Fobia sociale solo sul lavoro

Gentili dottori,
sono una ragazza di 33 anni, che è stata per 10 anni dallo psicologo. Dai 18 ai 28. Poi, per due anni, son riuscita a farne a meno e, dai 30 ad ora, sto andando da un altro. La mia vita tutto sommato non va malissimo (wow, si punta a vivacchiare, ormai), nel senso che a livello di amicizie e relazioni mi sento spontanea come un pesce nell'acqua. Ma, da sempre, ho problemi con il lavoro.
Sul fare. Mi reputo una ragazza poco pratica, e poco le cose pratiche m'interessano.
Dunque, in tutto ciò che è "essere" mi sento a mio agio (amici, famiglia, relazioni); in tutto ciò che è "fare", sto male.
Ho cambiato 8 lavori. Molti perché finiva il contratto e, si sa, non è che lo si rinnovi in primis ad una tipa naïf. Ogni volta che ho iniziato un lavoro una tragedia.
E non sto facendo un'iperbole: Xanax, palpitazioni...cristallizzazioni. L'era glaciale: mi spiegano cosa devo fare (cassa, pc, fotocopie) e rimango cristallizzata. Mi blocco, paralizzo. Sembro perdere tutta la verve che ho fuori. Un'umiliazione terribile che spesso mi ha fatto pensare anche al suicidio.
Perché, da perfezionista quale sono, non l'accetto.
Be', la psicoterapia mi ha aiutato ad andare e farli 'sti lavori, nonostante l'impatto terribile.
Ma ciò che mi offende è che tra poche settimane inizierò ad avere una mansione nuova in un ufficio di un altro paese, dove m'insegneranno cose nuove, ed io, come a 25 anni, sono già terrorizzata e non voglio passare notti a piangere scossa di paura.
Mi odio perché questa sensazione si ripresenta.
Ma l'esposizione non doveva farlo passare, il terrore?
#amareggiata
[#1]
Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
Gentile Utente,
ci dice di essere seguita da un nostro collega, psicologo o psicoterapeuta?
Su cosa state lavorando, quali gli obiettivi? Quale approccio segue il suo curante?

<Perché, da perfezionista quale sono, non l'accetto. >
Questo da qui sembrerebbe un punto importante. Nel percorso in atto è stato preso in considerazione?
Come mai scrive qui se è già seguita?

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

[#2]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
"Ma l'esposizione non doveva farlo passare, il terrore?"

Dipende. Dipende da come ci si espone, tant'è che le prescrizioni che uno psicoterapeuta di orientamento cognitivo-comportamentale potrebbe darLe sull'esposizione non è così semplice, tipo "vai, così ti passa il terrore"
Ci si espone non solo in maniera graduale ma anche lavorando sulla risposta e monitorando in terapia, di volta in volta, ciò che accade nell'esposizione.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#3]
Attivo dal 2016 al 2016
Ex utente
@dott. Rinella Sono seguita da uno psicoterapeuta cognitivo-comportamentale. Non abbiamo obiettivi chiari. Parliamo del più e del meno e dei problemi che di volta in volta si presentano (litigi col mio ragazzo, considerazioni sul mio umore, e così via). Siamo entrambi d'accordo che questo sia un lavoro che non mi piace e che ci sia da seminare per trovare qualcosa di più affine.
Siccome non nota difficoltà al di fuori del lavoro, è d'accordo con me sul non farmi prendere farmaci.
Il problema del "cristallizzarmi" e piangere (anche davanti a coloro che mi devono insegnare ) i primi giorni di lavoro, lui lo considera - ormai - come una cosa da bypassare. Della serie: "sai che succede così, vai oltre".
Ma per me è una sconfitta! Io non accetto di essere apprezzata e addirittura ricercata al di fuori dalle mie ore lavorative, e, per contro, di essere considerata imbranata, o "non utile", al lavoro.
Però questa sensazione - nonostante i miliardi spesi dagli psicologi - non se ne va.
Io con la testa so tutto, ma la sensazione di disagio non cambia. Non passa. E non diminuisce.
Ogni volta si ripresenta più o meno uguale.
Se poi per infinocchiarmi vogliono "vendermela" come mutata o ormai conosciuta, va be'..Che dire, sono andata duecento anni dallo psycho per arrivare alla conclusione che: "bisogna accettare il tuo lato vulnerabile".
E 'sti *azzi! Me lo diceva gratis la mia amica.
Io ho investito soldi e energie per "eliminare" il mio lato e-stre-ma-men-te vulnerabile.
Perché vulnerabilità soft è anche sexy, dolce, delicata. Ma qui è angoscia e urlo di Munch.
E paralisi.
Per questo, da delusa e un po' sconfitta, chiedo: ma...non dicevano che bastava l'esposizione?

@dott. Pileci _____La vita non ti presenta i problemi in modo graduale.. Nel senso: è ovvio che, se sono un adulto in cerca di occupazione stabile, devo espormi ed affrontare quello che trovo sul mercato. Lavoro da cameriera, cassiera o impiegata che sia.
Non si parla di relazioni dove conduco io e posso decidere quanto e come scoprirmi....Si tratta di performance: "o impari veloce o sei imbranata e te lo facciamo notare".

In generale io so solo che per me è una sconfitta.
Non riesco ad accettare di farmela così sotto su quel lato lì.
E' come se ci fosse una scissione tra "essere" e "fare".
Spontaneamente sono e penso, e piaccio.
Quando faccio, dispiaccio.
O comunque, non convinco.
Dopo tutti questi anni dallo psicologo, mi chiedo:
ma si può togliere con la testa una sensazione?
Cos'è servito capire (il giudizio degli altri, non devi essere perfetta, hai paura di sbagliare, la fobia sociale, ecc, bla bla bla), se non cambia il "sentire"?
E' come se uno avesse paura dell'ascensore.
Lo prende accompagnato.
Poi non lo riprende per un anno e dunque ritorna la paura.
Pensavo, erroneamente, che una volta superata - o fronteggiata - la paura sparisse.
Invece tra una o due settimane mi diranno quando iniziare e mi trovo ancora vulnerabile come una foglia scheggiata.
Paura è l'unica parola che mi viene in mente.
Subito dopo, rabbia. Verso me stessa.

[#4]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
"Per questo, da delusa e un po' sconfitta, chiedo: ma...non dicevano che bastava l'esposizione?"

Gentile Utente,

mi pare di averLe già risposto sopra: l'esposizione non è ciò che intende Lei e cioè: "...Nel senso: è ovvio che, se sono un adulto in cerca di occupazione stabile, devo espormi ed affrontare quello che trovo sul mercato. Lavoro da cameriera, cassiera o impiegata che sia...."

Non funziona così in psicoterapia, probabilmente al di fuori di una psicoterapia, dove la persona fa dei tentativi per cercare delle soluzioni al problema. Ma talvolta sono proprio queste tentate soluzioni a peggiorare la situazione.

Ma al di là di che cosa sia l'esposizione (che non ha nulla a che vedere col fatto che la vita presenti o meno in modo graduale i problemi!), posso chiederLe chi Le ha detto che "basta l'esposizione"?

Quale diagnosi è stata posta?
Mi pare anche notevole che non ci siano obiettivi chiari in questa terapia; di solito vengono scritti anche sul contratto terapeutico ma in ogni caso se non ci sono obiettivi chiari, sensati, percorribili e raggiungibili, è ovvio che le sedute, anziché essere guidate da una logica e da una metodologia, diventano più o meno chiacchierate e questo non va bene.

Se, al contrario, ci sono obiettivi chiari, si lavora in terapia, non solo utilizzando una tecnica (e qui bisognerebbe capire se adatta o meno al Suo problema), ma tutti gli strumenti più adatti per sconfiggere insieme, pz e terapeuta, la sofferenza del pz.

Cordiali saluti,
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