Di che tipo di terapia ho bisogno?

Scusate se scrivo qui, ma sono piena di dubbi.

Sono malata da tantissimi anni, ho fatto tante terapie sortendo ben pochi temporanei benefici...ed ora sono qui.

Soffro di disturbi alimentati da 18 anni. Al momento mi abbuffo e ricorro al vomito solo eccezionalmente (infatti sono ingrassata).
Non riesco più a prendere alcun tipo di decisione riguardo la mia vita e vivo perennemente in bilico.
Da poco oltre al cibo, durante le abbuffate bevo anche alcool.

Sto seguendo da 6 mesi una psicoterapia con una psicologa sistemico-relazione. Praticamente mi sembra di aver palato e di essere stata indotta a parlare sempre del mio attuale compagno, con cui ho sicuramente delle controversie ma che non rappresenta il cuore del mio problema.

ho portato il mio disagio in terapia, ma purtroppo non ci si discosta molto dal tema.

Secondo voi per i disturbi che ho avrei bisogno di un approccio terapeutico differente?
e se si, quale?



Resto a disposizione per altre eventuali informazioni


[#1]
Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
Gentile Utente,
quali tipo di terapie -approcci- ha fatto in passato e quali eventuali benefici?
Portate a termine?

Ha riportato i suoi dubbi e le sue perplessità in merito al percorso in essere alla sua curante?

Una terapia ha bisogno di tempo per dare benefici, è bene comunque esporre ogni dubbio al proprio terapeuta, fondamentale per fare il punto della situazione e decidere come procedere.

L'approccio sistemico-relazionale è idoneo per i disturbi alimentari, quali gli obiettivi posti per il suo percorso?

Parli con la sua curante per meglio comprendere se sia il caso di continuare oppure cambiare.
L'alleanza terapeutica, la mutua fiducia tra curante e persona assistita, è un ingrediente fondamentale per la riuscita di un percorso. Come si sente con la sua curante?

Intanto può leggere qui sui vari orientamenti per farsi un'idea
https://www.medicitalia.it/minforma/psicoterapia/533-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico.html
https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1333-mini-guida-per-la-scelta-dell-orientamento-psicoterapeutico-parte-ii.html

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

[#2]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

purtroppo i DCA sono piuttosto complessi e sono difficili da trattare. Inoltre non sappiamo da qui che cosa sia successo nelle precedenti terapie e che cosa non ha funzionato.
La sistemico-relazionale va benissimo per i DCA: discuta col terapeuta proprio sulle difficoltà che ha elencato qui.
Non saprei dirle, senza conoscere il caso direttamente, che cosa fare e se sia necessario cambiare ancora approccio.

Cordiali saluti,

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#3]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Salve, ha fatto bene a scrivere, immagino quanto possa essere faticoso per lei vivere da tempo un malessere che sembra non passare mai.

Ci tengo a comunicarle il mio pensiero. Lo psicoterapeuta è giusto sceglierlo sia per il suo orientamento sia in base alle sensazioni che le lascia a livello relazionale.
Potrei dire che è più tramite queste ultime, tramite cioè il vivo della relazione, che lei può orientarsi e capire se quel modo di fare e di esserci nell'incontro è o meno vicino a lei.

Io sono uno psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico, per me contano la soggettività e la libertà della persona. La psicoterapia deve portare la persona a guardarsi dentro, a sciogliere alcuni nodi dolorosi della propria esistenza. Ma è soprattutto la relazione a essere terapeutica, attraverso la quale si condivide il malessere e si fortifica la propria persona. In modo tale che lei possa sentire finalmente la vita nelle sue mani e prendere quelle decisioni che sente giuste per se stessa.

Quando chiede quale terapia per la sua diagnosi, avrà modo di vedere o forse già saprà che ci sono orientamenti in psicoterapia che aderiscono a questa idea. Nel mio orientamento invece la diagnosi riguarda la conoscenza della persona nella sua interezza, una persona che è considerata nella sua complessità, non solo e primariamente per i suoi sintomi. La diagnosi è in divenire quindi e il sintomo non va eliminato, ma ascoltato per il senso che ha per lei e la sua vita.

Senz'altro scegliere quale orientamento dello psicoterapeuta è più vicino a lei, a mio modo di vedere, è una cosa soggettiva.

Se la va di dire, come sente le mie parole? Quando dice che il cuore del problema è un altro si riferisce al suo sintomo oppure a che cosa? Forse questo può aiutarci a indirizzarla meglio.

Inoltre posso chiederle se ha già fatto altre psicoterapie?

Un saluto,
Enrico de Sanctis

Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it

[#4]
Attivo dal 2009 al 2017
Ex utente
Buongiorno

e grazie a tutti per le risposte. Definirei la mia relazione con la terapeuta buona, non mi sento giudicata (cosa che mi capita spesso), e mi sento libera di dire ciò che penso.
Così come Le ho detto che non avevo più voglia di parlare del mio compagno perché non lo sento come l'elemento causa del mio disturbo, che ha, ahimè. origine molto più antiche.
Ma essendo la terapeuta concentrata sulle "relazioni" credo che abbia difficoltà ad affrontare altri temi.

Quando dico il "cuore del problema" non mi riferisco al sintomo che so bene essere solo l'espressione di un disagio interiore, ma a diverse cose.

-l'università abbandonata quasi alla fine che mi fa sentire inetta e incapace, ma soprattutto insoddisfatta. sebbene non mi interessi più quello che studiavo non riesco a levarmi questo pensiero-macigno dalle spalle.

- un rapporto in via di recupero (x mia scelta) con un padre ex-alcolizzato, che ha fatto tanto male alla mia famiglia.

-ma soprattutto un senso di colpa che non mi lascia mai per non essermi occupata di mia madre quando ne aveva più bisogno. mia madre è morta anni fa ed ormai non mi è più possibile recuperare un rapporto rovinato dalla mia rabbia.

quando non mi abbuffo e non bevo provo un dolore enorme e una rabbia tale che mi spinge a farmi del male.
ho preso anche farmaci negli ultimi anni, ma in quello non sono molto costante perché appena avverto effetti collaterali (più o meno reali) tendo a lasciarli. di sicuro non riesco a sopportare quella sensazione di "piatto" in cui mi conducono.
sebbene facciano male io avrei il desiderio di provare le mie emozioni.

Grazie
[#5]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
I vissuti e le emozioni relativamente a suo padre e a sua madre, la percezione di sé svalutata, il peso della responsabilità e della colpa, il senso di insoddisfazione e, forse, di solitudine sono tutte condizioni esistenziali che meritano attenzione.

Quando dice che se "non si abbuffa e non beve prova un dolore enorme", traccia in modo emblematico il senso del suo malessere e segna nelle "origini antiche" i luoghi in cui ci sono le ferite di cui prendersi cura.
E condivido che aprire questi discorsi è fondamentale per superare il suo malessere.

Quando sente di essere indotta a parlare della sua relazione con il suo compagno, ha l'impressione che questi importanti temi e vissuti di cui ci sta ora parlando non siano accolti adeguatamente dalla sua psicoterapeuta? Se non sono indiscreto e se la sente di parlarne, cosa accade quando le dice che non vuole parlare del suo compagno e, immagino, introduce questi altri discorsi?

[#6]
Attivo dal 2009 al 2017
Ex utente
Ho avuta la lucidità di fare questa mia affermazione solo di recente perché per i primi tempi mi sono completamente lasciata guidare durante la sedute.

Mi viene risposto che il mio presente è ORA e che in primis devo cercare di stare bene nell'ambiente che mi circonda.
Forse sbaglio, ma io trovo che sia vero solo fino ad un certo punto. Quando sto cosi male, non riesco a darmi e neanche a percepire quello che mi viene dato nella coppia. in terapia Stiamo lavorando sul fatto che non sia "colpa mia e del disturbo" se le cose non vanno bene. (io mi sono sempre considerata fredda ed incapace di amare).
Eppure credo che se in qualche modo non mi libero dei fardelli che porto, neanche mi interesserà più di tanto vivere bene la coppia perché egoisticamente sono troppo concentrata su me stessa.
[#7]
Dr. Enrico De Sanctis Psicologo, Psicoterapeuta 1.3k 66
Seguo con attenzione il filo della sua narrazione, la trovo acuta.
Il lavoro della terapia si basa sulle sue sensazioni, su quello che pensa e vive. Non è sbagliato questo, non dubiti di sé.

Nel mio modo di lavorare potrei dire che il presente è condizionato dal passato. Addirittura, purtroppo, potremmo affermare che il passato è presente. E questa matrice ingombrante del passato non consente una progettualità presente e futura. Ma è causa di una sorta di ripetizione in cui tutto è sempre uguale, come fosse un destino chiuso. Questo è fonte di malessere.
Le relazioni attuali sono importanti, ma dal mio punto di vista è fondamentale anche il passato più antico. E, comunque, nel mio orientamento, il paziente è libero di esplorare se stesso e narrarsi, dalle origini fino all'attualità, nel modo in cui di volta in volta sente di voler fare. Il filo che attraversa il passato e il presente si tira poi insieme.

Questa matrice va ascoltata, riattraversata per essere trasformata e per poter guardare alla propria vita e al futuro, vedendo nuovi orizzonti, che ora sono liberi al nostro sguardo promettente.

Spero di averle dato dei suggerimenti, mostrandole alcune differenze di orientamento, che possano aiutarla nella sua ricerca.

Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#8]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
La terapia sistemico-relazionale è in generale indicata per i DCA, specie tenendo conto del fatto che i DCA hanno spesso interrelazioni importanti con la vita relazionale della persona.

Semmai, ipoteticamente, da ciò che racconta si potrebbe dire che *questa* terapeuta si stia concentrando soprattutto sulle relazioni senza però riuscire a incidere sul suo disagio.

Ma se lei stessa riconosce che:

>>> (io mi sono sempre considerata fredda ed incapace di amare)
>>>

questo potrebbe spiegare la mancanza di progressi che sta avvertendo nella terapia e di contro l'insistenza della terapeuta a concentrarsi nelle relazioni, perché il nodo potrebbe essere proprio lì!

>>> Mi viene risposto che il mio presente è ORA e che in primis devo cercare di stare bene nell'ambiente che mi circonda.
>>>

Come terapeuta strategico sono abbastanza d'accordo, se il senso è: cerchiamo di cambiare il presente, che è l'unico che può essere cambiato. Da un punto di vista strategico il lavoro di "scavo archeologico" può spesso essere ridotto a un minimo e la restante parte del lavoro rivolta al cambiare l'oggi, che è quello che interessa. Le interpretazioni possono essere lasciate anche a dopo, se serve.

>>> credo che se in qualche modo non mi libero dei fardelli che porto, neanche mi interesserà più di tanto vivere bene la coppia perché egoisticamente sono troppo concentrata su me stessa
>>>

Molte volte è così, infatti. I problemi personali limitano la felicità della vita di coppia:

https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3520-equilibrio-psichico-ed-equilibrio-in-amore-vanno-di-pari-passo.html

In sintesi dovreste riuscire a capire, assieme alla terapeuta, se la sensazione che la terapia non stia andando nella direzione voluta dipenda da limiti inerenti alle valutazioni che sono state fatte e agli assunti su cui si sta basando questa terapia, oppure da una resistenza ad affrontare temi che meriterebbero di essere trattati.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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