Mio padre mi ha rovinato l'esistenza, perché vivere?
Alla radice di tutto c'è mio padre. Ci ha lasciato a me e mia madre, diffonde false notizie umilianti sul mio conto e su quello di mia madre. Sa che lei è casalinga e di bassa istruzione ed io studente e non abbiamo tanti soldi per metterci a fargli causa per questo o per quello. Ma lui lo vorrebbe, perché il suo tentativo malefico è quello di distruggersi e di distruggere anche noi.
Non so che problemi abbia, è pazzo. Di cose orribili ne ha fatte in passato, come ad esempio lasciare suo padre (mio nonno) morire da solo in ospedale senza nemmeno andare a torvarlo. Le gioie della mia infanzia sono più il risultato della forza di mia madre di portarmi avanti e di farmi percepire le cose meglio di come erano.
Con l'università tutto sembrava migliorare anche per me. Studiavo, mi piaceva e ho dei bellissimi ricordi dei primi anni, il piacere di imparare, di rendermi indipendente ed il sogno di essere qualcuno.
Poi però cominciano i problemi, mio padre per anni non ha fatto altro che vantarsi di me e di come andavo avanti all'università con amici e colleghi, in modo umiliante per i figli degli altri. Ho saputo cose al limite dell'offensivo. Io quindi sono stato bersagliato, vittima di cyberbullismo forse ad opera di alcuni colleghi di università mai identificati che hanno creato pagina facebook (io non ero sul sito) contro di me dicendone di tutti i colori e invitando nella pagina anche miei ex compagni di classe, persone che neanche potevano conoscere ma sono riuscite a contattare. Mio padre ha combinato i casini, ed io li ho pagati.
Poi succedono liti, io inzio ad arrestarmi nello studio, inizio ad avere problemi personali non avendo mai goduto di gioie da ragazzo. Lui va via di casa, decide di separasi del tutto e di rovinarci economicamente. E lo sta facendo.
E' diventato il mio peggior nemico. Dico sul serio, vedo mio padre come il demonio, spero possa morire perché io e mia madre riuscissimo ad avere definitivamente pace.
Io frequento l'università ma sono fermo, non ho più il piacere di studiare e mi sento un fallito.
La verità è che ho invidia degli altri e della loro vita, della loro famiglia. Mi sento un fallito. Sono fermo da 5 anni con l'uni, non riesco ad aprire libro e non mi sento più capace come prima eppure il tempo corre veloce, le prime rughe appaiono, i capelli cadono, le persone care perdono le forze e la salute ed io mi sento una larva calpestata perché indegna di vivere. Dagli psicologi parlo e parlo, ma mi sembra di uscire dal loro studio con un pugno di mosche in mano. Sento che tutto è perduto, forse non ho davvero più voglia di vivere.
Gentile Utente,
i suoi genitori sono separati?
Secondo lei ci sono state cause scatenati che hanno fatto così degenererare i rapporti tra lei e sua madre e suo padre?
Quindi lei è in terapia?
Se si, da quanto tempo?
Gli psicologi non le risolveranno la vita, ma l'aiuteranno a trovare strategie dentro di se per poterla cambiare da sola.
Ha amici, un amore, studia ancora?
Sua mamma è anche in cura o si è fatta supportare da familiari o clinici?
La voglia di vivere dovrebbe sempre ripassarla giorno dopo giorno...la vita è solo sua, non di suo padre.
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
Restare lì , incastrato tra la rabbia , il dolore e l'angoscia , non si può permetterselo, cerchi di volersi salvare e prenda il problema in mano.. C'è collaborazione fra pschiatria e psicoterapia , in molti casi , gli psicofarmaci funzionano da starter, come una volta nelle macchine d'inverno si tirava l'aria..
Questo per cominciare a trovare le strategie per andare avanti a dispetto di tutto..
Non conceda ad un passato pesante di privarla di una vita migliore..!!
MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it
No sono single e non ho molti amici. Studiare studio ancora, ma con molte difficoltà. Non mi sento sveglio e capace di impegnarmi e di esami non ne do da un sacco.
Ho iniziato una nuova terapia questa estate. L'ultimo dottore da cui mi trovo ad andare mi piace molto più dei precedenti, mi sento più capito e lo sento per certi versi più amico ed interessato alla mia situazione. L'ultima dottoressa da cui ero stato infatti mi sentivo poco capito e per certi versi trattato con distacco, forse la mia situazione la deprimeva troppo e quindi era poco empatica, non una bella cosa insomma tornavo dai colloqui più amareggiato e arrabbiato di prima.
Mia mamma non segue terapie, ho provato a convincerla ma nulla. Tuttavia ha cmq diverse sorelle ed amiche con cui confidarsi, e poi trova serenità nella preghiera andando a messa. Io purtroppo sono più agnostico e ho difficoltà ad accontentarmi di cose che non sento e non vedo anche se ammetto che con mia madre funziona e sono contento per lei.
A far degenerare la situazione non è stato nulla, secondo me era già nell'aria la fine catastrofica di tutto, perché certe persone non dovrebbero meritare di avere figli e basta!
Una delle ultime volte che lo ho sentito mio padre mi ha detto che io sono stato un suo insuccesso e che a lui di me non gli importa più nulla.
Psicofarmaci ne ho preso per un periodo, non mi hanno aiutato molto e causano effetti collaterali e poi io sono troppo solo, questo è il vero problema. Del resto una cosa temuta da alcuni medici che mi hanno seguito e che l'euforia chimica indotta dai farmaci potesse farmi fare "brutte cose", e ci siamo capiti...
Il fatto è che ho alti e bassi e non riesco a sfruttare gli alti per fare cose concrete. Forse perché durano troppo poco oppure perché le cose concrete dopotutto sono le cose che creano comunque ansia e difficoltà a loro volta. O ancora perché sono solo, anche se conosco delle persone o sono amicizie un po' tossiche o cmq che mi danno poco. Avrei bisogno forse di una ragazza, ma non le compri al supermercato.
Veramente.. io non capisco.
Che euforia chimica? Che "brutte cose"?
I farmaci sono opportunamente dosati, se lo psichiatra è un professionista "capace".
Sì , il tempo passa. E non ritorna.
<<Una delle ultime volte che lo ho sentito mio padre mi ha detto che io sono stato un suo insuccesso e che a lui di me non gli importa più nulla.<<
Capisco che sia una ferita profonda, ma Lei anagraficamente è ormai adulto e può lavorare con decisione per rendersi autonomo dal giudizio.
Ad un certo punto della vita ci si distanzia dal giudizio dei genitori, si accetta di averli delusi (è inevitabile), si re-imposta la propria vita su binari personali.
Ma forse - per fare ciò - nel Suo caso occorre una forte "alleanza terapeutica" con un/a professionista capace e con esperienza.
Mi auguro che quella attuale sia in grado di aiutarLa.
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Qui si tratta di provare tristezza e sconforto per la mia vicenda familiare, oltre che paura e insicurezza sul futuro.
Le persone che hanno avuto genitori come tutti, anche se rompiscatole con i normali processi di allontanamento anche duri tra genitori e figli non possono capire. Perché loro sanno cmq che infondo i genitori ci sono sempre, che gli vogliono bene.
Al massimo pensano che non li capiscono, che hanno una visione di vita diversa quindi è giusto il distacco, ma non pensano che i genitori (mio padre nel caso specifico) siano un pericolo per loro, che stiano complottando contro i propri interessi e debbono vedersi con avvocati e quant'altro per capire e tutelarsi. E no non sono paranoico, mio padre certe cose le ha espressamente dichiarate.
Io potrei fare un incidente stradale, trovarmi completamente insanguinato e telefonare a mio padre e lui, ammesso che risponde alla chiamata, mi direbbe "che vuoi da me? Crepa!". E la mia non è un esagerazione, sono razionalmente convinto per come mio padre è degenerato negli ultimi anni che succederebbe proprio questo.
Quindi mi dispiace dottoressa, non ha colto il punto. Io sono più che adulto e ragiono molto bene su certe cose, forse però per capire veramente i casi estremi familiari certe cose bisogna viverle da vicino. Per capire se non altro cosa si prova, ovvero la morte interiore che si ha quando realizzi non solo che sei solo ma che esiste qualcuno che ti conosce molto bene e che gioirà ad ogni tuo passo falso. E forse in questo che consiste il distacco genitori-figli alla maturazione di quest'ultimi? Non credo proprio.
Quanto ai farmaci si sa che alcuni di essi aumentano la percentuali di suicidi. E per effetti collaterali in accordo col mio psichiatra ho deciso di smettere.
E dunque può porre a loro, che La conoscono di persona, i quesiti che ha posto qui.
Sono le persone più adatte.
Come mai ha scritto a noi? Forse non ha un rapporto di fiducia con loro?
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In generale no, perché la maggior parte delle persone non ha avuto genitori che odiano i figli. Ma se questo è davvero il suo caso, allora a maggior ragione ha il dovere, verso se stesso, di prendere al più presto le distanze da quest'uomo. Intendo dal di dentro. Non una distanza fisica, geografica, ma emotiva. Cosa che evidentemente non sta riuscendo a fare.
Il dolore e la rabbia vissuti nelle vicende che ha raccontato, e che devono durare ancora oggi, le stanno rendendo difficile proprio questo: accettare che i nostri genitori sono esseri umani che possono sbagliare. A volte in modo pesante. Esistono casi anche peggiori del suo, non c'è limite al peggio. Perciò quello che le manca da fare è la stessa cosa che deve fare ogni figlio, prima o poi, solo che nel suo caso è molto più difficile.
Con il terapeuta attuale, con il quale dice di trovarsi meglio, che tipo di lavoro state facendo?
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
L'attuale terapeuta sta cercando di farmi agire col fine ultimo di conoscere nuove persone, possibilmente ragazze, e di finire gli studi. Dice che sono troppo fermo e sicuramente ha ragione.
Mi dice anche lui che ci sono persone che hanno avuto vissuti orribili, bambini anche violentati sessualmente dai genitori. L'unica cosa che mi chiedo è se è giusto provare un po' di conforto nella propria situazione pensando a gente che sta peggio.
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Lo scopo di sapere che c'è chi sta peggio di noi non è stare meglio per un discorso di mal comune mezzo gaudio. Piuttosto, serve per farci capire che in fondo non siamo così unici. Serve per disinnescare il pericoloso sentimento di egocentrismo che affligge chi sta soffrendo molto. Siccome soffro, non vedo altro e penso di esserci solo io al mondo.
>>> L'attuale terapeuta [...] dice che sono troppo fermo e sicuramente ha ragione
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Bene, e quindi perché non vuol sentirsi dire che "dipenderà da lei"?
Non commetta l'errore di sperare che qualuno troverà al posto suo motivi per mostrarle che la vita vale la pena di essere vissuta. Solo lei può farlo. Proprio come ogni altro essere umano. Ognuno è chiamato a dare un senso alla propria vita, non creda che gli altri siano così liberi dalla sofferenza e da questo tipo di interrogativi. Il terapeuta può mostrarle una strada, ma dev'essere lei disposto a percorrerla. Nessuno può farlo per lei.
>>> Non so di preciso perché ho scritto
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Le dirò una cosa che non le piacerà. Benché sia convinto che la sofferenza non deve per forza precedere il miglioramento, in alcuni casi non parlare con chiarezza sarebbe peggio.
Lei probabilmente ha scritto perché è disperato. È alla disperata ricerca di qualcuno che non solo capisca, ma che possibilmente le desse ciò che da suo padre non è riuscito a ricevere. Ha passato un'infanzia indegna, derubato del modello e delle attenzioni che ogni bambino avrebbe diritto ad avere. Ma come nel caso di chi ha perso un arto o è rimasto paraplegico in seguito a un incidente, il passato, purtroppo, non si può portare indietro. Inizierà a fare progressi quando avrà accettato che non potrà mai avere un padre come avrebbe avuto diritto ad avere. Né nella vita reale, né online, né in quella immaginaria. E malgrado ciò deciderà di andare avanti lo stesso.
La notizia positiva però è che ciò che è successo a lei si può superare. Brillantemente. Ma non avverrà per magia. O per meglio dire, la magia non potrà avvenire senza il suo consenso.
Un'ultima cosa: rispetto al suo terapeuta io mi sentirei di suggerirle sì di uscire e rimanere in contatto con la realtà. Ma non di innamorarsi adesso, se possibile, prima di aver risolto il problema che ci ha presentato oggi. Altrimenti rischia di portare la sua sofferenza nella relazione e soffrire ancora di più:
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3520-equilibrio-psichico-ed-equilibrio-in-amore-vanno-di-pari-passo.html
L'unica cosa che mi chiedo a seguito del suo discorso, detto proprio in maniera diretta, è se il senso da dare alla vita può prescindere dall'avere o meno persone importanti e punti di riferimento oggettivi per una persona poco idealista/religiosa come lo sono io.
Perché per chi è come me dare un senso al proprio respirare nella solitudine affettiva mi appare come tentare di raccogliere dell'acqua con uno scolapasta.
Forse è per questo che non mi piace che mi si dica che "la cosa dipende da me", perché la vedo come una frase che impone il vivere come un dovere quando io credo che si viva per provare inconsciamente piacere, cosa che senza accorgercene non dipende molto da noi se non in misura casuale e non meditata.
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Esattamente, ha colto nel segno. Chi non sa stare bene da solo non sa stare bene nemmeno insieme agli altri. E di nuovo, vale per tutti.
>>> se il senso da dare alla vita può prescindere dall'avere o meno persone importanti e punti di riferimento oggettivi
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Certamente sì, se parliamo di adulti. Anzi, più la persona è adulta ed evoluta, più può fare a meno di punti di riferimento e basarsi principalmente su se stesso per le proprie scelte. Il cosiddetto processo di individuazione è proprio questo e dura tutta la vita.
>>> non mi piace che mi si dica che "la cosa dipende da me", perché la vedo come una frase che impone il vivere come un dovere
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No, non si tratta di questo. Decidere di smettere di vivere, come ha detto qualcuno, è forse l'unica scelta veramente libera che ognuno ha. Ma se si decide di stare al gioco, allora il dovere verso se stessi - o verso le persone che dipendono da noi - è giocare al meglio delle proprie possibilità. Non tutti lo capiscono. Ad esempio sembra che suo padre non l'abbia proprio capito.
>>> io credo che si viva per provare inconsciamente piacere, cosa che senza accorgercene non dipende molto da noi se non in misura casuale e non meditata
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Sì, l'essere umano è fatto per provare piacere e infatti il punto è tutto qui. Come la pianta può crescere bene solo se non ha troppe erbacce d'attorno, che la privano di nutrimento, allo stesso modo si può essere naturalmente felici solo se non ci sono tare emotive troppo pesanti a fare da zavorra. Liberarsene è possibile, ma per alcuni può essere necessario un lavoro deliberato per ottenerlo.
Nel senso che ritengo gli altri comunque importantissimi, anzi fondamentali nella nostra vita. E ora spiego il perché, e perché anche la solitudine mi stia uccidendo forse più di una grave malattia, anche se forse non mi sarà semplice farlo.
Il processo di individuazione di cui lei parla e che contradistingue ogni individuo è proprio quello di riuscire a prendere autonomamente decisioni, senza il beneplacito o le rassicuraizoni di nessuno, e riuscire a dare un qualche senso alla propria esistenza.
Tuttavia dopo una certa riflessione sono arrivato a capire che questo a mio modo di vedere è un concetto diverso dall'avere della "compagnia affettiva".
Infatti io credo che il riuscire a dare un senso alla propria via, ai propri sacrifici e alle proprie sofferenze lo si possa fare principalmente dal ricevere gratificazione, vicinanza, rispetto ecc. dagli altri.
Non si tratta di trovare persone che ti dicano perché vivere, ma di capirlo tu dalla tua esperienza di vita di cui gli altri sono un elemento principale.
Alcuni dei momenti in cui mi sono sentito meglio sono infatti state delle esperienze lavorative di gruppo che ho dovuto portare a termine. Non erano chissà cosa e cmq erano esperienze destinate prima o poi a finire e su cui certamente non potrei pasarmi per formarmi un avvenire, ma mi hanno comunque fatto sentire parte di qualcosa, molto più di quanto lo facciano le mie letture, il mio jogging finesettimanale o altre attività SOLITARIE.
Nel commento precedente ho tenuto a precisare "per una persona poco idealista/religiosa come lo sono io" proprio perché credo che solo quest'ultime (ed è dal mio punto di vista il loro più grande dono) riescano a trovare un senso nella vita solo nella loro esistenza e senza gli altri, del tipo: ù che bello il cielo azzurro, ù che bello il Sole, ecc.
E del resto una cosa simile se non sbaglio la affermava anche il grande Bertrand Russell, il quale invitava alla gentilezza nei confronti degli altri come espediente per circondarsi di affetti che addolciscano la nostra esistenza.
Solitamente la famiglia è un punto essenziale in questo, non perché ti debbono accompagnare con la manina in tutto ciò che fai, ma perché vedere la loro autosufficenza (io nei miei non la vedo) ti fa capire cosa essa sia, oppure sapere anche se non ne avrai bisogno che esiste qualcuno o più di qualcuno a cui puoi rivolgerti per un problema senza vergognarti o pensare se sia il caso o meno di disturbare.
Queste figure col tempo debbono essere sostituite da altre, forti amici o relazioni amorose, cose che io non ho.
Ed il trovarmi fermo con l'università, senza più gli ex colleghi con cui condividere pareri sulle materie o altro, fa anche parte di questa assenza affettiva.
Mi ripeto, non si tratta di avere gli altri che ti dicano che senso dare alla vita, ma tu riuscire ad intuirlo attraverso gli altri, perché senza di loro e solo dal tuo respiro è impossibile, in quanto il senso della vita non è qualcosa di razionale che lo intuisci pensando ma qualcosa che scopri vivendo.
Spero di esser riuscito a espirmere quello che penso.
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Mi pare di sì. La differenza, rispetto a quanto le dicevo, è questa: che per lei gli altri sono attualmente sentiti come un bisogno così grande, probabilmente perché ha della strada da fare.
Parlando di estremi è il bambino quello più vulnerabile, che ha assolutamente bisogno degli altri per la propria sopravvivenza. Man mano che si cresce gli altri diventano - o dovrebbero diventare - meno essenziali nel determinare chi siamo, come ci comportiamo e soprattutto riguardo all'idea che ciascuno ha di se stesso.
Mai sentito il proverbio: chi non è comunista a 20 anni è senza cuore, chi lo è ancora a 50 è senza cervello? Grossolano e insolente, certo. Però l'idea è quella. Abituarsi NON a non voler più nessuno intorno, ma a non dipendere PER FORZA dagli altri. Cosa per lei ancora difficile, dato che non ha avuto un'infanzia normale. È perfettamente comprensibile che abbia ancora bisogno di conferme e modelli, se non ha avuto nessuno a darglieli, finora.
Ovviamente ci sono variabilità da individuo a individuo. Anche il bisogno di conferma, gratificazione, vicinanza e rispetto dagli altri interessa in modo diverso gli individui.
Esistono addirittura due disturbi di personalità, chiamati rispettivamente dipendente e schizoide, dove nel primo la persona ha un bisogno patologico di qualcuno a cui attaccarsi, mentre nel secondo sta bene da sola, non sente affatto bisogno di stabilire relazioni. Niente che la riguardi, suppongo, ma è solo per farle capire, per darle una prospettiva.
Ma per poterle dire come stanno le cose nel suo caso specifico e, soprattutto, per darle istruzioni precise, dovrebbe magari chiedere consiglio a un collega, di persona.
"Man mano che si cresce gli altri diventano - o dovrebbero diventare - meno essenziali nel determinare chi siamo, come ci comportiamo e soprattutto riguardo all'idea che ciascuno ha di se stesso"
Effettivamente io ho difficoltà a identificare me stesso, le mie capacità e cosa potrei fare. Pensi che prima all'università studiavo a bomba, ero forse il migliore del mio corso in quanto a media dei voti. Oggi se prendo un libro tra le mani non sono neanche così sicuro di riuscire a leggerlo e capirlo, mi fido poco di me e come dicevo ho anche paura di me stesso: nel senso che poi mi prende la paura di non riuscire non tanto perché non riconosco che avevo delle capacità ma perché temo i miei pensieri che possano sopraggiungere e sfiduciarmi. O ancora temo la mia voglia di impegnarmi, mi identifico come uno scansafatiche, se ho un compito entro nel panico pensando di non riuscire a reggere ai sacrifici, quando prima magari rinunciavo anche al sonno coricandomi tardi o alzandomi presto per adempiere ai miei doveri.
Pensi addirittura che il fatto che lei mi dica che "È perfettamente comprensibile che abbia ancora bisogno di conferme e modelli, se non ha avuto nessuno a darglieli, finora" mi rassicura, in quanto tendo a provare sensi di colpa se mi si fa notare la cosa invece di riconoscere io stesso che la mia condizione potrebbe tranquillamente essere normale vista la mia situazione.
Visto che mi ha già risposto che situazioni come la mia si possono superare brillantemente vorrei solo chiederle se secondo lei per me è buono l'approccio che seguo col mio terapeuta, ovvero quello di puntare al FARE.
PS
Il proverbio lo conoscevo e no, non lo trovo grossolano e insolente, in quanto anche l'aspettarsi di essere accuditi dallo Stato a ricevere lavoro e benessere, come potrebbero pensare molti comunisti, è un po' come il rimanere bambini e lasciarsi accudire dai genitori. Sono stato un po' "sinistro" anch'io da ragazzetto ma almeno su questa cosa possiamo dire sono "maturato" ;-)
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Sì, io credo di sì. L'approccio che utilizzo io è basato molto sul fare, sebbene si adatti caso per caso. Alcune volte occorre parlare di più e fare di meno, ma in molti casi decisamente conviene parlare di meno e fare di più. Affidarsi al terapeuta è comunque la cosa migliore. E se dopo alcune sedute non si notassero cambiamenti sostanziali, è sempre possibile cambiare. Senza prenderla come una sconfitta, ma semplicemente come un feedback, un'informazione che occorre fare altro, di diverso.
Non si aspetti che sia una strada sempre in discesa. Superare problemi emotivi importanti può a volte mettere alla prova, può suscitare resistenze sotto forma di "ma chi me lo fa fare" e via dicendo.
Sia tenace e non si scoraggi, aiutato sempre dal terapeuta, che ha anche questa importante funzione.
Le faccio molti auguri.
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Approfondimento su Bullismo
Il bullismo comprende una serie di comportamenti violenti intenzionali di tipo fisico o verbale ripetuti nel tempo nei confronti di una determinata persona. Si può manifestare anche in modo virtuale online e sui social network (cyberbullismo).