Blocchi emotivi e terapia urto

Ai cortesi Dottori che dedicheranno il loro tempo e la loro professionalità a chiarire i miei dubbi.
Sono una giovane donna, ho già scritto su questo sito come potete verificare dai miei precedenti post. Cercherò. e spero do riuscirci, di essere il più concisa e chiara possibile.
Vorrei sapere secondo il vostro parere esperto, oltre che limite temporale il processo di elaborazione di un "lutto" diventa "patologico". Io non riesco a capire cosa mi è successo, perchè da due anni e mezzo, da quando cioè la mia storia è finita molto drasticamente, mi sento bloccata emotivamente; è come se fossi rimasta ferma nel tempo passato, vado avanti ma con la testa sempre a quello che ho perso, alla storia finita, alla malinconia di un progetto di vita distrutto. Inizio a convincermi che ci sia qualcosa in me che non va, che sia a-normale, perchè dopo così tanto tempo sono ancora ferma li.
Altra curiosità, e questa la rivolgo a chi ha conoscenza in merito, riguarda la modalità terapeutica gestaltica. Per qualche mese ho affrontato incontri che si basavano sul colloquio, ma nel parlare con la terapeuta mi è stata prospettata anche una sorta di lavoro corporeo, perchè pare che io abbia delle difficoltà a far uscire, e questo implodere mi sta letteralmente consumando le energie.
Secondo voi, è più efficace lavorare sul contatto emotivo attraverso lo sblocco corporeo o invece continuando, (ma con poca fiducia da parte mia forse), sul dialogo e sulla parola? Potrebbe essere che una persona abbia bisogno di un approccio più di impatto per poter essere riportata sul reale, sul qui e ora visto che non riesco più a realizzare il contatto con la mia vita presente?
Spero di essere stata chiara nell'esposizione e ringrazio in anticipo il vostro cortese confronto.
Saluti.
[#1]
Dr.ssa Angela Pileci Psicologo, Psicoterapeuta, Sessuologo 19.9k 509
Gentile Utente,

di solito quando il pz. inizia a rimuginare sul passato, sull'evento stressante, ecc... è probabile che ci sia una problematica d'ansia che rende difficile l'elaborazione della perdita, oppure che il significato personale attribuito alla rottura della relazione e alla separazione sia drammaticamente doloroso e che quindi la possibilità di ricominciare non sia neppure contemplata.

Per quanto riguarda la modalità gestaltica non Le posso rispondere.

Per quanto riguarda il lavoro psicoterapico può scegliere un orientamento che ponga obbiettivi chiari e percorribili per risolvere il Suo problema: nel precedente percorso quali erano?

Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica

[#2]
Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
Gentile Dott.ssa Pileci, si in effetti riconosco di essere in una spirale ripetitiva di pensieri a cerchio, ovviamente non della stessa intensità iniziale di due anni e mezzo fà (ci mancherebbe), ma ho questo problema a tornare indietro con la mente e con i pensieri.
All'inizio della rottura, molto violenta e traumatica, ho perso totalmente la mia identità perchè riconosco di aver attribuito la responsabilità della mia immagine a quanto di riflesso ricevevo dalla mia compagna, per cui ero sicura di me perchè lei mi faceva sentire sicura, ero forte perchè mi faceva sentire forte, ero amata perchè mi faceva sentire amata. Mancandomi tutto questo anche la mia persona, le mie sicurezze e tutto quello che credevo appartenermi indipendentemente dagli altri, in realtà è venuto meno in un attimo, quindi posso ben capire che il problema era che non avevo forse costruito le basi per stare in piedi da sola.
Ho seguito nella mia esistenza vari percorsi terapeutici, ma per diversi motivi, ma per dirLe il vero non credo di esser mai stata totalmente dentro la relazione terapeutica in toto. In tarda adolescenza sono stata obbligata a fare degli incontri per un motivo diverso, (il Dca leggi:anoressia nervosa) da cui è emerso l'origine di un trauma infantile rimosso dalla mente e poi riemerso tutto insieme.
Dopo molti anni ho riaffrontato un percorso di terapia a seguito di un primo episodio di depressione circa 7 anni fa, (causato sempre da un distacco per la fine di un'altra relazione), percorso psicoterapeutico tradizionale seguito per un annetto poi interrotto da me dopo l'incontro con la mia ex.
Ho ripreso poi circa due anni e mezzo fa (sempre con la preced psicoterapeuta tradizionale) perchè era riemerso l'episodio depressivo grave (per un periodo ho dovuto assumere sertralina seguita da una psich), ma confrontandomi con la Dott.ssa di allora uscì fuori la mia difficoltà a fidarmi, e questo di conseguenza non mi permetteva di recepire gli strumenti. Decisi quindi di interrompere ma cambiare approccio, da qui un sistema più di impatto e d'urto (avevo e ho la necessità di essere letteralmente scrollata più che assecondata e ascoltata, ho tanto da dire ma molto di più da fare, agire e il vecchio metodo non mi dava gli stimoli e la forza per attivarmi); dal precedente percorso però ricordo bene alcuni passaggi:
- la terapeuta mi disse "non hai vissuto l'adolescenza intesa in termini esperenziali
- non è mai stato superato realmente il primo abbandono (nascita)

Ad oggi i miei obiettivi sono sicuramente quelli di riuscire a superare l'elaborazione di questo lutto, perchè non riesco a vivere il presente, cioè vado avanti ma la vita la osservo più che farne parte, e avendo consapevolezze tutto questo mi fa molto male perchè mi sento incapace, inutile e inadatta. Sto iniziando a pensare di essere un caso disperato e senza speranze e se fino ad ora non sono riuscita davvero ad uscirne il problema forse sono davvero io.
In merito ai miei disagi mi rendo conto di avere queste lacune che diventano vere e proprie catene nei rapporti relazionali. Ho bisogno di aiuto e spero davvero di riuscire a diventare una persona autonoma, in grado di cadere ma anche di rialzarsi da sola.
Grazie del suo confronto, spero di essere stata chiara nel mio esporre il tutto.
[#3]
Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
Giusto per specificare: il precedente percorso nella mia risposta si riferisce al percorso tradizionale seguito nel primo episodio depressivo di circa sette anni fa, ma nonostante la mia assidua partecipazione non credo di aver capito molto bene cosa significava andare in terapia, la vivevo come un obbligo perché ero malata e dovevo curarmi, non riuscivo a portare fuori dalla stanza gli strumenti di lavoro. Da lì la scelta di cambiare percorso e seguire questo attuale, gestaltico appunto, dove l'emptica con la terapeuta sembra si sia arrivata, anche se non subito, causa le mie difese molto alte. Solo dopo molti mesi di colloqui, dove io parlavo come un disco fisso della mia storia finita e di quanto mi mancasse la mia ex, siamo giunti a scavare un po' più a fondo tra le corde dell'anima, e qui ho capito di avere enormi blocchi emotivi.
Secondo voi, se dopo due anni e mezzo una persona non è riuscita ad elaborare un lutto, e' ammissibile parlare di soggetto patologico? Sono malata?
Grazie.
[#4]
Dr.ssa Carla Maria Brunialti Psicoterapeuta, Psicologo, Sessuologo 18.6k 598
<<se dopo due anni e mezzo una persona non è riuscita ad elaborare un lutto, e' ammissibile parlare di soggetto patologico?<<

Non di soggetto patologico, bensì eventualmente di elaborazione del lutto anomala.

Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/

[#5]
Attivo dal 2015 al 2015
Ex utente
So che non dovrei fare autodiagnosi, ma dopo così tanta sofferenza e una vita bloccata, vissuta a metà credo di soffrire di nevrosi. Se così fosse, potrò comunque condurre una vita sufficientemente serena o sono rassegnata alla sofferenza costante. Grazie Dott.ssa, un saluto.
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