proprio a dare una spiegazione.
Sono arrivato al punto in cui il cambiamento è inevitabile, sto solamente cercando le giuste strategie. Se le sensazioni provate in quei brevi istanti di qualche mese fa rappresentano veramente il mio "Io", allora in 24 anni non ho sostanzialemente vissuto. E non posso permettermelo, non voglio rinunciare ad entrare nuovamente in quello stato emotivo, perché per la prima volta ho veramente sentito di essere vivo. Anche perché io già a 18 anni mi sentivo in colpa (tanto per cambiare) per non aver concluso niente, figuriamoci a 24, mentre sento che la giovinezza mi sfugge via senza che ne abbia minimante goduto.
Di contro, adesso mi sento ancora più depresso di prima, perché il termine di paragone che ho ottenuto in quel giorno mi ha fatto capire quanto apatica e vuota sia la mia vita. Magari sarà una motivazione in più per muovermi.
La strada per diventare uomo la vedo più complicata che mai. Sebbene io razionalmente definisca mio padre come un fallito, sento forte e chiaro che a livello incoscio il mio modello di riferimento è lui. Il punto è che io preferisco levarmi la vita dopodomani piuttosto che essere costretto a diventare come mio padre, quindi vivo anche quest'ulteriore conflitto interno, nonostante io cerchi di convincermi che (grazie a Dio) le persone come lui sono una minoranza c'è una grossa parte di me che lo vede il modello di riferimento del concetto di "uomo".
Ma io mi rifiuto di fare a botte un giorno sì e l'altro anche solamente perché "gli uomini veri fanno così e se non lo fai sei una femminuccia".
Credo che dovrò seguire il vostro consiglio e rivolgermi ad un professionista.
Mi scuso per la prolissità e per aver specificato i miei dati personali.
Buona serata.
ringrazio anche lei per la sua risposta. Sì, la paura nasce ovviamente da un suo atteggiamento ostile, anche se essendo onesto devo dire che non ho tanto paura di uno scontro fisico quanto di sentirmi ulteriormente rimproverato. Uno schiaffo almeno sarebbe un contatto umano, altri insulti no.
Dubito che quell'episodio sia stato un punto di svolta, dopo poco tempo mio padre è tornato ad essere la solita persona. Anzi, sono reduce da una litigata in cui mi ha chiamato con appellitivi che non pensavo avrebbe mai potuto usare, sono rimasto schifato anche per i suoi standard. Adesso non gli parlo da una settimana, vediamo se riesco a smuovere qualcosa. Insomma, magari lo sarà per me, ma non per "noi".
Ovviamente ha ragione quando dice che dietro questo atteggiamento c'è un grido disperato di approvazione, di amore, di affetto. Lo riconosco in primis io stesso.
E riconosco anche di trasmettere questo bisogno nel mio quotidiano: sono la classica persona tendenzialmente menefreghista ma che sotto sotto brama sempre approvazione ed è costantemente in preda al senso di colpa. E se devo dirla tutta, questo senso di colpa mi uccide, perché non riesco ad inquadrarlo. Credo di aver collegato correttamente i rapporti causa-effetto che spieghino i miei complessi, ma a questa perenne ed opprimente sensazione di colpa non riesco proprio a dare una spiegazione.
Sono arrivato al punto in cui il cambiamento è inevitabile, sto solamente cercando le giuste strategie. Se le sensazioni provate in quei brevi istanti di qualche mese fa rappresentano veramente il mio "Io", allora in 24 anni non ho sostanzialemente vissuto. E non posso permettermelo, non voglio rinunciare ad entrare nuovamente in quello stato emotivo, perché per la prima volta ho veramente sentito di essere vivo. Anche perché io già a 18 anni mi sentivo in colpa (tanto per cambiare) per non aver concluso niente, figuriamoci a 24, mentre sento che la giovinezza mi sfugge via senza che ne abbia minimante goduto.
Di contro, adesso mi sento ancora più depresso di prima, perché il termine di paragone che ho ottenuto in quel giorno mi ha fatto capire quanto apatica e vuota sia la mia vita. Magari sarà una motivazione in più per muovermi.
La strada per diventare uomo la vedo più complicata che mai. Sebbene io razionalmente definisca mio padre come un fallito, sento forte e chiaro che a livello incoscio il mio modello di riferimento è lui. Il punto è che io preferisco levarmi la vita dopodomani piuttosto che essere costretto a diventare come mio padre, quindi vivo anche quest'ulteriore conflitto interno, nonostante io cerchi di convincermi che (grazie a Dio) le persone come lui sono una minoranza c'è una grossa parte di me che lo vede il modello di riferimento del concetto di "uomo".
Ma io mi rifiuto di fare a botte un giorno sì e l'altro anche solamente perché "gli uomini veri fanno così e se non lo fai sei una femminuccia".
Credo che dovrò seguire il vostro consiglio e rivolgermi ad un professionista.
Mi scuso per la prolissità e per aver specificato i miei dati personali.
Buona serata.
[#10]
Gentile utente,
sì, rivolgersi a un nostro Collega è la scelta più opportuna, anche per lavorare su <<questa perenne ed opprimente sensazione di colpa non riesco proprio a dare una spiegazione <<.
I sensi di colpa non sono legato a colpe, naturalemente, sono prodotti dalla nostra psiche.
E poi c'è questo discorso dell'identità maschile, avendo come modello il padre (come tutti quando si è piccoli), e aspirando a trovare "un proprio modello".
Nessuna prolissità, tranquillo.
Saluti cordiali.
sì, rivolgersi a un nostro Collega è la scelta più opportuna, anche per lavorare su <<questa perenne ed opprimente sensazione di colpa non riesco proprio a dare una spiegazione <<.
I sensi di colpa non sono legato a colpe, naturalemente, sono prodotti dalla nostra psiche.
E poi c'è questo discorso dell'identità maschile, avendo come modello il padre (come tutti quando si è piccoli), e aspirando a trovare "un proprio modello".
Nessuna prolissità, tranquillo.
Saluti cordiali.
[#11]
Intanto mi lasci dire che le sue parole ci testimoniano una significativa capacità riflessiva assieme a coloritura emotiva di non poco conto. Questo è molto importante per la sua ricerca personale e per se stesso.
Quando dice: "Ovviamente ha ragione quando dice che dietro questo atteggiamento c'è un grido disperato di approvazione, di amore, di affetto. Lo riconosco in primis io stesso.
E riconosco anche di trasmettere questo bisogno nel mio quotidiano: sono la classica persona tendenzialmente menefreghista ma che sotto sotto brama sempre approvazione ed è costantemente in preda al senso di colpa", è riuscito a cogliere nel mio discorso generale, un punto che è fondamentale per la sua specificità: il peso che la sua relazione con suo padre ha sull'immagine che lei ha di se stesso.
Cambiare non è semplice, significa fare i conti con la sua storia proprio come sta facendo. Quando parla di senso di colpa, ad esempio, potremmo ipotizzare che derivi dal fatto di sentirsi il figlio sbagliato, che non merita amore, colpevole di essere quello che lei è. Se fosse diverso, sarebbe invece amabile, e a volte può accadere che alcune persone annientino se stesse per compiacere coloro dai quali vorrebbero amore, come lei dice "sotto sotto bramando sempre approvazione".
A parte questa mia ipotesi relativamente al senso di colpa, che le ho proposto in questa sede tra le numerose ipotesi possibili, ci tengo anche a dirle che, per quanto necessarie, le spiegazioni "causa-effetto" non bastano, se restano su un piano di conoscenza razionale.
Il cambiamento avviene anche tramite un'esperienza vissuta emotivamente nella relazione che possa fondare una nuova immagine di sé. In questo la relazione terapeutica - le parlo dal vertice del mio orientamento teorico - è elettiva.
In altri termini, seguendo le parole del suo racconto, potrei dirle che sarà necessario per lei un altro "modello di riferimento" relazionale.
Voglio anche riprendere un momento quando sottolinea l'episodio di qualche mese fa. La sua sensazione che non è un punto di svolta è importante, d'accordo. Come lei dice se ho capito correttamente, potrebbe dover rinunciare ad avere ciò che desidera: il "noi". Questa non dev'essere però una rinuncia generale, non significa che deve rinunciare ad amore e considerazione, a uno scambio fertile con altre persone con le quali potrà scegliere di relazionarsi.
Può voler dire però, purtroppo, che quel legame che desidera da suo padre non potrà ottenerlo da lui. Tuttavia, al momento, non so dirle se sarà esattamente così, potrebbero svilupparsi ulteriori scenari che non possiamo concepire in questo momento.
Senz'altro quando dice che "non gli parla da una settimana, vediamo se riesco a smuovere qualcosa", mette in atto una dinamica specifica, su cui sarebbe importante soffermarsi: non è lei che deve smuovere qualcosa, non dipende solo da lei, qualcosa dovrebbe smuoversi in suo padre.
Mi spiace avere il limite di uno dialogo online, ci sono così tante suggestioni e discorsi centrali che si aprono dal suo racconto.
Posso capire quando dice che "la strada per diventare uomo la vedo più complicata che mai", anche se mi lasci dire che il coraggio di guardarsi dentro, assieme al desiderio di fare i conti con se stesso e con gli altri, senza nascondersi, non è da tutti. Mostra di essere già un uomo, che sta affrontando la vita.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Quando dice: "Ovviamente ha ragione quando dice che dietro questo atteggiamento c'è un grido disperato di approvazione, di amore, di affetto. Lo riconosco in primis io stesso.
E riconosco anche di trasmettere questo bisogno nel mio quotidiano: sono la classica persona tendenzialmente menefreghista ma che sotto sotto brama sempre approvazione ed è costantemente in preda al senso di colpa", è riuscito a cogliere nel mio discorso generale, un punto che è fondamentale per la sua specificità: il peso che la sua relazione con suo padre ha sull'immagine che lei ha di se stesso.
Cambiare non è semplice, significa fare i conti con la sua storia proprio come sta facendo. Quando parla di senso di colpa, ad esempio, potremmo ipotizzare che derivi dal fatto di sentirsi il figlio sbagliato, che non merita amore, colpevole di essere quello che lei è. Se fosse diverso, sarebbe invece amabile, e a volte può accadere che alcune persone annientino se stesse per compiacere coloro dai quali vorrebbero amore, come lei dice "sotto sotto bramando sempre approvazione".
A parte questa mia ipotesi relativamente al senso di colpa, che le ho proposto in questa sede tra le numerose ipotesi possibili, ci tengo anche a dirle che, per quanto necessarie, le spiegazioni "causa-effetto" non bastano, se restano su un piano di conoscenza razionale.
Il cambiamento avviene anche tramite un'esperienza vissuta emotivamente nella relazione che possa fondare una nuova immagine di sé. In questo la relazione terapeutica - le parlo dal vertice del mio orientamento teorico - è elettiva.
In altri termini, seguendo le parole del suo racconto, potrei dirle che sarà necessario per lei un altro "modello di riferimento" relazionale.
Voglio anche riprendere un momento quando sottolinea l'episodio di qualche mese fa. La sua sensazione che non è un punto di svolta è importante, d'accordo. Come lei dice se ho capito correttamente, potrebbe dover rinunciare ad avere ciò che desidera: il "noi". Questa non dev'essere però una rinuncia generale, non significa che deve rinunciare ad amore e considerazione, a uno scambio fertile con altre persone con le quali potrà scegliere di relazionarsi.
Può voler dire però, purtroppo, che quel legame che desidera da suo padre non potrà ottenerlo da lui. Tuttavia, al momento, non so dirle se sarà esattamente così, potrebbero svilupparsi ulteriori scenari che non possiamo concepire in questo momento.
Senz'altro quando dice che "non gli parla da una settimana, vediamo se riesco a smuovere qualcosa", mette in atto una dinamica specifica, su cui sarebbe importante soffermarsi: non è lei che deve smuovere qualcosa, non dipende solo da lei, qualcosa dovrebbe smuoversi in suo padre.
Mi spiace avere il limite di uno dialogo online, ci sono così tante suggestioni e discorsi centrali che si aprono dal suo racconto.
Posso capire quando dice che "la strada per diventare uomo la vedo più complicata che mai", anche se mi lasci dire che il coraggio di guardarsi dentro, assieme al desiderio di fare i conti con se stesso e con gli altri, senza nascondersi, non è da tutti. Mostra di essere già un uomo, che sta affrontando la vita.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#12]
Ex utente
Dr. De Sanctis,
la ringrazio per le belle parole. Le posso assicurare che in queste poche righe mi ha lodato molto più di quanto non abbia fatto mio padre in 24 anni. E non è una battuta, ahime.
Ho purtroppo capito da tempo che inquadrare un problema non vuol dire necessariamente risolverlo, ed è da altrettanto tempo che cerco nuovi riferimenti, ma non riesco a trovarne. O meglio, una parte di me si rifiuta di scansare mio padre da questo ruolo principale, per quale strano motivo. Insomma, l'incoscio è rimasto bambino e va in una direzione mentre la parte razionale meno giovane scappa da quell'altra.
Credo che a questo punto io abbia provato di tutto tranne rivolgermi ad un professionista. Vi ringrazio per le vostre risposte, ne ho veramente beneficiato.
Un caro saluto.
la ringrazio per le belle parole. Le posso assicurare che in queste poche righe mi ha lodato molto più di quanto non abbia fatto mio padre in 24 anni. E non è una battuta, ahime.
Ho purtroppo capito da tempo che inquadrare un problema non vuol dire necessariamente risolverlo, ed è da altrettanto tempo che cerco nuovi riferimenti, ma non riesco a trovarne. O meglio, una parte di me si rifiuta di scansare mio padre da questo ruolo principale, per quale strano motivo. Insomma, l'incoscio è rimasto bambino e va in una direzione mentre la parte razionale meno giovane scappa da quell'altra.
Credo che a questo punto io abbia provato di tutto tranne rivolgermi ad un professionista. Vi ringrazio per le vostre risposte, ne ho veramente beneficiato.
Un caro saluto.
[#13]
Non è strano che è da lui che cerca quell'amore, non è facile cambiare questo comportamento che la calamita là dove c'è questo rifiuto. Non è facile cambiare il suo stato d'animo, ma non è neanche impossibile.
Grazie a lei per l'occasione di questo nostro scambio.
I miei più sinceri auguri,
Enrico de Sanctis
Grazie a lei per l'occasione di questo nostro scambio.
I miei più sinceri auguri,
Enrico de Sanctis
[#15]
Ex utente
Gentili Dottori,
vorrei porvi qualche domanda riguardo un mio eventuale percorso terapeutico con un professionista.
Per cominciare, quale pensate sia la figura più adatta alla quale affiancarsi/affidarsi? Uno psicologo, uno psicoterapeuta, uno psicoanalista?
In linea di massima, quanto pensate potrà costare portare a termine una simile esperienza? Generalmente quante sedute sono richieste?
Buona giornata.
vorrei porvi qualche domanda riguardo un mio eventuale percorso terapeutico con un professionista.
Per cominciare, quale pensate sia la figura più adatta alla quale affiancarsi/affidarsi? Uno psicologo, uno psicoterapeuta, uno psicoanalista?
In linea di massima, quanto pensate potrà costare portare a termine una simile esperienza? Generalmente quante sedute sono richieste?
Buona giornata.
[#16]
Gentile utente,
non c'è un "generalmente", ma situazioni individuali.
La stessa risposta la darei alla Sua domanda
<<Uno psicologo, uno psicoterapeuta, uno psicoanalista? <<
Se occorre una psicoterapia, ci vuole uno Psicologo abilitato ad essa (lo trova digitando Odine Psicologi seguito dal nome della Sua Regione).
Quante sedute? E dunque quale spesa?
Generalmente dopo 2/3 sedute il/la terapeuta è in grado di fare un preventivo di massima di durata e di costo.
Può anche cercare in questo portale.
[#17]
Salve, può valutare uno psicoterapeuta o uno psicoanalista. Uno psicologo no, perché non è abilitato.
Ogni psicoterapeuta segue il proprio orientamento teorico che ritiene elettivo. Gli orientamenti sono diversi e implicano idee e percorsi differenti. Quello che posso fare qui, è provare a parlarle del mio, che è psicoanalitico.
Il percorso implica un cambiamento profondo attraverso il racconto del proprio malessere e della propria storia, così come ha iniziato a fare qui, parlandoci del suo rapporto con suo padre, delle emozioni che questo scatena e delle conseguenze di una mancanza che "si ripercuote negativamente nella sua vita".
Questo significa raccontare le sue esperienze esistenziali, significa esprimere i suoi stati d'animo e i personali pensieri in libertà, affinché possa cambiare questa situazione che forse la blocca in una dimensione di malessere e non le consente di partecipare alla vita come invece potrebbe.
Nella psicoterapia a orientamento psicoanalitico è centrale la relazione terapeutica. Se penso al suo racconto, ad esempio, potrei dire che la relazione con lo psicoterapeuta è fondativa di una nuova esperienza di sé. Per certi versi anche in questa sede, infatti, lei ci ha dato una testimonianza di quello che può accadere nella relazione terapeutica, quando ha detto che si è sentito "lodato molto più di quanto non abbia fatto mio padre in 24 anni". Questo, in una sede idonea, con uno spazio di ascolto e con i tempi necessari, significa poter fare una nuova esperienza di sé. Ovviamente è solo un esempio, perché c'è uno spettro emotivo ed esperienziale molto complesso, come lei stesso ci ha descritto, che entra in gioco nella relazione.
La psicoterapia a orientamento psicoanalitico sviluppa la soggettività della persona, sbloccando i suoi nodi critici e facendo emergere la sua autenticità, senza dire alla persona cosa fare o imporre la propria verità su come bisogna vivere.
Glielo sottolineo perché questo riguarda anche la scelta di quale psicoterapia effettuare: non posso dirle io quale psicoterapia seguire, io posso darle solo alcuni strumenti affinché sia lei a scegliere.
Dato il tipo di lavoro che dev'essere effettuato, i tempi non possono essere prestabiliti, e in linea di massima non sono brevi, anche perché cambiare un'esperienza che si è stabilita nel corso degli anni non è immediato. Anche le sedute devono essere frequenti e continuative, ma questo dovrà essere stabilito successivamente. È un percorso unico che è pensato per la singola persona, e in questo senso ha una sua variabilità.
Potrei dire che per certi versi è come imparare una nuova lingua. Servono costanza e tempo. È un lavoro impegnativo, ma molto creativo. Potremmo dire che quando si impara una nuova lingua, dapprima si tenterà di usare le strutture della lingua madre. Poi, piano piano, attraverso il vivo della relazione - e non con un apprendimento strettamente grammaticale e nozionistico - si riuscirà a creare spazio per il nuovo apprendimento e a formare nuove strutture linguistiche.
Potrei dirle di scegliere un professionista e incontrarlo, cercando di intuire che effetto le fa. Anche perché le mie sono solo parole, mettersi in relazione dal vivo invece le darà direttamente le indicazioni che le servono per capire.
I costi dovrà chiederli direttamente, sono anch'essi variabili.
Rispetto agli altri orientamenti, preferisco lasciare la parola a chi ne è competente. Posso accennarle che ci sono percorsi più brevi, percorsi che focalizzano alcune aree e obiettivi, ci sono psicoterapie in cui ad esempio vengono dati esercizi. C'è una vasta quantità di orientamenti, che capisco possa generare confusione e incertezza.
Come le dicevo comunque, dal mio punto di vista, confrontandosi in prima persona potrà intuire e riconoscere qual è la sua strada.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Ogni psicoterapeuta segue il proprio orientamento teorico che ritiene elettivo. Gli orientamenti sono diversi e implicano idee e percorsi differenti. Quello che posso fare qui, è provare a parlarle del mio, che è psicoanalitico.
Il percorso implica un cambiamento profondo attraverso il racconto del proprio malessere e della propria storia, così come ha iniziato a fare qui, parlandoci del suo rapporto con suo padre, delle emozioni che questo scatena e delle conseguenze di una mancanza che "si ripercuote negativamente nella sua vita".
Questo significa raccontare le sue esperienze esistenziali, significa esprimere i suoi stati d'animo e i personali pensieri in libertà, affinché possa cambiare questa situazione che forse la blocca in una dimensione di malessere e non le consente di partecipare alla vita come invece potrebbe.
Nella psicoterapia a orientamento psicoanalitico è centrale la relazione terapeutica. Se penso al suo racconto, ad esempio, potrei dire che la relazione con lo psicoterapeuta è fondativa di una nuova esperienza di sé. Per certi versi anche in questa sede, infatti, lei ci ha dato una testimonianza di quello che può accadere nella relazione terapeutica, quando ha detto che si è sentito "lodato molto più di quanto non abbia fatto mio padre in 24 anni". Questo, in una sede idonea, con uno spazio di ascolto e con i tempi necessari, significa poter fare una nuova esperienza di sé. Ovviamente è solo un esempio, perché c'è uno spettro emotivo ed esperienziale molto complesso, come lei stesso ci ha descritto, che entra in gioco nella relazione.
La psicoterapia a orientamento psicoanalitico sviluppa la soggettività della persona, sbloccando i suoi nodi critici e facendo emergere la sua autenticità, senza dire alla persona cosa fare o imporre la propria verità su come bisogna vivere.
Glielo sottolineo perché questo riguarda anche la scelta di quale psicoterapia effettuare: non posso dirle io quale psicoterapia seguire, io posso darle solo alcuni strumenti affinché sia lei a scegliere.
Dato il tipo di lavoro che dev'essere effettuato, i tempi non possono essere prestabiliti, e in linea di massima non sono brevi, anche perché cambiare un'esperienza che si è stabilita nel corso degli anni non è immediato. Anche le sedute devono essere frequenti e continuative, ma questo dovrà essere stabilito successivamente. È un percorso unico che è pensato per la singola persona, e in questo senso ha una sua variabilità.
Potrei dire che per certi versi è come imparare una nuova lingua. Servono costanza e tempo. È un lavoro impegnativo, ma molto creativo. Potremmo dire che quando si impara una nuova lingua, dapprima si tenterà di usare le strutture della lingua madre. Poi, piano piano, attraverso il vivo della relazione - e non con un apprendimento strettamente grammaticale e nozionistico - si riuscirà a creare spazio per il nuovo apprendimento e a formare nuove strutture linguistiche.
Potrei dirle di scegliere un professionista e incontrarlo, cercando di intuire che effetto le fa. Anche perché le mie sono solo parole, mettersi in relazione dal vivo invece le darà direttamente le indicazioni che le servono per capire.
I costi dovrà chiederli direttamente, sono anch'essi variabili.
Rispetto agli altri orientamenti, preferisco lasciare la parola a chi ne è competente. Posso accennarle che ci sono percorsi più brevi, percorsi che focalizzano alcune aree e obiettivi, ci sono psicoterapie in cui ad esempio vengono dati esercizi. C'è una vasta quantità di orientamenti, che capisco possa generare confusione e incertezza.
Come le dicevo comunque, dal mio punto di vista, confrontandosi in prima persona potrà intuire e riconoscere qual è la sua strada.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 17 risposte e 12.9k visite dal 17/04/2016.
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