Avere interesse per gli altri
Buongiorno,
la questione che pongo è sorta diverse volte anche durante alcuni incontri con terapisti (che frequentavo appunto per miei disagi generici nello stare con gli altri): il fatto è che a me gli altri non interessano.
Non sono mai riuscito a capire il motivo, forse la timidezza, forse l'introversione o il carattere pessimista, forse qualche paura o qualche freno ma non ho mai avuto lo stimolo netto di voler incontrare qualche amico in particolare (partner a parte ovviamente) o qualche collega. La compagnia che frequento dall'adolescenza è più "un gruppo con cui fare qualcosa, per passare il tempo" e ne sento tutti i limiti, li ho sempre sentiti. I limiti di non avere profondità di rapporto, condivisione, obiettivi comuni, di sentirsi alleati nel fare qualcosa.
Io sono molto indipendente ed esigente, un po' perfezionista: questo mi spinge spesso a notare tutte le differenze che ho con gli altri, a vedere le loro inclinazioni, il perché fanno certe cose (es. vedere dietro certe gentilezze l'esigenza di mettersi in mostra e altri comportamenti poco trasparenti) ed i limiti dei loro ambiti, non tanto ristretti quanto diversi dai miei (io corro per migliorare nelle gare, i miei amici per svagarsi).
Per me uscire con le persone deve avere uno scopo condiviso (un film, un argomento, una gita ecc) e non a casaccio come spesso mi capita: ci dovrebbe essere interesse per le esperienze degli altri, e condivisione delle proprie, discussioni su argomenti vari, apporto di qualcosa di significativo. ma non lo vedo mai: il 99% delle persone che conosco vuole solo sparare caxxxxate, divertirsi, non pensare a niente, non approfondire niente.
o il mio punto di vista è sbagliato in qualche fondamenta, oppure mi devo arrendere ad essere una persona solitaria con ristrettissime relazioni ma per lo meno di valore, cercando di non autofrustrarmi per questa condizione.
A voi un parere.
la questione che pongo è sorta diverse volte anche durante alcuni incontri con terapisti (che frequentavo appunto per miei disagi generici nello stare con gli altri): il fatto è che a me gli altri non interessano.
Non sono mai riuscito a capire il motivo, forse la timidezza, forse l'introversione o il carattere pessimista, forse qualche paura o qualche freno ma non ho mai avuto lo stimolo netto di voler incontrare qualche amico in particolare (partner a parte ovviamente) o qualche collega. La compagnia che frequento dall'adolescenza è più "un gruppo con cui fare qualcosa, per passare il tempo" e ne sento tutti i limiti, li ho sempre sentiti. I limiti di non avere profondità di rapporto, condivisione, obiettivi comuni, di sentirsi alleati nel fare qualcosa.
Io sono molto indipendente ed esigente, un po' perfezionista: questo mi spinge spesso a notare tutte le differenze che ho con gli altri, a vedere le loro inclinazioni, il perché fanno certe cose (es. vedere dietro certe gentilezze l'esigenza di mettersi in mostra e altri comportamenti poco trasparenti) ed i limiti dei loro ambiti, non tanto ristretti quanto diversi dai miei (io corro per migliorare nelle gare, i miei amici per svagarsi).
Per me uscire con le persone deve avere uno scopo condiviso (un film, un argomento, una gita ecc) e non a casaccio come spesso mi capita: ci dovrebbe essere interesse per le esperienze degli altri, e condivisione delle proprie, discussioni su argomenti vari, apporto di qualcosa di significativo. ma non lo vedo mai: il 99% delle persone che conosco vuole solo sparare caxxxxate, divertirsi, non pensare a niente, non approfondire niente.
o il mio punto di vista è sbagliato in qualche fondamenta, oppure mi devo arrendere ad essere una persona solitaria con ristrettissime relazioni ma per lo meno di valore, cercando di non autofrustrarmi per questa condizione.
A voi un parere.
[#1]
Gentile utente,
ritengo che le relazioni si collochino su più piani e su più livelli.
Ognuno si sceglie quegli alcuni che preferisce, o che è in grado di condurre.
Se Lei è perfezionista, se è portato a notare tutte le differenze che ha con gli altri, a "vedere dietro" i loro comportamenti, non avrà con facilità molte relazioni amicali (a vari livelli).
Ma può darsi che Lei ne preferisca poche ma buone..
Il problema, mi pare di capire, sta nel fatto che Lei è frustrato per questa condizione.
<<...arrendere ad essere una persona solitaria con ristrettissime relazioni ma per lo meno di valore, cercando di non autofrustrarmi per questa condizione.<<
Se così non è, non esiste problema.
Se così è, credo sia ancora in tempo per decidere se accettare il Suo modo di essere o "lavorare" per modificare il suo modo di essere/porsi con gli altri.
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#2]
Concordo con la Collega , sembra che Lei sia una persona intelligente, piuttosto elitaria, forse un'educazione particolare rende il suo sguardo sugli altri acuto e impaziente, per cui dietro ai loro comportamenti non riesce a vedere il lato umano anche interessante e vario con benevolenza , questo è per gli altri una opportunità mancata certo, ma soprattutto priva Lei del calore dell'empatia che può determinare il guardarsi intorno con una certa benevolenza , osservando i nostri simili con quel sentimento che li rende anche simili a noi per qualche lato .. Ci si sente meno soli, mi creda.. Conta molto l'intelligenza cognitiva nella vita , ma è l'intellgenza emotiva che ti rende la vita meno pesante, migliore..
Penso che si potrebbe prendere in considerazione come dice la Collega,"lavorare" per modificare il suo modo di porsi con gli altri..
Cosa ne pensa ?
Penso che si potrebbe prendere in considerazione come dice la Collega,"lavorare" per modificare il suo modo di porsi con gli altri..
Cosa ne pensa ?
MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it
[#3]
Utente
Il vostro suggerimento mi sembra diretto verso una terapia, ma quale?
Ho affrontato un paio di percorsi nel passato, uno con una terapista cognitivo-comportamentale, e recentemente con un psicoanalista. Entrambe sono state intraprese proprio per risolvere i disagi che provo nel relazionarmi.
Sebbene abbia riscontrato dei miglioramenti generali (nei 6 + 6 mesi di incontri) non ho percepito nessun miglioramento o allenamento di quella intelligenza emotiva che citate.
Sono un po' scettico quindi a riguardo.
"veder dietro" ai comportamenti degli altri (sempre che interpreti bene) non è forse normale o comunque "saggio"?
perché dovrei essere benevolo verso una persona che è gentile con tutti se non per gratificazione personale e per ricevere complimenti? che nobiltà ha un gesto così?
Ho affrontato un paio di percorsi nel passato, uno con una terapista cognitivo-comportamentale, e recentemente con un psicoanalista. Entrambe sono state intraprese proprio per risolvere i disagi che provo nel relazionarmi.
Sebbene abbia riscontrato dei miglioramenti generali (nei 6 + 6 mesi di incontri) non ho percepito nessun miglioramento o allenamento di quella intelligenza emotiva che citate.
Sono un po' scettico quindi a riguardo.
"veder dietro" ai comportamenti degli altri (sempre che interpreti bene) non è forse normale o comunque "saggio"?
perché dovrei essere benevolo verso una persona che è gentile con tutti se non per gratificazione personale e per ricevere complimenti? che nobiltà ha un gesto così?
[#4]
I percorsi di psicoterapia si fanno o per necessità o per scelta. Ma in ogni caso con convinzione; se lo scetticismo che usa con le persone lo applica anche nella psicoterapia, è proprio inutile intraprendere tale esperienza.
Ma perchè ha abbandonato gli altri due percorsi dopo soli 6 mesi?
Riguardo al "veder dietro", è estremamente difficile "interpretare bene": nella maggior parte dei casi sono proiezioni di propri modi di vedere, che con l'altro possono anche non aver nulla a che fare.
Non c'entra essere benevoli, ma guardare l'altro con curiosità, per capirlo un po' nel qui e ora (non nel "dietro"), questo può essere un punto di partenza.
Sempre tenendo fermo che la "quantità" di socialità può essere una scelta, non solo l'esito di una difficoltà.
Ma perchè ha abbandonato gli altri due percorsi dopo soli 6 mesi?
Riguardo al "veder dietro", è estremamente difficile "interpretare bene": nella maggior parte dei casi sono proiezioni di propri modi di vedere, che con l'altro possono anche non aver nulla a che fare.
Non c'entra essere benevoli, ma guardare l'altro con curiosità, per capirlo un po' nel qui e ora (non nel "dietro"), questo può essere un punto di partenza.
Sempre tenendo fermo che la "quantità" di socialità può essere una scelta, non solo l'esito di una difficoltà.
[#5]
Caro ragazzo,
le espongo il mio pensiero da un punto di vista psicodinamico:
Lei " vede" gli altri comportarsi in un certo modo e non le piace.
Ecco, secondo il modello a cui faccio riferimento esistono dei "meccanismi di difesia dell'Io" inconsci.
E il suo "vedere" gli altri in un certo modo corrisponde al meccanismo della "proiezione".
Immagini di avere un proiettore immaginario in grado di portare fuori dalla Sua psiche i Suoi pensieri, i Suoi sentimenti, le Sue paure e di "rappresentale" come fossero gli altri ad agirle, a provarle.
Lei in buonissima fede non sa che si tratta di produzioni Sue ( sono meccanismi inconsci e se Lei ha effettuato una psicoterapia dinamica o analitica sa di cosa parlo) e pensa che appartengano agli altri. In realta'i problemi sono Suoi.
La invito pertanto a riprendere una psicoterapia, dinamica, considerato il tipo di disagi che esprime per cercare di modulare meglio la Sua socialita' depurandola di proiezioni negative per Lei.
I migliori saluti.
le espongo il mio pensiero da un punto di vista psicodinamico:
Lei " vede" gli altri comportarsi in un certo modo e non le piace.
Ecco, secondo il modello a cui faccio riferimento esistono dei "meccanismi di difesia dell'Io" inconsci.
E il suo "vedere" gli altri in un certo modo corrisponde al meccanismo della "proiezione".
Immagini di avere un proiettore immaginario in grado di portare fuori dalla Sua psiche i Suoi pensieri, i Suoi sentimenti, le Sue paure e di "rappresentale" come fossero gli altri ad agirle, a provarle.
Lei in buonissima fede non sa che si tratta di produzioni Sue ( sono meccanismi inconsci e se Lei ha effettuato una psicoterapia dinamica o analitica sa di cosa parlo) e pensa che appartengano agli altri. In realta'i problemi sono Suoi.
La invito pertanto a riprendere una psicoterapia, dinamica, considerato il tipo di disagi che esprime per cercare di modulare meglio la Sua socialita' depurandola di proiezioni negative per Lei.
I migliori saluti.
Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132
[#6]
Utente
lo scetticismo verso la terapia è nato dopo, e non per mancanza di utilità, ma vuoi per mio errore vuoi per mancanza di efficacia, oltre un certo periodo, 6 mesi, non vedevo miglioramenti visibili come nei mesi precedenti, e gli argomenti di discussione si erano drasticamente ridotti.
senza contare l'esborso economico.
la questione delle proiezioni mi è del tutto nuova ed è un ottimo spunto su cui lavorare, vi ringrazio!
senza contare l'esborso economico.
la questione delle proiezioni mi è del tutto nuova ed è un ottimo spunto su cui lavorare, vi ringrazio!
Questo consulto ha ricevuto 6 risposte e 2.5k visite dal 04/01/2016.
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