Forse voglio restare borderline

Salve a tutti egregi dottori. Sto seguendo una psicoterapia breve strategica con una dottoressa specializzata in questo campo. Durante la seduta di oggi le è uscito il termine, riferito alla mia parafilia masochistica, "sessualità borderline". Effettivamente durante le sedute (sono alla quarta) sono emersi molti dettagli che potrebbero far pensare a questo disturbo. In ambito sentimentale soprattutto, le mie relazioni con ragazze sono state iper-idealizzanti e poco durature, molto drammatizzate da me. Sono emersi molti altri aspetti che potrei ricondurre ad una personalità Borderline, fra cui scatti d'ira, la sensazione di essere un malriuscito, pensieri suicidi, confusione relazionale, abuso di droghe etc... Inoltre anche il mio rapporto con la "malattia" è molto simile a quello descritto in merito al borderline: tendo ad attribuire agli altri l'individuazione di un disturbo in me che io non riscontro in me stesso. Per intenderci: mi capita di pensare, talvolta, di avere un modo di comunicare diverso da quello degli altri. Sappiamo che la comunicazione ha un contenuto informativo: ebbene, per me esiste soltanto quello. Quando parlo, faccio sempre dei discorsi di tipo astratto, concettuale, anche se sto parlando di altre persone o di me stesso - come se stessi parlando di sostanze metafisiche o di particelle subatomiche o di composti chimici . Nei discorsi degli altri tendo a vedere solo quella componente astratta, ma qualche volta alcuni mi fanno notare con le loro risposte che c'è anche un contenuto di relazione in ciò che diciamo ed in ciò che io dico: un contenuto relativo a ciò che desideriamo gli uni dagli altri e alle emozioni che ci trasmettiamo. Così mi accorgo di non avere alcun controllo su questi contenuti di relazione e sulle emozioni che trasmetto. Questa è una disfunzione da un punto di vista psicologico, ok, ma c'è da tenere conto di una cosa. Io mi interesso principalmente di filosofia: non posso concepire una conoscenza, qualsiasi essa sia (fosse anche "cosa hai fatto ieri?"), che sia condizionata da ambizioni personali, dalla moralità, dal desiderio di modificare le cose, dall'affettività. In verità se si stanno cambiando le cose non si stanno conoscendo "così come sono". Perciò mi chiedo, se io cominciassi a funzionare sul piano di chi trasmette le proprie emozioni, con ciò non smetterei di funzionare come pensatore filosofico? In altri termini: ho paura che se smettessi di essere "borderline" comincerei a preoccuparmi di molte cose relativamente agli altri e non mi occuperei più di filosofia. Ma il punto è che a me gli altri non interessano, né mi interessa di me stesso! A me interessa solo il sapere! Che fare? Continuo la terapia o smetto? Guarire dal disturbo borderline significa vedere le cose diversamente da come le vedo ora, ossia vederle come temo che siano, oppure significa non scorgere più prospettive di "emotività"?
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
Perdonami, ma dai discorsi che fai traspare più ossessività - e quindi un bisogno di controllo - piuttosto che l'involontaria perdita di controllo che si riscontra nelle persone borderline. Cioè, per certi versi proprio l'opposto.

Forse puoi aggiungere altri dettagli per aiutarci a capire meglio.

Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com

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Attivo dal 2015 al 2017
Ex utente
Ah, questo è possibile, io non so se ho proprio un disturbo. Sicuramente c'è da parte mia un grande bisogno di controllo, ma questo bisogno di controllo assume tratti specifici di ciò che ho letto in certe descrizioni di personalità Borderline. In particolare il mio timore più grande è l'oblio di me stesso, il perdermi negli altri e diventare tutt'uno con essi. Questo timore è cosciente e lo devo al fatto che come posso diventare "uno" con gli altri, così, lasciandomi andare, potrei diventare la "preda" di qualcuno o il "predatore". Ho paura degli scontri con gli altri, ma non perché io abbia paura di perdere, ma perché per me il "competere emotivamente ", l'"affermare me stesso", il "rendere coscienti gli altri delle mie esigenze ", "avere autostima", sono tutti concetti che fanno parte, dal mio punto di vista, quasi di una "altra" realtà alternativa alla mia, in cui al posto delle informazioni, della conoscenza, dei saperi, delle arti, ci sono i desideri, le emozioni, le affermazioni di sé... Ma per me queste ultime cose hanno un senso solo se vivono nell'arte: nella realtà per me sono casi limite rispetto ad una medietà reale fatta di relax e assenza di volontà, di scopi, di emozioni. Ho paura che se io uscissi da questo mio mondo personale mediante la terapia, finirei col dimenticare tutto quello che ho imparato finora nel mio mondo, col rivalutarlo, col perdere la conoscenza in favore dell'azione, finirei magari ad innamorarmi, mentre avevo tanto diligentemente rinunciato alla sessualità e mi ero dato con successo alla castità traendone enormi benefici. Ho paura del cambiamento in questo senso, ho paura di diventare "come gli altri"... Ma io non mi sono mai sentito come gli altri e non capisco perché sarebbe salutare per me sentirmici. Non lo so, mi viene da pensare che sia stato uno sbaglio cominciare la terapia. Io solo so qual è il mio compito nel mondo, e l'unico motivo per cui avevo cominciato la terapia era la pigrizia.
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> l'oblio di me stesso, il perdermi negli altri e diventare tutt'uno con essi
[...]
>>>

Questa e quelle che seguono sono tutte elucubrazioni osessive.

La terapia si fa se c'è un bisogno riconosciuto dalla persona come importante, urgente e reale. Non così tanto per fare. Ma non so quale sia il tuo caso, esattamente.

Tuttavia ti suggerisco di lasciar perdere i tentativi di autodiagnosi online. Sono tentativi che denotano appunto ansia e ossessività e producono solo risultati inaffidabili e ulteriore confusione:

https://www.medicitalia.it/news/psicologia/5622-the-google-university-ricerche-online-e-falso-senso-di-conoscenza.html


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Attivo dal 2015 al 2017
Ex utente
La ringrazio dell'aiuto, dottore, ma sono stato folgorato da una verità. A dire il vero io avevo cominciato la terapia soltanto perché volevo elaborare una strategia per mantenere la castità senza farmi riprendere dal desiderio improvviso. Poi la terapista mi convinse della necessità di lavorare su me stesso senza porsi un obiettivo. Il fatto che io l'abbia accettato è per me già l'esser diventato preda di cui parlavo sopra.
Ma c'era un altro motivo, più profondo, per il quale avevo intrapreso la terapia: io volevo comprendere in praxi cosa fosse la psicologia, questa non-scienza così strana, così sfuggente alla comprensione. Ora l'ho capito.... Ha mai letto l'opera di Nietzsche: "La nascita della tragedia"? Essa comincia con la distinzione di due categorie estetiche: l'apollineo ed il dionisiaco. C'è molto da dire a riguardo, ma si può dire in sostanza che l'apollineo era in Grecia il sentimento delle classi aristocratiche, mentre il dionisiaco convogliava in unità la totalità delle passioni del popolo greco. Come pensatore, io sono apollineo. I miei istinti sono totalmente aristocratici: ed è tipico della nobiltà l'avere delle ossessioni. Voi psicologi siete i sacerdoti di Dioniso in chiave moderna, gli iniziatori ai misteri. Per questo non capivo le vostre tavole, la vostra scienza, per questo decisi di andare in terapia. La vostra scienza è dionisiaca, non è una scienza! La vostra è arte musicale
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Dr. Giuseppe Santonocito Psicologo, Psicoterapeuta 16.3k 372
>>> la psicologia, questa non-scienza
>>>

Questo lo stai dicendo tu. In realtà la psicologia è una scienza a pieno titolo. Con le sue peculiarità, certo, ma pur sempre una scienza.

La psicologia è una scienza che però richiede, come qualsiasi altra scienza, una certa dose di arte e creatività per essere resa utile.

>>> è tipico della nobiltà l'avere delle ossessioni
>>>

No, è tipico della patologia. Almeno quando superano per intensità una certa soglia.
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Attivo dal 2015 al 2017
Ex utente
Forse lo sto dicendo io, ma il mio dire recita le misure di tutte le cose e della cosa sola.

L'arte non è mai stata nel regno della scienza, la scienza muove se stessa attraverso il poetare.

Nel popolo è patologia, poiché in esso manifesta ciò che non si è: il limite del gregge si situa nell'infinito.
Nel nobile è virtù, poiché in esso manifesta ciò che si è: la tracotanza del possente si situa nella privazione.

L'iniziato, il paziente, trova se stesso nello smarrirsi.
Lo scienziato, il guerriero, perde se stesso nel trovare.

Salute a voi, discepoli di Dioniso.
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