Università a 27 anni: brutto impatto
Buongiorno, probabilmente il mio è un caso presente nel vostro archivio ma ritengo comunque giusto ricevere un parere sul mio caso specifico.
Sono un ragazzo di 27 anni che dopo aver lavorato come "precario del mondo dello spettacolo" (ero principalmente un attore, ma ho anche ricoperto ruoli più "tecnici") e svolto altri lavori al di fuori di questo campo sentiva il bisogno di "cambiare vita" da almeno un paio d'anni per problemi legati alla salute e alla famiglia. (unita alla volontà crescente di intraprendere nuove strade) Ho iniziato ieri le lezioni all'università nel corso di lingue orientali (dopo aver già cominciato a studiare giapponese da autodidatta), ma sfortunatamente l'impatto psicologico non è stato dei migliori sia per il fatto che non sono mai stato a mio agio negli ambienti affollati che per la differenza d'età con la maggior parte delle matricole. (forse è stata solo una mia impressione, ma all'unico corso seguito ieri dovevo essere il più grande...)
Ho già in mente tutte le strade che voglio provare ad aprire, tra cui studiare o lavorare all'estero, ma ho paura che pur avendo trovato finalmente un obiettivo su cui focalizzarmi possa prendere il sopravvento il rimpianto di non aver cominciato subito il percorso universitario (che non ho mai iniziato sia per mancanza di stimoli che per mille turbe sociali dovute a una cattiva esperienza alle superiori) e la solitudine di vivere in un ambiente affollato e con persone che fanno uno stile di vita completamente diverso dal mio. Lavorando a teatro ho imparato il pregio di prendere tutto leggero (ma non superficiale) per lavorare con serenità, ma ieri con l'università non ha funzionato.
Aggiungo inoltre che la sera e il weekend svolgo da casa un lavoro a provvigione (fino a quest'estate stava andando benissimo, ma ora per vari motivi sto guadagnando molto poco) proprio per pagarmi eventuali studi all'estero dopo questa triennale (grazie al lavoro ho già messo da parte una cifra considerevole, ma devo ancora risparmiare qualcosa per raggiungere il "limite psicologico") e che ci tengo molto a laurearmi in corso e con voti alti (anche per poter partecipare a una borsa annuale per il Giappone) e per tale motivo voglio seguire quasi tutte le lezioni. (anche perché laurearsi ma non seguire le lezioni in lingua straniera, specialmente quelle orientali, è abbastanza inutile...) Inoltre non sono (o meglio, non voglio esserlo) pentito della mia carriera artistica in quanto ho ricoperto talmente tanti ruoli da poter essere versatile per (quasi) ogni tipo di lavoro ed è una caratteristica che conto di poter utilizzare per "vendermi" nel cercare lavoro, e (per fortuna o purtroppo, a seconda dei punti di vista) non devo portare avanti una relazione.
Per riassumere il tutto: date le premesse sopra descritte cosa posso fare per rimanere focalizzato sui miei obiettivi e affrontare con serenità l'impegno universitario senza sbandamenti?
Vi ringrazio e spero di ricevere presto una vostra risposta.
Sono un ragazzo di 27 anni che dopo aver lavorato come "precario del mondo dello spettacolo" (ero principalmente un attore, ma ho anche ricoperto ruoli più "tecnici") e svolto altri lavori al di fuori di questo campo sentiva il bisogno di "cambiare vita" da almeno un paio d'anni per problemi legati alla salute e alla famiglia. (unita alla volontà crescente di intraprendere nuove strade) Ho iniziato ieri le lezioni all'università nel corso di lingue orientali (dopo aver già cominciato a studiare giapponese da autodidatta), ma sfortunatamente l'impatto psicologico non è stato dei migliori sia per il fatto che non sono mai stato a mio agio negli ambienti affollati che per la differenza d'età con la maggior parte delle matricole. (forse è stata solo una mia impressione, ma all'unico corso seguito ieri dovevo essere il più grande...)
Ho già in mente tutte le strade che voglio provare ad aprire, tra cui studiare o lavorare all'estero, ma ho paura che pur avendo trovato finalmente un obiettivo su cui focalizzarmi possa prendere il sopravvento il rimpianto di non aver cominciato subito il percorso universitario (che non ho mai iniziato sia per mancanza di stimoli che per mille turbe sociali dovute a una cattiva esperienza alle superiori) e la solitudine di vivere in un ambiente affollato e con persone che fanno uno stile di vita completamente diverso dal mio. Lavorando a teatro ho imparato il pregio di prendere tutto leggero (ma non superficiale) per lavorare con serenità, ma ieri con l'università non ha funzionato.
Aggiungo inoltre che la sera e il weekend svolgo da casa un lavoro a provvigione (fino a quest'estate stava andando benissimo, ma ora per vari motivi sto guadagnando molto poco) proprio per pagarmi eventuali studi all'estero dopo questa triennale (grazie al lavoro ho già messo da parte una cifra considerevole, ma devo ancora risparmiare qualcosa per raggiungere il "limite psicologico") e che ci tengo molto a laurearmi in corso e con voti alti (anche per poter partecipare a una borsa annuale per il Giappone) e per tale motivo voglio seguire quasi tutte le lezioni. (anche perché laurearsi ma non seguire le lezioni in lingua straniera, specialmente quelle orientali, è abbastanza inutile...) Inoltre non sono (o meglio, non voglio esserlo) pentito della mia carriera artistica in quanto ho ricoperto talmente tanti ruoli da poter essere versatile per (quasi) ogni tipo di lavoro ed è una caratteristica che conto di poter utilizzare per "vendermi" nel cercare lavoro, e (per fortuna o purtroppo, a seconda dei punti di vista) non devo portare avanti una relazione.
Per riassumere il tutto: date le premesse sopra descritte cosa posso fare per rimanere focalizzato sui miei obiettivi e affrontare con serenità l'impegno universitario senza sbandamenti?
Vi ringrazio e spero di ricevere presto una vostra risposta.
[#1]
Psicologo
Gentile Utente,
probabilmente non è la (poca) differenza di età ma la differenza di vita che si fa sentire con un certo peso: tornando a studiare si ritrova a contatto con molte persone che letteralmente "non sanno cosa vuol dire lavorare".
Credo che l'unica strada sia accettare tale condizione di "diversità" e, come ha scritto Lei, <<rimanere focalizzato sui miei obiettivi e affrontare con serenità l'impegno universitario>> con la sua forza di volontà, eventualmente cercando altrove ciò che potrebbe non trovare all'università.
E' una vita dura quella che si è costruito, e ci si augura che un giorno darà i suoi frutti.
probabilmente non è la (poca) differenza di età ma la differenza di vita che si fa sentire con un certo peso: tornando a studiare si ritrova a contatto con molte persone che letteralmente "non sanno cosa vuol dire lavorare".
Credo che l'unica strada sia accettare tale condizione di "diversità" e, come ha scritto Lei, <<rimanere focalizzato sui miei obiettivi e affrontare con serenità l'impegno universitario>> con la sua forza di volontà, eventualmente cercando altrove ciò che potrebbe non trovare all'università.
E' una vita dura quella che si è costruito, e ci si augura che un giorno darà i suoi frutti.
[#2]
Salve, vorrei lasciarle alcune riflessioni in aggiunta a quelle del collega.
Penso che cambiare sia difficile, possa disorientare e farci sentire la mancanza di un'appartenenza non ancora conquistata. In questo senso, forse con un po' di tempo, riuscirà a superare alcuni disagi che in questo momento emergono in lei.
La vita non è lineare e a volte capita di trovarsi a riformulare i propri progetti. Questo ci fa scontrare con una realtà sociale che è fatta di tappe e fasi, e sembra che non ci sia più spazio per chi ha superato quel tempo.
In questo caso andranno riconquistate certe norme sociali secondo le quali all'università si iscrivono solo i diciannovenni, e accettare che la vita è accidentata, anch'essa è un percorso di ricerca ed esplorazione nel suo divenire non sempre certo.
In linea con questo possiamo fare i conti con un nostro perfezionismo, con l'idea di dover corrispondere a condizioni ideali e socialmente accettate.
Le dico questo perché voglio augurarle sinceramente che il rimpianto di non corrispondere a questi ideali, non la freni a proseguire strade che sente autentiche per se stesso.
Inoltre, ci terrei a dirle quest'ultimo pensiero. Quando sottolinea alcuni suoi vissuti, credo importante poterci soffermare ad ascoltarli. Quando parla ad esempio di non essere "mai stato a suo agio negli ambienti affollati", quando accenna a "turbe sociali dovute a una cattiva esperienza alle superiori", mi chiedo se queste esperienze possano eventualmente aggiungersi con la loro parte, e forse il loro peso, nel brutto impatto che ci ha raccontato.
Se la sente di darci qualche indicazione in più in proposito, se le sembra che le mie parole possano essere in linea con dei vissuti che sente dentro di sé?
Un saluto,
Enrico de Sanctis
Penso che cambiare sia difficile, possa disorientare e farci sentire la mancanza di un'appartenenza non ancora conquistata. In questo senso, forse con un po' di tempo, riuscirà a superare alcuni disagi che in questo momento emergono in lei.
La vita non è lineare e a volte capita di trovarsi a riformulare i propri progetti. Questo ci fa scontrare con una realtà sociale che è fatta di tappe e fasi, e sembra che non ci sia più spazio per chi ha superato quel tempo.
In questo caso andranno riconquistate certe norme sociali secondo le quali all'università si iscrivono solo i diciannovenni, e accettare che la vita è accidentata, anch'essa è un percorso di ricerca ed esplorazione nel suo divenire non sempre certo.
In linea con questo possiamo fare i conti con un nostro perfezionismo, con l'idea di dover corrispondere a condizioni ideali e socialmente accettate.
Le dico questo perché voglio augurarle sinceramente che il rimpianto di non corrispondere a questi ideali, non la freni a proseguire strade che sente autentiche per se stesso.
Inoltre, ci terrei a dirle quest'ultimo pensiero. Quando sottolinea alcuni suoi vissuti, credo importante poterci soffermare ad ascoltarli. Quando parla ad esempio di non essere "mai stato a suo agio negli ambienti affollati", quando accenna a "turbe sociali dovute a una cattiva esperienza alle superiori", mi chiedo se queste esperienze possano eventualmente aggiungersi con la loro parte, e forse il loro peso, nel brutto impatto che ci ha raccontato.
Se la sente di darci qualche indicazione in più in proposito, se le sembra che le mie parole possano essere in linea con dei vissuti che sente dentro di sé?
Un saluto,
Enrico de Sanctis
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#3]
Gentile Signore,
innanzitutto, complimenti per il percorso fatto finora: l'arte, lo studio, un lavoro che le ha già permesso di mettere da parte risorse per il futuro, obiettivi piuttosto chiari per i prossimi passi, apertura a culture ed ambienti diversi... c'è da essere orgogliosi!
Poi: l'ansia che la mette in difficoltà in ambienti affollati - e che genera forse anche il "limite psicologico" relativo ai suoi risparmi - può probabilmente essere gestita e ridotta con percorsi terapeutici specifici, anche di breve durata. Provi a chiedere un consulto, non virtuale, ad un collega della sua città. In alcune Facoltà ci sono psicologi che si occupano di orientamento e sostegno motivazionale agli studenti; sa se esiste una figura di questo tipo, nel suo Ateneo?
Quanto al rimanere focalizzati: le consiglio di allenarsi a raccontare agli altri, specie ai colleghi di studi, la sua storia e i suoi obiettivi. Cerchi attivamente le occasioni per una chiacchierata informale, in piccoli gruppi, fuori dalle aule più frequentate. Due minuti, un caffè e un sorriso possono liberare la mente da catene di pensieri negativi o, quantomeno, ridarle energia per collegare le preoccupazioni alle soluzioni che cerca.
Condividendo con gli altri la sua narrazione personale (valorizzi la sua esperienza e le competenze costruite a teatro!) potrebbe tenere viva e critica l'attenzione sulle mete che si prefigge, rivalutare percezioni ed opportunità legate alla sua diversità anagrafica e forse, piano piano, anche iniziare a vedere le aule più "piene" come contesti un po' più accoglienti.
Ad ogni modo, i migliori auguri!
innanzitutto, complimenti per il percorso fatto finora: l'arte, lo studio, un lavoro che le ha già permesso di mettere da parte risorse per il futuro, obiettivi piuttosto chiari per i prossimi passi, apertura a culture ed ambienti diversi... c'è da essere orgogliosi!
Poi: l'ansia che la mette in difficoltà in ambienti affollati - e che genera forse anche il "limite psicologico" relativo ai suoi risparmi - può probabilmente essere gestita e ridotta con percorsi terapeutici specifici, anche di breve durata. Provi a chiedere un consulto, non virtuale, ad un collega della sua città. In alcune Facoltà ci sono psicologi che si occupano di orientamento e sostegno motivazionale agli studenti; sa se esiste una figura di questo tipo, nel suo Ateneo?
Quanto al rimanere focalizzati: le consiglio di allenarsi a raccontare agli altri, specie ai colleghi di studi, la sua storia e i suoi obiettivi. Cerchi attivamente le occasioni per una chiacchierata informale, in piccoli gruppi, fuori dalle aule più frequentate. Due minuti, un caffè e un sorriso possono liberare la mente da catene di pensieri negativi o, quantomeno, ridarle energia per collegare le preoccupazioni alle soluzioni che cerca.
Condividendo con gli altri la sua narrazione personale (valorizzi la sua esperienza e le competenze costruite a teatro!) potrebbe tenere viva e critica l'attenzione sulle mete che si prefigge, rivalutare percezioni ed opportunità legate alla sua diversità anagrafica e forse, piano piano, anche iniziare a vedere le aule più "piene" come contesti un po' più accoglienti.
Ad ogni modo, i migliori auguri!
Enrico Cazzolino
Psicologo Psicoterapeuta
www.consulentepsicologo.it
[#4]
Utente
Vi ringrazio davvero, non mi aspettavo di ricevere così tante risposte in così breve tempo. Proverò a rispondere a ciascuno per spiegare ancora meglio il mio stato d'animo:
@Repici: probabilmente ha ragione Lei, il problema non è stato tanto la differenza d'età bensì la differenza di stile ed esperienze di vita a causare questo malessere. Tutto ciò mi ha anche fatto avere rimpianti sul fatto di non aver intrapreso subito l'esperienza universitaria, oltre ad aver ridimensionato quella che pensavo fosse la mia capacità di adattamento in quanto ho lavorato con persone di tutte le età. Forse è un malessere che si eliminerà da sé nel tempo rimanendo focalizzato sui miei studi.
@De Sanctis: il mio malessere per gli "ambienti affollati" è presente pressoché da sempre, non so se dovuto a qualche episodio in particolare o semplicemente alla mia indole. Per quanto riguarda le "turbe sociali" ho vissuto malissimo gli anni delle superiori in quanto ho frequentato controvoglia un istituto professionale (scelto dai miei per via del mio rendimento scolastico alle medie crollato a causa del bullismo subito nei miei confronti) in un ambiente che sentivo svilire le mie capacità. Avevo voluto sin dal primo anno cambiare con il liceo linguistico, ma per via della separazione dei miei e dell'abbandono degli studi da parte dei miei fratelli non me la sentii di "aggiungere un altro peso". Tutto ciò ha creato in me tanti complessi di inferiorità in età giovanile che mi hanno fatto rinunciare per paura di non farcela e di non essere in grado a rapportarmi con gli altri agli studi universitari, e soltanto grazie al teatro e al lavoro nello spettacolo in genere sono riuscito a fare uno scatto caratteriale passando dall'essere un "totale introverso" ad essere un "falso estroverso". (nel senso che scherzo sempre con gli altri, ma non mi apro con molta facilità nel rivelare esperienze più "intime")
@Cazzolino: innanzitutto la ringrazio per i complimenti. Riguardo ai percorsi terapeutici mi sono negli ultimi tempi affidato a un mio psicologo di "fiducia" (anche se dal "pantano" ci sono definitivamente uscito solo grazie alle mie forze) e nella mia Facoltà è presente un servizio di consulto psicologico. L'unica cosa che mi frena è la voglia di utilizzare tempo e denaro per dei nuovi consulti. (certo, se proprio ne sento la necessità non posso ignorare un bisogno così importante) Sono d'accordo che può essere un'idea quella di aprirmi e "valorizzarmi" con gli altri colleghi, ma come ho già scritto al suo collega non sono una persona che si apre facilmente e il contesto universitario non mi sta dando una mano a riguardo. Avevo anche pensato di iscrivermi al gruppo Facebook delle matricole di quest'anno accademico, ma alla fine ho desistito. Forse dovrei "forzare la mano" per potermi aprire...
@Repici: probabilmente ha ragione Lei, il problema non è stato tanto la differenza d'età bensì la differenza di stile ed esperienze di vita a causare questo malessere. Tutto ciò mi ha anche fatto avere rimpianti sul fatto di non aver intrapreso subito l'esperienza universitaria, oltre ad aver ridimensionato quella che pensavo fosse la mia capacità di adattamento in quanto ho lavorato con persone di tutte le età. Forse è un malessere che si eliminerà da sé nel tempo rimanendo focalizzato sui miei studi.
@De Sanctis: il mio malessere per gli "ambienti affollati" è presente pressoché da sempre, non so se dovuto a qualche episodio in particolare o semplicemente alla mia indole. Per quanto riguarda le "turbe sociali" ho vissuto malissimo gli anni delle superiori in quanto ho frequentato controvoglia un istituto professionale (scelto dai miei per via del mio rendimento scolastico alle medie crollato a causa del bullismo subito nei miei confronti) in un ambiente che sentivo svilire le mie capacità. Avevo voluto sin dal primo anno cambiare con il liceo linguistico, ma per via della separazione dei miei e dell'abbandono degli studi da parte dei miei fratelli non me la sentii di "aggiungere un altro peso". Tutto ciò ha creato in me tanti complessi di inferiorità in età giovanile che mi hanno fatto rinunciare per paura di non farcela e di non essere in grado a rapportarmi con gli altri agli studi universitari, e soltanto grazie al teatro e al lavoro nello spettacolo in genere sono riuscito a fare uno scatto caratteriale passando dall'essere un "totale introverso" ad essere un "falso estroverso". (nel senso che scherzo sempre con gli altri, ma non mi apro con molta facilità nel rivelare esperienze più "intime")
@Cazzolino: innanzitutto la ringrazio per i complimenti. Riguardo ai percorsi terapeutici mi sono negli ultimi tempi affidato a un mio psicologo di "fiducia" (anche se dal "pantano" ci sono definitivamente uscito solo grazie alle mie forze) e nella mia Facoltà è presente un servizio di consulto psicologico. L'unica cosa che mi frena è la voglia di utilizzare tempo e denaro per dei nuovi consulti. (certo, se proprio ne sento la necessità non posso ignorare un bisogno così importante) Sono d'accordo che può essere un'idea quella di aprirmi e "valorizzarmi" con gli altri colleghi, ma come ho già scritto al suo collega non sono una persona che si apre facilmente e il contesto universitario non mi sta dando una mano a riguardo. Avevo anche pensato di iscrivermi al gruppo Facebook delle matricole di quest'anno accademico, ma alla fine ho desistito. Forse dovrei "forzare la mano" per potermi aprire...
[#5]
Gentile Utente, comprendo le sue perplessità nell'avvicinarsi ad un mondo di diciannovenni che non sanno cos'è un lavoro, come ben dice il Collega.. Ma non lo prenda come un handicap, in realtà Lei ha una marcia in più, sarà più veloce e svelto nel trovare le soluzioni ai problemi contingenti, nel creare rapporti, perchè li vedi subito , quelli giusti, ad li là di quello che sembrano, e ti possono persino aiutare in qualche piccolo frangente, è la motivazione che muove il mondo, se lo vuoi ci riesci di sicuro..Io sono qua,e mi sono laureata con due figli e il massimo dei voti.. quindi .. deja vu.
Coraggio, si può farcela..
Coraggio, si può farcela..
MAGDA MUSCARA FREGONESE
Psicologo, Psicoterapeuta psicodinamico per problemi familiari, adolescenza, depressione - magda_fregonese@libero.it
[#6]
Le sue parole sono preziose, aprono ulteriori discorsi e domande in me.
È acuto nel differenziare che ci sono episodi che possono condizionarci e che potrebbe esserci anche una "indole" caratterizzante e personale.
È una distinzione molto indagata anche a livello scientifico, è un dubbio che riguarda gli studi nell'ambito della psicologia. Le attuali neuroscienze sembrano indicare che il nostro cervello è plastico e che la nostra indole si trasformi in funzione delle esperienze vissute. La strada della ricerca è aperta in proposito.
Quando parla delle "turbe sociali" sottolinea di avere subito azioni di bullismo, che dalle sue parole sembra avere interferito sul rendimento scolastico e, immagino, sulla sua vita in generale. Questo non possiamo trascurarlo, bisogna approfondire come mai è accaduto nella sua esperienza. Sono situazioni che possono essere terribili.
In più situazioni familiari non semplici che ci racconta, come la separazione dei suoi, posso ipotizzare che abbiano contribuito a sviluppare in lei un turbamento e un'inquietudine.
Mi colpisce quando dice che avrebbe aggiunto un altro "peso" alla sua famiglia relativamente a un eventuale cambiamento di scuola che avrebbe potuto sostenere. E sento importante anche quando parla di complessi di inferiorità a proposito di se stesso.
Non ci conosciamo, quindi le lascio solo alcune suggestioni. Le sue espressioni mi fanno ipotizzare che non ha potuto costruire un senso di sicurezza e di fiducia in sé. Al punto che la mancata autorizzazione a esprimersi e la paura di non farcela l'abbiano portata a fare delle rinunce. D'altronde l'immagine di sé forse le ripropone troppo spesso l'immagine di un ragazzo che non si sente sempre all'altezza delle situazioni.
Mi sembra invece tutt'altro, un ragazzo consapevole, riflessivo e capace di guardarsi dentro. Forse questa scelta universitaria, questo suo cambiamento, indica che desidera darsi quell'occasione che non ha osato ancora intraprendere.
Non è strano che in questo momento viva un senso di fatica, se per anni ha pensato di non potercela fare e non ha scelto per se stesso. Il mio augurio è che continui a crederci e che non rinunci ai suoi progetti.
Il teatro è stato d'aiuto, è stato uno spazio importante, che forse ha cercato per cambiare alcune cose di sé. Ora ha la possibilità di fare un ulteriore "scatto caratteriale" dentro di sé, magari è arrivato il momento. In modo che un giorno vicino lei potrà essere non più un "totale introverso", non più un "falso estroverso", ma semplicemente e liberamente se stesso.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
È acuto nel differenziare che ci sono episodi che possono condizionarci e che potrebbe esserci anche una "indole" caratterizzante e personale.
È una distinzione molto indagata anche a livello scientifico, è un dubbio che riguarda gli studi nell'ambito della psicologia. Le attuali neuroscienze sembrano indicare che il nostro cervello è plastico e che la nostra indole si trasformi in funzione delle esperienze vissute. La strada della ricerca è aperta in proposito.
Quando parla delle "turbe sociali" sottolinea di avere subito azioni di bullismo, che dalle sue parole sembra avere interferito sul rendimento scolastico e, immagino, sulla sua vita in generale. Questo non possiamo trascurarlo, bisogna approfondire come mai è accaduto nella sua esperienza. Sono situazioni che possono essere terribili.
In più situazioni familiari non semplici che ci racconta, come la separazione dei suoi, posso ipotizzare che abbiano contribuito a sviluppare in lei un turbamento e un'inquietudine.
Mi colpisce quando dice che avrebbe aggiunto un altro "peso" alla sua famiglia relativamente a un eventuale cambiamento di scuola che avrebbe potuto sostenere. E sento importante anche quando parla di complessi di inferiorità a proposito di se stesso.
Non ci conosciamo, quindi le lascio solo alcune suggestioni. Le sue espressioni mi fanno ipotizzare che non ha potuto costruire un senso di sicurezza e di fiducia in sé. Al punto che la mancata autorizzazione a esprimersi e la paura di non farcela l'abbiano portata a fare delle rinunce. D'altronde l'immagine di sé forse le ripropone troppo spesso l'immagine di un ragazzo che non si sente sempre all'altezza delle situazioni.
Mi sembra invece tutt'altro, un ragazzo consapevole, riflessivo e capace di guardarsi dentro. Forse questa scelta universitaria, questo suo cambiamento, indica che desidera darsi quell'occasione che non ha osato ancora intraprendere.
Non è strano che in questo momento viva un senso di fatica, se per anni ha pensato di non potercela fare e non ha scelto per se stesso. Il mio augurio è che continui a crederci e che non rinunci ai suoi progetti.
Il teatro è stato d'aiuto, è stato uno spazio importante, che forse ha cercato per cambiare alcune cose di sé. Ora ha la possibilità di fare un ulteriore "scatto caratteriale" dentro di sé, magari è arrivato il momento. In modo che un giorno vicino lei potrà essere non più un "totale introverso", non più un "falso estroverso", ma semplicemente e liberamente se stesso.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#7]
Utente
@Fregonese: la ringrazio per il suo incorraggiamento e spero di poter concretizzare i vantaggi da lei descritti nell'iniziare l'università a un'età più "matura".
@De Sanctis: gli episodi di bullismo sono accaduti sin dalle elementari per poi trovare il proprio apice nelle medie. Il motivo è dovuto soprattutto al fatto che ero un bambino chiuso in me stesso e che me la prendevo facilmente per i dispetti, oltre al fatto che ero grasso, e questo non ha che "ispirato" l'attacco dei bulli. Inoltre questi episodi si sono un po' trascinati anche nelle superiori, ero in un professionale in larga maggioranza femminile e anche lì non sono mancate le prese in giro. Mettiamoci pure che l'ambiente e le materie studiate svilivano la mia autostima e la frittata è fatta. (aggiungo inoltre che il diploma non mi ha nemmeno aiutato lavorativamente al di fuori della carriera artistica come invece speravo)
In ogni caso penso che lei abbia colto il punto, non sono riuscito a costruire una mia personale autostima e questo si è rispecchiato non soltanto negli ambiti degli studi e del lavoro ma anche nella sfera privata (i miei attuali, e pochi, amici li ho conosciuti tramite internet in quarto superiore e per vari motivi li vedo se ci dice bene una volta al mese, e in 27 anni non ho mai avuto una ragazza), sento come di non essere stato allenato adeguatamente ad affrontare la vita e in un certo senso potrei aver deciso di intraprendere l'attività artistica non solo per una reale passione, ma anche per evadere da una vita nella quale non riuscivo a vivere con serenità. Tutto ciò ha contribuito a non rendermi una persona molto aperta nemmeno con gli amici (solo dopo aver superato il test d'ingresso ho fatto saper loro che riprendevo gli studi) e la mia famiglia. (ho detto loro che avevo trovato un lavoro che svolgevo da casa solo dopo due mesi nei quali ero davanti al pc più del solito) Questo ha anche causato un rapporto conflittuale con i miei genitori (una parte di me non riesce più a fidarsi di mia madre, mentre mio padre è praticamente sparito dalla mia vita) e i miei fratelli (che mi hanno forse visto come una "minaccia" in quanto terzo figlio, con uno di loro che mi ha dato un consiglio per la scuola superiore rivelatosi sbagliato e che ho capito solo col tempo che si trattava di una sua frustrazione riversata sul sottoscritto) come se li sentissi responsabili della mia situazione attuale.
La scelta universitaria è stata ponderata dopo che per circa un paio d'anni fa ho iniziato a sentire il bisogno di cambiare vita, ma non riuscendo a capire cosa dovevo fare ho vissuto il periodo dei 25-26 anni in maniera orribile, come se mi sentissi intrappolato in un vicolo cieco nel quale non avevo la più pallida idea di come uscirne. Ho trovato la "luce" grazie al giapponese, cultura che ho apprezzato sin da quand'ero più giovane (ma solo in piccola parte per i manga, chiariamoci) e che ho apprezzato ancora di più nel tempo al cinema e alla letteratura. L'aver già iniziato a studiare la lingua da autodidatta mi aveva inizialmente spinto verso un altro corso da affiancare allo studio del giapponese, ma per motivi logistici (leggasi "lavoro") e di interesse ho alla fine optato per lingue orientali. Vorrei poter mantenere in vita questa luce così da realizzare finalmente i miei nuovi progetti, e sento che questa potrebbe davvero essere l'ultima spiaggia. Se fallissi anche questa volta forse non me lo perdonerei mai, e soprattutto non saprei come riparare a questo fallimento.
Il teatro è stato sicuramente il migliore aiuto che abbia mai ricevuto, sia perché ha migliorato il mio carattere sia perché mi ha insegnato seriamente l'etica del lavoro, ma sento ancora che mi manca qualcosa per poter finalmente stare in pace con me stesso e, come già citato nel mio primo messaggio, speravo che l'esperienza teatrale mi avrebbe aiutato nell'adattarmi alla nuova vita universitaria. Purtroppo ciò non sta accadendo, e questo non ha che ridimensionato ulteriormente la mia autostima.
Detto questo La ringrazio per gli auguri e farò di tutto per far sì che i miei obiettivi non subiscano un brusco sbandamento.
@De Sanctis: gli episodi di bullismo sono accaduti sin dalle elementari per poi trovare il proprio apice nelle medie. Il motivo è dovuto soprattutto al fatto che ero un bambino chiuso in me stesso e che me la prendevo facilmente per i dispetti, oltre al fatto che ero grasso, e questo non ha che "ispirato" l'attacco dei bulli. Inoltre questi episodi si sono un po' trascinati anche nelle superiori, ero in un professionale in larga maggioranza femminile e anche lì non sono mancate le prese in giro. Mettiamoci pure che l'ambiente e le materie studiate svilivano la mia autostima e la frittata è fatta. (aggiungo inoltre che il diploma non mi ha nemmeno aiutato lavorativamente al di fuori della carriera artistica come invece speravo)
In ogni caso penso che lei abbia colto il punto, non sono riuscito a costruire una mia personale autostima e questo si è rispecchiato non soltanto negli ambiti degli studi e del lavoro ma anche nella sfera privata (i miei attuali, e pochi, amici li ho conosciuti tramite internet in quarto superiore e per vari motivi li vedo se ci dice bene una volta al mese, e in 27 anni non ho mai avuto una ragazza), sento come di non essere stato allenato adeguatamente ad affrontare la vita e in un certo senso potrei aver deciso di intraprendere l'attività artistica non solo per una reale passione, ma anche per evadere da una vita nella quale non riuscivo a vivere con serenità. Tutto ciò ha contribuito a non rendermi una persona molto aperta nemmeno con gli amici (solo dopo aver superato il test d'ingresso ho fatto saper loro che riprendevo gli studi) e la mia famiglia. (ho detto loro che avevo trovato un lavoro che svolgevo da casa solo dopo due mesi nei quali ero davanti al pc più del solito) Questo ha anche causato un rapporto conflittuale con i miei genitori (una parte di me non riesce più a fidarsi di mia madre, mentre mio padre è praticamente sparito dalla mia vita) e i miei fratelli (che mi hanno forse visto come una "minaccia" in quanto terzo figlio, con uno di loro che mi ha dato un consiglio per la scuola superiore rivelatosi sbagliato e che ho capito solo col tempo che si trattava di una sua frustrazione riversata sul sottoscritto) come se li sentissi responsabili della mia situazione attuale.
La scelta universitaria è stata ponderata dopo che per circa un paio d'anni fa ho iniziato a sentire il bisogno di cambiare vita, ma non riuscendo a capire cosa dovevo fare ho vissuto il periodo dei 25-26 anni in maniera orribile, come se mi sentissi intrappolato in un vicolo cieco nel quale non avevo la più pallida idea di come uscirne. Ho trovato la "luce" grazie al giapponese, cultura che ho apprezzato sin da quand'ero più giovane (ma solo in piccola parte per i manga, chiariamoci) e che ho apprezzato ancora di più nel tempo al cinema e alla letteratura. L'aver già iniziato a studiare la lingua da autodidatta mi aveva inizialmente spinto verso un altro corso da affiancare allo studio del giapponese, ma per motivi logistici (leggasi "lavoro") e di interesse ho alla fine optato per lingue orientali. Vorrei poter mantenere in vita questa luce così da realizzare finalmente i miei nuovi progetti, e sento che questa potrebbe davvero essere l'ultima spiaggia. Se fallissi anche questa volta forse non me lo perdonerei mai, e soprattutto non saprei come riparare a questo fallimento.
Il teatro è stato sicuramente il migliore aiuto che abbia mai ricevuto, sia perché ha migliorato il mio carattere sia perché mi ha insegnato seriamente l'etica del lavoro, ma sento ancora che mi manca qualcosa per poter finalmente stare in pace con me stesso e, come già citato nel mio primo messaggio, speravo che l'esperienza teatrale mi avrebbe aiutato nell'adattarmi alla nuova vita universitaria. Purtroppo ciò non sta accadendo, e questo non ha che ridimensionato ulteriormente la mia autostima.
Detto questo La ringrazio per gli auguri e farò di tutto per far sì che i miei obiettivi non subiscano un brusco sbandamento.
[#8]
Utente
Buonasera, ci tenevo a precisare che oggi sto già molto meglio avendo conosciuto a lezione un mio coetaneo con il quale ho scherzato e scambiato le nostre storie e stati d'animo. (anche lui matricola curriculum giapponese) Sento come già passato il senso di solitudine che mi faceva star male, forse devo ancora imparare a non farmi prendere dall'ansia alla prima difficoltà. Spero vivamente di poter continuare su questa lunghezza d'onda e di poter stare ancora meglio nei giorni successivi.
[#9]
È una buona notizia, siamo contenti.
Ci sarebbero ancora tante cose da dire in merito alla storia che ci racconta di questo "bambino chiuso", che immagino si sia sentito solo e spaventato.
In questa sede mi sento di lasciarle solo un ulteriore pensiero. Nella vita capitano i fallimenti, a tutte le età. L'importante è non smettere di credere in se stessi e sapersi reinventare.
Lei stesso ce lo ricorda, quando dice di non "farsi prendere dall'ansia alla prima difficoltà". Spero possa riconoscersi la paternità del suo pensiero, che può essere d'esempio.
Questo vuol dire che di fronte alle difficoltà della vita lei può fare affidamento su di sé, trovare la sua strada e non essere più solo.
Grazie anche a lei per questo prezioso confronto,
Enrico de Sanctis
Ci sarebbero ancora tante cose da dire in merito alla storia che ci racconta di questo "bambino chiuso", che immagino si sia sentito solo e spaventato.
In questa sede mi sento di lasciarle solo un ulteriore pensiero. Nella vita capitano i fallimenti, a tutte le età. L'importante è non smettere di credere in se stessi e sapersi reinventare.
Lei stesso ce lo ricorda, quando dice di non "farsi prendere dall'ansia alla prima difficoltà". Spero possa riconoscersi la paternità del suo pensiero, che può essere d'esempio.
Questo vuol dire che di fronte alle difficoltà della vita lei può fare affidamento su di sé, trovare la sua strada e non essere più solo.
Grazie anche a lei per questo prezioso confronto,
Enrico de Sanctis
Questo consulto ha ricevuto 9 risposte e 19.9k visite dal 06/10/2015.
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