Devo continuare la psicoterapia?
Salve, sono un ragazzo di 30 anni. Da metà febbraio sto seguendo una psicoterapia con cadenza settimanale. Ho deciso di rivolgermi a un professionista dopo 10 anni dal percorso psicanalitico che durò 10 mesi e che lasciai sia per problemi economici sia perché quell'esperienza mi sembrò del tutto inutile, poco interessante e anche molto dolorosa.
Nei dieci anni successivi sono stato male, ho sempre arrancato cercando di non crollare del tutto e ho l'impressione di aver vissuto da spettatore la mia vita. Penso infatti sempre di non aver vissuto, ma di essere semplicemente sopravvissuto. Subito dopo il percorso psicanalitico sono stato malissimo, tanto da pensare più volte al suicidio come ultima estrema scelta. Lo scorso inverno, stremato, ho deciso di riprovarci a farmi aiutare, consapevole ormai che da solo non sono in grado di risolvere i miei problemi e a gestire il mio malessere. Mi sono rivolto ad una psicologa e ho iniziato una terapia una volta a settimana (in questi giorni c'è la pausa estiva). La prima volta sono stato molto chiaro: avevo i soldi per pagarmi la terapia solo qualche mese, dopodiché, a meno che non avessi trovato lavoro (sono disoccupato), non sarei stato più in grado di sostenerla economicamente. Le dissi che per me la psicoanalisi fu un'esperienza molto difficile e tutt'ora ho un bruttissimo ricordo di quel periodo e quindi per me era uno sforzo enorme rivolgermi di nuovo a uno specialista. Inoltre, pur consapevole che la psicoterapia è un lungo percorso e non pretendendo miracoli, le dissi che per lo meno avrei voluto che seguendo questa terapia almeno mi si accendesse un briciolo di speranza e che avvertissi che prima o poi questo percorso mi avrebbe aiutato.
Credo di essere stato molto chiaro su queste premesse. Lei mi disse che, nonostante tutte le difficoltà del caso, il fatto che avevo trovato il coraggio e la voglia di riprovarci era molto importante e che valeva la pena cogliere il momento e provarci.
A distanza di qualche mese mi trovo nella stessa condizione di quando avevo iniziato. Per me ogni volta, andare lì è un trauma, è qualcosa di molto doloroso.
Sto valutando se continuare o no la terapia (ne ho già parlato con la psicologa). Oltretutto, pur volendo, credo che in autunno non sarò più in grado di pagare la terapia perché i miei risparmi stanno per finire e non ho lavoro. La mia ragazza mi ha consigliato di rivolgermi a una struttura pubblica, ma io proprio non ho voglia di cominciare daccapo con un'altra persona... è già stato difficile così. Ma al di là dell'aspetto economico, è il caso che io provi a continuare con questa psicologa? Mi chiedo se è normale che vada così o se evidentemente non è la terapia adatta al mio caso oppure la terapeuta non riesce a sbloccarmi.
Mi sento sempre più disperato e senza speranze e ho paura di cadere in un vortice ancora più forte e che non sarò più in grado di gestire la situazione.
Ringrazio chi avrà avuto la pazienza di leggere e, eventualmente, rispondermi.
Nei dieci anni successivi sono stato male, ho sempre arrancato cercando di non crollare del tutto e ho l'impressione di aver vissuto da spettatore la mia vita. Penso infatti sempre di non aver vissuto, ma di essere semplicemente sopravvissuto. Subito dopo il percorso psicanalitico sono stato malissimo, tanto da pensare più volte al suicidio come ultima estrema scelta. Lo scorso inverno, stremato, ho deciso di riprovarci a farmi aiutare, consapevole ormai che da solo non sono in grado di risolvere i miei problemi e a gestire il mio malessere. Mi sono rivolto ad una psicologa e ho iniziato una terapia una volta a settimana (in questi giorni c'è la pausa estiva). La prima volta sono stato molto chiaro: avevo i soldi per pagarmi la terapia solo qualche mese, dopodiché, a meno che non avessi trovato lavoro (sono disoccupato), non sarei stato più in grado di sostenerla economicamente. Le dissi che per me la psicoanalisi fu un'esperienza molto difficile e tutt'ora ho un bruttissimo ricordo di quel periodo e quindi per me era uno sforzo enorme rivolgermi di nuovo a uno specialista. Inoltre, pur consapevole che la psicoterapia è un lungo percorso e non pretendendo miracoli, le dissi che per lo meno avrei voluto che seguendo questa terapia almeno mi si accendesse un briciolo di speranza e che avvertissi che prima o poi questo percorso mi avrebbe aiutato.
Credo di essere stato molto chiaro su queste premesse. Lei mi disse che, nonostante tutte le difficoltà del caso, il fatto che avevo trovato il coraggio e la voglia di riprovarci era molto importante e che valeva la pena cogliere il momento e provarci.
A distanza di qualche mese mi trovo nella stessa condizione di quando avevo iniziato. Per me ogni volta, andare lì è un trauma, è qualcosa di molto doloroso.
Sto valutando se continuare o no la terapia (ne ho già parlato con la psicologa). Oltretutto, pur volendo, credo che in autunno non sarò più in grado di pagare la terapia perché i miei risparmi stanno per finire e non ho lavoro. La mia ragazza mi ha consigliato di rivolgermi a una struttura pubblica, ma io proprio non ho voglia di cominciare daccapo con un'altra persona... è già stato difficile così. Ma al di là dell'aspetto economico, è il caso che io provi a continuare con questa psicologa? Mi chiedo se è normale che vada così o se evidentemente non è la terapia adatta al mio caso oppure la terapeuta non riesce a sbloccarmi.
Mi sento sempre più disperato e senza speranze e ho paura di cadere in un vortice ancora più forte e che non sarò più in grado di gestire la situazione.
Ringrazio chi avrà avuto la pazienza di leggere e, eventualmente, rispondermi.
[#1]
Salve, senz'altro il fatto di poter parlare con la sua psicologa del suo malessere è importante. La cosa migliore è parlarle fino in fondo, anche di ciò che la terapia le suscita.
Darle dei consigli non è semplice, non conoscendo la sua storia né la sua terapia.
Prima di tutto mi sento di dirle che esprime con chiarezza il suo vissuto di dolore e mi sento partecipe di questo.
Ogni terapia è a sé, dipende dal tipo di orientamento e da come la persona reagisce soggettivamente a quel lavoro e a quel terapeuta. La persona porta con sé un mondo e una storia e anche questo ha molta importanza rispetto all'andamento della terapia e al suo esito.
Posso anche dirle che una terapia ha dei tempi lunghi e non sempre dà dei risultati nel breve periodo purtroppo. Dipende, ma possono volerci anche anni.
In più, come lei dice, può capitare un aumento del malessere, in quanto obbliga a farci i conti. Noi tutti tendiamo a difenderci dal dolore e dagli eventi tristi e drammatici della nostra vita. Ci proteggiamo e ci sentiamo, così, un po' al sicuro dal male della vita.
Questa protezione però, se diventa massiccia, ci può danneggiare perché ci fa chiudere in noi stessi, deprivandoci anche delle cose belle, deprivandoci delle potenzialità di un futuro eventuale e promettente.
Non so se sia questo il suo caso, anche se quando parla di sé come di uno spettatore, mi fa pensare che questo discorso può riguardarci.
Nel momento in cui una terapia scardina questa protezione, con lo scopo di trasformarla da spettatore ad autore della sua vita, la costringe a rivivere quel dolore che voleva dimenticare e ad affrontare in prima persona situazioni che da spettatore erano distanti e sembravano non riguardarla.
Quando dice che non sa se la sua "terapeuta riesce a sboccarla", bisognerebbe capire quello che sta succedendo in questo momento della sua terapia e, nello specifico, in che modo rievoca un dolore così forte in lei.
Attraverso il suo intuito può sentire il valore del lavoro che sta facendo, la terapia è una relazione che riguarda il terapeuta così come la persona che gli chiede aiuto. So che non è semplice, in quanto sono in gioco vissuti esperienziali che lei vive in prima persona e distinguere le cose può essere arduo. Mi servo delle sue parole molto precise, perché la sua domanda in proposito è emblematica: "Mi chiedo se è normale che vada così o se evidentemente non è la terapia adatta al mio caso oppure la terapeuta non riesce a sbloccarmi".
Non so quanto possa esserle stato d'aiuto, mi consenta di aggiungere che la sua ricerca, per quanto sia faticosa, ci parla anche di una sua forza, e sono sicuro che riuscirà a portarla sulla strada giusta per lei.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
info@enricodesanctis.it
Darle dei consigli non è semplice, non conoscendo la sua storia né la sua terapia.
Prima di tutto mi sento di dirle che esprime con chiarezza il suo vissuto di dolore e mi sento partecipe di questo.
Ogni terapia è a sé, dipende dal tipo di orientamento e da come la persona reagisce soggettivamente a quel lavoro e a quel terapeuta. La persona porta con sé un mondo e una storia e anche questo ha molta importanza rispetto all'andamento della terapia e al suo esito.
Posso anche dirle che una terapia ha dei tempi lunghi e non sempre dà dei risultati nel breve periodo purtroppo. Dipende, ma possono volerci anche anni.
In più, come lei dice, può capitare un aumento del malessere, in quanto obbliga a farci i conti. Noi tutti tendiamo a difenderci dal dolore e dagli eventi tristi e drammatici della nostra vita. Ci proteggiamo e ci sentiamo, così, un po' al sicuro dal male della vita.
Questa protezione però, se diventa massiccia, ci può danneggiare perché ci fa chiudere in noi stessi, deprivandoci anche delle cose belle, deprivandoci delle potenzialità di un futuro eventuale e promettente.
Non so se sia questo il suo caso, anche se quando parla di sé come di uno spettatore, mi fa pensare che questo discorso può riguardarci.
Nel momento in cui una terapia scardina questa protezione, con lo scopo di trasformarla da spettatore ad autore della sua vita, la costringe a rivivere quel dolore che voleva dimenticare e ad affrontare in prima persona situazioni che da spettatore erano distanti e sembravano non riguardarla.
Quando dice che non sa se la sua "terapeuta riesce a sboccarla", bisognerebbe capire quello che sta succedendo in questo momento della sua terapia e, nello specifico, in che modo rievoca un dolore così forte in lei.
Attraverso il suo intuito può sentire il valore del lavoro che sta facendo, la terapia è una relazione che riguarda il terapeuta così come la persona che gli chiede aiuto. So che non è semplice, in quanto sono in gioco vissuti esperienziali che lei vive in prima persona e distinguere le cose può essere arduo. Mi servo delle sue parole molto precise, perché la sua domanda in proposito è emblematica: "Mi chiedo se è normale che vada così o se evidentemente non è la terapia adatta al mio caso oppure la terapeuta non riesce a sbloccarmi".
Non so quanto possa esserle stato d'aiuto, mi consenta di aggiungere che la sua ricerca, per quanto sia faticosa, ci parla anche di una sua forza, e sono sicuro che riuscirà a portarla sulla strada giusta per lei.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
info@enricodesanctis.it
Dr. Enrico de Sanctis - Roma
Psicologo e Psicoterapeuta a orientamento psicoanalitico
www.enricodesanctis.it
[#2]
Gentile ragazzo,
Quando si sta male e si inizia una psicoterapia psicoanalitica si sta peggio. Perche' i colloqui , se ben condotti, scardinano i punti di appoggio su cui si struttura il malessere.
C'e un periodo di destabilizzazione a cui spesso il paziente reagisce con "difese" tese a non modificare il suo modo di sentire e/o di percepire la realta' esterna e interna e fronteggiarla.
Se riesce a superare tali difese inizia il cambiamento, fatto di piccoli passi avanti, qualcuno indietro. Ma che lo portera' a vedere un altro modo di essere. Forse a metterlo in pratica se decide di farlo.
Come puo' capire questo percorso e' doloroso e lungo nella misura in cui sono forti le difese che opporra' al cambiamento.
Spero di averle dato un'idea di come si svolge una terapia psicodinamica o psicoanalitica.
Vi sono altri approcci che non conosco a fondo e che promettono di essere piu' brevi.
Sono molto focalizzati su un solo tema e molto duri, proprio per abbassare le difese e raggiungere almeno alcuni risultati in poco tempo.
Valuti Lei alla luce della Sua esperienza come regolarsi!
I migliori saluti
Quando si sta male e si inizia una psicoterapia psicoanalitica si sta peggio. Perche' i colloqui , se ben condotti, scardinano i punti di appoggio su cui si struttura il malessere.
C'e un periodo di destabilizzazione a cui spesso il paziente reagisce con "difese" tese a non modificare il suo modo di sentire e/o di percepire la realta' esterna e interna e fronteggiarla.
Se riesce a superare tali difese inizia il cambiamento, fatto di piccoli passi avanti, qualcuno indietro. Ma che lo portera' a vedere un altro modo di essere. Forse a metterlo in pratica se decide di farlo.
Come puo' capire questo percorso e' doloroso e lungo nella misura in cui sono forti le difese che opporra' al cambiamento.
Spero di averle dato un'idea di come si svolge una terapia psicodinamica o psicoanalitica.
Vi sono altri approcci che non conosco a fondo e che promettono di essere piu' brevi.
Sono molto focalizzati su un solo tema e molto duri, proprio per abbassare le difese e raggiungere almeno alcuni risultati in poco tempo.
Valuti Lei alla luce della Sua esperienza come regolarsi!
I migliori saluti
Dott.a FRANCA ESPOSITO, Roma
Psicoterap dinamic Albo Lazio 15132
[#3]
Utente
Grazie molte dottore per la sua pronta risposta.
La terapeuta mi pare una professionista molto competente e preparata: riesce sempre a cogliere il nocciolo della questione anche se faccio fatica ad esprimermi (cosa che lo psicanalista non faceva) ma questo mi sembra che comunque non sortisca effetti. Ogni esperienza mi sembra sempre che non riesca per niente ad entrare nel profondo, ma che mi influenzi sempre molto superficialmente. Ho poca fiducia nella terapia e ancor meno in me stesso. Credo di conoscere molto bene le cause dei miei disagi, ma ciò non mi aiuta. Non so che farmene di sapere quali sono i miei problemi e quali le origini. È come se già conoscessi la malattia e la causa, ma non avessi il medicinale per guarire.
Io cerco di metterci tutto l'impegno possibile, cerco di parlare di tutto ciò che ho dentro e mi turba. Ma nonostante ciò non vedo come questo possa aiutarmi. Per me raccontarmi non è affatto uno sfogo, ma solo una sofferenza. Per questo motivo non c'è stata una volta che sono uscito dallo studio rincuorato o sollevato. Ogni volta esco di lì col nodo alla gola e spesso scoppio a piangere.
Tutte queste difficoltà le dico alla terapeuta, compreso il fatto che stia mettendo in discussione la terapia. Mi ritrovo nella stessa situazione di dieci anni fa: sofferenza, difficoltà nell'affrontare la terapia e pagarmela, non intravedere un briciolo di speranza nel futuro.
Non so per quanto tempo riuscirò a sostenere questa situazione. Ho paura che prima o poi la situazione possa precipitare.
La terapeuta mi pare una professionista molto competente e preparata: riesce sempre a cogliere il nocciolo della questione anche se faccio fatica ad esprimermi (cosa che lo psicanalista non faceva) ma questo mi sembra che comunque non sortisca effetti. Ogni esperienza mi sembra sempre che non riesca per niente ad entrare nel profondo, ma che mi influenzi sempre molto superficialmente. Ho poca fiducia nella terapia e ancor meno in me stesso. Credo di conoscere molto bene le cause dei miei disagi, ma ciò non mi aiuta. Non so che farmene di sapere quali sono i miei problemi e quali le origini. È come se già conoscessi la malattia e la causa, ma non avessi il medicinale per guarire.
Io cerco di metterci tutto l'impegno possibile, cerco di parlare di tutto ciò che ho dentro e mi turba. Ma nonostante ciò non vedo come questo possa aiutarmi. Per me raccontarmi non è affatto uno sfogo, ma solo una sofferenza. Per questo motivo non c'è stata una volta che sono uscito dallo studio rincuorato o sollevato. Ogni volta esco di lì col nodo alla gola e spesso scoppio a piangere.
Tutte queste difficoltà le dico alla terapeuta, compreso il fatto che stia mettendo in discussione la terapia. Mi ritrovo nella stessa situazione di dieci anni fa: sofferenza, difficoltà nell'affrontare la terapia e pagarmela, non intravedere un briciolo di speranza nel futuro.
Non so per quanto tempo riuscirò a sostenere questa situazione. Ho paura che prima o poi la situazione possa precipitare.
[#4]
La psicoterapia analitica non e' un farmaco pronto-effetto.
Ci sono voluti anni per strutturare la propria maniera di essere e di difendersi e non si puo' immaginare di cambiare tutto in breve e piacevole modo.
L'impegno del paziente ci vuole ma nessuno lo obbliga a farlo.
Se non e' in grado abbandona la terapia e continua la sua esistenza come era prima. C'e' da dire pero' che in questo caso tutto il lavoro fatto va a monte. Ha vinto, stravinto la rinuncia e la patologia.
Ci pensi perche' si tratta della sua vita!
Ci sono voluti anni per strutturare la propria maniera di essere e di difendersi e non si puo' immaginare di cambiare tutto in breve e piacevole modo.
L'impegno del paziente ci vuole ma nessuno lo obbliga a farlo.
Se non e' in grado abbandona la terapia e continua la sua esistenza come era prima. C'e' da dire pero' che in questo caso tutto il lavoro fatto va a monte. Ha vinto, stravinto la rinuncia e la patologia.
Ci pensi perche' si tratta della sua vita!
[#5]
Utente
Grazie dott.ssa Esposito per la sua risposta.
Sicuramente è come dice lei ed è anche ciò che dice la mia terapeuta.
Non so però se avrò la forza e la pazienza per perseverare ancora a lungo fino ad abbattere queste difese.
Tra l'altro, come ho già detto, non so se sarò più in grado di pagarmi la terapia e questo mi mette molta ansia.
Io sono molto razionale e la mente mi dice di tentare il possibile ed insistere. Il mio istinto invece mi dice chiaramente di finire qua e in questo momento è più forte della ragione. La fiducia e la speranza sono molto scarse ed alla luce della mia esperienza non so proprio come regolarmi...
Sicuramente è come dice lei ed è anche ciò che dice la mia terapeuta.
Non so però se avrò la forza e la pazienza per perseverare ancora a lungo fino ad abbattere queste difese.
Tra l'altro, come ho già detto, non so se sarò più in grado di pagarmi la terapia e questo mi mette molta ansia.
Io sono molto razionale e la mente mi dice di tentare il possibile ed insistere. Il mio istinto invece mi dice chiaramente di finire qua e in questo momento è più forte della ragione. La fiducia e la speranza sono molto scarse ed alla luce della mia esperienza non so proprio come regolarmi...
[#6]
Utente
Non pretendo affatto che la terapia sia un farmaco pronto-effetto e priva di dolore, però dopo cinque mesi e mezzo speravo che almeno potessi intravedere un briciolo di speranza e di cambiamento. Per lo meno intuire che questo percorso, in futuro, possa essermi d'aiuto... Invece non riesco a intravede neanche questo
[#8]
Mi spiace che la terapia generi tanta sofferenza in lei. Immagino che si senta stanco ed esasperato, forse anche deluso e arrabbiato. Anche se per fortuna non può credere che finisca così, e nonostante la fatica mi sembra che lei stesso non voglia rassegnarsi.
Una terapia indaga le origini, perché la storia che ci forma è importante.
Ma lei ha ragione a dire che non basta. Uso ancora le sue parole: "Credo di conoscere molto bene le cause dei miei disagi, ma ciò non mi aiuta. Non so che farmene di sapere quali sono i miei problemi e quali le origini".
Una terapia infatti non deve rimanere su un piano razionale, sapere a livello razionale le cause che danno luogo al proprio malessere e non andare oltre, non porta un reale cambiamento. E si sviluppa una situazione di questo tipo, non così infrequente: "Ho capito tutto, ma non è cambiato niente".
Il cambiamento deve avvenire a livello più profondo, è un cambiamento emotivo. Ed avviene attraverso una nuova esperienza di sé come persona, che sperimenta sulla sua pelle un nuovo sentire e un nuovo modo di stare nel mondo. Questo è consentito dalla speciale relazione tra terapeuta e paziente. A partire dalla comprensione del suo dolore, dalla fatica che fa ad esprimersi e dalla sofferenza che questo comporta per lei.
Quando afferma che "ogni esperienza mi sembra sempre che non riesca per niente ad entrare nel profondo, ma che mi influenzi sempre molto superficialmente", mi domando anche che orientamento teorico sta seguendo oggi, per caso lo conosce?
Un saluto,
Enrico de Sanctis
info@enricodesanctis.it
Una terapia indaga le origini, perché la storia che ci forma è importante.
Ma lei ha ragione a dire che non basta. Uso ancora le sue parole: "Credo di conoscere molto bene le cause dei miei disagi, ma ciò non mi aiuta. Non so che farmene di sapere quali sono i miei problemi e quali le origini".
Una terapia infatti non deve rimanere su un piano razionale, sapere a livello razionale le cause che danno luogo al proprio malessere e non andare oltre, non porta un reale cambiamento. E si sviluppa una situazione di questo tipo, non così infrequente: "Ho capito tutto, ma non è cambiato niente".
Il cambiamento deve avvenire a livello più profondo, è un cambiamento emotivo. Ed avviene attraverso una nuova esperienza di sé come persona, che sperimenta sulla sua pelle un nuovo sentire e un nuovo modo di stare nel mondo. Questo è consentito dalla speciale relazione tra terapeuta e paziente. A partire dalla comprensione del suo dolore, dalla fatica che fa ad esprimersi e dalla sofferenza che questo comporta per lei.
Quando afferma che "ogni esperienza mi sembra sempre che non riesca per niente ad entrare nel profondo, ma che mi influenzi sempre molto superficialmente", mi domando anche che orientamento teorico sta seguendo oggi, per caso lo conosce?
Un saluto,
Enrico de Sanctis
info@enricodesanctis.it
[#9]
Utente
Comprendo che il cambiamento debba avvenire a livello molto più profondo, solo che non riesco proprio a capire in che modo ciò possa avvenire.
Non so di preciso la mia psicologa quale tecnica usi, ma comunque credo sia di stampo psicanalitico. Non avendo conosciuto altri terapeuti, non so se possano esserci altri tipi di terapia più adatti al mio caso, ma questo temo che non potrà saperlo neanche lei visto che non conosce la mia storia e i miei disagi.
Non so di preciso la mia psicologa quale tecnica usi, ma comunque credo sia di stampo psicanalitico. Non avendo conosciuto altri terapeuti, non so se possano esserci altri tipi di terapia più adatti al mio caso, ma questo temo che non potrà saperlo neanche lei visto che non conosce la mia storia e i miei disagi.
[#10]
>>> pur consapevole che la psicoterapia è un lungo percorso
>>>
Non è così in generale. Soprattutto le forme di psicoterapia attiva, che impartiscono compiti comportamentali precisi da mettere in atto fra le varie sedute, sono capaci di ottenere risultati duraturi in tempi brevi.
Trovarsi bene con il proprio terapeuta è utile, ma senza dimenticare che l'obiettivo di cambiamento desiderato e che ci ha portati in terapia. Altrimenti la terapia si trasforma in qualcos'altro, in mero sostegno o in dipendenza.
Perciò faccia due cose: 1) si informi sulla varietà di forme psicoterapeutiche disponibili e 2) se per quanto ritenga competente la sua attuale terapeuta, sente che non sta riuscendo a incidere sul problema, prenda in considerazione l'idea di cambiare.
>>>
Non è così in generale. Soprattutto le forme di psicoterapia attiva, che impartiscono compiti comportamentali precisi da mettere in atto fra le varie sedute, sono capaci di ottenere risultati duraturi in tempi brevi.
Trovarsi bene con il proprio terapeuta è utile, ma senza dimenticare che l'obiettivo di cambiamento desiderato e che ci ha portati in terapia. Altrimenti la terapia si trasforma in qualcos'altro, in mero sostegno o in dipendenza.
Perciò faccia due cose: 1) si informi sulla varietà di forme psicoterapeutiche disponibili e 2) se per quanto ritenga competente la sua attuale terapeuta, sente che non sta riuscendo a incidere sul problema, prenda in considerazione l'idea di cambiare.
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#11]
Utente
Grazie per la risposta Dott. Santonocito.
Prima di iniziare l'attuale psicoterapia mi ero un po' informato sui vari approcci psicoterapeutici. Avevo molto sentito parlare della TCC ma l'avevo esclusa in quanto non ho alcun problema riguardo la sfera comportamentale: non ho fobie, né ossessioni, né ho mai avuto attacchi di panico; non ho problemi relativi all'alimentazione e non ho mai avuto problemi a socializzare. Ho molti amici, una fidanzata e sono circondato da persone che mi vogliono bene. Il mio è un problema fondamentalmente di tipo esistenziale: non sto bene con me stesso e non riesco a dare un senso alla mia vita.
La mia terapeuta (che inizialmente contattai tramite una conoscenza in comune solo per avere un parere e farmi dare un consiglio su quale percorso intraprendere) mi disse ciò a cui ero giunto per conto mio, ossia che una terapia come quella cognitivo-comportamentale non era molto adatta al mio caso in quanto ho problemi prettamente esistenziali.
Della psicoterapia breve strategica sinceramente non avevo mai sentito parlare. In questi giorni ho letto un po' di cose (anche dal suo sito) ma sinceramente non mi attrae neanche un po' e penso che non mi sarebbe molto d'aiuto (magari non è così, ma questa è la mia sensazione).
Cordiali saluti
Prima di iniziare l'attuale psicoterapia mi ero un po' informato sui vari approcci psicoterapeutici. Avevo molto sentito parlare della TCC ma l'avevo esclusa in quanto non ho alcun problema riguardo la sfera comportamentale: non ho fobie, né ossessioni, né ho mai avuto attacchi di panico; non ho problemi relativi all'alimentazione e non ho mai avuto problemi a socializzare. Ho molti amici, una fidanzata e sono circondato da persone che mi vogliono bene. Il mio è un problema fondamentalmente di tipo esistenziale: non sto bene con me stesso e non riesco a dare un senso alla mia vita.
La mia terapeuta (che inizialmente contattai tramite una conoscenza in comune solo per avere un parere e farmi dare un consiglio su quale percorso intraprendere) mi disse ciò a cui ero giunto per conto mio, ossia che una terapia come quella cognitivo-comportamentale non era molto adatta al mio caso in quanto ho problemi prettamente esistenziali.
Della psicoterapia breve strategica sinceramente non avevo mai sentito parlare. In questi giorni ho letto un po' di cose (anche dal suo sito) ma sinceramente non mi attrae neanche un po' e penso che non mi sarebbe molto d'aiuto (magari non è così, ma questa è la mia sensazione).
Cordiali saluti
[#12]
>>> Il mio è un problema fondamentalmente di tipo esistenziale: non sto bene con me stesso e non riesco a dare un senso alla mia vita
>>>
Questo era chiaro, ma non deve confondere problemi comportamentali con compiti comportamentali. I secondi servono per risolvere problemi anche come il suo, di natura per così dire esistenziale.
D'altra parte non tutte le persone sono eleggibili alla psicoterapia. E non tutte le forme di psicoterapia sono adatte a tutti. La terapia strategica si basa molto sul fare. Se perciò lei ritiene di poter risolvere il suo problema solo pensando, parlando e riflettendo, non è probabilmente adatta a lei.
D'altra parte, per completezza si deve osservare che le forme di terapia attiva, come la comportamentale o la strategica, sono nate appunto dall'osservazione che per molti comuni problemi psicologici parlare e riflettere non è sufficiente: occorre iniziare a fare cose in modo diverso, nella pratica. Altrimenti il rischio e di "pensarsi addosso" e lasciar passare il tempo senza fare reali progressi.
>>>
Questo era chiaro, ma non deve confondere problemi comportamentali con compiti comportamentali. I secondi servono per risolvere problemi anche come il suo, di natura per così dire esistenziale.
D'altra parte non tutte le persone sono eleggibili alla psicoterapia. E non tutte le forme di psicoterapia sono adatte a tutti. La terapia strategica si basa molto sul fare. Se perciò lei ritiene di poter risolvere il suo problema solo pensando, parlando e riflettendo, non è probabilmente adatta a lei.
D'altra parte, per completezza si deve osservare che le forme di terapia attiva, come la comportamentale o la strategica, sono nate appunto dall'osservazione che per molti comuni problemi psicologici parlare e riflettere non è sufficiente: occorre iniziare a fare cose in modo diverso, nella pratica. Altrimenti il rischio e di "pensarsi addosso" e lasciar passare il tempo senza fare reali progressi.
[#14]
Mi ha molto incuriosita il Suo caso, gentile utente, perché mi pare che ci siano alcune considerazioni che possiamo fare qui, nonostante la distanza:
- non è vero che rivolgersi all' asl della sua zona significa ricominciare daccapo. Lei non butta via il lavoro terapeutico fatto fin qui. La consapevolezza che ha acquisito (sebbene non sufficiente per stare bene e cambiare) le servirà comunque.
-- Non è vero che la TCC non sia adatta per un problema di tipo esistenziale, anche perché non escluderei che ci siano sfumature ansiose. Ma in ogni caso , se lei non riesce a cambiare, non escluderei che avere un terapeuta che possa integrare la consapevolezza che giá ha con la prescrizione di un metodo utile per sapere come fare sarebbe di grande aiuto.
D ' altra parte e fondamentale a questo punto fare il punto della situazione col curante e valutare perché di solito una terapia deve dare risultati in tempi ragionevoli e a me pare che di tempo ne sia trascorso tanto.
In ogni caso ci sono molti approcci terapeutici ma credo che sia sensato valutare che cosa può esserle più utile per risolvere la problematica.
Cordiali saluti,
- non è vero che rivolgersi all' asl della sua zona significa ricominciare daccapo. Lei non butta via il lavoro terapeutico fatto fin qui. La consapevolezza che ha acquisito (sebbene non sufficiente per stare bene e cambiare) le servirà comunque.
-- Non è vero che la TCC non sia adatta per un problema di tipo esistenziale, anche perché non escluderei che ci siano sfumature ansiose. Ma in ogni caso , se lei non riesce a cambiare, non escluderei che avere un terapeuta che possa integrare la consapevolezza che giá ha con la prescrizione di un metodo utile per sapere come fare sarebbe di grande aiuto.
D ' altra parte e fondamentale a questo punto fare il punto della situazione col curante e valutare perché di solito una terapia deve dare risultati in tempi ragionevoli e a me pare che di tempo ne sia trascorso tanto.
In ogni caso ci sono molti approcci terapeutici ma credo che sia sensato valutare che cosa può esserle più utile per risolvere la problematica.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#15]
Utente
Grazie Dott.ssa Pileci per il suo intervento.
Io credo che la consapevolezza che ho di me e della mia situazione non l'abbia acquisita negli ultimi periodi, ma è stata raggiunta indipendentemente e ben prima dell'inizio della terapia.
Rivedrò la mia terapeuta tra una settimana. Ovviamente le parlerò di tutto ciò e faremo il punto della situazione.
Cordiali saluti
Io credo che la consapevolezza che ho di me e della mia situazione non l'abbia acquisita negli ultimi periodi, ma è stata raggiunta indipendentemente e ben prima dell'inizio della terapia.
Rivedrò la mia terapeuta tra una settimana. Ovviamente le parlerò di tutto ciò e faremo il punto della situazione.
Cordiali saluti
[#16]
Utente
Buonasera,
vorrei aggiornarvi sul mio percorso.
Dopo la pausa estiva, ho ricominciato la terapia, ma da ottobre a gennaio ho fatto una seduta ogni due settimane. Questo perché non ero più in grado di pagarmi una terapia privatamente. Per lo stesso motivo, sotto consiglio della stessa terapeuta, mi sono rivolto alla ASL (anche se assolutamente contro voglia). Purtroppo la mia valutazione di questo (quasi) anno di terapia è che ho la sensazione di non essermi mosso di una virgola, si essere esattamente allo stesso punto, di avere le stesse angosce, le stesse difficoltà, lo stesso approccio autodistruttivo alla vita.
Alla ASL ho fatto prima un incontro dalla psichiatra, la quale non ha ritenuto necessario per il momento la somministrazione di psicofarmaci. Mi ha detto che è necessaria una psicoterapia da seguire con pazienza ed impegno perché sono tanti anni che sono in una situazione di difficoltà senza l'aiuto di nessuno (ma questo lo sapevo già) e che comunque potrà sempre intervenire se lo riterrà opportuno. Mi ha dunque assegnato una psicoterapeuta. Per il momento ho fatto due sedute e da subito ho capito che questa nuova psicoterapeuta ha un approccio completamente differente dalla precedente. Ancora non so dare un giudizio su questo metodo... L'unica cosa che posso fare è affidarmi. Sicuramente è molto più pragmatico e diretto. Infatti mi ha spiegato che segue l'orientamento della Gestalt. Ora, ho un po' cercato su internet notizie di questo approccio, ma devo dire che tra tutte le miriadi di approcci terapeutici, quello della Gestalt è quello più incomprensibile o per lo meno quello senza dubbio spiegato peggio! Ho visto qualche video e letto qualche articolo, ma, a meno che non si abbiano competenze nel settore, sembra che parlino tutti utilizzando una serie di supercazzole! Mi chiedo se ci siano video/articoli che spieghino in modo semplice in cosa consiste...
Ma a parte questa mia osservazione, spero di poter iniziare un percorso costruttivo anche se lo vedo tutto in salita e molto dispendioso e se il mio istinto mi dice sempre di mollare tutto.
Ho delle giornate in cui l'ansia travolge tutto e non riesco a combinare nulla di buono. Mi consuma dentro, mi stanca, mi fa star male. Spero che prima o poi riesca a cambiare l'approccio alla vita e ad iniziare qualcosa di costruttivo.
La cosa assurda è che a inizio dicembre ho fatto una selezione per l'arruolamento all'esercito e ho passato tutti i test attitudinali e psicologici, nonché la consulenza dallo psicologo (molti ragazzi sono stati scartati a queste prove, oppure hanno dovuto fare un ulteriore approfondimento dallo psichiatra). Mi chiedo quanto siano validi questi test...
Questa è l'ultima volta che proverò a farmi aiutare, non mi affiderò di nuovo a un altro terapeuta. O funziona stavolta (e con stavolta non pretendo in tre mesi... mi accontento pure in molti anni) o non lotterò più.
vorrei aggiornarvi sul mio percorso.
Dopo la pausa estiva, ho ricominciato la terapia, ma da ottobre a gennaio ho fatto una seduta ogni due settimane. Questo perché non ero più in grado di pagarmi una terapia privatamente. Per lo stesso motivo, sotto consiglio della stessa terapeuta, mi sono rivolto alla ASL (anche se assolutamente contro voglia). Purtroppo la mia valutazione di questo (quasi) anno di terapia è che ho la sensazione di non essermi mosso di una virgola, si essere esattamente allo stesso punto, di avere le stesse angosce, le stesse difficoltà, lo stesso approccio autodistruttivo alla vita.
Alla ASL ho fatto prima un incontro dalla psichiatra, la quale non ha ritenuto necessario per il momento la somministrazione di psicofarmaci. Mi ha detto che è necessaria una psicoterapia da seguire con pazienza ed impegno perché sono tanti anni che sono in una situazione di difficoltà senza l'aiuto di nessuno (ma questo lo sapevo già) e che comunque potrà sempre intervenire se lo riterrà opportuno. Mi ha dunque assegnato una psicoterapeuta. Per il momento ho fatto due sedute e da subito ho capito che questa nuova psicoterapeuta ha un approccio completamente differente dalla precedente. Ancora non so dare un giudizio su questo metodo... L'unica cosa che posso fare è affidarmi. Sicuramente è molto più pragmatico e diretto. Infatti mi ha spiegato che segue l'orientamento della Gestalt. Ora, ho un po' cercato su internet notizie di questo approccio, ma devo dire che tra tutte le miriadi di approcci terapeutici, quello della Gestalt è quello più incomprensibile o per lo meno quello senza dubbio spiegato peggio! Ho visto qualche video e letto qualche articolo, ma, a meno che non si abbiano competenze nel settore, sembra che parlino tutti utilizzando una serie di supercazzole! Mi chiedo se ci siano video/articoli che spieghino in modo semplice in cosa consiste...
Ma a parte questa mia osservazione, spero di poter iniziare un percorso costruttivo anche se lo vedo tutto in salita e molto dispendioso e se il mio istinto mi dice sempre di mollare tutto.
Ho delle giornate in cui l'ansia travolge tutto e non riesco a combinare nulla di buono. Mi consuma dentro, mi stanca, mi fa star male. Spero che prima o poi riesca a cambiare l'approccio alla vita e ad iniziare qualcosa di costruttivo.
La cosa assurda è che a inizio dicembre ho fatto una selezione per l'arruolamento all'esercito e ho passato tutti i test attitudinali e psicologici, nonché la consulenza dallo psicologo (molti ragazzi sono stati scartati a queste prove, oppure hanno dovuto fare un ulteriore approfondimento dallo psichiatra). Mi chiedo quanto siano validi questi test...
Questa è l'ultima volta che proverò a farmi aiutare, non mi affiderò di nuovo a un altro terapeuta. O funziona stavolta (e con stavolta non pretendo in tre mesi... mi accontento pure in molti anni) o non lotterò più.
[#17]
Ben trovato a lei,
immagino che sia stato difficile il passaggio a una collega della ASL. Ci sarebbero molte cose su cui riflettere in proposito. Ad esempio il suo essere "contro voglia" mi sembra significativo e, se lo sentisse importante, considererei la possibilità di parlarne in terapia.
Coerentemente con questo le voglio lasciare un'ulteriore suggestione, che deriva dalla lettura del suo aggiornamento. Da una parte comunica il desiderio di affidarsi, dall'altra sembra esserci, mi corregga se mi sbaglio, un senso di diffidenza, non so se posso dire di contrarietà e rabbia.
Comunque, non potendo entrare nel dettaglio in questa sede, diciamo che sento un carico emotivo che merita attenzione e necessita di essere tenuto in considerazione specialmente in terapia.
Non entro nel merito neppure dell'orientamento della Gestalt, poiché ho un orientamento psicoanalitico e lascio la parola a chi lo conosce in modo più specifico. Stesso discorso vale per la somministrazione dei test psicologici relativi alla sezione di cui ci parla, poiché in ambito testistico ho esclusivamente un'esperienza clinica.
Le auguro di potersi ricredere con questa nuova terapia, in modo tale che possa "iniziare qualcosa di costruttivo", come lei dice. Non dimentichi, comunque, che è un suo diritto farsi un'idea del valore del percorso che sta svolgendo, in modo tale che possa affidarsi a chi sente giusto dare la sua fiducia. E per questo a volte è necessario continuare a lottare.
Questo vale in generale, la fiducia non si dà in modo indistinto o incondizionato, anche se comprendo che è un bellissimo ideale.
E se è vero che nella vita a volte dobbiamo fare i conti con un senso di diffidenza perché non sempre abbiamo riposto nel modo giusto la nostra fiducia e può capitare di essere stati feriti, è pur vero che accade anche il contrario. Ci sono degli incontri che possono sorprenderci se ci apriamo a essi nel modo giusto. E potremmo sentire interesse, partecipazione, un senso di fiducia e un po' d'amore.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
immagino che sia stato difficile il passaggio a una collega della ASL. Ci sarebbero molte cose su cui riflettere in proposito. Ad esempio il suo essere "contro voglia" mi sembra significativo e, se lo sentisse importante, considererei la possibilità di parlarne in terapia.
Coerentemente con questo le voglio lasciare un'ulteriore suggestione, che deriva dalla lettura del suo aggiornamento. Da una parte comunica il desiderio di affidarsi, dall'altra sembra esserci, mi corregga se mi sbaglio, un senso di diffidenza, non so se posso dire di contrarietà e rabbia.
Comunque, non potendo entrare nel dettaglio in questa sede, diciamo che sento un carico emotivo che merita attenzione e necessita di essere tenuto in considerazione specialmente in terapia.
Non entro nel merito neppure dell'orientamento della Gestalt, poiché ho un orientamento psicoanalitico e lascio la parola a chi lo conosce in modo più specifico. Stesso discorso vale per la somministrazione dei test psicologici relativi alla sezione di cui ci parla, poiché in ambito testistico ho esclusivamente un'esperienza clinica.
Le auguro di potersi ricredere con questa nuova terapia, in modo tale che possa "iniziare qualcosa di costruttivo", come lei dice. Non dimentichi, comunque, che è un suo diritto farsi un'idea del valore del percorso che sta svolgendo, in modo tale che possa affidarsi a chi sente giusto dare la sua fiducia. E per questo a volte è necessario continuare a lottare.
Questo vale in generale, la fiducia non si dà in modo indistinto o incondizionato, anche se comprendo che è un bellissimo ideale.
E se è vero che nella vita a volte dobbiamo fare i conti con un senso di diffidenza perché non sempre abbiamo riposto nel modo giusto la nostra fiducia e può capitare di essere stati feriti, è pur vero che accade anche il contrario. Ci sono degli incontri che possono sorprenderci se ci apriamo a essi nel modo giusto. E potremmo sentire interesse, partecipazione, un senso di fiducia e un po' d'amore.
Un saluto,
Enrico de Sanctis
[#18]
Utente
Eccomi di nuovo qui. Dopo 8 sedute di terapia dalla psicologa assegnatami dalla ASL, ho interrotto (più o meno di comune accordo) il percorso terapeutico, con grosso sconforto e delusione da parte mia. Ma facciamo un passo indietro...
Poche volte si è potuto vederci con cadenza settimanale (ad eccezione per una volta, mai per causa mia). Il mio vivere la terapia è stato sempre il medesimo: forte ansia i giorni prima di andarci, angoscia i giorni seguenti. La mia vita procedeva come se la seduta non mi avesse lasciato niente, nessuno spunto su cui riflettere o stimolo a cambiare il mio approccio e visione alla vita, ma solo un rafforzamento nel rimuginare sui miei soliti e noti problemi. Nella penultima seduta, la dottoressa mi dice di temere che la situazione diventi stagnante e che rischi di passare moltissimo tempo prima che io cominci a sbloccarmi. Così mi consiglia di rivolgermi ad una sua collega che, a detta sua, applica una tecnica terapeutica molto efficace e pragmatica nel centrare subito le cause dei blocchi e a dare una sorta di smossa. Non si sarebbe trattato comunque di un percorso di terapia, ma solo di un periodo limitato a pochi incontri, per poi riprendere la terapia con lei. Conoscendo le mie difficoltà economiche, mi assicura anche che mi avrebbe fatto un prezzo ragionevole. Nonostante cambiare terapeuta fosse l'ultima cosa che desideravo, ho accettato la proposta. La dottoressa si è mostrata molto felice che avessi accettato. Stavo per contattare questa nuova terapeuta, quando scopro che si tratta della moglie di un mio amico. La cosa mi ha frenato molto, tant'è che ho chiamato la mia terapeuta dicendo che non me la sentivo perché l'idea mi metteva a disagio. Così la terapeuta presso cui dovevo rivolgermi ha fornito il contatto di un'altra sua collega che pratica la stessa tecnica. Contatto così quest'altra persona, ci prendo un appuntamento e vado. Sono stato più di un'ora a presentarmi, a parlare della mia situazione e dei miei problemi (potete immaginare con quale enorme sforzo da parte mia). La dottoressa ha preso molti appunti e fatto molte domande. Alla fine mi dice che soffro di una depressione piuttosto importante e che secondo lei è necessario l'intervento di uno psichiatra, unitamente a un percorso di psicoterapia con lei necessariamente a lungo termine, al costo di €60 a seduta (prezzo di favore ed in nero solo perché mi aveva mandato una sua collega, altrimenti il minimo che poteva chiedere erano €80). Mi dice inoltre che la tecnica che adotta è l'EMDR. Io le dico che non era ciò che la mia terapeuta mi aveva prospettato, perché mi aveva parlato di un intervento terapeutico a breve tempo ed economico. L’idea di questa nuova esperienza è quindi naufragata prima ancora di cominciare. Potete immaginare la mia delusione e amarezza, amarezza che ho comunicato alla mia terapeuta in una email in cui ho raccontato com’era andata e in cui l’ho rimproverata di non esserci stata una buona comunicazione tra loro due e quindi tra loro e me. Mi ha risposto che ne avremmo parlato meglio nella successiva seduta.
Nella successiva (ed ultima) seduta, la mia terapeuta mi ha detto che non può mettere in discussione la valutazione di una sua collega. Il mio disappunto non era comunque per le conclusioni a cui era giunta quella terapeuta (psichiatra-terapia a lungo termine-prezzo della terapia) che erano legittime e non contestabili da un ignorante in materia come me, ma dal fatto che mi era stata posta la cosa in maniera differente e che se quelle erano le cose da fare tanto valeva che io continuassi con la mia vecchia terapeuta senza neanche rivolgermi alla ASL (leggere i miei vecchi post)!
Abbiamo poi continuato a parlare della mia condizione e del mio percorso. Le ho raccontato delle difficoltà che ho nell'aprirmi davvero a un percorso terapeutico, alla sensazione che tutto rimanga immutato e che io non modifichi per niente il mio modo di vedere ed affrontare la vita, perché ritengo che sia giusto che io riferisca alla terapeuta anche le perplessità e le difficoltà che ho. Mi ha detto che con il mio atteggiamento neanche Freud in persona sarebbe stato in grado di aiutarmi perché se io non allento questa corazza difensiva nessuno può fare in modo che io cambi il modo di affrontare e vedere la vita. Ha detto che probabilmente mi piace "collezionare scalpi di psicoterapeuti" per dire a me stesso che tanto non c'è speranza e che nessuno può aiutarmi. Le ho risposto che non amo affatto andare dallo psicologo, figuriamoci collezionare scalpi di terapeuti e che (ad eccezione della psicoanalisi che feci molti anni fa) io avrei continuato con la precedente terapia se avessi potuto permettermelo, nonostante anche in quel caso non ne avvertivo l'efficacia. Mi ha detto che oltre ad essere depresso, sono anche anoressico/bulimico (anche se solo a livello psichico e non alimentare) perché rigetto qualsiasi cosa mi viene somministrata ed ho un atteggiamento di sfida nei suoi confronti.
Siamo stati quasi una mezz'ora con lei che mi diceva queste cose ed io che le rispondevo che è tutto (in parte) vero, ma che io sono lì propri perché non riesco a rompere questa corazza che dice. Lei rispondeva che è proprio da lì che dovrei partire e io controbattevo che è proprio quello che non so scardinare. Arrivati verso la fine della seduta le ho detto: "a questo punto non so quanto convenga continuare questa terapia, perché non vedo come questa situazione possa sbloccarsi in quanto sento di non essere in grado, da me, di rompere questo loop", al che, mi ha risposto: "me lo dica lei se è il caso di continuare. Facciamo così: io non le fisso un altro appuntamento perché così non serve a niente. Se lei decide di continuare cambiando atteggiamento, mi contatti per telefono o email e si continua la terapia, altrimenti è inutile continuare".
Tale epilogo non mi stimola a cambiare, a provare ad affidarmi diversamente o a cambiare il modo di affrontare la vita. Anzi, suona alle mie orecchie come un colpo di grazia e come un ennesimo episodio che mi fa pensare che tanto non c’è nulla da fare, che le cose potranno solo andar peggio e che, nelle migliori delle ipotesi, possa aspirare solo ad arrancare, come ho sempre fatto. Attualmente non ho proprio più voglia di rivolgermi di nuovo ad uno psicoterapeuta. Se prima avevo pochissima fiducia in me stesso e speranza che le cose potessero cambiare, ora la fiducia e la speranza sono sotto zero.
Poche volte si è potuto vederci con cadenza settimanale (ad eccezione per una volta, mai per causa mia). Il mio vivere la terapia è stato sempre il medesimo: forte ansia i giorni prima di andarci, angoscia i giorni seguenti. La mia vita procedeva come se la seduta non mi avesse lasciato niente, nessuno spunto su cui riflettere o stimolo a cambiare il mio approccio e visione alla vita, ma solo un rafforzamento nel rimuginare sui miei soliti e noti problemi. Nella penultima seduta, la dottoressa mi dice di temere che la situazione diventi stagnante e che rischi di passare moltissimo tempo prima che io cominci a sbloccarmi. Così mi consiglia di rivolgermi ad una sua collega che, a detta sua, applica una tecnica terapeutica molto efficace e pragmatica nel centrare subito le cause dei blocchi e a dare una sorta di smossa. Non si sarebbe trattato comunque di un percorso di terapia, ma solo di un periodo limitato a pochi incontri, per poi riprendere la terapia con lei. Conoscendo le mie difficoltà economiche, mi assicura anche che mi avrebbe fatto un prezzo ragionevole. Nonostante cambiare terapeuta fosse l'ultima cosa che desideravo, ho accettato la proposta. La dottoressa si è mostrata molto felice che avessi accettato. Stavo per contattare questa nuova terapeuta, quando scopro che si tratta della moglie di un mio amico. La cosa mi ha frenato molto, tant'è che ho chiamato la mia terapeuta dicendo che non me la sentivo perché l'idea mi metteva a disagio. Così la terapeuta presso cui dovevo rivolgermi ha fornito il contatto di un'altra sua collega che pratica la stessa tecnica. Contatto così quest'altra persona, ci prendo un appuntamento e vado. Sono stato più di un'ora a presentarmi, a parlare della mia situazione e dei miei problemi (potete immaginare con quale enorme sforzo da parte mia). La dottoressa ha preso molti appunti e fatto molte domande. Alla fine mi dice che soffro di una depressione piuttosto importante e che secondo lei è necessario l'intervento di uno psichiatra, unitamente a un percorso di psicoterapia con lei necessariamente a lungo termine, al costo di €60 a seduta (prezzo di favore ed in nero solo perché mi aveva mandato una sua collega, altrimenti il minimo che poteva chiedere erano €80). Mi dice inoltre che la tecnica che adotta è l'EMDR. Io le dico che non era ciò che la mia terapeuta mi aveva prospettato, perché mi aveva parlato di un intervento terapeutico a breve tempo ed economico. L’idea di questa nuova esperienza è quindi naufragata prima ancora di cominciare. Potete immaginare la mia delusione e amarezza, amarezza che ho comunicato alla mia terapeuta in una email in cui ho raccontato com’era andata e in cui l’ho rimproverata di non esserci stata una buona comunicazione tra loro due e quindi tra loro e me. Mi ha risposto che ne avremmo parlato meglio nella successiva seduta.
Nella successiva (ed ultima) seduta, la mia terapeuta mi ha detto che non può mettere in discussione la valutazione di una sua collega. Il mio disappunto non era comunque per le conclusioni a cui era giunta quella terapeuta (psichiatra-terapia a lungo termine-prezzo della terapia) che erano legittime e non contestabili da un ignorante in materia come me, ma dal fatto che mi era stata posta la cosa in maniera differente e che se quelle erano le cose da fare tanto valeva che io continuassi con la mia vecchia terapeuta senza neanche rivolgermi alla ASL (leggere i miei vecchi post)!
Abbiamo poi continuato a parlare della mia condizione e del mio percorso. Le ho raccontato delle difficoltà che ho nell'aprirmi davvero a un percorso terapeutico, alla sensazione che tutto rimanga immutato e che io non modifichi per niente il mio modo di vedere ed affrontare la vita, perché ritengo che sia giusto che io riferisca alla terapeuta anche le perplessità e le difficoltà che ho. Mi ha detto che con il mio atteggiamento neanche Freud in persona sarebbe stato in grado di aiutarmi perché se io non allento questa corazza difensiva nessuno può fare in modo che io cambi il modo di affrontare e vedere la vita. Ha detto che probabilmente mi piace "collezionare scalpi di psicoterapeuti" per dire a me stesso che tanto non c'è speranza e che nessuno può aiutarmi. Le ho risposto che non amo affatto andare dallo psicologo, figuriamoci collezionare scalpi di terapeuti e che (ad eccezione della psicoanalisi che feci molti anni fa) io avrei continuato con la precedente terapia se avessi potuto permettermelo, nonostante anche in quel caso non ne avvertivo l'efficacia. Mi ha detto che oltre ad essere depresso, sono anche anoressico/bulimico (anche se solo a livello psichico e non alimentare) perché rigetto qualsiasi cosa mi viene somministrata ed ho un atteggiamento di sfida nei suoi confronti.
Siamo stati quasi una mezz'ora con lei che mi diceva queste cose ed io che le rispondevo che è tutto (in parte) vero, ma che io sono lì propri perché non riesco a rompere questa corazza che dice. Lei rispondeva che è proprio da lì che dovrei partire e io controbattevo che è proprio quello che non so scardinare. Arrivati verso la fine della seduta le ho detto: "a questo punto non so quanto convenga continuare questa terapia, perché non vedo come questa situazione possa sbloccarsi in quanto sento di non essere in grado, da me, di rompere questo loop", al che, mi ha risposto: "me lo dica lei se è il caso di continuare. Facciamo così: io non le fisso un altro appuntamento perché così non serve a niente. Se lei decide di continuare cambiando atteggiamento, mi contatti per telefono o email e si continua la terapia, altrimenti è inutile continuare".
Tale epilogo non mi stimola a cambiare, a provare ad affidarmi diversamente o a cambiare il modo di affrontare la vita. Anzi, suona alle mie orecchie come un colpo di grazia e come un ennesimo episodio che mi fa pensare che tanto non c’è nulla da fare, che le cose potranno solo andar peggio e che, nelle migliori delle ipotesi, possa aspirare solo ad arrancare, come ho sempre fatto. Attualmente non ho proprio più voglia di rivolgermi di nuovo ad uno psicoterapeuta. Se prima avevo pochissima fiducia in me stesso e speranza che le cose potessero cambiare, ora la fiducia e la speranza sono sotto zero.
[#19]
Gentile Signore,
E' molto interessante leggere il Suo vissuto!
Posso solo commentare che forse l'approccio utilizzato dalla Sua psicoterapeuta e' un po' superficiale. Se le "corazze" le potessero rompere di propria iniziativa i pazienti la psicoanalisi sarebbe inutile. E la psicoterapia non sarebbe piu' una maniera di curare i pazienti. Ma di alimentare il narcisismo degli psicoterapeuti meno umili e fattivi.
Le corazze si "disintegrano" quando non servono piu'. Altrimenti e' ovvio che restino a fungere da meccanismo di difesa serio e invalicabile.
Si faccia coraggio.
Inizi una terapia farmacologica presso uno psichiatra e poi ci pensera' fra un po' di tempo.
Purtroppo non sempre le terapie imbroccano. E non bisogna gettare la spugna. Specialmente alla Sua giovane eta'
Buon week end!
Ci tenga aggiornati!
E' molto interessante leggere il Suo vissuto!
Posso solo commentare che forse l'approccio utilizzato dalla Sua psicoterapeuta e' un po' superficiale. Se le "corazze" le potessero rompere di propria iniziativa i pazienti la psicoanalisi sarebbe inutile. E la psicoterapia non sarebbe piu' una maniera di curare i pazienti. Ma di alimentare il narcisismo degli psicoterapeuti meno umili e fattivi.
Le corazze si "disintegrano" quando non servono piu'. Altrimenti e' ovvio che restino a fungere da meccanismo di difesa serio e invalicabile.
Si faccia coraggio.
Inizi una terapia farmacologica presso uno psichiatra e poi ci pensera' fra un po' di tempo.
Purtroppo non sempre le terapie imbroccano. E non bisogna gettare la spugna. Specialmente alla Sua giovane eta'
Buon week end!
Ci tenga aggiornati!
[#20]
Condivido il pensiero della dottoressa Esposito circa il discorso delle "corazze", che mi sembra in linea con il suo stesso pensiero quando correttamente dice: "Io sono lì proprio perché non riesco a rompere questa corazza... è proprio quello che non so scardinare".
Lei è lì per quello, ha ragione, ed è lì perché desidera cambiare, ma giustamente non sa come.
Personalmente, in base al mio orientamento teorico che è psicoanalitico, ritengo che una terapia dev'essere costante, continuativa e più frequente di due sedute al mese.
Non dev'essere frammentaria, e il lavoro del terapeuta è farsi carico dei vissuti più dolorosi e critici del paziente. Vissuti che possono essere cambiati soprattutto quando si manifestano proprio nella relazione terapeutica.
Detto questo, comunque, sarebbe importante approfondire il suo malessere esistenziale e ci terrei a capire in modo puntuale anche la qualità del primo lavoro che lei ha svolto per comprendere come mai, accanto a fattori pratici come quello monetario, il dolore emergente è stato così forte e incontenibile da dover interrompere quel percorso.
A volte questo può capitare purtroppo e alla lunga può generare quella sensazione di stato sopravvivenziale di cui lei ci parla.
Forse anche nelle successive recenti esperienze un forte carico emotivo si è fatto sentire, quando ad esempio dice: "Il mio vivere la terapia è stato sempre il medesimo: forte ansia i giorni prima di andarci, angoscia i giorni seguenti".
Questi vissuti sono tutt'altro che secondari e meritano la massima attenzione, perché provo a ipotizzare che riguardino la sua persona e, appunto, il suo malessere. Il suo stato d'animo è la via regia che potrebbe mostrarci proprio il suo mondo, là dove è vivo il suo dolore. E non è possibile esimerci dal chiederci che cosa provoca "ansia prima" e cosa scatena il vissuto di "angoscia dopo" ad esempio. Tutto questo è profondamente centrale e mi sento di dire imprescindibile.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
Lei è lì per quello, ha ragione, ed è lì perché desidera cambiare, ma giustamente non sa come.
Personalmente, in base al mio orientamento teorico che è psicoanalitico, ritengo che una terapia dev'essere costante, continuativa e più frequente di due sedute al mese.
Non dev'essere frammentaria, e il lavoro del terapeuta è farsi carico dei vissuti più dolorosi e critici del paziente. Vissuti che possono essere cambiati soprattutto quando si manifestano proprio nella relazione terapeutica.
Detto questo, comunque, sarebbe importante approfondire il suo malessere esistenziale e ci terrei a capire in modo puntuale anche la qualità del primo lavoro che lei ha svolto per comprendere come mai, accanto a fattori pratici come quello monetario, il dolore emergente è stato così forte e incontenibile da dover interrompere quel percorso.
A volte questo può capitare purtroppo e alla lunga può generare quella sensazione di stato sopravvivenziale di cui lei ci parla.
Forse anche nelle successive recenti esperienze un forte carico emotivo si è fatto sentire, quando ad esempio dice: "Il mio vivere la terapia è stato sempre il medesimo: forte ansia i giorni prima di andarci, angoscia i giorni seguenti".
Questi vissuti sono tutt'altro che secondari e meritano la massima attenzione, perché provo a ipotizzare che riguardino la sua persona e, appunto, il suo malessere. Il suo stato d'animo è la via regia che potrebbe mostrarci proprio il suo mondo, là dove è vivo il suo dolore. E non è possibile esimerci dal chiederci che cosa provoca "ansia prima" e cosa scatena il vissuto di "angoscia dopo" ad esempio. Tutto questo è profondamente centrale e mi sento di dire imprescindibile.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#21]
Utente
Grazie per le Vostre risposte.
Non saprei valutare qualitativamente la mia prima esperienza psicanalitica, perché non ne ho le competenze. Posso dire solo che il terapeuta era un nome importante con moltissimi anni di esperienza e che terminai la terapia molto peggio di come ne entrai, tanto da vivere successivamente il periodo più brutto della mia vita e a metterci dieci anni per rivolgermi nuovamente a un terapeuta.
Ciò che genera ansia o angoscia nell'andare in terapia è che io sto molto male se mi racconto e se parlo delle mie difficoltà. Non vedo il raccontare e l'essere ascoltato e capito come uno sfogo, un alleggerimento o un affidare/condividere col terapeuta il dolore. Parlare dei miei problemi non fa che aumentare sensibilmente il mio disagio allo stesso modo se mi rivolgessi a un amico, alla ragazza o al terapeuta. Non c'è mai stata una sola volta che sono uscito da una seduta di terapia un po' alleggerito o rincuorato... Sempre e soltanto più sofferente di quando entravo nello studio. Questo anche con la terapeuta dell'anno scorso, nonostante avessi molta stima di lei e fosse molto capace a comprendere i miei disagi e le mie difficoltà.
Ora mi trovo nella stessa solita situazione... Una sensazione costante di disperazione, di non voglia di vivere e la difficoltà perenne di non cadere nel baratro più totale. Il tutto senza avere alcuna manifestazione psicosomatica. Però penso sempre alla vita come un totale fallimento, come non riuscire a viverla ma faticare enormemente per sopravvivere. Vedo il futuro completamente sfiduciato, il passato come qualcosa che non ho vissuto in prima persona e durante il quale mi sono passate mille occasioni che non sono stato in grado di sfruttare perché ero paralizzato. Ed il presente... Non riesco ad essere nel qui ed ora.
In questo periodo ho difficoltà economiche e non posso pagarmi una terapia privata. Quello che voi consigliate sempre in questa sede a coloro che si trovano in situazioni del genere è di rivolgersi al CSM... È quello che ho fatto, ma è fallito miseramente nel giro di pochi mesi. Non so a chi chiedere aiuto, ho un disperato bisogno di essere aiutato, perché da solo non sono in grado di farcela e non so per quanto tempo ancora sarò in grado di sopportare questa situazione. Non so più a chi rivolgermi e come farmi aiutare.
Non saprei valutare qualitativamente la mia prima esperienza psicanalitica, perché non ne ho le competenze. Posso dire solo che il terapeuta era un nome importante con moltissimi anni di esperienza e che terminai la terapia molto peggio di come ne entrai, tanto da vivere successivamente il periodo più brutto della mia vita e a metterci dieci anni per rivolgermi nuovamente a un terapeuta.
Ciò che genera ansia o angoscia nell'andare in terapia è che io sto molto male se mi racconto e se parlo delle mie difficoltà. Non vedo il raccontare e l'essere ascoltato e capito come uno sfogo, un alleggerimento o un affidare/condividere col terapeuta il dolore. Parlare dei miei problemi non fa che aumentare sensibilmente il mio disagio allo stesso modo se mi rivolgessi a un amico, alla ragazza o al terapeuta. Non c'è mai stata una sola volta che sono uscito da una seduta di terapia un po' alleggerito o rincuorato... Sempre e soltanto più sofferente di quando entravo nello studio. Questo anche con la terapeuta dell'anno scorso, nonostante avessi molta stima di lei e fosse molto capace a comprendere i miei disagi e le mie difficoltà.
Ora mi trovo nella stessa solita situazione... Una sensazione costante di disperazione, di non voglia di vivere e la difficoltà perenne di non cadere nel baratro più totale. Il tutto senza avere alcuna manifestazione psicosomatica. Però penso sempre alla vita come un totale fallimento, come non riuscire a viverla ma faticare enormemente per sopravvivere. Vedo il futuro completamente sfiduciato, il passato come qualcosa che non ho vissuto in prima persona e durante il quale mi sono passate mille occasioni che non sono stato in grado di sfruttare perché ero paralizzato. Ed il presente... Non riesco ad essere nel qui ed ora.
In questo periodo ho difficoltà economiche e non posso pagarmi una terapia privata. Quello che voi consigliate sempre in questa sede a coloro che si trovano in situazioni del genere è di rivolgersi al CSM... È quello che ho fatto, ma è fallito miseramente nel giro di pochi mesi. Non so a chi chiedere aiuto, ho un disperato bisogno di essere aiutato, perché da solo non sono in grado di farcela e non so per quanto tempo ancora sarò in grado di sopportare questa situazione. Non so più a chi rivolgermi e come farmi aiutare.
[#22]
Gentile Signore,
Devo confermare che la psicoanalisi NON e' un analgesico.
E' una "ricerca di senso". E come tale va considerata. Con umilta' e coraggio.
Se sfortunatamente le tematiche che La riguardano sono ampie, se Lei oppone delle difese inconsce insuperabili, se non ha "energia psichica" idonea nessuno potra' condurla dove Lei non vuole arrivare.
Il Suo bisogno di aiuto forse lavorera' in Lei per modificare questa "corazza" (perche' e' questa la corazza che rende inespugnabile il suo malessere). E' un bilancio che deve fare "quadrare' dentro di se'. Un rapporto costi/benefici non facile ma imprescindibile.
Glielo auguro di cuore!
I mie auguri!
Devo confermare che la psicoanalisi NON e' un analgesico.
E' una "ricerca di senso". E come tale va considerata. Con umilta' e coraggio.
Se sfortunatamente le tematiche che La riguardano sono ampie, se Lei oppone delle difese inconsce insuperabili, se non ha "energia psichica" idonea nessuno potra' condurla dove Lei non vuole arrivare.
Il Suo bisogno di aiuto forse lavorera' in Lei per modificare questa "corazza" (perche' e' questa la corazza che rende inespugnabile il suo malessere). E' un bilancio che deve fare "quadrare' dentro di se'. Un rapporto costi/benefici non facile ma imprescindibile.
Glielo auguro di cuore!
I mie auguri!
[#23]
Utente
Non pretendo che sia un analgesico. Mai preteso.
Ora però mi trovo nella situazione di non potermi permettere una terapia e di non poterla svolgere neanche al CSM...
Sì, ho delle difese inconsce molto forti e una "energia psichica" forse non idonea. Quindi in sostanza mi posso solo rassegnare...
Il bilancio costi/benefici l'ho fatto tante volte, ma a livello razionale, il che non significa che possa attuarlo nell'atto pratico.
Ora però mi trovo nella situazione di non potermi permettere una terapia e di non poterla svolgere neanche al CSM...
Sì, ho delle difese inconsce molto forti e una "energia psichica" forse non idonea. Quindi in sostanza mi posso solo rassegnare...
Il bilancio costi/benefici l'ho fatto tante volte, ma a livello razionale, il che non significa che possa attuarlo nell'atto pratico.
[#24]
Riesce a comunicare il suo dolore in modo vivido, ma non deve rassegnarsi. Queste le sembreranno solo parole, ma credo davvero quello che le sto dicendo.
A me sembra che si è dedicato con pazienza e impegno negli interventi terapeutici. Potrebbe essere importante approfondire alcuni vissuti profondi che forse le terapie hanno sollecitato, senza magari avere avuto la possibilità di soffermarcisi maggiormente.
Penso che possa senz'altro avere ancora un'opportunità di approfondire i suoi vissuti. Le strutture pubbliche non sempre possono garantire purtroppo una frequenza settimanale delle sedute né la continuità.
A volte, ad esempio, operano i tirocinanti che hanno un tempo limitato da dedicare all'attività e non restano nel lungo periodo.
Credo invece che sia fondamentale per lei trovare uno spazio che sia continuativo e possa garantirle un senso di fiducia e partecipazione.
Provi a cercare ancora, contatti degli psicoterapeuti che potrebbero sembrarle idonei, chieda loro il costo delle sedute, perché c'è una variabilità sostanziale e potrebbe scoprire che qualche professionista chiede un costo adatto per lei.
Il dolore che sente, la sfiducia e la disperazione possono essere affrontati e cambiati, in modo tale che il suo sentirsi in uno stato sopravvivenziale si trasformi.
E un soffio vitale possa darle un nuovo senso, la potenzialità per una prospettiva autenticamente esistenziale da spendere nel mondo.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
A me sembra che si è dedicato con pazienza e impegno negli interventi terapeutici. Potrebbe essere importante approfondire alcuni vissuti profondi che forse le terapie hanno sollecitato, senza magari avere avuto la possibilità di soffermarcisi maggiormente.
Penso che possa senz'altro avere ancora un'opportunità di approfondire i suoi vissuti. Le strutture pubbliche non sempre possono garantire purtroppo una frequenza settimanale delle sedute né la continuità.
A volte, ad esempio, operano i tirocinanti che hanno un tempo limitato da dedicare all'attività e non restano nel lungo periodo.
Credo invece che sia fondamentale per lei trovare uno spazio che sia continuativo e possa garantirle un senso di fiducia e partecipazione.
Provi a cercare ancora, contatti degli psicoterapeuti che potrebbero sembrarle idonei, chieda loro il costo delle sedute, perché c'è una variabilità sostanziale e potrebbe scoprire che qualche professionista chiede un costo adatto per lei.
Il dolore che sente, la sfiducia e la disperazione possono essere affrontati e cambiati, in modo tale che il suo sentirsi in uno stato sopravvivenziale si trasformi.
E un soffio vitale possa darle un nuovo senso, la potenzialità per una prospettiva autenticamente esistenziale da spendere nel mondo.
Un caro saluto,
Enrico de Sanctis
[#25]
Utente
Salve, sono passati un po' di anni ed eccomi di nuovo qui. Ho pensato di darvi un aggiornamento.
Purtroppo la situazione non è cambiata un granché... La differenza è che ora prendo degli psicofarmaci. Ma riparto a dove vi avevo lasciato...
Dopo la pessima esperienza al CSM durata solo 8 sedute e da cui mi sono congedato sentendomi anche molto offeso dalle parole rivoltemi dalla psicologa (che vi avevo raccontato), dopo mesi molto brutti mi sono rivolto di nuovo ad un'altra psicologa, spinto dall'allora mia fidanzata. Questa psicologa credeva in me e ha capito la mia situazione, ovvero che non avevo una lira e così mi ha detto che non dovevo preoccuparmi dei soldi ma che l'importante era che cominciassi la terapia e che poi quando avrei avuto maggiore disponibilità economica l'avrei pagata. Devo confessare che spesso non l'ho per niente pagata e a volte le davo quello che avevo a disposizione in quel momento. Di questo le sono infinitamente grato. Però la terapia è stata del tutto insignificante. Non ne ho ricavato nulla di positivo, non mi ha insegnato a cambiare modo di approcciare alla vita, non mi ha dato alcuno strumento né un lavoro da svolgere. Stavo molto male e dopo qualche mese mi ha consigliato di fare una consulenza psichiatrica da una dottoressa che conosceva. Più o meno tutti i precedenti terapeuti me l'avevano consigliato, ma mi ero sempre rifiutato. Avevo forti resistenze e pregiudizi riguardo i farmaci, ma quella volta alla fine mi sono convinto a fare questa consulenza. La psichiatra che mi ha visitato (che è anche psicoterapeuta) ritenne necessario cominciare una terapia farmacologica che doveva funzionare da supporto alla psicoterapia in quanto avevo un livello energetico talmente basso che non riuscivo neanche a svolgere la terapia. Quindi ho cominciato a prendere un antipsicotico in minima dose (Olanzapina 2,5 mg) anche se non ho mai sofferto di psicosi ma, a detta sua, in funzione di "antiangoscia", abbinato a un antidepressivo (Citalopram) e a un integratore (Triadenor). Per farvi capire quanto ero scettico nei confronti del farmaco, la dottoressa mi aveva detto che entro 3/4 settimane avrei cominciato ad avere un riscontro soggettivo degli affetti dei farmaci. Beh, io ho cominciato ad avvertire che effettivamente qualcosa facevano dopo 4 mesi che li assumevo!
Per diversi mesi quindi ho continuato ad andare dalla psicoterapeuta una volta a settimana e dalla psichiatra una volta ogni due settimane. Dopo un po' di mesi mi è stato sostituito il Citalopram con il Brintellix, dapprima 10mg per poi arrivare a 20mg al giorno (dose massima). Al contrario di quanto pensavo, i farmaci non hanno minimamente cambiato il mio modo di pensare, non mi hanno causato danni né difficoltà di alcun tipo. Non mi hanno dato alcun effetto collaterale. Semplicemente evitano che io cada negli abissi e mi consentono di condurre una vita apparentemente normale, mentre prima la mia depressione era invalidante.
Ma se i farmaci dovevano servirmi per affrontare meglio la psicoterapia, alla fine invece ho interrotto quest'ultima dopo aver constatato di quanto fosse totalmente insignificante per me. Quindi ho continuato una sorta di terapia con la psichiatra, che ancora frequento (perché è anche psicoterapeuta). Ma anche qui ho deciso di dilatare sempre di più la frequenza degli incontri fino a una volta al mese. Praticamente non faccio più terapia ma assumo solo i farmaci che, mi dispiace doverlo ammettere, finora sono stati l'unica cosa che in qualche modo ha avuto un effetto benefico su di me. Sia chiaro, il mio malessere, il mio "male di vivere", il mio pessimismo cosmico, il mio approccio autodistruttivo non sono minimamente cambiati. Tali erano e tali sono. Ma per lo meno evitano che io abbia delle situazioni di invalidità.
Io vorrei poter avere l'occasione di lavorare seriamente su me stesso, di mettermi in discussione, di crescere, ma finora i miei rapporti terapeutici sono stati totalmente insignificanti. Quest'ultima dottoressa la stimo come persona e come medico, mi è anche simpatica e se non fosse la mia terapeuta potrebbe essere potenzialmente una mia amica, ma, appunto, non capisco cosa abbia di diverso parlare con lei rispetto a parlare con una amica con cui ho confidenza. Per me non cambia assolutamente nulla! L'unica differenza è che dopo un'ora che parliamo le devo dei soldi. Poi esco dallo studio e la mia vita continua come se non avessi avuto un incontro con un terapeuta. Mi chiedo: che senso ha tutto ciò? Io infatti ormai ci vado solo per farmi prescrivere la ricetta dei farmaci. Nel frattempo mi ha tolto l'antipsicotico e pure l'integratore, non notando alcun cambiamento.
L'ultima volta che ci sono stato le parlavo della mia depressione e lei mi ha fermato dicendo che la mia non può definirsi depressione ma che è più un disturbo di personalità (non ben definito...). Eppure mi somministra un antidepressivo e lei stessa più volte ha pronunciato la parola depressione riferendosi a me. A me sinceramente non importa molto sapere se il mio disturbo si chiami depressione o disturbo di personalità. Per me si può chiamare pure Luigi. Ma non capisco per quale motivo nessuno dei cinque terapeuti con i quali ho intrapreso un percorso terapeutico mi abbia mai fatto una diagnosi chiara. Sempre molto vaghi.
Che ci crediate o no, io mi sono sempre molto impegnato nei miei percorsi, ma davvero credo che non mi siano serviti a nulla. E sono sempre stato estremamente sincero con i terapeuti... Anche ciò che vi sto scrivendo glielo dico senza mezze parole alla mia terapeuta. Dov'è che sbaglio? Possibile che sia solo colpa mia? Possibile che sia sempre stato sfortunato a non trovare il terapeuta giusto per me?
Sarò probabilmente presuntuoso, ma credo di conoscermi molto bene e di conoscere bene anche le cause del mio malessere e so riconoscere in che modo mi castro da solo. Ma non so uscire da questo trip. Ogni volta dopo mesi di terapia, gli psicologi pensano di avermi fatto conoscere delle parti di me nuove, ma sono sempre cose che io già conoscevo da ben prima di fare terapia. Io in terapia non ho mai scoperto nulla che non sapessi già di me. La consapevolezza di me non è un qualcosa che mi consente di stare meglio. Ho sempre l'impressione che alla fine è lo psicoterapeuta ad essere soddisfatto del percorso, mentre io rimango del tutto indifferente e, quindi, profondamente deluso. Come detto, io non capisco quale sia la peculiarità di un rapporto terapeutico in quanto al terapeuta parlo delle stesse cose e nelle stesse modalità con cui parlo a un'amica con cui ho confidenza.
Esisterà mai una soluzione a tutto ciò? I farmaci mi aiutano nei sintomi ma assolutamente non risolvono alcun problema. Certo, meglio di niente. Ma sinceramente penso di meritare di più.
Scusate lo sfogo.
Purtroppo la situazione non è cambiata un granché... La differenza è che ora prendo degli psicofarmaci. Ma riparto a dove vi avevo lasciato...
Dopo la pessima esperienza al CSM durata solo 8 sedute e da cui mi sono congedato sentendomi anche molto offeso dalle parole rivoltemi dalla psicologa (che vi avevo raccontato), dopo mesi molto brutti mi sono rivolto di nuovo ad un'altra psicologa, spinto dall'allora mia fidanzata. Questa psicologa credeva in me e ha capito la mia situazione, ovvero che non avevo una lira e così mi ha detto che non dovevo preoccuparmi dei soldi ma che l'importante era che cominciassi la terapia e che poi quando avrei avuto maggiore disponibilità economica l'avrei pagata. Devo confessare che spesso non l'ho per niente pagata e a volte le davo quello che avevo a disposizione in quel momento. Di questo le sono infinitamente grato. Però la terapia è stata del tutto insignificante. Non ne ho ricavato nulla di positivo, non mi ha insegnato a cambiare modo di approcciare alla vita, non mi ha dato alcuno strumento né un lavoro da svolgere. Stavo molto male e dopo qualche mese mi ha consigliato di fare una consulenza psichiatrica da una dottoressa che conosceva. Più o meno tutti i precedenti terapeuti me l'avevano consigliato, ma mi ero sempre rifiutato. Avevo forti resistenze e pregiudizi riguardo i farmaci, ma quella volta alla fine mi sono convinto a fare questa consulenza. La psichiatra che mi ha visitato (che è anche psicoterapeuta) ritenne necessario cominciare una terapia farmacologica che doveva funzionare da supporto alla psicoterapia in quanto avevo un livello energetico talmente basso che non riuscivo neanche a svolgere la terapia. Quindi ho cominciato a prendere un antipsicotico in minima dose (Olanzapina 2,5 mg) anche se non ho mai sofferto di psicosi ma, a detta sua, in funzione di "antiangoscia", abbinato a un antidepressivo (Citalopram) e a un integratore (Triadenor). Per farvi capire quanto ero scettico nei confronti del farmaco, la dottoressa mi aveva detto che entro 3/4 settimane avrei cominciato ad avere un riscontro soggettivo degli affetti dei farmaci. Beh, io ho cominciato ad avvertire che effettivamente qualcosa facevano dopo 4 mesi che li assumevo!
Per diversi mesi quindi ho continuato ad andare dalla psicoterapeuta una volta a settimana e dalla psichiatra una volta ogni due settimane. Dopo un po' di mesi mi è stato sostituito il Citalopram con il Brintellix, dapprima 10mg per poi arrivare a 20mg al giorno (dose massima). Al contrario di quanto pensavo, i farmaci non hanno minimamente cambiato il mio modo di pensare, non mi hanno causato danni né difficoltà di alcun tipo. Non mi hanno dato alcun effetto collaterale. Semplicemente evitano che io cada negli abissi e mi consentono di condurre una vita apparentemente normale, mentre prima la mia depressione era invalidante.
Ma se i farmaci dovevano servirmi per affrontare meglio la psicoterapia, alla fine invece ho interrotto quest'ultima dopo aver constatato di quanto fosse totalmente insignificante per me. Quindi ho continuato una sorta di terapia con la psichiatra, che ancora frequento (perché è anche psicoterapeuta). Ma anche qui ho deciso di dilatare sempre di più la frequenza degli incontri fino a una volta al mese. Praticamente non faccio più terapia ma assumo solo i farmaci che, mi dispiace doverlo ammettere, finora sono stati l'unica cosa che in qualche modo ha avuto un effetto benefico su di me. Sia chiaro, il mio malessere, il mio "male di vivere", il mio pessimismo cosmico, il mio approccio autodistruttivo non sono minimamente cambiati. Tali erano e tali sono. Ma per lo meno evitano che io abbia delle situazioni di invalidità.
Io vorrei poter avere l'occasione di lavorare seriamente su me stesso, di mettermi in discussione, di crescere, ma finora i miei rapporti terapeutici sono stati totalmente insignificanti. Quest'ultima dottoressa la stimo come persona e come medico, mi è anche simpatica e se non fosse la mia terapeuta potrebbe essere potenzialmente una mia amica, ma, appunto, non capisco cosa abbia di diverso parlare con lei rispetto a parlare con una amica con cui ho confidenza. Per me non cambia assolutamente nulla! L'unica differenza è che dopo un'ora che parliamo le devo dei soldi. Poi esco dallo studio e la mia vita continua come se non avessi avuto un incontro con un terapeuta. Mi chiedo: che senso ha tutto ciò? Io infatti ormai ci vado solo per farmi prescrivere la ricetta dei farmaci. Nel frattempo mi ha tolto l'antipsicotico e pure l'integratore, non notando alcun cambiamento.
L'ultima volta che ci sono stato le parlavo della mia depressione e lei mi ha fermato dicendo che la mia non può definirsi depressione ma che è più un disturbo di personalità (non ben definito...). Eppure mi somministra un antidepressivo e lei stessa più volte ha pronunciato la parola depressione riferendosi a me. A me sinceramente non importa molto sapere se il mio disturbo si chiami depressione o disturbo di personalità. Per me si può chiamare pure Luigi. Ma non capisco per quale motivo nessuno dei cinque terapeuti con i quali ho intrapreso un percorso terapeutico mi abbia mai fatto una diagnosi chiara. Sempre molto vaghi.
Che ci crediate o no, io mi sono sempre molto impegnato nei miei percorsi, ma davvero credo che non mi siano serviti a nulla. E sono sempre stato estremamente sincero con i terapeuti... Anche ciò che vi sto scrivendo glielo dico senza mezze parole alla mia terapeuta. Dov'è che sbaglio? Possibile che sia solo colpa mia? Possibile che sia sempre stato sfortunato a non trovare il terapeuta giusto per me?
Sarò probabilmente presuntuoso, ma credo di conoscermi molto bene e di conoscere bene anche le cause del mio malessere e so riconoscere in che modo mi castro da solo. Ma non so uscire da questo trip. Ogni volta dopo mesi di terapia, gli psicologi pensano di avermi fatto conoscere delle parti di me nuove, ma sono sempre cose che io già conoscevo da ben prima di fare terapia. Io in terapia non ho mai scoperto nulla che non sapessi già di me. La consapevolezza di me non è un qualcosa che mi consente di stare meglio. Ho sempre l'impressione che alla fine è lo psicoterapeuta ad essere soddisfatto del percorso, mentre io rimango del tutto indifferente e, quindi, profondamente deluso. Come detto, io non capisco quale sia la peculiarità di un rapporto terapeutico in quanto al terapeuta parlo delle stesse cose e nelle stesse modalità con cui parlo a un'amica con cui ho confidenza.
Esisterà mai una soluzione a tutto ciò? I farmaci mi aiutano nei sintomi ma assolutamente non risolvono alcun problema. Certo, meglio di niente. Ma sinceramente penso di meritare di più.
Scusate lo sfogo.
Questo consulto ha ricevuto 28 risposte e 15.2k visite dal 12/08/2015.
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