Sono diventata asociale

Sono una donna di 50 anni, sono sposata e ho una figlia ventunenne. Con mio marito vado d'accordo e mia figlia è una bravissima ragazza che mi dà molte soddisfazioni.
Ho ancora i genitori e due fratelli a cui sono legatissima.
Sono impiegata in un Ente pubblico e il lavoro che faccio mi piace abbastanza.

Ho notato che mi sto chiudendo sempre più in me stessa… in sostanza sto diventando sempre più asociale e scostante.

Le persone mi annoiano, trovo sempre più difficile sopportare e sostenere una normale conversazione: chiacchierare del più e del meno mi costa una fatica enorme e spesso non reggo lo sforzo di fingermi partecipe a dialoghi con gente e su temi verso cui non nutro alcun interesse, e mi allontano, o non partecipo proprio.
Non so se dipenda dal fatto che le uniche persone con cui posso confrontarmi sono i miei colleghi di lavoro, individui minuscoli e superficiali, maligni e insinceri, con cui sento di non avere nulla in comune, i cui discorsi sono per me di una noia e di una banalità sconfortanti. Sono giunta alla conclusione che preferisco rimanere nella mia stanza da sola piuttosto che far finta di interessarmi di loro e la mia indifferenza è tale che mi dimentico all’istante di quello che raccontano e confondo le loro storie insulse di cui non mi importa assolutamente niente.

Mi sento schizofrenica perché rimango sgomenta quando considero la solitudine della mia vita (non ho amici e in pratica a parte i familiari non frequento nessuno) eppure le rarissime volte che mi telefona qualche conoscente la mia prima reazione è “oddio, che barba!” e l’istinto mi farebbe ignorare la chiamata.
In certi momenti mi impongo di contattare qualcuno, di simulare con una telefonata o un messaggio un interesse e una sollecitudine che non provo affatto, ma che ritengo doverosi per avere il minimo fisiologico di legami interpersonali. Ovviamente però la gente ricambia il mio disinteresse e la mia indifferenza, e i miei tentativi di relazione non ottengono mai riscontro.

Cosa c’è di sbagliato in me? Se è vero che siamo animali sociali, come mai io invece sono così solitaria e scontrosa?
La solitudine non mi pesa, anzi sto molto meglio da sola che in compagnia. Però penso che sia sbagliato essere così chiusi e introversi, e innaturale rifuggire i rapporti sociali e le occasioni di stare insieme agli altri.

Pensate che dovrei fare qualcosa, parlare con qualcuno?
Grazie.
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Dr. Gianluigi Basile Psicologo, Psicoterapeuta 104 2
Gentile Utente,
Credo che per prima cosa potrebbe parlarne con una persona che sente molto vicina, di cui si fida, con suo marito ad esempio. Condividere questa sensazione di chiusura e disinteresse verso il mondo può già essere utile.
Mi chiedo poi se in passato ha mai avuto questo tipo di sensazioni o se pur avendole, era semplicemente più "combattiva" nel respingerle intrecciando relazioni di cui in realtà le importava poco.
Ha ragione quando dice che i comportamenti e le condotte di chiusura non sono positive per l'individuo, e aggiungo che spesso segnalano la presenza di una difficoltà e di un malessere, la cui genesi risulta ancora poco chiara o confusa.
Nel caso queste difficoltà, anche dopo averle affrontate con le persone che le stanno accanto, dovessero permanere, le sarebbe utile chiedere una consulenza psicologica ad un professionista che le sappia indicare come affrontare questo momento particolare.
Resto in ascolto

Dr. Gianluigi Basile - Psicologo - Roma
Specialista in Psicoterapia Psicodinamica Integrata
www.psicologobasile.it

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Utente
Utente
Grazie dott. Basile.

Di questa mia condizione parlo sia con mio marito che con un amico carissimo, che non frequento per motivi di distanza ma con cui ho una grande confidenza (ci sentiamo telefonicamente quasi ogni giorno).
Entrambi i miei "interlocutori" mi capiscono appieno perchè mi assomigliano: sia mio marito che il mio amico sono persone abbastanza riservate che rifuggono dai rapporti finti tenuti in piedi solo per convenienza.

Sono stata una bambina solitaria, che preferiva trascorrere lunghi pomeriggi a leggere o fare passeggiate o corse in bicicletta da sola piuttosto che giocare con i coetanei.
Io ero molto felice ma i miei genitori si sentivano inquieti per questa mia tendenza alla solitudine e hanno tentato in ogni modo di "guarirmi", imponendomi occasioni sociali come uscite con gli scout, campi scuola, animazione in parrocchia, ecc.
Ubbidivo e mi adeguavo, ma avrei tanto preferito evitare queste situazioni.

Da adolescente sono cambiata: a rimorchio di mio fratello sono entrata in svariati gruppi e comitive dove poi riuscivo a ritagliarmi un mio spazio. Ho sviluppato molti interessi, mi sono fatta diversi amici e ho avuto anche parecchi flirt.

Ho continuato ad essere normalmente "socievole" per gran parte della mia vita adulta, pur abitando per motivi di lavoro da 23 anni in una città (che non è quella indicata nel profilo) ostile e repulsiva, dove è molto difficile fare amicizia.

La mia "nuova" asocialità si è sviluppata negli ultimi cinque o sei anni ed è andata crescendo in maniera allarmante.
Per fare un esempio, tra poco compio 50 anni e ho il terrore di questo momento perchè immagino di dover festeggiare coinvolgendo qualcuno che non siano i miei familiari, mentre in realtà piuttosto mi taglierei un braccio (è un modo di dire).
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Dr. Gianluigi Basile Psicologo, Psicoterapeuta 104 2
"sia mio marito che il mio amico sono persone abbastanza riservate che rifuggono dai rapporti finti tenuti in piedi solo per convenienza."
I rapporti sociali possono avere un diverso grado di profondità a seconda delle persone coinvolte. Non è detto che un rapporto in cui c'è poca conoscenza o solo superficiale sia finto, ma forse è solo poco approfondito e può anche rimanere tale. Sono anche le nostre aspettative sulle persone che modificano i giudizi che abbiamo di loro.
Credo comunque che sia difficile poterle dare l'aiuto che cerca con una consulenza online.
Chiedere un consulto ad un professionista può esserle utile per dissipare i dubbi che può avere su quanto questa sua asocialità può essere dannosa per lei ed eventualmente aiutarla a ricalibrare i suoi rapporti con l'esterno.
Resto in ascolto.