Forte disagio personale
Salve. Parto dal problema attuale, lo studio. Lunedì ho un esame, ma non sto studiando e non riesco, la "testa" rifiuta completamente di accettare informazioni dall'esterno. Ciò a cui penso di più ultimamente è la mia totale indifferenza ai problemi dei miei genitori e della mia famiglia. Circa due anni fa mio padre ha avuto un ictus e non ho per nulla sofferto, non mi toccava. Ho addirittura finto di piangere, ma quando ero da sola. Fingevo con me stessa. Successivamente però, mi sono "ammalata" di un disturbo alimentare. Credo che sia stato sempre presente nella mia vita, anche se in maniera meno palese rispetto a quando poi si è manifestato anche agli occhi dei miei familiari. Non e' "durato" molto. Circa un anno e mezzo, sfociando poi in un'improvvisa e autonoma ripresa. Ho praticato e pratico tutt'ora (se non sempre) l'autolesionismo, unico reale e consolatorio sfogo. Morsi, tagli, graffi, pugni nell'armadio per sbucciarmi le mani. Quando mio padre si è ammalato, vivevo ancora a casa con i miei. Ora vivo a milano, per studiare. E circa un mese fa mia madre si è ammalata di cancro. Ulteriore indifferenza anche a questo. Mia madre spesso sostiene che io non voglia bene nè a lei nè a mio padre. E a volte penso che non abbia tutti i torti. Vorrei avere più spazio per descrivere tutto nei dettagli, ho bisogno di un valido consiglio. Perchè l'autoanalisi che sto compiendo su me stessa da quando sono uscita dal dca, non basta. Non ho tutti gli strumenti necessari. Ma di una cosa sono , forse, sicura. Ho sviluppato una forte consapevolezza riguardo molti disagi che mi affliggono; nonostante ciò, mi accorgo che da sola non posso combatterli. Ho sofferto e soffro d'ansia. Ho avuto sempre problemi a camminare tra le persone. Non respiro, cerco di restare in apnea quanto più possibile. Non riesco più a camminare a testa alta. Le gambe diventano mattoni e spesso inciampo, come se ai piedi mancasse la sensibilità che gli permette di trovare il giusto appoggio a terra. Quando sono in metro o nei mezzi, accanto ad altre persone, trattengo il respiro piu' che posso. ho paura che sentano il mio respiro, che sia pesante, sporco. Adoro ascoltare la musica ad alto volume, ma ciò mi impedisce di capire se respiro troppo forte o meno, quindi spesso non indosso uno dei due auricolari. Quando devo uscire, mi faccio bella. Adoro truccarmi, mi rilassa. E credo che mi prepari ad affrontare il mondo esterno. Ma la cosa peggiora, sento gli sguardi su di me. Tutti. E non riesco più a camminare, respirare. La mia carineria diventa molesta, per me stessa. Perchè mi guardano. Ma non potrei mai uscire di casa senza essermi truccata, avrei il doppio dei timori. Sembra stupido lo so, ma non credo possa essere considerata stupida una cosa che fa soffrire. E ci soffro, sento che ci sono troppi interrogativi in sospeso nella mia vita, che ho ignorato. Dolori e traumi passati sott'occhio per insidiarsi nella parte incosciente della mia testa. Ho bisogno di risposte, di aiuto.
[#1]
Cara Signorina,
Penso che prima di qualunque risposta Lei debba farsi delle domande.
Cosa l'ha portata a doversi ribellare cosi' tanto a tutto? Anche a se' stessa tramite l'autolesionismo.
Si sente sola? Perché? Non ha amici? Affetti? Interessi? Che vita fa? La. Sua famiglia?
Prima di qualunque altra cosa occorre inquadrare il Suo contesto esistenziale.
Certamente un sostegno psicoterapeutico sarebbe indicato. Poi da questo primo approccio si seguira' la strada migliore.
I migliori saluti
Penso che prima di qualunque risposta Lei debba farsi delle domande.
Cosa l'ha portata a doversi ribellare cosi' tanto a tutto? Anche a se' stessa tramite l'autolesionismo.
Si sente sola? Perché? Non ha amici? Affetti? Interessi? Che vita fa? La. Sua famiglia?
Prima di qualunque altra cosa occorre inquadrare il Suo contesto esistenziale.
Certamente un sostegno psicoterapeutico sarebbe indicato. Poi da questo primo approccio si seguira' la strada migliore.
I migliori saluti
Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132
[#2]
Utente
Salve. Sì mi sento sola, perchè diversa. Non trovo pace al mio senso di diversità in nessun luogo, in nessun ambito, a partire da quello familiare. Non ho amici, ho smesso di avere rapporti di amicizia reciproca appena ho iniziato il liceo. Da lì non sono stata più in grado di legarmi in modo duraturo a qualcuno. Credo che lo stare da sola sia un sopperire al senso di frustratezza legato al mio essere diversa. Se non ho possibilità di confronto con altri, la mia diversità è meno marcata. Perchè non rapporto me stessa a qualcun altro, quindi non c'è evidenza delle differenze fra me e l'altra persona. Gli affetti a cui dovrei far riferimento sono la mia famiglia, mia sorella. Ma non li considero tali. Non sento l'affetto da parte loro. Anzi, loro me lo danno.. ma non nella forma adatta a me. Non lo accetto. Fingo di apprezzarlo. Ma vorrei ancora più distacco da loro. Perchè in ogni singolo componente della mia famiglia vedo qualcosa che mi appartiene e mi disturba. Ho ereditato da loro tratti somatici, stile di vita, educazione, abitudini. Nel momento in cui faccio qualcosa che riguarda me , la mia vita come singolo... mi sento sporca. Perchè tento di agire individualmente, per conto mio... ma sono in un corpo che di continuo mi ricorda mio padre, mia madre.. e sento il senso di forte vergogna. Vorrei spiegarle più nel dettaglio. Vorrei parlarle dei traumi d'infanzia che porto dentro di me ogni giorno (le molestie dei miei cugini , rimaste nascoste), dei traumi più recenti, del tanto e feroce male che mi sono fatta in un solo anno. Delle persone che ho allontanato. Delle azioni contradditorie rispetto alla mia personalità che ho compiuto e che mi fanno sentire viscida. Del mio forte e costante disagio nell'ambito sessuale. Del pensiero che il disturbo alimentare sia sempre lì , in agguato. Mi ricorda che è ancora lì. Spesso. Perchè non l'ho mai realmente affrontato. Della rabbia, forse, verso i miei genitori che lo hanno sempre sottovalutato perchè incapaci di affrontarlo. Di mia sorella, che crede di essermi stata vicino ma in realtà non l'ho mai e mai sentita davvero al mio fianco. Di lei, il mio stesso sangue, che mi uccide ogni giorno quando mangia poco, davanti a me. Quando dice che sta scoppiando e non ha neanche svuotato il piatto. Di lei, che è diventata uno stecchino. Di lei, che mi guarda mentre mangio e non sa che muoio dentro quando lo fa. Questo mi fa piangere. Sto piangendo, a dirotto. Perchè la odio. Ci ho pensato prima di pensarlo con coscienza. Ma è così. Ha sottovalutato il mio dolore. Come tutti. Ha un'amica che ha sofferto di anoressia ed è stata ricoverata in passato. Sono sicura che mia sorella dia per scontato il mio dolore perchè non sono giunta a livelli estremi di magrezza, perchè non sono stata ricoverata.Quanta terribile ignoranza dilaga su questo argomento. Ho iniziato il percorso di guarigione completamente da sola. Ho aperto io gli occhi ai miei genitori, a mia sorella, a tutta la famiglia. Ho fatto degli sforzi immani. Ne vado fiera. Ma ho sempre lottato da sola. E questo non lo dimentico. E' una ferita così profonda, dalla quale sgorgano amarezza, rancore, rabbia, tristezza. E questi sono i risultati di una lotta "fai da te", scarsi, precari, temporanei. E il tutto si è unito, ha preso forza per insidiarsi ancora di più nella mia testa. Perchè non è stato affrontato adeguatamente. Quando , spesso, dico a mia sorella che ho bisogno di un reale aiuto, mi dice : vai, se hai bisogno, vai.
Mai che mi abbia detto: possiamo cercarlo assieme un valido aiuto. Ti accompagno.
Questo mi è mancato. Sempre. Piccoli gesti, delle mani porte verso di me che davvero volessero tirarmi su. Non le ho mai viste. Nei momenti peggiori, in cui volevo strapparmi di dosso ogni singolo strato di pelle, ogni tratto della mia personalità, ero sola. Ecco perchè ho paura di star bene, ciò che di più mi ha fatto sentir viva, ciò che mi ricorda che sono umana, reale, carne, sangue, è il mio dolore. Sento che rispetto a prima si è affievolito, questo mi fa sentire una nullità. Le giornate sono uno sforzo di sopravvivenza. Fare cose semplici e normali è uno sforzo. Alzarmi, vestirmi, mangiare, parlare con le persone. Figuriamoci studiare. E adoro ciò che studio. Ma sono bloccata, inerme. Odio quando mi dicono di sforzarmi. Perchè non sanno cosa c'è in testa. Non sanno che è un continuo chiudere la bocca ad ogni singolo pensiero: spento uno, parte un altro, e un altro ancora. Fino alla crisi. E questo mi ricorda un periodo che forse fu di depressione, durante il picco del dca. Mi svegliavo e piangevo, piangevo mentre mi truccavo, mentre mi vestitvo, mentre preparavo la misera colazione da 70kcal, mentre mi abbuffavo in seguito. Uscivo per andare a scuola, tornavo a casa ed entravo nella mia camera blindata, buia, restando a dormire lì fino alle nove di sera.. evitare di mangiare, e tornare a letto, a piangere. Qualsiasi azione per me è aldilà delle facoltà psicofisiche che sento di possedere. La mia psicologa lo definì "uno stato di tristezza" più che depressione. Da lì ho capito che soltanto io e ciò che mi consuma e marcisce dentro sappiamo cosa provo. Da lì ho capito che chiunque avrebbe sminuito me e ciò che mi fa star male. E mi sono sentita soddisfatta , cosciente d'aver fatto la cosa giusta quando ho iniziato a tagliarmi. Perchè , in fondo, sapevo già che di me... solo a me poteva importare. E neanche.Lo ammetto, spesso ho tentato di riammalarmi, di ritornare alle abitudine del dca.. come ad esempio questa estate, da mia nonna. Ero dimagrita di nuovo, mangiavo poco, ed erano tornati i vecchi pensieri. Ma non bastavano. Perchè ormai li conoscevo, non erano piu' cosa nuova per me. Ci ho riprovato un mese fa. Ma non ho più la stessa resistenza di prima. Dopo un giorno vado in totale crisi e ricomincio a mangiare. Forse perchè il mio cervello ricorda queste sensazioni, cerca di allontanarle. Ed è quello il momento in cui penso: sono guarita, perchè non riesco più a praticare le vecchie abitudini. Ma se sono guarita, perchè allora ci riprovo e riprovo? Ho un esame lunedì. Mi dica, sinceramente e se ha il coraggio, di concentrarmi e studiare. Me lo dica. Tutto questo che ho scritto vorrei dirlo a coloro che affermano "metti i pensieri da parte e concentrati". Come posso fare?Non posso. Sono in una scatola aperta, accovacciata sulla superficie al centro... Imponenti e violente iniziano ad alzarsi le pareti attorno a me... davanti (l'incertezza sul mio futuro, sulla mia completezza d'essere), dietro (il passato che mi tormenta), a sinistra (il mondo dei miei pensieri, delle voci silenziose nella testa), a destra (le persone che mi circondano e che temo), su... (la testa, che pesa, mi schiaccia). Ho paura di tornare a casa e dire a mia madre e mio padre che l'esame è andato bene. vedere le loro facce, stracolme del senso di delusione che ho coltivato in loro sin dall'inizio delle scuole superiori. In realtà non li ho mai resi fieri di me. Si sono sforzati di darmi ciò che volevo quando in realtà non lo meritavo. La droga, l'alcool, gli episodi sul mio conto, i voti a scuola, i tagli sulle braccia, il dca. Una delusione continua. Su tutto. ... Scusi se mi sono dilungata. Per quanto riguarda lo psicoterapeuta, vorrei delle indicazioni su come registrarmi in un asl per usufruire del consultorio(MI). Non posso permettermi uno specialista in studio.
grazie, a presto.
Mai che mi abbia detto: possiamo cercarlo assieme un valido aiuto. Ti accompagno.
Questo mi è mancato. Sempre. Piccoli gesti, delle mani porte verso di me che davvero volessero tirarmi su. Non le ho mai viste. Nei momenti peggiori, in cui volevo strapparmi di dosso ogni singolo strato di pelle, ogni tratto della mia personalità, ero sola. Ecco perchè ho paura di star bene, ciò che di più mi ha fatto sentir viva, ciò che mi ricorda che sono umana, reale, carne, sangue, è il mio dolore. Sento che rispetto a prima si è affievolito, questo mi fa sentire una nullità. Le giornate sono uno sforzo di sopravvivenza. Fare cose semplici e normali è uno sforzo. Alzarmi, vestirmi, mangiare, parlare con le persone. Figuriamoci studiare. E adoro ciò che studio. Ma sono bloccata, inerme. Odio quando mi dicono di sforzarmi. Perchè non sanno cosa c'è in testa. Non sanno che è un continuo chiudere la bocca ad ogni singolo pensiero: spento uno, parte un altro, e un altro ancora. Fino alla crisi. E questo mi ricorda un periodo che forse fu di depressione, durante il picco del dca. Mi svegliavo e piangevo, piangevo mentre mi truccavo, mentre mi vestitvo, mentre preparavo la misera colazione da 70kcal, mentre mi abbuffavo in seguito. Uscivo per andare a scuola, tornavo a casa ed entravo nella mia camera blindata, buia, restando a dormire lì fino alle nove di sera.. evitare di mangiare, e tornare a letto, a piangere. Qualsiasi azione per me è aldilà delle facoltà psicofisiche che sento di possedere. La mia psicologa lo definì "uno stato di tristezza" più che depressione. Da lì ho capito che soltanto io e ciò che mi consuma e marcisce dentro sappiamo cosa provo. Da lì ho capito che chiunque avrebbe sminuito me e ciò che mi fa star male. E mi sono sentita soddisfatta , cosciente d'aver fatto la cosa giusta quando ho iniziato a tagliarmi. Perchè , in fondo, sapevo già che di me... solo a me poteva importare. E neanche.Lo ammetto, spesso ho tentato di riammalarmi, di ritornare alle abitudine del dca.. come ad esempio questa estate, da mia nonna. Ero dimagrita di nuovo, mangiavo poco, ed erano tornati i vecchi pensieri. Ma non bastavano. Perchè ormai li conoscevo, non erano piu' cosa nuova per me. Ci ho riprovato un mese fa. Ma non ho più la stessa resistenza di prima. Dopo un giorno vado in totale crisi e ricomincio a mangiare. Forse perchè il mio cervello ricorda queste sensazioni, cerca di allontanarle. Ed è quello il momento in cui penso: sono guarita, perchè non riesco più a praticare le vecchie abitudini. Ma se sono guarita, perchè allora ci riprovo e riprovo? Ho un esame lunedì. Mi dica, sinceramente e se ha il coraggio, di concentrarmi e studiare. Me lo dica. Tutto questo che ho scritto vorrei dirlo a coloro che affermano "metti i pensieri da parte e concentrati". Come posso fare?Non posso. Sono in una scatola aperta, accovacciata sulla superficie al centro... Imponenti e violente iniziano ad alzarsi le pareti attorno a me... davanti (l'incertezza sul mio futuro, sulla mia completezza d'essere), dietro (il passato che mi tormenta), a sinistra (il mondo dei miei pensieri, delle voci silenziose nella testa), a destra (le persone che mi circondano e che temo), su... (la testa, che pesa, mi schiaccia). Ho paura di tornare a casa e dire a mia madre e mio padre che l'esame è andato bene. vedere le loro facce, stracolme del senso di delusione che ho coltivato in loro sin dall'inizio delle scuole superiori. In realtà non li ho mai resi fieri di me. Si sono sforzati di darmi ciò che volevo quando in realtà non lo meritavo. La droga, l'alcool, gli episodi sul mio conto, i voti a scuola, i tagli sulle braccia, il dca. Una delusione continua. Su tutto. ... Scusi se mi sono dilungata. Per quanto riguarda lo psicoterapeuta, vorrei delle indicazioni su come registrarmi in un asl per usufruire del consultorio(MI). Non posso permettermi uno specialista in studio.
grazie, a presto.
[#4]
Cara ragazza,
Mi sono resa conto dal Suo commento che Lei avrebbe desiderato ricevere in questa sede on line una risposta ai temi che ha esposto.
Purtroppo una risposta esaustiva non puo' essere data in questa sede. Ma solo in un contesto adeguato. Dopo avere analizzato le cause profonde dei Suoi disagi.
Il mio approccio psicodinamico mi porterebbe a consigliarLe di ricorrere ad una psicoterapia del profondo perche' il rapporto con il proprio corpo e i genitori e' profondissimo. Per sfiorarlo occorre risalire alle prime fasi della vita, se si e' stati desiderati, amati. Se il corpo della madre rappresentava l'accoglimento e l'amore o no.
Quindi occorre impegno da parte Sua. E accettazione dei costi materiali e emozionali per adempiere a tale impegno.
Il non volere accettare i costi forse indica il non volere accettare l'impegno.
Spero di essere stata molto piu' chiara ora è di averLe dato spunti di riflessione sufficienti.
Le porgo i migliori saluti e auguri.
Mi sono resa conto dal Suo commento che Lei avrebbe desiderato ricevere in questa sede on line una risposta ai temi che ha esposto.
Purtroppo una risposta esaustiva non puo' essere data in questa sede. Ma solo in un contesto adeguato. Dopo avere analizzato le cause profonde dei Suoi disagi.
Il mio approccio psicodinamico mi porterebbe a consigliarLe di ricorrere ad una psicoterapia del profondo perche' il rapporto con il proprio corpo e i genitori e' profondissimo. Per sfiorarlo occorre risalire alle prime fasi della vita, se si e' stati desiderati, amati. Se il corpo della madre rappresentava l'accoglimento e l'amore o no.
Quindi occorre impegno da parte Sua. E accettazione dei costi materiali e emozionali per adempiere a tale impegno.
Il non volere accettare i costi forse indica il non volere accettare l'impegno.
Spero di essere stata molto piu' chiara ora è di averLe dato spunti di riflessione sufficienti.
Le porgo i migliori saluti e auguri.
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 2.2k visite dal 18/12/2015.
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