Sindrome di peter pan

Buonasera,
cerco una risposta ad una mia domanda, ancora non ci sono riuscito, spero nel vostro aiuto.
Sono l'ultimo di tre figli, con 2 sorelle più grandi.
Da ragazzo, un bel giorno ho scoperto di avere una grande paura della morte, un pensiero che fortunatamente solo a periodi mi ossessionava. Ho anche scoperto a mie spese di avere una grande fragilità emotiva, che si manifestava ad esempio ogni volta che terminava una relazione sentimentale: in una di queste occasioni sono rimasto bloccato per più di due anni, ritardando il completamento dei miei già di per se difficili studi universitari. Durante i miei ventanni, notavo in me una parte adulta ed una parte bambina che non riuscivano a fondersi e crescere in un'unica componente matura.
In tutto questo si è inserito poi un contesto familiare difficile: due genitori che si separavano più o meno all'inizio dei miei 20 anni ( mio padre è morto dieci anni dopo), ed io che gioco forza mi ritrovavo a vivere con mia madre, perchè ancora studente. Mia madre è una donna molto ansiosa, dedita esclusivamente alla famiglia, senza vita sociale, con una visione pessimistica e quasi utilitaristica della vita: va fatto solo ciò che utile, lo svago la vacanza sono inutili e sbagliati. Mia madre è ancora una persona molto ansiosa, troppo: ricordo che se io e le mie sorelle tornavamo a casa con qualche minuto di ritardo rispetto al previsto, la trovavamo svenuta.
Mia madre non mi ha mai fatto sentire libero di crescere, di diventare adulto, facendo sentire a disagio la parte adulta di me, e rinforzando allo stesso tempo la mia parte bambina. Mi ha fatto invecchiare senza crescere. Il mio rimanere a casa fino a 30 anni, la sua separazione e quindi i sensi di colpa che io provavo nel lasciarla da sola dopo la fine dei miei studi, ma anche il mio bisogno di sentirmi in parte ancora bambino, la mia natura introversa, hanno creato un legame fortissimo e anormale con mia madre, che ha ostacolato la mia crescita.
Un giorno ho incontrato mia moglie, la quale mi ha messo di fronte ad una realtà che io non vedevo, e che per molto tempo ho rifiutato di accettare. Oggi devo ringraziarla, perchè grazie a lei ho acquisito consapevolezza di tutto ciò e posso affermare, che nonostante mia madre non cambi ancora atteggiamento e non si senta responsabile di nulla, il mio rapporto con lei, almeno da parte mia è quasi rientrato nei canoni della normalità, e tra l'altro la mia intelligenza emotiva si è più sviluppata. E' ovvio che la mia estrema fragilità emotiva e le situazioni al contorno, sono stati il perno, su cui mia madre sia pure inconsapevolemnte,credo, ha potuto agire. In certi momenti penso che siamo responsabili entrambi alla stessa percentuale del mio essere stato mammone, ma la domanda è : pesa di più come responsabilità la mia fragilità emotiva o l'atteggiamento di mia madre, che da persona adulta, avrebbe dovuto almeno essere consapevole che i figli vanno svezzati a 20 anni? Chi è più responsabile?

Grazie molte
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Le darò una risposta diretta: anche se fosse possibile determinarlo con assoluta precisione, non le servirebbe assolutamente a nulla.

Se il modo in cui è non le piace, lavori per cambiarlo, come già ha iniziato a fare con l'aiuto di sua moglie. Ma eviti di cadere nell'illusione che sapere le origini del suo problema l'aiuterà a cambiare. In psicologia/psicoterapia, il più delle volte, non funziona in questo modo. Almeno da un punto di vista strategico.

La ricerca delle cause e dei colpevoli, più spesso che no, indica un atteggiamento passivo, ancora focalizzato sul perché invece che sul come.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

[#2]
Dr.ssa Nunzia Spiezio Psicologo 531 20
Caro Signore,
"pesa di più come responsabilità la mia fragilità emotiva o l'atteggiamento di mia madre, che da persona adulta, avrebbe dovuto almeno essere consapevole che i figli vanno svezzati a 20 anni? Chi è più responsabile?"
Il quesito finale della sua bella mail, sono d'accordo col collega, al momento non è funzionale ad alcun processo per lei proficuo. Anche perchè delle risposte, nal caso si trovassero, bisognerebbe poi sapere cosa farne.
Si faccia guidare da un collega dal vivo nel suo processo di affrancamento da una realtà che ha scoperto non le piace e non sia ansioso di attribuire responsabilità.
Mi piace la lucidità e l'onestà con la quale si è raccontato. Le faccio i miei migliori auguri per un futuro per lei più soddisfacente e, se lo ritiene, ci faccia sapere circa l' evoluzione pratica del conato al cambiamento che sta vivendo. Può inizialmente provare a chiedere al consultorio della sua zona se hanno possibilità di seguirla. Saluti

Dr.ssa Nunzia Spiezio
Psicologa
Avellino

[#3]
Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
Gentile Utente,
come mai si pone questa domanda ora?
Vorrebbe che sua madre riconoscesse le proprie responsabilità?

<nonostante mia madre non cambi ancora atteggiamento e non si senta responsabile di nulla>

I genitori non si possono cambiare, lascerei perdere -se per caso questo accadesse -di combattere battaglie inutili con lei e poi di cercare di capire pesi e responsabilità, dal mio punto di vista un lavoro pesante, inutile e improduttivo.

La cosa importante è come si sente lei, se ritiene davvero di avere conquistato la corretta distanza emotiva che si conviene a un adulto Ciò le potrebbe consentire di non sentirsi più coinvolto dagli atteggiamenti di sua madre che potrebbero ancora attecchire se lei desse loro peso.
<pesa di più come responsabilità la mia fragilità emotiva> Ancora si sente in questo modo oppure? Non riesce a lasciare il passato là dov'è e a godersi la sua coniugalità e la sua vita senza ombre?

Dr.ssa Laura Rinella
Psicologa Psicoterapeuta
www.psicologiabenessereonline.it

[#4]
Utente
Utente
Vi ringrazio tutti per la celere risposta.
Non penso a cambiare mia madre, penso a cambiare me stesso. Nel momento in cui ho capito tante cose, mi è venuta rabbia, che ho ancora e che sto cercando ancora di smaltire: mi sono sentito manipolato, ed è nella natura umana cercare un responsabile, la cui individuazione, concordo, potrebbe essere poco utile al mio processo di crescita, ma per me è importante. Quindi per rispondere alla domanda della dott.ssa Rinella: io non mi sento più quello di prima, anche se riconosco con lucidità che il lavoro da fare su me stesso non è terminato; non ho intenzione di iniziare una guerra o di portare del rancore verso mia madre. Mi piacerebbe solo capire: è nella mia indole andare in fondo e cercare risposte; in altre parole credo che se non capissi come sono andate le cose, non riuscirei veramente a trovare un equilibrio con me stesso, sebbene sia cresciuto e cambiato. Non è facile, anche se giusto, lasciarsi il passato alle spalle se non lo hai elaborato.Questa è la mia opinione.
Seguire un percorso terapeutico per favorire il mio processo di crescita, forse non serve, mi sento già abbastanza cambiato, osservo i miei cambiamenti, e le conseguenze che questi hanno. E poi il feedback di chi mi sta vicino è molto positivo. Valuterò comunque. Andare da un terapeuta per cercare una risposta alla mia domanda e per calmare la mia rabbia, potrebbe avere un senso, ma non voglio rimanere troppo ancorato al passato, come voi stessi suggerite. Anche in questo caso valuterò.
Ancora grazie.
[#5]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> è nella mia indole andare in fondo e cercare risposte
>>>

Che è una buona cosa, parlando in generale. Ma nel caso specifico dei problemi psicologici è difficile distinguere questa tendenza dal bisogno di controllo (ossessività). Presumere che capire equivalga a stare meglio è l'errore forse più comune in cui cade chi soffre di problemi emotivi, ansia ecc. Non ha che da farsi un giro fra i vari consulti del sito per rendersene conto.

La sua rabbia è comprensibile. Dopo decenni si è reso improvvisamente conto che forse c'è un filo rosso che lega il modo in cui è oggi all'educazione che ha ricevuto. E sente rabbia perché capisce che se avesse avuto una madre meno castrante e meno problematica, forse avrebbe avuto meno grattacapi.

Ma una volta passata questa fase, si renderà conto che per andare da Roma a Milano non occorre capire come era arrivato a Roma: basta occuparsi dei passi necessari per coprire le tappe da Roma a Milano.
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Dr.ssa Laura Rinella Psicologo, Psicoterapeuta 6.3k 119
< anche se riconosco con lucidità che il lavoro da fare su me stesso non è terminato>

Concordo con lei, una ragione più che valida per farsi accompagnare in questo da uno specialista, il feedback di chi le sta vicino è certamente importante, un nostro collega potrebbe tuttavia renderle la strada più breve e facile, per vivere più serenamente e far pace con la sua rabbia.

Gli obiettivi su cui lavorare poi vengono concordati con lo specialista che incontrerà, da qui solo spunti di rfilessione.

Cordialità

[#7]
Dr.ssa Valeria Randone Psicologo, Sessuologo 17.4k 317
Gentile Utente,
Aggiungo qualche riflessione a quelle già ricevute dai colleghi.

Sua madre l'ha amata così come poteva e sapeva fare.

Era ansiosa, problematica, mal separata - forse - avrà investito su voi figli, invertendo i ruoli, ma personalmente non credo che la sua fragilità emotiva dipenda solo da sua madre e la sua crescita soltanto a sua moglie.

Lei non ci ha messo nulla di suo?

La caccia alle streghe è, solitamente, il percorso mentale più semplice, ma la psiche è complessa ed anche le relazioni lo sono.

Se dovesse avere ancora dubbi, rabbia inesperessa e conflitti interiori, un nostro collega è sicuramente la figura più adatta per poterla aiutare.

Le allego una lettura sulla crescita dei figli maschi, potrebbe aiutarla a comprendere un po' di più

https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4405-genitori-e-figli-maschi-istruzioni-per-l-uso.html

Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it

[#8]
Utente
Utente
Vi ringrazio ancora.
Noto in generale da parte Vostra un tentativo di spostare il focus sul perchè della mia domanda, e comunque sulla sua oggettiva inutilità ai fini di un percorso di crescita. La mia domanda era comunque molto chiara ed esprime una mia esigenza personale, che non è ossessione, ne ansia.
Vorrei solo brevemente fare una precisazione alla Dott.ssa Randone: è ovvio che ci ho messo del mio, e questo si legge chiaramente nella mia prima e-mail.
Non imputo la mia fragilità emotiva a mia madre, o più in generale al contesto ( non ho mai parlato di mio padre perchè praticamente inesistente) la mia passata paura di crescere. E non credo di potermene fare una colpa. Potrei farmi una colpa del fatto di non essermi reso conto da solo di quello che mi stava succedendo, delle manipolazioni che stavo subendo, ma Lei sa perfettamente che questo è molto difficile soprattutto se sei fragile: quando cresci assuefatto da condizionamenti, non riesci a vedere la vita diversamente, non riesci a vedere errori, forse provi a volte dei disagi, ma è difficile capirne il perchè. Solo un confronto forte e ravvicinato con una realtà esterna puo farti aprire gli occhi. E mia moglie mi ha aiutato in questo, il resto l'ho fatto io.
D'altra parte convengo con Lei che mia madre ha fatto quello che poteva, ed in questo senso non ha colpe. Non posso rimproverarle di non aver saputo aiutarmi a crescere, forse potrei rimproverarle di aver ostacolato attivamente la mia crescita già difficile. Ma anche di questo sono sicuro che Lei non ne è ancora consapevole.
E allora? Qual'è la conclusione?Nessuno ha responsabilità? Le hanno tutti?
Non lo so. Di sicuro io con le mie fragilità e con le mie paure ho danneggiato solo me stesso.Lo stesso non si pùo dire per mia madre e mio padre, che forse in età matura avevano più titolo e strumenti, memori della loro vità passata, per acquisire consapevolezza degli errori/mancanze che stavano compiendo. E questi sono i dubbi espressi nella mia domanda
Io non cerco un capro espiatorio perchè sono uno di quelli che pensa che ognuno è responsabile delle proprie azioni, quindi potrei dare la colpa solamente a me stesso di come è andata una parte della mia vita. Ma è inevitabile che è a questo "andamento" abbiano contribuito anche condizionamenti negativi da persone molto influenti, quali la famiglia. .
Riporto la frase del dott. Santonocito: "Ma una volta passata questa fase, si renderà conto che per andare da Roma a Milano non occorre capire come era arrivato a Roma: basta occuparsi dei passi necessari per coprire le tappe da Roma a Milano." Concordo, non fa una piega. A Milano ci sono arrivato senza sapere come sono arrivato a Roma, ma a me invece mi piacerebbe saperlo, perche non serve al mio percorso di crescita, ma serve a me come Persona diversa da tutte le altre, per chiudere definitivamente e con piena consapevolezza un capitolo della mia vita.
Vi ringrazio ancora tutti per gli utili suggerimenti.
[#9]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Sappiamo bene che per alcune persone il bisogno di sapere è molto pressante.

Tuttavia, veda la cosa in modo pragmatico: nessuno, nemmeno il più perspicace e preparato degli psicologi potrà mai dare una risposta "vera" e definitiva alla sua domanda, tale che la sua sete di sapere ne possa essere finalmente placata.

Qualsiasi risposta riuscirà a trovare sarà per forza di cose parziale, incompleta e soggettiva. Quesiti come quello che lei si sta ponendo appartengono alla stessa categoria del: chi siamo? Dove andiamo? Perché esistiamo?

Nessuno ha la risposta definitiva. Ma ognuno può darvi una risposta di comodo. Oppure, ancora meglio, si mette l'animo in pace ed evita di farsi la domanda.

Ho usato la parola ossessività perché una delle forme tipiche di questa tendenza è proprio il bisogno di trovare risposte a domande di cui nessuno ha una risposta.

In sintesi, un ultimo suggerimento prima di lasciarla: mantenga sempre ben distinte le due cose: il bisogno di sapere e l'eventuale desiderio di cambiare il modo in cui è. La seconda non ha bisogno della prima, ma la prima potrà trovarla meglio dopo aver raggiunto la seconda.

Le faccio molti auguri
[#10]
Utente
Utente
Probabilmente è proprio quasta la risposta che cercavo. Grazie molte dottore.
Saluti
[#11]
Utente
Utente
Buonasera Dr. Santonocito, mi scusi ancora per il disturbo ma riflettendo sul discorso "Roma - Milano", mi è venuto un ulteriore dubbio. Questo modo di ragionare, più concentato sul come (vado da Roma a Milano) che sul perchè (sono arrivato a Roma), vale sempre in psicologia? Mi spiego meglio. In altri sistemi di relazione, ad esempio di coppia, capita spesso che uno e entrambi i partner decidano di lasciarsi: non vanno più d'accordo, non si amano più, etc.. A volte non hanno una visione chiara del perchè, oppure ognuno ha un proprio modo di vedere le cose, e non prova neanche per un attimo a mettersi nei panni dell'altro o a capire le sue ragioni (in questi casi credo possa essere un utile una terapia di coppia). E cosi via.
In un caso come questo, vale ancora il ragionamento di cui sopra? In una caso come questo non è importante capire il perchè la relazione è in crisi, e quindi utilizzare positivamente questi perchè, per poi lasciarsi, ma anche eventualmente per riprovarci, o per non rifare gli stessi errori con un altro partner?

Scusi la mia (ammetto) esagerata curiosità.

Saluti
[#12]
Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Non solo nella coppia, ma anche in ogni terapia individuale di tipo strategico è indispensabile capire come funziona il problema per poterlo risolvere. Ma come funziona nell'oggi, non nel passato.

Altri approcci partono da presupposti diversi. Altre forme di psicoterapia cercano di scavare in profondità, impiegando a volte anni per "capire". E nel frattempo il problema resta lì, al suo posto.

Occorre essere chiari su cosa viene definito come problema.

Se un problema è definito come:

- Voglio andare da Roma a Milano.
- Voglio andare d'accordo con il mio partner.
- Voglio cambiare il modo in cui mi rapporto ai miei familiari, amici ecc.
- Voglio superare la mia ansia, depressione, disturbo di alimentazione, disturbo sessuale ecc.

è un conto. E in casi come questi si può predisporre un percorso che permetta di raggiungere il risultato (fatti salvi ovviamente fattori come la motivazione del paziente a uscirne, la competenza del terapeuta ecc.). Ma sono tutti obiettivi che hanno a che fare con il COME.

Se invece un problema è definito come:

- Voglio capire perché mi comporto così.
- Voglio sapere da cosa è dipeso se oggi sono così.

ci si candida con facilità all'insuccesso.

I quesiti che cercano di scoprire i PERCHÈ sono destinati prima o poi ad arenarsi. Proprio a causa del fatto che da un perché è facile farne nasce un altro, poi un altro, poi un altro ancora... e ci si ritrova più dubbiosi e curiosi di quando si è partiti.

[#13]
Utente
Utente
La ringrazio ancora per a Sua estrema dsponibilità e complimenti per la Sua pofessionalità.

Saluti