Difficoltà ad interagire
Salve, sono una ragazza di 18 anni che frequenta le superiori. Sin dall'infanzia si poteza: vedere i parenti, interagire a scuola o semplicemente salutare una persona erano le mie peggiori paure.Ho sempre avuto il sostegno dei miei genitori, caratterialmente molto timidi ed introverso, eppure ho notato che nel loro caso i rapporti sociali non erano compromessi del tutto.
Nel mio caso, crescendo, questa timidezza è diventata sempre più forte. L'interazione con gli altri è assente, spesso mi vengono poste delle domande, o viene iniziato un discorso, per farmi sentire a mio agio, e la mia reazione è quella di accennare un sorriso e poi girarmi dalla parte opposta; incontrare persone per strada mi infastidisce, cambio immediatamente direzione; mangiare mentre nessuno lo sta facendo, o guardare degli abiti in un negozio mi rende ansiosa, mi fa guardare intorno sperando che nessuno si sia accorto della mia presenza.
Il culmine è stato pochi giorni fa, alla comunione della sorella del mio ragazzo. Sono stata in silenzio l'intero ricevimento, con vari attacchi di pianto (che in presenza di altri ho giustificato con semplice allergia), mal di stomaco e un peso forte proprio all'altezza dello stomaco. Ho in seguito preso una pasticca per l'allergia (non causa delle lacrime ma comunque presente), e non sono più riuscita a mangiare nulla, avevo un bisogno costante di rimettere. Quando gli altri partecipanti hanno capito che non stavo bene, avrei voluto scappare via. Ho continuato a piangere e ad urlare, per un attimo sono stata al centro dell'attenzione e non l'ho tollerato.
Questi sintomi non sono sempre presenti, spesso mi comporto con semplice indifferenza o evito il contatto, non facendo mai una buona impressione.
Come posso combattere questa paura delle interazioni, della comunicazione con gli esseri umani?
Mi scuso per la lunghezza e ringrazio in anticipo.
Nel mio caso, crescendo, questa timidezza è diventata sempre più forte. L'interazione con gli altri è assente, spesso mi vengono poste delle domande, o viene iniziato un discorso, per farmi sentire a mio agio, e la mia reazione è quella di accennare un sorriso e poi girarmi dalla parte opposta; incontrare persone per strada mi infastidisce, cambio immediatamente direzione; mangiare mentre nessuno lo sta facendo, o guardare degli abiti in un negozio mi rende ansiosa, mi fa guardare intorno sperando che nessuno si sia accorto della mia presenza.
Il culmine è stato pochi giorni fa, alla comunione della sorella del mio ragazzo. Sono stata in silenzio l'intero ricevimento, con vari attacchi di pianto (che in presenza di altri ho giustificato con semplice allergia), mal di stomaco e un peso forte proprio all'altezza dello stomaco. Ho in seguito preso una pasticca per l'allergia (non causa delle lacrime ma comunque presente), e non sono più riuscita a mangiare nulla, avevo un bisogno costante di rimettere. Quando gli altri partecipanti hanno capito che non stavo bene, avrei voluto scappare via. Ho continuato a piangere e ad urlare, per un attimo sono stata al centro dell'attenzione e non l'ho tollerato.
Questi sintomi non sono sempre presenti, spesso mi comporto con semplice indifferenza o evito il contatto, non facendo mai una buona impressione.
Come posso combattere questa paura delle interazioni, della comunicazione con gli esseri umani?
Mi scuso per la lunghezza e ringrazio in anticipo.
[#1]
Cara Utente,
vista la gravità del disagio che riferisce è plausibile che le sia necessario un percorso di psicoterapia per realizzare un cambiamento nelle sue modalità di relazione che descrive così profondamente condizionate dalla paura degli altri e dall'ansia, che la colpisce sia sul piano psicologico che su quello corporeo.
E' possibile che l'introversione dei suoi genitori abbia svolto un ruolo molto importante nell'influenzare il suo modo di essere e di agire, ma a questo punto il problema è il suo indipendentemente dal ruolo che hanno avuto mamma e papà.
In che modo le facevano avere il loro sostegno quando era piccola (e immagino glielo fanno avere anche ora)?
Hanno mai pensato che le servisse parlare con uno psicologo? Loro non l'hanno ma fatto?
vista la gravità del disagio che riferisce è plausibile che le sia necessario un percorso di psicoterapia per realizzare un cambiamento nelle sue modalità di relazione che descrive così profondamente condizionate dalla paura degli altri e dall'ansia, che la colpisce sia sul piano psicologico che su quello corporeo.
E' possibile che l'introversione dei suoi genitori abbia svolto un ruolo molto importante nell'influenzare il suo modo di essere e di agire, ma a questo punto il problema è il suo indipendentemente dal ruolo che hanno avuto mamma e papà.
In che modo le facevano avere il loro sostegno quando era piccola (e immagino glielo fanno avere anche ora)?
Hanno mai pensato che le servisse parlare con uno psicologo? Loro non l'hanno ma fatto?
Dr.ssa Flavia Massaro, psicologa a Milano e Mariano C.se
www.serviziodipsicologia.it
[#2]
Gentile ragazza,
da quello che scrive è lampante un comportamento che Lei mette in pratica e che contribuisce a mantenere e peggiorare la problematica e che è l'EVITAMENTO di tutte quelle situazioni che La mettono in difficoltà, ad esempio quando incontra qualcuno che conosce, oppure se deve dire qualcosa su di sé o iniziare una conversazione, ecc...
Evitare di fare ciò che ci fa paura o che in generale non sappiamo fare è sempre un errore perché il risultato è che non supereremo mai quella paura e che non impareremo mai a fare ciò che non sappiamo fare....
Detto questo, i comportamenti che Lei descrive come problematici per se stessa sono delle "abilità sociali" e cioè dei comportamenti APPRESI e governati da regole che variano a seconda del contesto e delle circostanze.
Quindi, Lei può serenamente apprendere ciò che ancora non sa fare e che adesso è è per Lei un problema. Ma soprattutto non c'è nulla di male nell'essere timidi (non è una malattia!), tant'è che i Suoi genitori sono timidi e riservati ma socialmente abili da quanto ci dice.
Secondo me se il problema è invalidante, potrebbe rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta di formazione cognitivo-comportamentale per un training comportamentale sulle abilità che Le mancano, riuscendo così ad acquisire tali abilità mancanti.
Legga qui: https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html
Cordiali saluti,
da quello che scrive è lampante un comportamento che Lei mette in pratica e che contribuisce a mantenere e peggiorare la problematica e che è l'EVITAMENTO di tutte quelle situazioni che La mettono in difficoltà, ad esempio quando incontra qualcuno che conosce, oppure se deve dire qualcosa su di sé o iniziare una conversazione, ecc...
Evitare di fare ciò che ci fa paura o che in generale non sappiamo fare è sempre un errore perché il risultato è che non supereremo mai quella paura e che non impareremo mai a fare ciò che non sappiamo fare....
Detto questo, i comportamenti che Lei descrive come problematici per se stessa sono delle "abilità sociali" e cioè dei comportamenti APPRESI e governati da regole che variano a seconda del contesto e delle circostanze.
Quindi, Lei può serenamente apprendere ciò che ancora non sa fare e che adesso è è per Lei un problema. Ma soprattutto non c'è nulla di male nell'essere timidi (non è una malattia!), tant'è che i Suoi genitori sono timidi e riservati ma socialmente abili da quanto ci dice.
Secondo me se il problema è invalidante, potrebbe rivolgersi ad uno psicologo psicoterapeuta di formazione cognitivo-comportamentale per un training comportamentale sulle abilità che Le mancano, riuscendo così ad acquisire tali abilità mancanti.
Legga qui: https://www.medicitalia.it/minforma/psicologia/1087-le-abilita-sociali.html
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#3]
Utente
Vi ringrazio di cuore. Per ciò che concerne i miei genitori, loro mi hanno sempre spinta a compiere quelle azioni che loro stessi trovavano problematiche alla mia età, come ad esempio interagire con i coetanei.
Mi hanno consigliato più volte di rivolgermi ad uno psicologo (cosa che loro non hanno mai fatto) ma in tutta onestà non mi sento ancora pronta ad affrontare una conversazione su questo tema.
Mi hanno consigliato più volte di rivolgermi ad uno psicologo (cosa che loro non hanno mai fatto) ma in tutta onestà non mi sento ancora pronta ad affrontare una conversazione su questo tema.
[#4]
<<Ho continuato a piangere e ad urlare, per un attimo sono stata al centro dell'attenzione e non l'ho tollerato.<< :
Lei evita il contatto, ma al contempo assume comportamenti che la pongono al centro dell'attenzione.
Certamente sarebbe il caso di rivolgersi ad un/a psicologo/a psicoterapeuta di persona;
che si faccia un po' di fatica, ci può stare. Ma nell'attendere di "essere pronta" può perdere tempo prezioso.
Lei evita il contatto, ma al contempo assume comportamenti che la pongono al centro dell'attenzione.
Certamente sarebbe il caso di rivolgersi ad un/a psicologo/a psicoterapeuta di persona;
che si faccia un po' di fatica, ci può stare. Ma nell'attendere di "essere pronta" può perdere tempo prezioso.
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
Questo consulto ha ricevuto 4 risposte e 2.1k visite dal 20/05/2015.
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