Sociofobia
Salve,
senza raccontare nei dettagli la mia vita, ho 38 anni e la mia è una timidezza profonda che non sono mai riuscito a risolvere sin da quando ero piccolo.
Con la maturità e con le consapevolezze acquisite finora, frutto di intense osservazioni di me con le persone e delle persone tra loro, ho la sensazione di essere arrivato a cogliere quel dettaglio comportamentale assolutamente da risolvere; sono portato a ritenere che se risolvessi questo aspetto di me, ciò potrebbe sbloccarmi in maniera considerevole e liberare risorse mai espresse.
In sostanza, in presenza di sconosciuti, ma anche di molte persone che conosco, non riesco a concentrarmi totalmente su quello che gli altri mi stanno dicendo, o su quello che io sto dicendo agli altri, con prevalente mancanza di contatto oculare che si alterna a (imbarazzanti, almeno per me) momenti di fissità del mio sguardo sull’altro, e conseguente tensione psicofisica. Tutto ciò nonostante desideri moltissimo l’interazione sociale e l’approfondimento dei rapporti. Non sto ad elencare gli altri sintomi esistenti, che ho voluto mettere in secondo piano rispetto a quanto appena scritto. Ciò non è altro che una banalità per una persona timida, ma traduce bene quel senso di vergogna della mia persona che è alla base delle mie repressioni.
Ho avuto esperienze medio brevi di terapia cognitivo-comportamentale (a 20 anni) e di terapia breve strategica (fino a non molti anni fa, terapia quest'ultima che mi ha aiutato molto, anche grazie, a mio giudizio, alla particolare bravura del terapeuta, anche se il problema alla fonte non si è risolto).
E’ sufficiente quello che ho scritto per essere indirizzato ad una terapia specifica, anche solo a titolo indicativo? o essere semplicemente consigliato?
Ringrazio davvero moltissimo, fosse anche per la sola attenzione dedicata alla lettura di questo messaggio.
senza raccontare nei dettagli la mia vita, ho 38 anni e la mia è una timidezza profonda che non sono mai riuscito a risolvere sin da quando ero piccolo.
Con la maturità e con le consapevolezze acquisite finora, frutto di intense osservazioni di me con le persone e delle persone tra loro, ho la sensazione di essere arrivato a cogliere quel dettaglio comportamentale assolutamente da risolvere; sono portato a ritenere che se risolvessi questo aspetto di me, ciò potrebbe sbloccarmi in maniera considerevole e liberare risorse mai espresse.
In sostanza, in presenza di sconosciuti, ma anche di molte persone che conosco, non riesco a concentrarmi totalmente su quello che gli altri mi stanno dicendo, o su quello che io sto dicendo agli altri, con prevalente mancanza di contatto oculare che si alterna a (imbarazzanti, almeno per me) momenti di fissità del mio sguardo sull’altro, e conseguente tensione psicofisica. Tutto ciò nonostante desideri moltissimo l’interazione sociale e l’approfondimento dei rapporti. Non sto ad elencare gli altri sintomi esistenti, che ho voluto mettere in secondo piano rispetto a quanto appena scritto. Ciò non è altro che una banalità per una persona timida, ma traduce bene quel senso di vergogna della mia persona che è alla base delle mie repressioni.
Ho avuto esperienze medio brevi di terapia cognitivo-comportamentale (a 20 anni) e di terapia breve strategica (fino a non molti anni fa, terapia quest'ultima che mi ha aiutato molto, anche grazie, a mio giudizio, alla particolare bravura del terapeuta, anche se il problema alla fonte non si è risolto).
E’ sufficiente quello che ho scritto per essere indirizzato ad una terapia specifica, anche solo a titolo indicativo? o essere semplicemente consigliato?
Ringrazio davvero moltissimo, fosse anche per la sola attenzione dedicata alla lettura di questo messaggio.
[#1]
Gentile Utente,
per comprendere la sua situazione è necessario conoscere qualche dettaglio in più: può parlare anche dei sintomi dei quali ha preferito non riferirci nulla?
Ci dice di aver effettuato una Terapia Cognitivo-Comportamentale e una Terapia Breve Strategica: può dirci per quanto tempo e con quali risultati?
Ha ricevuto una diagnosi precisa dai suoi precedenti terapeuti?
per comprendere la sua situazione è necessario conoscere qualche dettaglio in più: può parlare anche dei sintomi dei quali ha preferito non riferirci nulla?
Ci dice di aver effettuato una Terapia Cognitivo-Comportamentale e una Terapia Breve Strategica: può dirci per quanto tempo e con quali risultati?
Ha ricevuto una diagnosi precisa dai suoi precedenti terapeuti?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Utente
La ringrazio molto per il suo intervento. Dunque le posso aggiungere che in quei momenti ansiosi di interazione, posso provare caldo e sudare, o anche a volte provare brividi di freddo; inoltre mi capita di avere un eloquio troppo veloce o al contrario avere qualche tartagliamento; in presenze di donne (specialmente se coetanee o più giovani) l'imbarazzo aumenta (le aggiungo che non ho mai avuto una relazione in vita mia). In merito alle terapie: quella cognitivo-comportamentale a 20 anni mi era stata, diciamo, imposta dai miei genitori e nonstante ne riconoscessi l'importanza, nel tempo sono arrivato a "boicottare" la terapia; durata: poco più di un anno, il terapeuta arrivò alla diagnosi di fobia sociale. Per quanto riguarda la terapia breve strategica, durata 4 anni, con un interruzione di 1 anno e qualcosa, il terapeuta non mi ha mai fornito una diagnosi, essendo stata una terapia unicamente impostata su esperienze concrete da attuare al fine di modificare l'emotività. Spero di averle fornito elementi più utili. Buona giornata.
[#4]
Utente
Le posso dire che ho raggiunto maggiori e importanti consapevolezze di me con le quali posso regolarmi su come agire in maniera piu' funzionale nelle varie situazioni sociali; so meglio chi sono e cosa voglio, a cosa mi sento piu' propenso; sono diventato piu' comunicativo, piu' curioso, non ripeto piu' gli errori di un tempo quando parlo con gli altri, nel modo di comportarmi con gli altri; ho imparato maggiormente come mettere a proprio agio i miei interlocutori......tuttavia dal punta di vista pratico, continuo a non avere persone con cui uscire regolarmente, non sono costante nel frequentare dei corsi ( negli ultimi anni, mi ero iscritto prima ad una palestra, poi a qualche scuola d'inglese, ad un corso d'intaglio, ma ogni volta, come adesso, che mi ritrovo a corsi finiti e quindi "disoccupato", ritorno a tentennare su cose nuove e stimolanti che potrei fare, unicamente per la paura di figurare davanti alla gente come persona lenta nell'apprendere e che non si sente a suo agio con gli altri). Grazie ancora.
[#5]
"se risolvessi questo aspetto di me, ciò potrebbe sbloccarmi in maniera considerevole e liberare risorse mai espresse".
E' molto importante quello che dice ossia il fatto che risolvendo queste sue difficoltà potrebbe esprimere risorse che ha dentro di lei.
Spiega molto bene quello che le succede nell'interazione con gli altri, da una parte il forte desiderio di avere legami significativi e profondi con le persone, pur tuttavia non riuscendoci per i diversi sintomi fisici che avverte che la distolgono da quello che gli altri le dicono, forse perchè è troppo concentrato (e preoccupato) su quello che sta dicendo lei, su come lo dice, su come si immagina gli altri possano vederla (e giudicarla), sulla paura di non dare una bella immagine di sè e quindi di non poter venir valutato (giudicato) positivamente, con un senso di inadeguatezza e di non sentirsi mai all'altezza.
E' questo che le capita?
Mi chiedevo come mai ha "boicottato" il percorso psicoterapico cognitivo-comportamentale?
La diagnosi (nel primo percorso) è stata di fobia sociale per cui la terapia cognitivo-comportamentale a cui faccio riferimento è una delle psicoterapie che dà buoni risultati, mi chiedevo come mai ha interrotto questo percorso.
Cordiali saluti
E' molto importante quello che dice ossia il fatto che risolvendo queste sue difficoltà potrebbe esprimere risorse che ha dentro di lei.
Spiega molto bene quello che le succede nell'interazione con gli altri, da una parte il forte desiderio di avere legami significativi e profondi con le persone, pur tuttavia non riuscendoci per i diversi sintomi fisici che avverte che la distolgono da quello che gli altri le dicono, forse perchè è troppo concentrato (e preoccupato) su quello che sta dicendo lei, su come lo dice, su come si immagina gli altri possano vederla (e giudicarla), sulla paura di non dare una bella immagine di sè e quindi di non poter venir valutato (giudicato) positivamente, con un senso di inadeguatezza e di non sentirsi mai all'altezza.
E' questo che le capita?
Mi chiedevo come mai ha "boicottato" il percorso psicoterapico cognitivo-comportamentale?
La diagnosi (nel primo percorso) è stata di fobia sociale per cui la terapia cognitivo-comportamentale a cui faccio riferimento è una delle psicoterapie che dà buoni risultati, mi chiedevo come mai ha interrotto questo percorso.
Cordiali saluti
Dott.ssa Ilaria La Manna
Psicologa Psicoterapeuta - Padova
[#6]
Utente
La ringrazio molto per il suo intervento Dott.ssa La Manna; lei ha colto proprio nel segno con la sua risposta. Boicottai la terapia a 20 anni convinto di poter risolvere i problemi con metodi miei (potrei definire cio' anche come l'immaturita' dei 20 anni.... ). Per cui da allora non ho piu' considerato quel percorso terapeutico (pur approfondendolo con delle letture); la scelta della terapia breve strategica era stata fatta a 30 anni per ottenere risultati in tempi brevi ( forse ammetto ora che non tutto puo' essere risolto in tempi brevi....). Se il suo consiglio fosse pertanto questo, di riprendere la terapia cogn. compotam. (anche in gruppo, non so se e' questo che intende di piu'), lo terro' in seria considerazione.
[#7]
"Boicottai la terapia a 20 anni convinto di poter risolvere i problemi con metodi miei (potrei definire cio' anche come l'immaturita' dei 20 anni....)".
Non parlerei di "immaturità", spesso la fobia sociale è considerata un disturbo silenzioso diciamo così nel senso che chi ne soffre pensa di essere soltanto "eccessivamente timido" e che con un po' di volontà e di coraggio ci si possa aiutare da soli, ma la timidezza e la fobia sociale, pur rientrando nello stesso continuum, non sono la stessa cosa e tutto questo porta a procastinare nel chiedere aiuto ad un professionista.
Io le parlavo dell'orientamento a cui faccio riferimento, tuttavia ci sono altri approcci validi, quello che mi sentirei di dirle è un percorso attivo e focalizzato che vada a lavorare sia su quello che prova nelle interazioni sociali (inadeguatezza, impaccio, forte ansia, ...) che sullo sperimentare abilità sociali che forse non ha avuto modo di esercitare.
Un cordiale saluto
Non parlerei di "immaturità", spesso la fobia sociale è considerata un disturbo silenzioso diciamo così nel senso che chi ne soffre pensa di essere soltanto "eccessivamente timido" e che con un po' di volontà e di coraggio ci si possa aiutare da soli, ma la timidezza e la fobia sociale, pur rientrando nello stesso continuum, non sono la stessa cosa e tutto questo porta a procastinare nel chiedere aiuto ad un professionista.
Io le parlavo dell'orientamento a cui faccio riferimento, tuttavia ci sono altri approcci validi, quello che mi sentirei di dirle è un percorso attivo e focalizzato che vada a lavorare sia su quello che prova nelle interazioni sociali (inadeguatezza, impaccio, forte ansia, ...) che sullo sperimentare abilità sociali che forse non ha avuto modo di esercitare.
Un cordiale saluto
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Da un punto di vista strategico, si cambia iniziando a cambiare a piccole dosi i propri comportamenti, senza bisogno di doverci riflettere troppo su. Ma dalle sue descrizioni, traspare invece una tendenza ad avvitarsi sulle proprie sensazioni e pensieri e a non confrontarsi totalmente con l'esterno, con gli altri. Una certa ossessività, insomma.
Che tipo di prescrizioni ha ricevuto in TBS?
Che tipo di prescrizioni ha ricevuto in TBS?
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#9]
Utente
Rispondo ringraziando ancora in modo sentito la Dott.ssa La Manna per le sue risposte e consigli. Rispondendo invece al Dr. Santonocito, si' forse devo ammettere che dopo la terapia br. strateg. fatta sono piano piano ricaduto in un vortice nel quale sono tornato a focalizzare l' attenzione sulle mie sensazioni piuttosto che sperimentare situazioni nuove. Era questo che il terapeuta mi aveva prescritto: attuare a piccole dosi nuove azioni a cui non ero avvezzo e sperimentare situazioni nuove, partendo sempre dallo scegliere la cosa piu' facile in una lista di azioni possibili da me stilata ed in un secondo momento siamo passati all' operare con lo stesso criterio ma stavolta nello sviluppare abilita' pratiche. E' sull'argomento abilita' che mi sono bloccato, non dico all'inizio, ma dopo poco tempo, e a quel punto, considerata la (giusta) intransigenza del dottore su questo aspetto, ed io non sapendo andare avanti (o non so cosa....forse indolenza, riluttanza nell'impegnare il mio tempo, settimanalmente, in questo compito), non l'ho piu' chiamato. La devo ringraziare perche' mi sto interrogando eventualmente se riprendere quel cammino dal punto in cui l'ho interrotto. Porgo Cordiali saluti.
[#10]
Alla luce di quello che riferisce come esito di diversi anni di terapie focalizzate sul sintomo, che le hanno consentito di migliorare alcuni aspetti comportamentali ma non di risolvere i problemi di fondo, le suggerirei di cambiare indirizzo a di rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta di diverso indirizzo, ad esempio psicodinamico/psicoanalitico o anche umanistico/rogersiano.
Da quanto ci dice sembra infatti che in tutti quegli anni di terapia abbia acquisito una migliore consapevolezza di sè e imparato a comportarsi diversamente, ma che a questo non siano corrisposti cambiamenti più sostanziali per quanto riguarda la capacità di instaurare relazioni strette con gli altri.
Forse si sta concentrando troppo su cosa fare e non fare (ad es. sulla qualità del contatto oculare che tiene o non tiene), piuttosto che su chi è lei, sul perchè fa fatica a legarsi agli altri, sui motivi che l'hanno portata fin da piccolo ad essere introverso e non integrato socialmente.
Penso che sarebbe importante approfondire quali sono la caratteristiche dell'ambiente familiare in cui è cresciuto, quanto sostegno ha ricevuto dai genitori alla sua autostima in costruzione, come hanno reagito i suoi di fronte alla sue difficoltà da bambino e ragazzino e quali sono le loro relazioni con gli altri, che possono aver funto da modello per le sue interazioni sociali attualmente insoddisfacenti.
Sono tutti aspetti che immagino non siano stai approfonditi nella TCC e nella TBS, quindi a mio avviso ha senso cambiare strada e portare avanti il lavoro con un terapeuta di diverso orientamento.
Da quanto ci dice sembra infatti che in tutti quegli anni di terapia abbia acquisito una migliore consapevolezza di sè e imparato a comportarsi diversamente, ma che a questo non siano corrisposti cambiamenti più sostanziali per quanto riguarda la capacità di instaurare relazioni strette con gli altri.
Forse si sta concentrando troppo su cosa fare e non fare (ad es. sulla qualità del contatto oculare che tiene o non tiene), piuttosto che su chi è lei, sul perchè fa fatica a legarsi agli altri, sui motivi che l'hanno portata fin da piccolo ad essere introverso e non integrato socialmente.
Penso che sarebbe importante approfondire quali sono la caratteristiche dell'ambiente familiare in cui è cresciuto, quanto sostegno ha ricevuto dai genitori alla sua autostima in costruzione, come hanno reagito i suoi di fronte alla sue difficoltà da bambino e ragazzino e quali sono le loro relazioni con gli altri, che possono aver funto da modello per le sue interazioni sociali attualmente insoddisfacenti.
Sono tutti aspetti che immagino non siano stai approfonditi nella TCC e nella TBS, quindi a mio avviso ha senso cambiare strada e portare avanti il lavoro con un terapeuta di diverso orientamento.
[#11]
Utente
La ringrazio Dott.ssa Massari per il suo consiglio. Ne terro' profondamente conto, cosi' come sto facendo con i consigli degli altri suoi colleghi che mi hanno risposto. Se posso solo accennare ai miei, sono stati genitori eccezionali, ma forse l'iperprotezione di mia madre non mi ha aiutato e la riservatezza di mio padre neanche, e forse da adolescente quando mi fecero frequentare i primi psicanalisti non sapevano bene comunicare con me e capire la fonte o l'essenza peculiare del mio disagio.
[#12]
Iperprotezione e riservatezza (che può significare chiusura e difficoltà ad instaurare un legame profondo con il figlio) possono essere due elementi fondamentali nella genesi del suo disagio: può esserle stata trasmessa una profonda paura dell'ambiente esterno da sua madre, unita alla concezione di Sè come di una persona debole, e un modello di uomo non certo estroverso e inserito socialmente da parte di suo padre.
E' figlio unico?
E' figlio unico?
[#13]
Utente
Dott.ssa Massari, quello che mi scrive mi fa riflettere riguardo a questi aspetti dei miei genitori...non mi sembra una diagnosi errata. In effetti in me questa paura dell'ambiente esterno ha caratterizzato la mia vita (quando viaggio all'estero per piacere, poche volte, mi sento inizialmente sperduto e mai inserito nella realtà nuova). Mi sono percepito incapace e ottuso per molto tempo, con la conseguenza che mi sono cimentato in poche attività. Mi sento affine a chi è estroverso e spiritoso, tuttavia solo poche volte riesco veramente ad esserlo in compagnia. Comunque non sono figlio unico; sono il primogenito ed ho 2 sorelle, una di 2 anni più giovane e l'altra di 15 anni più giovane.
[#15]
Utente
Dunque a mio giudizio, probabilmente mia madre è stata più iperprotettiva con la più giovane che è nata quando l'altra sorella, Laura, era adolescente, e Laura, confidandosi in alcune occasioni non ha nascosto un rammarico per una specie di trascuratezza in cui la madre, fagocitata dalla piccola, l'avrebbe lasciata nel momento appunto della sua adolescenza e dei suoi bisogni di adolescente. Tuttavia nessuna delle mie sorelle ha sviluppato il mio disagio. C'è in loro una riservatezza di fondo in alcuni aspetti, ma dal punto di vista sociale hanno avuto ed hanno una vita normale.
[#16]
Lei quindi è stato il principale destinatario dell'iperprotettività di sua madre per molti anni, fino a quando è nata la sua sorellina che è molto più giovane e che non ha risentito allo stesso modo del comportamento della madre - che nel frattempo era diventata più adulta, aveva cresciuto altri due figli e si trovava quindi in una situazione differente rispetto a quando ha avuto lei.
E' una donna ansiosa in generale o solo rispetto a lei e a sua sorella?
E' una donna ansiosa in generale o solo rispetto a lei e a sua sorella?
[#17]
Utente
Probabile che quando nacqui io mia madre fosse inesperta e meno matura e poi con l'ultima figlia le cose siano andate un pò diversamente, e che quindi io abbia subito in misura maggiore la sua iperprotettività.. Comunque si', mia madre è una donna ansiosa in generale, una brava persona, generosa, con buone intenzioni, capace anche però di portare le sue cure ad un livello eccessivo, da cui appunto ansia ed iperprotezione. In ultimo, tende ad essere ansiosa comunque con tutti e 3 i figli, anche se ripeto, le mie sorelle sono cresciute con un altro temperamento.
[#18]
Ogni individuo reagisce a proprio modo e oltretutto una serie di variabili (ordine di nascita, sesso, temperamento di base, particolare "trattamento" ricevuto, fase della vita della famiglia durante la quale un figlio è nato) influenzano l'esito di un'educazione eccessivamente sbilanciata sul versante della protezione di un figlio.
Penso sia importante che lei discuta di tutto questo in terapia e che riprenda a lavorare su di sè fino alla risoluzione completa delle sue difficoltà.
Penso sia importante che lei discuta di tutto questo in terapia e che riprenda a lavorare su di sè fino alla risoluzione completa delle sue difficoltà.
Questo consulto ha ricevuto 21 risposte e 2.5k visite dal 12/02/2016.
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