Terapia "pro bono"
Gentili psicologi,
Volevo porvi una domanda: c'è differenza nel legame tra paziente e terapeuta quando non si pagano le sedute rispetto a quando si pagano?
So bene che valore abbia il pagare le sedute ma se un terapeuta per una serie di motivazioni decide di non farsi pagare,è un problema per il rapporto terapeutico?
Grazie.
Volevo porvi una domanda: c'è differenza nel legame tra paziente e terapeuta quando non si pagano le sedute rispetto a quando si pagano?
So bene che valore abbia il pagare le sedute ma se un terapeuta per una serie di motivazioni decide di non farsi pagare,è un problema per il rapporto terapeutico?
Grazie.
[#1]
Come mai ci pone questa domanda? Riguarda lei personalmente e se ha iniziato il percorso com'è il rapporto con il suo curante?
<a se un terapeuta per una serie di motivazioni decide di non farsi pagare,è un problema per il rapporto terapeutico?> Cioè ci potrebbe dire per quali motivazioni ?
<a se un terapeuta per una serie di motivazioni decide di non farsi pagare,è un problema per il rapporto terapeutico?> Cioè ci potrebbe dire per quali motivazioni ?
Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it
[#2]
Cara ragazza,
Purtroppo l'azione di "prendersi cura" di qualcun puo' attivare tante fantasie negative.
Puo' accadere che l' accudito dubiti della "sincerita`" dell'accudente.
Si senta "invaso" per tanti motivi ipotetici e fantastici. Specialmente se i contenuti non sono rispondenti ai suoi desideri.
Il pagamento invece impedisce tutto cio', il terapeuta opera "per il paziente" come qualsiasi professionista fa. Tanto che in alcuni modelli il "paziente" viene denominato "cliente".
Spero che questo principio l'abbia tranquillizzata!
I migliori saluti.
Purtroppo l'azione di "prendersi cura" di qualcun puo' attivare tante fantasie negative.
Puo' accadere che l' accudito dubiti della "sincerita`" dell'accudente.
Si senta "invaso" per tanti motivi ipotetici e fantastici. Specialmente se i contenuti non sono rispondenti ai suoi desideri.
Il pagamento invece impedisce tutto cio', il terapeuta opera "per il paziente" come qualsiasi professionista fa. Tanto che in alcuni modelli il "paziente" viene denominato "cliente".
Spero che questo principio l'abbia tranquillizzata!
I migliori saluti.
Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132
[#3]
Utente
Gentile dott.ssa Rinella, pongo questa domanda per "curiosità" in quanto sono in cura con un terapeuta da qualche tempo però fin dall'inizio non ha voluto che pagassi nulla.
Le motivazione sarebbero un pó lunghe da scrivere però diciamo che sono arrivata in studio per via di un suo superiore nonché mio parente e credo che questo sia l'unico motivo. Il rapporto ha alti e bassi e non nego che alle volte io mi senta un pó in difficoltà nel chiedere "qualcosa" in più. (Vederci una volta in più , ad esempio.. O anche chiamarlo nei momenti di panico che non riesco a gestire. Son tutte cose che non faccio perché mi sento di troppo.)
Ecco perché mi chiedevo se fosse diverso il rapporto paziente / terapeuta in caso di pagamento delle sedute.
Le motivazione sarebbero un pó lunghe da scrivere però diciamo che sono arrivata in studio per via di un suo superiore nonché mio parente e credo che questo sia l'unico motivo. Il rapporto ha alti e bassi e non nego che alle volte io mi senta un pó in difficoltà nel chiedere "qualcosa" in più. (Vederci una volta in più , ad esempio.. O anche chiamarlo nei momenti di panico che non riesco a gestire. Son tutte cose che non faccio perché mi sento di troppo.)
Ecco perché mi chiedevo se fosse diverso il rapporto paziente / terapeuta in caso di pagamento delle sedute.
[#4]
Ora è più chiaro.
Dovrebbe parlare con il suo curante delle sue perplessità e del suo sentire, è importante per fare il punto della situazione e decidere il da farsi.
< Il rapporto ha alti e bassi e non nego che alle volte io mi senta un pó in difficoltà nel chiedere "qualcosa" in più.>
Sembrerebbe che le premesse su cui si è basato l'invio stiano in qualche modo alla base di determinati suoi vissuti, sue sensazioni di essere di troppo per il terapeuta e che appunto sembrano riverberarsi sulla relazione terapeutica.
Davvero importante da discutere con il suo curante e non solo qui.
Da quanto tempo è seguita e per cosa, ha ottenuto qualche beneficio finora?
Dovrebbe parlare con il suo curante delle sue perplessità e del suo sentire, è importante per fare il punto della situazione e decidere il da farsi.
< Il rapporto ha alti e bassi e non nego che alle volte io mi senta un pó in difficoltà nel chiedere "qualcosa" in più.>
Sembrerebbe che le premesse su cui si è basato l'invio stiano in qualche modo alla base di determinati suoi vissuti, sue sensazioni di essere di troppo per il terapeuta e che appunto sembrano riverberarsi sulla relazione terapeutica.
Davvero importante da discutere con il suo curante e non solo qui.
Da quanto tempo è seguita e per cosa, ha ottenuto qualche beneficio finora?
[#5]
Salve, Il suo discorso è molto importante e complesso. Solleva una tematica delicata sia in riferimento al pagamento sia in relazione a situazioni che potrebbero costituire un vincolo per il paziente e per il terapeuta, come ad esempio la presenza del suo parente, che è un superiore del suo terapeuta.
Lei ha sottolineato un aspetto davvero prezioso ed è stata capace di riflettere su certe dinamiche relazionali che possono costituire un vincolo all'interno della terapia.
A volte questi vincoli capitano. Possono riguardare sia il paziente sia il terapeuta. L'importante è riconoscerli e gestirli.
Quindi è fondamentale discuterne e, insieme, avere l'occasione di trovare la necessaria libertà di incontrarvi.
Le sue parole mi fanno pensare che la gratitudine, causata dalla gratuità della terapia, possa essere molto più scomoda di quanto non si pensi. E diventare paradossalmente controproducente e ingiusta per il paziente. Come dire, pagare è un suo dovere, ma anche un suo diritto.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
Lei ha sottolineato un aspetto davvero prezioso ed è stata capace di riflettere su certe dinamiche relazionali che possono costituire un vincolo all'interno della terapia.
A volte questi vincoli capitano. Possono riguardare sia il paziente sia il terapeuta. L'importante è riconoscerli e gestirli.
Quindi è fondamentale discuterne e, insieme, avere l'occasione di trovare la necessaria libertà di incontrarvi.
Le sue parole mi fanno pensare che la gratitudine, causata dalla gratuità della terapia, possa essere molto più scomoda di quanto non si pensi. E diventare paradossalmente controproducente e ingiusta per il paziente. Come dire, pagare è un suo dovere, ma anche un suo diritto.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#6]
Utente
Dott.ssa Rinella sono in cura da oltre un anno per un problema di conversione.
Miglioramenti ce ne sono stati anche facendo conto che non ho mai associato nessuna cura farmacologica. Certo non sono eclatanti nel senso che non sprizzo gioia da tutti i pori,ne esco sempre però sicuramente un pó meglio rispetto all'inizio sto.
Parlarne con il terapeuta di questo argomento, mi risulta un pó difficile.. Cosa dovrei dirgli? In più mi sono sempre chiesta: ma voi ,ogni tanto, siete "tenuti" a dire come sta andando il percorso,quali difficoltà il paziente sta trovando?
Al dott.De Sanctis mi sento di dire che ha centrato in pieno l'argomento ovvero che il non pagare,alle volte,mi crea delle difficoltà proprio di approccio nei confronti del terapeuta.
La cosa che non capisco è il perché non se ne sia mai tanto parlato di questo e si faccia quasi finta di niente. Certo,chiunque al mio posto direbbe: ma sei pazza? Non paghi e ti lamenti pure? Ma per come sono fatta io,mi sento quasi in difetto. Con questo non voglio dire che il nostro sia un rapporto disastroso,assolutamente no,sennò sarei già andata via.. Però diciamo che mi limita in alcune azioni.(se così possiamo dire)
Mi chiedevo: il vincolo per il terapeuta quale sarebbe?
Aggiungo,in ultimo,che mi capita (anche se raramente) di aver quasi paura di essere "lasciata a me stessa" (dal terapeuta intendo).
Grazie mille.
Miglioramenti ce ne sono stati anche facendo conto che non ho mai associato nessuna cura farmacologica. Certo non sono eclatanti nel senso che non sprizzo gioia da tutti i pori,ne esco sempre però sicuramente un pó meglio rispetto all'inizio sto.
Parlarne con il terapeuta di questo argomento, mi risulta un pó difficile.. Cosa dovrei dirgli? In più mi sono sempre chiesta: ma voi ,ogni tanto, siete "tenuti" a dire come sta andando il percorso,quali difficoltà il paziente sta trovando?
Al dott.De Sanctis mi sento di dire che ha centrato in pieno l'argomento ovvero che il non pagare,alle volte,mi crea delle difficoltà proprio di approccio nei confronti del terapeuta.
La cosa che non capisco è il perché non se ne sia mai tanto parlato di questo e si faccia quasi finta di niente. Certo,chiunque al mio posto direbbe: ma sei pazza? Non paghi e ti lamenti pure? Ma per come sono fatta io,mi sento quasi in difetto. Con questo non voglio dire che il nostro sia un rapporto disastroso,assolutamente no,sennò sarei già andata via.. Però diciamo che mi limita in alcune azioni.(se così possiamo dire)
Mi chiedevo: il vincolo per il terapeuta quale sarebbe?
Aggiungo,in ultimo,che mi capita (anche se raramente) di aver quasi paura di essere "lasciata a me stessa" (dal terapeuta intendo).
Grazie mille.
[#7]
Credo che abbiate un'occasione preziosa per aprire un discorso articolato che riguarda la vostra relazione terapeutica.
Anche noi terapeuti abbiamo i nostri vissuti, l'importante è tenerli in considerazione e, come lei dice in modo emblematico, affrontarli apertamente, senza fare finta di niente.
Per noi, almeno secondo il mio orientamento teorico, l'occasione di rifletterci può arrivare anche dal paziente.
In questa sede, per rispondere alla sua domanda relativa al vincolo del terapeuta, mi sembrava suggerire che il suo parente potesse rappresentare uno di questi vincoli circa il discorso pagamento. Non so dirle se si tratta di questo, la cosa più importante ora è che lei possa aprire questo discorso, parlando dei suoi vissuti e anche domandando a lui le ragioni della sua scelta.
Solo in questo modo potrà fare luce su questa situazione.
Quando dice di "essere lasciata a se stessa", anche questo vissuto merita molta attenzione e apre numerosi interrogativi legati alla sua vita in generale. Non ci conosciamo, ma mi chiedo se questo sentimento abbia una coerenza con il suo sentirsi "in difetto", come se non si autorizzasse a esserci.
Forse l'assenza del pagamento amplifica il suo stato d'animo, non facendole sentire lo spazio della seduta completamente suo.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Anche noi terapeuti abbiamo i nostri vissuti, l'importante è tenerli in considerazione e, come lei dice in modo emblematico, affrontarli apertamente, senza fare finta di niente.
Per noi, almeno secondo il mio orientamento teorico, l'occasione di rifletterci può arrivare anche dal paziente.
In questa sede, per rispondere alla sua domanda relativa al vincolo del terapeuta, mi sembrava suggerire che il suo parente potesse rappresentare uno di questi vincoli circa il discorso pagamento. Non so dirle se si tratta di questo, la cosa più importante ora è che lei possa aprire questo discorso, parlando dei suoi vissuti e anche domandando a lui le ragioni della sua scelta.
Solo in questo modo potrà fare luce su questa situazione.
Quando dice di "essere lasciata a se stessa", anche questo vissuto merita molta attenzione e apre numerosi interrogativi legati alla sua vita in generale. Non ci conosciamo, ma mi chiedo se questo sentimento abbia una coerenza con il suo sentirsi "in difetto", come se non si autorizzasse a esserci.
Forse l'assenza del pagamento amplifica il suo stato d'animo, non facendole sentire lo spazio della seduta completamente suo.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#8]
Utente
Gentile dott. De Santics , mi sorprende come sia arrivato a capire alcune cose di me solo con uno scambio di pensieri online. Ebbene,è così.
In tutte le relazioni davvero importanti della mia vita,a partire ovviamente dai miei genitori,ho scoperto grazie alla terapia di aver provato/provare questo senso di inadeguatezza,di abbandono o non saprei come altro chiamarlo ed è la stessa emozione che mi suscita il rapporto terapeutico sopratutto in questo periodo. Riflettendo su quanto lei dice,è molto probabile che il non pagare e quindi il non sentirmi "pienamente accettata e libera di gestire il mio spazio",vada ad amplificare questo mio status. Le dico questo perché proprio recentemente è successo che il terapeuta ha dovuto farmi saltare due incontri senza però fissarmi da subito un nuovo appuntamento e io l'ho vissuta male ma non perchè ciò non possa accadere ma perché l'attendere mi spaventava,avevo timore che sparisse.( ovviamente prenda queste cose che scrivo con le pinze perchè non le so spiegare bene a parole i vissuti che ho provato).
Per quanto riguarda i vincoli del terapeuta in riferimento al suo superiore,credo che sia così cioè che sia l'unico motivo per il quale non abbia voluto farmi pagare. Ripeto però che non essendoci mai stato un vero discorso su questo argomento,non le saprei dire di più di questo.
Come dicevo anche alla sua collega,mi sentirei un pó strana ad affrontare in seduta tutto questo:un conto è online,un conto è "face to face".
Secondo lei, se scrivo tutti questi miei pensieri su un foglio e lo do al terapeuta, vale lo stesso?
Grazie ancora.
In tutte le relazioni davvero importanti della mia vita,a partire ovviamente dai miei genitori,ho scoperto grazie alla terapia di aver provato/provare questo senso di inadeguatezza,di abbandono o non saprei come altro chiamarlo ed è la stessa emozione che mi suscita il rapporto terapeutico sopratutto in questo periodo. Riflettendo su quanto lei dice,è molto probabile che il non pagare e quindi il non sentirmi "pienamente accettata e libera di gestire il mio spazio",vada ad amplificare questo mio status. Le dico questo perché proprio recentemente è successo che il terapeuta ha dovuto farmi saltare due incontri senza però fissarmi da subito un nuovo appuntamento e io l'ho vissuta male ma non perchè ciò non possa accadere ma perché l'attendere mi spaventava,avevo timore che sparisse.( ovviamente prenda queste cose che scrivo con le pinze perchè non le so spiegare bene a parole i vissuti che ho provato).
Per quanto riguarda i vincoli del terapeuta in riferimento al suo superiore,credo che sia così cioè che sia l'unico motivo per il quale non abbia voluto farmi pagare. Ripeto però che non essendoci mai stato un vero discorso su questo argomento,non le saprei dire di più di questo.
Come dicevo anche alla sua collega,mi sentirei un pó strana ad affrontare in seduta tutto questo:un conto è online,un conto è "face to face".
Secondo lei, se scrivo tutti questi miei pensieri su un foglio e lo do al terapeuta, vale lo stesso?
Grazie ancora.
[#9]
Vale certo, è il suo modo di parlargli di questo aspetto molto importante, la cui comunicazione la fa sentire "strana". Anche questa sensazione è preziosa, questa forma di pudore che vive ha un valore non di poco conto.
Quando scrive che "recentemente è successo che il terapeuta ha dovuto farmi saltare due incontri senza però fissarmi da subito un nuovo appuntamento e io l'ho vissuta male ma non perchè ciò non possa accadere ma perché l'attendere mi spaventava,avevo timore che sparisse.( ovviamente prenda queste cose che scrivo con le pinze perchè non le so spiegare bene a parole i vissuti che ho provato)", fa un'affermazione molto chiara e comprensibile.
L'appuntamento non concordato e l'attesa possono suscitare un senso di incertezza e di perdita, soprattutto se fanno parte della nostra esperienza più profonda, come sembra dirci quando parla di un senso di abbandono come di uno stato d'animo che la riguarda da vicino.
Chissà se anche in questo caso si è chiesta se le cose sarebbero andate diversamente pagando la terapia, e se sarebbe stata maggiormente rassicurata.
Dal mio punto di vista, tutti questi vissuti emotivi di cui stiamo parlando, sono parte cruciale del lavoro ed è fondamentale che emergano. Nel tempo, devono essere affrontati apertamente.
Ci tengo infine a sottolineare che la sua affermazione sulla paura dell'attesa e sul timore della perdita indica che la psicoterapia è una relazione.
Questo è un punto molto caro alla ricerca psicoanalitica. Ed è proprio così come lei ci mostra, lo ha spiegato benissimo.
E poiché lei è una persona che sta svolgendo una terapia, il suo punto di vista conta più di qualsiasi teoria, poiché è di lei e del vivo dell'esperienza che parliamo.
Un grazie per la sua testimonianza e per questo nostro scambio,
Enrico de Sanctis
Quando scrive che "recentemente è successo che il terapeuta ha dovuto farmi saltare due incontri senza però fissarmi da subito un nuovo appuntamento e io l'ho vissuta male ma non perchè ciò non possa accadere ma perché l'attendere mi spaventava,avevo timore che sparisse.( ovviamente prenda queste cose che scrivo con le pinze perchè non le so spiegare bene a parole i vissuti che ho provato)", fa un'affermazione molto chiara e comprensibile.
L'appuntamento non concordato e l'attesa possono suscitare un senso di incertezza e di perdita, soprattutto se fanno parte della nostra esperienza più profonda, come sembra dirci quando parla di un senso di abbandono come di uno stato d'animo che la riguarda da vicino.
Chissà se anche in questo caso si è chiesta se le cose sarebbero andate diversamente pagando la terapia, e se sarebbe stata maggiormente rassicurata.
Dal mio punto di vista, tutti questi vissuti emotivi di cui stiamo parlando, sono parte cruciale del lavoro ed è fondamentale che emergano. Nel tempo, devono essere affrontati apertamente.
Ci tengo infine a sottolineare che la sua affermazione sulla paura dell'attesa e sul timore della perdita indica che la psicoterapia è una relazione.
Questo è un punto molto caro alla ricerca psicoanalitica. Ed è proprio così come lei ci mostra, lo ha spiegato benissimo.
E poiché lei è una persona che sta svolgendo una terapia, il suo punto di vista conta più di qualsiasi teoria, poiché è di lei e del vivo dell'esperienza che parliamo.
Un grazie per la sua testimonianza e per questo nostro scambio,
Enrico de Sanctis
[#10]
Utente
Il bello di questi siti è che riescono a farti dire cose che invece nella realtà con grande difficoltà riusciresti a dire al tuo terapeuta.
Alle volte noi pazienti pensiamo che alcune cose siano inutili da dire e invece non è sempre così.
Grazie ancora a lei e ai suoi colleghi per questo bel servizio che offrite che , se usato bene, a mio parere, può dare un grande aiuto a tutti i pazienti un po' timorosi e a chi si trova in difficoltà e ancora non sa come uscirne.
Buona domenica di tutti i Santi a voi.
Cordiali saluti.
Alle volte noi pazienti pensiamo che alcune cose siano inutili da dire e invece non è sempre così.
Grazie ancora a lei e ai suoi colleghi per questo bel servizio che offrite che , se usato bene, a mio parere, può dare un grande aiuto a tutti i pazienti un po' timorosi e a chi si trova in difficoltà e ancora non sa come uscirne.
Buona domenica di tutti i Santi a voi.
Cordiali saluti.
[#11]
Utente
Gentile dott. De Sanctis, approfitto della sua disponibilità per farle un'ultima domanda: ho letto su vari forum,anche qui,le varie differenze tra i diversi tipi di analisi però vorrei capirci meglio.
Ad esempio, che differenze c'è tra il tipo di analisi che faccio io (la psicodinamica) e la cognitivo-comportamentale o altre affini?
Pur rimanendo della mia idea che non sia tanto l'orientamento importante quanto la bravura del terapeuta,mi sono sempre chiesta come mai "la gente" fosse molto più interessata,se così possiam dire,a queste forme nuove d'analisi. (Per nuove intendo dire che sono lontane nel metodo o nel l'approccio da quella che era la classica psicanalisi di Freud).
Ad esempio, che differenze c'è tra il tipo di analisi che faccio io (la psicodinamica) e la cognitivo-comportamentale o altre affini?
Pur rimanendo della mia idea che non sia tanto l'orientamento importante quanto la bravura del terapeuta,mi sono sempre chiesta come mai "la gente" fosse molto più interessata,se così possiam dire,a queste forme nuove d'analisi. (Per nuove intendo dire che sono lontane nel metodo o nel l'approccio da quella che era la classica psicanalisi di Freud).
[#12]
Fa una domanda bella, non è semplice rispondere in modo sintetico. Provo a dirle solo alcune idee, per quanto parziali.
Le psicoterapie psicodinamiche in linea generale sono analitiche, ma non necessariamente classiche e ortodosse. Ci sono diversi filoni psicoanalitici che si sono sviluppati a partire da quello freudiano. Tra questi anche il mio. Posso più facilmente parlarle del mio orientamento teorico, non essendo strettamente competente degli altri.
Nel mio orientamento teorico, ciò che viviamo ha un senso ed è importante comprenderlo dal punto di vista riflessivo ed emotivo. Un malessere personale, che merita il massimo rispetto, viene gestito cercando di capire come mai accade. Non si tratta di eliminare un sintomo, ma di aprire un profondo discorso sulla persona nella sua interezza, attraverso il suo presente e il suo passato.
Senz'altro capire non basta, è necessario fare una nuova esperienza di sé. In questo senso la stanza analitica è un laboratorio, in cui emergono dinamiche relazionali, che possono riguardare anche paziente e terapeuta e sono un'occasione per il lavoro terapeutico. E questo ce lo ha spiegato lei benissimo, non con un esempio, ma raccontandoci se stessa direttamente. Anche il terapeuta è parte costitutiva della relazione e lavora sul paziente tramite essa e tramite se stesso.
Nel mio modo di intenderla, la terapia è emancipativa ed espressiva. Il paziente impara a essere se stesso e a gestire le proprie emozioni secondo il suo giudizio.
Non è una terapia tecnicistica, non dà consigli, non impone al paziente il giusto modo di vivere, tende alla libertà.
Mi fermo qui, è un discorso sicuramente molto vasto.
Le terapie comportamentali in linea generale possono servirsi di tecniche specifiche e focalizzate sul sintomo, possono utilizzare prescrizioni relative al comportamento ed essere direttive, dando compiti e suggerimenti mirati. Questo in linea generale, lascio comunque a chi è più competente delle terapie comportamentali di entrare nel merito di questa argomentazione.
Quando si chiede come mai la gente è più interessata a forme di terapia non psicoanalitiche, fa una domanda a mio avviso speciale.
A titolo esemplificativo, inevitabilmente riduttivo in questa sede, le rispondo secondo il mio orientamento, e cioè lascio a lei la curiosità di capire come mai si pone questa domanda e quali sono le sue riflessioni a riguardo, quali variabili cioè sono in gioco, dal suo punto di vista, nel preferire terapie comportamentali. E potrei dire che può rispondere a partire da se stessa, dalla sua esperienza e dai suoi vissuti emotivi, da quello che ci ha raccontato.
Se le rispondessi con la mia verità, invece, riempirei di contenuto uno spazio al posto suo e potrei farle il torto di non consentirle la possibilità di esprimersi. A volte questa possibilità, paradossalmente ma comprensibilmente, è una faticosa conquista.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Le psicoterapie psicodinamiche in linea generale sono analitiche, ma non necessariamente classiche e ortodosse. Ci sono diversi filoni psicoanalitici che si sono sviluppati a partire da quello freudiano. Tra questi anche il mio. Posso più facilmente parlarle del mio orientamento teorico, non essendo strettamente competente degli altri.
Nel mio orientamento teorico, ciò che viviamo ha un senso ed è importante comprenderlo dal punto di vista riflessivo ed emotivo. Un malessere personale, che merita il massimo rispetto, viene gestito cercando di capire come mai accade. Non si tratta di eliminare un sintomo, ma di aprire un profondo discorso sulla persona nella sua interezza, attraverso il suo presente e il suo passato.
Senz'altro capire non basta, è necessario fare una nuova esperienza di sé. In questo senso la stanza analitica è un laboratorio, in cui emergono dinamiche relazionali, che possono riguardare anche paziente e terapeuta e sono un'occasione per il lavoro terapeutico. E questo ce lo ha spiegato lei benissimo, non con un esempio, ma raccontandoci se stessa direttamente. Anche il terapeuta è parte costitutiva della relazione e lavora sul paziente tramite essa e tramite se stesso.
Nel mio modo di intenderla, la terapia è emancipativa ed espressiva. Il paziente impara a essere se stesso e a gestire le proprie emozioni secondo il suo giudizio.
Non è una terapia tecnicistica, non dà consigli, non impone al paziente il giusto modo di vivere, tende alla libertà.
Mi fermo qui, è un discorso sicuramente molto vasto.
Le terapie comportamentali in linea generale possono servirsi di tecniche specifiche e focalizzate sul sintomo, possono utilizzare prescrizioni relative al comportamento ed essere direttive, dando compiti e suggerimenti mirati. Questo in linea generale, lascio comunque a chi è più competente delle terapie comportamentali di entrare nel merito di questa argomentazione.
Quando si chiede come mai la gente è più interessata a forme di terapia non psicoanalitiche, fa una domanda a mio avviso speciale.
A titolo esemplificativo, inevitabilmente riduttivo in questa sede, le rispondo secondo il mio orientamento, e cioè lascio a lei la curiosità di capire come mai si pone questa domanda e quali sono le sue riflessioni a riguardo, quali variabili cioè sono in gioco, dal suo punto di vista, nel preferire terapie comportamentali. E potrei dire che può rispondere a partire da se stessa, dalla sua esperienza e dai suoi vissuti emotivi, da quello che ci ha raccontato.
Se le rispondessi con la mia verità, invece, riempirei di contenuto uno spazio al posto suo e potrei farle il torto di non consentirle la possibilità di esprimersi. A volte questa possibilità, paradossalmente ma comprensibilmente, è una faticosa conquista.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#13]
Utente
Gentile Dott. De Sanctis,
le sue risposte , seppur chiare , credo non siano "complete" però mi rendo conto che c'è tutto un mondo dietro ogni tipo di analisi e che spiegarlo sarebbe troppo difficile sopratutto a chi ,come me, non è del mestiere.
In realtà questa mia curiosità nei confronti dei vari indirizzi terapeutici nasce dal fatto che io mi sono trovata ad iniziare un percorso senza sapere a cosa andassi incontro. Il terapeuta non mi ha mai detto che tipo di analisi fa e cose simili.
Poi navigando un pò su forum e internet , in generale , ho scoperto che esistono tantissimi approcci terapeutici e mi sono sempre chiesta come mai anche su siti come Facebook venisse molto pubblicizzata questa terapia cognitivo-comportamentale:quasi fosse miracolosa.
Hai attacchi di panico? Meglio la comportamentale.
Hai il bipolarismo? Meglio la comportamentale.
Così ho cercato di capire quali fossero le sostanziali differenze tra i vari approcci e se ce ne fosse uno davvero d'elezione per ogni patologia.
L'idea che mi sono fatta è che la terapia cognitivo-comportamentale agisce molto sui sintomi e sui limiti del momento , scavando poco sulle reali motivazioni per cui quei sintomi si mostrano nel paziente. Diciamo che riesce in breve tempo a rompere le famose condotte di evitamento quindi sembra dare risultati migliori in tempi anche ristretti. A differenza della psicodinamica o affini , che invece sembrano cure interminabili e che non agendo sul sintomo "sembrano" un pò una perdita di tempo. Diciamo che danno risultati non immediati però più duraturi nel tempo perchè modificano proprio le emozioni alla base del sintomo.
Quindi si predilige la prima terapia perchè è più breve (se così si può dire ) e perchè forse comporta meno sofferenza nel paziente.
le sue risposte , seppur chiare , credo non siano "complete" però mi rendo conto che c'è tutto un mondo dietro ogni tipo di analisi e che spiegarlo sarebbe troppo difficile sopratutto a chi ,come me, non è del mestiere.
In realtà questa mia curiosità nei confronti dei vari indirizzi terapeutici nasce dal fatto che io mi sono trovata ad iniziare un percorso senza sapere a cosa andassi incontro. Il terapeuta non mi ha mai detto che tipo di analisi fa e cose simili.
Poi navigando un pò su forum e internet , in generale , ho scoperto che esistono tantissimi approcci terapeutici e mi sono sempre chiesta come mai anche su siti come Facebook venisse molto pubblicizzata questa terapia cognitivo-comportamentale:quasi fosse miracolosa.
Hai attacchi di panico? Meglio la comportamentale.
Hai il bipolarismo? Meglio la comportamentale.
Così ho cercato di capire quali fossero le sostanziali differenze tra i vari approcci e se ce ne fosse uno davvero d'elezione per ogni patologia.
L'idea che mi sono fatta è che la terapia cognitivo-comportamentale agisce molto sui sintomi e sui limiti del momento , scavando poco sulle reali motivazioni per cui quei sintomi si mostrano nel paziente. Diciamo che riesce in breve tempo a rompere le famose condotte di evitamento quindi sembra dare risultati migliori in tempi anche ristretti. A differenza della psicodinamica o affini , che invece sembrano cure interminabili e che non agendo sul sintomo "sembrano" un pò una perdita di tempo. Diciamo che danno risultati non immediati però più duraturi nel tempo perchè modificano proprio le emozioni alla base del sintomo.
Quindi si predilige la prima terapia perchè è più breve (se così si può dire ) e perchè forse comporta meno sofferenza nel paziente.
[#14]
È vero che le mie risposte non sono complete. Sia per ragioni di sintesi sia perché può "completarle" lei...
È questo uno dei compiti della psicoterapia "psicodinamica", sviluppare la soggettività della persona, possiamo dire anche attraverso la mancanza. Questo può generare molta sofferenza, come lei acutamente dice.
Pensi a un genitore o a una figura di riferimento per un bambino. Se dà tutte le risposte al figlio, se tutto è completo e perfetto, come farà il figlio a trovare la sua strada?
È nel momento in cui il genitore si sottrae, nel dovuto modo, che il figlio può muoversi e iniziare a concepire se stesso nel mondo, passo passo.
Ho scelto il mio orientamento perché certamente lo prediligo. Tutte le forme del malessere che una persona vive possono essere trattate. Non mi focalizzo inoltre sulla diagnosi, ma sulla persona.
Chi sostiene che se "si hanno attacchi di panico è meglio la comportamentale", immagino debba motivare in modo approfondito la sua affermazione e fare rigorose distinzioni. A meno che non sia solo una questione pubblicitaria e autopromozionale, come forse lei stessa suggerisce? La cura non può basarsi sui tempi, ma sulla qualità.
Non so se sto riuscendo a spiegarle in queste poche righe il mio pensiero. Non posso essere io a stabilire in assoluto cosa è meglio per un paziente.
Quando parla di rompere le condotte di evitamento, se ho capito bene, dal mio punto di vista è importante che ci sia poi una base sicura di sé perché la persona possa affrontare ciò che con quella condotta evitava. Se c'è evitamento, non c'è per caso e non si può rompere la condotta sempre velocemente, dipende dalla situazione e dalla singola persona.
Altrimenti, in altrettanto breve tempo, il rischio che si formi una nuova condotta e un nuovo sintomo è alto.
A proposito dei tempi un'ultima annotazione. La terapia deve portare a un cambiamento, di cui il paziente deve diventare padrone. Mi piace fare questo esempio: è come imparare una nuova lingua. Quando si comincia ad apprendere una nuova lingua inizialmente si cercherà di parlare con le strutture della lingua madre. Poi a poco a poco, e in funzione di numerose variabili anche relazionali, si comincia a creare una nuova rete linguistica. Prima che la lingua diventi fluida e se ne abbia padronanza, bisogna provare e riprovare. Quanto tempo ci vuole?
Detto questo, sulla base delle sue ricche riflessioni, è fondamentale che lei possa capire dentro di sé, anche al di là del discorso pagamento, qual è il suo sentire in relazione alla sua terapia e alle sue aspettative.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
È questo uno dei compiti della psicoterapia "psicodinamica", sviluppare la soggettività della persona, possiamo dire anche attraverso la mancanza. Questo può generare molta sofferenza, come lei acutamente dice.
Pensi a un genitore o a una figura di riferimento per un bambino. Se dà tutte le risposte al figlio, se tutto è completo e perfetto, come farà il figlio a trovare la sua strada?
È nel momento in cui il genitore si sottrae, nel dovuto modo, che il figlio può muoversi e iniziare a concepire se stesso nel mondo, passo passo.
Ho scelto il mio orientamento perché certamente lo prediligo. Tutte le forme del malessere che una persona vive possono essere trattate. Non mi focalizzo inoltre sulla diagnosi, ma sulla persona.
Chi sostiene che se "si hanno attacchi di panico è meglio la comportamentale", immagino debba motivare in modo approfondito la sua affermazione e fare rigorose distinzioni. A meno che non sia solo una questione pubblicitaria e autopromozionale, come forse lei stessa suggerisce? La cura non può basarsi sui tempi, ma sulla qualità.
Non so se sto riuscendo a spiegarle in queste poche righe il mio pensiero. Non posso essere io a stabilire in assoluto cosa è meglio per un paziente.
Quando parla di rompere le condotte di evitamento, se ho capito bene, dal mio punto di vista è importante che ci sia poi una base sicura di sé perché la persona possa affrontare ciò che con quella condotta evitava. Se c'è evitamento, non c'è per caso e non si può rompere la condotta sempre velocemente, dipende dalla situazione e dalla singola persona.
Altrimenti, in altrettanto breve tempo, il rischio che si formi una nuova condotta e un nuovo sintomo è alto.
A proposito dei tempi un'ultima annotazione. La terapia deve portare a un cambiamento, di cui il paziente deve diventare padrone. Mi piace fare questo esempio: è come imparare una nuova lingua. Quando si comincia ad apprendere una nuova lingua inizialmente si cercherà di parlare con le strutture della lingua madre. Poi a poco a poco, e in funzione di numerose variabili anche relazionali, si comincia a creare una nuova rete linguistica. Prima che la lingua diventi fluida e se ne abbia padronanza, bisogna provare e riprovare. Quanto tempo ci vuole?
Detto questo, sulla base delle sue ricche riflessioni, è fondamentale che lei possa capire dentro di sé, anche al di là del discorso pagamento, qual è il suo sentire in relazione alla sua terapia e alle sue aspettative.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#15]
Utente
Gentile dott. De Sanctis ,
la ringrazio davvero per le spiegazioni che mi ha dato. Devo dire che parlare con lei ha facilitato il dialogo con il mio terapeuta. Seppur ancora non sono riuscita a dirgli tutto, mi sono sentita più "libera" nell'esporgli i miei dubbi.
Per quanto riguarda i vari approcci, credo che continuerò sulla mia strada e cioè con la psicodinamica non negando però che alle volte pensare di restringere i tempi di guarigione sarebbe favoloso.
La ringrazio ancora per i suoi spunti di riflessione.
Cordiali saluti.
la ringrazio davvero per le spiegazioni che mi ha dato. Devo dire che parlare con lei ha facilitato il dialogo con il mio terapeuta. Seppur ancora non sono riuscita a dirgli tutto, mi sono sentita più "libera" nell'esporgli i miei dubbi.
Per quanto riguarda i vari approcci, credo che continuerò sulla mia strada e cioè con la psicodinamica non negando però che alle volte pensare di restringere i tempi di guarigione sarebbe favoloso.
La ringrazio ancora per i suoi spunti di riflessione.
Cordiali saluti.
[#16]
Gentile utente,
una semplice frase in risposta alla Sua domanda:
Pagare esime l'utente dalla gratitudine perpetua
e in questo modo rende la relazione terapeutica un più più paritaria.
una semplice frase in risposta alla Sua domanda:
Pagare esime l'utente dalla gratitudine perpetua
e in questo modo rende la relazione terapeutica un più più paritaria.
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#17]
>>> Il bello di questi siti è che riescono a farti dire cose che invece nella realtà con grande difficoltà riusciresti a dire al tuo terapeuta
>>>
Sì, e l'anonimato aiuta molto.
Riguardo alla sua domanda principale mi trovo d'accordo con il parere della D.ssa Brunialti: il pagamento è un corrispettivo per un servizio offerto che serve a pareggiare i conti. In mancanza di pagamento, una persona più spregiudicata può sentirsi avvantaggiata o privilegiata, mentre altri più sensibili e scrupolosi potrebbero provare un certo disagio.
In ogni caso non è questo il punto fondamentale, a mio avviso. Il punto fondamentale per valutare una terapia dovrebbe essere: quanto mi sta aiutando a ottenere ciò che voglio e quanto sta incidendo sul mio problema?
Riguardo al confronto con altri tipi di terapia le faccio presente che la cognitivo-comportamentale *non* è analisi. Analitiche possono essere definite le terapie psicoanalitiche o psicodinamiche.
>>> L'idea che mi sono fatta è che la terapia cognitivo-comportamentale agisce molto sui sintomi e sui limiti del momento
>>>
È un'idea abbastanza diffusa, ma falsa.
Le terapie non andrebbero distinte in sintomatiche e non sintomatiche, come vorrebbe qualcuno, ma in efficaci e non efficaci e semmai, fra quelle efficaci, in più efficienti e meno efficienti:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6092-in-terapia-con-popper-e-occam.html
I criteri dovrebbero essere: quanto una certa terapia è in grado di risolvere un certo problema? In quanto tempo? Quanto si sono mantenuti i risultati a distanza di tempo, dopo la fine della terapia?
Il resto sono discorsi interessanti, ma secondari.
>>>
Sì, e l'anonimato aiuta molto.
Riguardo alla sua domanda principale mi trovo d'accordo con il parere della D.ssa Brunialti: il pagamento è un corrispettivo per un servizio offerto che serve a pareggiare i conti. In mancanza di pagamento, una persona più spregiudicata può sentirsi avvantaggiata o privilegiata, mentre altri più sensibili e scrupolosi potrebbero provare un certo disagio.
In ogni caso non è questo il punto fondamentale, a mio avviso. Il punto fondamentale per valutare una terapia dovrebbe essere: quanto mi sta aiutando a ottenere ciò che voglio e quanto sta incidendo sul mio problema?
Riguardo al confronto con altri tipi di terapia le faccio presente che la cognitivo-comportamentale *non* è analisi. Analitiche possono essere definite le terapie psicoanalitiche o psicodinamiche.
>>> L'idea che mi sono fatta è che la terapia cognitivo-comportamentale agisce molto sui sintomi e sui limiti del momento
>>>
È un'idea abbastanza diffusa, ma falsa.
Le terapie non andrebbero distinte in sintomatiche e non sintomatiche, come vorrebbe qualcuno, ma in efficaci e non efficaci e semmai, fra quelle efficaci, in più efficienti e meno efficienti:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6092-in-terapia-con-popper-e-occam.html
I criteri dovrebbero essere: quanto una certa terapia è in grado di risolvere un certo problema? In quanto tempo? Quanto si sono mantenuti i risultati a distanza di tempo, dopo la fine della terapia?
Il resto sono discorsi interessanti, ma secondari.
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#18]
Utente
Gentili dottori ,
ho capito che ruolo abbia il pagare le sedute.
Per quanto riguarda i criteri per cui scegliere un'analisi, credo che un paziente non abbia le capacità di capire quale terapia sia più giusta per lui nè se effettivamente sta andando per il verso giusto o no.
Ci possono essere delle difficoltà che il paziente soggettivamente pensa di non aver superato ma che in realtà , oggettivamente , affronta meglio rispetto all'inizio della terapia.
Ecco perchè mi chiedevo se fosse compito anche del terapeuta , alle volte , esprimere pareri sul percorso.
Cordiali saluti.
ho capito che ruolo abbia il pagare le sedute.
Per quanto riguarda i criteri per cui scegliere un'analisi, credo che un paziente non abbia le capacità di capire quale terapia sia più giusta per lui nè se effettivamente sta andando per il verso giusto o no.
Ci possono essere delle difficoltà che il paziente soggettivamente pensa di non aver superato ma che in realtà , oggettivamente , affronta meglio rispetto all'inizio della terapia.
Ecco perchè mi chiedevo se fosse compito anche del terapeuta , alle volte , esprimere pareri sul percorso.
Cordiali saluti.
[#19]
>>> Per quanto riguarda i criteri per cui scegliere un'analisi
>>>
Per quanto riguarda i criteri per scegliere una *psicoterapia*.
L'analisi è solo UNA delle possibili forme di psicoterapia.
>>> Ecco perchè mi chiedevo se fosse compito anche del terapeuta, alle volte, esprimere pareri sul percorso
>>>
In alcune forme di psicoterapia decisamente sì, in altre non necessariamente.
>>> credo che un paziente non abbia le capacità di capire quale terapia sia più giusta per lui nè se effettivamente sta andando per il verso giusto o no
>>>
Non proprio. Il paziente è certamente in grado di capire se la terapia sta andando per il verso giusto, purché impari ad ascoltare se stesso. Escludendo i rari casi in cui uno sia completamente privo di sensazioni ed emozioni e i casi di psicosi grave, ognuno è in grado di capire se quello che sta facendo lo fa stare meglio oppure no.
Andare in terapia serve per imparare a fare a meno del terapeuta. Concetto di empowerment. Perciò sarebbe un errore delegare al terapeuta ogni valutazione per capire se la terapia sta andando bene o meno. Il paziente è parte in causa. Anzi, è la parte primaria.
Riguardo invece al capire quale terapia sia più giusta per lui, in parte ha ragione. Ma si può supplire informandosi, chiedendo come sta facendo qui e ascoltando varie voci, prima di decidere. E se anche una terapia dovesse rivelarsi non ottimale rispetto alle proprie aspettative, si è sempre liberi di cambiare.
>>>
Per quanto riguarda i criteri per scegliere una *psicoterapia*.
L'analisi è solo UNA delle possibili forme di psicoterapia.
>>> Ecco perchè mi chiedevo se fosse compito anche del terapeuta, alle volte, esprimere pareri sul percorso
>>>
In alcune forme di psicoterapia decisamente sì, in altre non necessariamente.
>>> credo che un paziente non abbia le capacità di capire quale terapia sia più giusta per lui nè se effettivamente sta andando per il verso giusto o no
>>>
Non proprio. Il paziente è certamente in grado di capire se la terapia sta andando per il verso giusto, purché impari ad ascoltare se stesso. Escludendo i rari casi in cui uno sia completamente privo di sensazioni ed emozioni e i casi di psicosi grave, ognuno è in grado di capire se quello che sta facendo lo fa stare meglio oppure no.
Andare in terapia serve per imparare a fare a meno del terapeuta. Concetto di empowerment. Perciò sarebbe un errore delegare al terapeuta ogni valutazione per capire se la terapia sta andando bene o meno. Il paziente è parte in causa. Anzi, è la parte primaria.
Riguardo invece al capire quale terapia sia più giusta per lui, in parte ha ragione. Ma si può supplire informandosi, chiedendo come sta facendo qui e ascoltando varie voci, prima di decidere. E se anche una terapia dovesse rivelarsi non ottimale rispetto alle proprie aspettative, si è sempre liberi di cambiare.
[#20]
Utente
Mi perdoni il termine usato.. Per "analisi" io non intendo solo la psicoanalisi ma la terapia in genere.
Quanto lei dice sul paziente è vero ovvero che è la parte primaria però per l'idea che mi ero fatta , credevo si potesse discutere con il terapeuta dell'andamento del percorso.
Sul chiedere in giro riguardo i vari approcci , penso sia giusto e ritengo altrettanto giusto che se una persona non si senta più a suo agio con un terapeuta, si debba sentir libera di cambiare.
La mia era una "piccola" curiosità nata dal fatto che non ho mai affrontato questi discorsi con il terapeuta (riguardo il suo indirizzo , ecc..) peró ovunque leggo ,anche su questo sito,nei primi colloqui solitamente il paziente espone i suoi problemi e il terapeuta fa un piccolo quadro di quello che si andrà a fare nel percorso spiegando un pó il suo indirizzo terapeutico.
"Andare in terapia serve per imparare a fare a meno del terapeuta".. Io non sono ancora arrivata a questo punto della terapia.
"Purché impari ad ascoltare sè stesso".. anche questo punto è ancora in fase di "realizzazione".
Cordiali saluti.
Quanto lei dice sul paziente è vero ovvero che è la parte primaria però per l'idea che mi ero fatta , credevo si potesse discutere con il terapeuta dell'andamento del percorso.
Sul chiedere in giro riguardo i vari approcci , penso sia giusto e ritengo altrettanto giusto che se una persona non si senta più a suo agio con un terapeuta, si debba sentir libera di cambiare.
La mia era una "piccola" curiosità nata dal fatto che non ho mai affrontato questi discorsi con il terapeuta (riguardo il suo indirizzo , ecc..) peró ovunque leggo ,anche su questo sito,nei primi colloqui solitamente il paziente espone i suoi problemi e il terapeuta fa un piccolo quadro di quello che si andrà a fare nel percorso spiegando un pó il suo indirizzo terapeutico.
"Andare in terapia serve per imparare a fare a meno del terapeuta".. Io non sono ancora arrivata a questo punto della terapia.
"Purché impari ad ascoltare sè stesso".. anche questo punto è ancora in fase di "realizzazione".
Cordiali saluti.
[#21]
>>> Per "analisi" io non intendo solo la psicoanalisi ma la terapia in genere
>>>
Sì, ma è un termine improprio. Nelle forme di terapia non analitiche non si "analizza", appunto, poiché non ci si basa sulla premessa che andare alla ricerca di cause o di troppi dettagli sia necessario.
>>> credevo si potesse discutere con il terapeuta dell'andamento del percorso
>>>
Come le dicevo in alcuni approcci ciò è perfettamente possibile. In altri, non necessariamente. Dipende anche dalla disponibilità del terapeuta, ma in generale è l'approccio a dettare le modalità comunicative adoperate in seduta.
>>> "Purché impari ad ascoltare sè stesso".. anche questo punto è ancora in fase di "realizzazione"
>>>
Per "ascoltare se stesso" non intendo grosse realizzazioni, tipo capire il senso della vita, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, ma semplicemente chiedersi: la terapia mi sta portando nella direzione che voglio e alla velocità che voglio, considerato il tempo e i soldi spesi? Tutto qua. È semplice. Purché non si cada in una condizione di eccessiva deferenza o senso di obbligo nei confronti del terapeuta. Come infatti sembra essere, in parte, il suo caso.
>>>
Sì, ma è un termine improprio. Nelle forme di terapia non analitiche non si "analizza", appunto, poiché non ci si basa sulla premessa che andare alla ricerca di cause o di troppi dettagli sia necessario.
>>> credevo si potesse discutere con il terapeuta dell'andamento del percorso
>>>
Come le dicevo in alcuni approcci ciò è perfettamente possibile. In altri, non necessariamente. Dipende anche dalla disponibilità del terapeuta, ma in generale è l'approccio a dettare le modalità comunicative adoperate in seduta.
>>> "Purché impari ad ascoltare sè stesso".. anche questo punto è ancora in fase di "realizzazione"
>>>
Per "ascoltare se stesso" non intendo grosse realizzazioni, tipo capire il senso della vita, chi siamo, da dove veniamo e dove andiamo, ma semplicemente chiedersi: la terapia mi sta portando nella direzione che voglio e alla velocità che voglio, considerato il tempo e i soldi spesi? Tutto qua. È semplice. Purché non si cada in una condizione di eccessiva deferenza o senso di obbligo nei confronti del terapeuta. Come infatti sembra essere, in parte, il suo caso.
[#22]
Utente
Nella direzione che voglio potrebbe anche starmi portando ma nei tempi non ci siamo. Però ripeto,so che per il tipo di psicoterapia che faccio ci vuole più tempo per raggiungere dei risultati "decenti".
Senso di obbligo nei confronti del mio terapeuta però non lo condivido:io gli sono grata per l'aiuto che mi sta dando come sarei grata a qualunque altro terapeuta. (Per far capire che pagare o no, comunque la gratitudine ci sarebbe comunque).
Certo è che la terapia pro-bono sicuramente ,almeno su me, ha un qualche effetto. (Come quelli sopra detti).
Senso di obbligo nei confronti del mio terapeuta però non lo condivido:io gli sono grata per l'aiuto che mi sta dando come sarei grata a qualunque altro terapeuta. (Per far capire che pagare o no, comunque la gratitudine ci sarebbe comunque).
Certo è che la terapia pro-bono sicuramente ,almeno su me, ha un qualche effetto. (Come quelli sopra detti).
[#23]
Grazie a lei per le sue parole e per il suo racconto ricco di stimoli.
Quando dice che "restringere i tempi di guarigione sarebbe favoloso", ha più che ragione a desiderare tempi più brevi. Certo purtroppo, dal mio punto di vista, a volte tocca fare i conti con la realtà dei tempi del cambiamento nella vita che, per sua natura e per il suo carattere epocale, possono essere lunghi e accidentati.
Chissà però, magari il suo desiderio e la sua motivazione la porteranno a cambiare se stessa prima di quanto non pensiamo!
Allora un sincero augurio,
Enrico de Sanctis
Quando dice che "restringere i tempi di guarigione sarebbe favoloso", ha più che ragione a desiderare tempi più brevi. Certo purtroppo, dal mio punto di vista, a volte tocca fare i conti con la realtà dei tempi del cambiamento nella vita che, per sua natura e per il suo carattere epocale, possono essere lunghi e accidentati.
Chissà però, magari il suo desiderio e la sua motivazione la porteranno a cambiare se stessa prima di quanto non pensiamo!
Allora un sincero augurio,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 23 risposte e 9k visite dal 30/10/2015.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Per rispondere esegui il login oppure registrati al sito.
Approfondimento su Disturbo bipolare
Il disturbo bipolare è una patologia che si manifesta in più fasi: depressiva, maniacale o mista. Scopriamo i sintomi, la diagnosi e le possibili terapie.