Irrinunciabile bisogno di andare in bagno
Salve.
Non so se fosse il caso di fare questa richiesta in Psicologia, ma in ciò che sto per raccontare non posso che immaginare l'ansia come causa.
Da diversi anni a questa parte, quando capita che ogni mio giorno diventi una routine, si posiziona circa alla stessa ora un bisogno improvviso e incontenibile di andare al gabinetto.
In particolare ricordo che questo problema iniziò ad essere più frequente quando andavo al quarto superiore, da pendolare con l'autobus. Ogni santa mattina, circa un quarto d'ora prima di arrivare, iniziava a farsi sentire questo bisogno che quindi portava una sensazione di scorfonto e angoscia vista l'impossibilità di farvi fronte.
Appena arrivavo, correvo velocissimo contro l'istituto fino a giungere in quell'ormai adorato gabinetto.
Questo accadeva tutte le mattine e per quanto riguarda l'ansia non è che ce l'avessi per qualcosa in particolare, quando dovevo andare a scuola, anzi non l'avvertivo nemmeno se non per quella manifestazione.
Ho provato a fare/non fare/cambiare colazione, per esempio; c'è stato anche il periodo in cui presi ansiolitici (non per questa ragione), ma nulla.
Eventualmente finii la scuola. Dopo un anno di stare a casa sono qui all'università e quasi ogni santa mattina, per quanto mi sforzi di fare il bisogno prima di andare a lezione, arrivo lì mezz'ora prima, poi la lezione inizia e dopo un'ora o prima, puntualmente, devo uscire per andare al gabinetto.
Ci vado una volta e poi magari capita una seconda volta durante la pausa (senza contare ogni tanto quella a casa e quella durante la mezz'ora senza lezione).
La mia alimentazione non è proprio delle migliori e comunque c'è da dire che questo ciclo ferreo si spezza ogni fine settimana quando non devo andare all'università.
La cosa curiosa, ma che comunque mi desta molta preoccupazione, è che durante le prove in itinere (durante le quali non si può uscire) il bisogno scompare quasi nel nulla.
Ma proprio perché sono preoccupato in anticipo, spesso mi curo di mangiare poco o di non mangiare per niente causandomi spesso la sgradevole e fastidiosa sensazione di fame.
Adesso, vi chiedo: domani ho un compito alle nove e anche se non mi è mai successo durante uno di questi (ma non ricordo se ne ho fatto qualcuno all'orario "pericoloso") sono preoccupato che questo problema possa comprometterne lo svolgimento.
Come affrontare questa situazione?
** Aggiungo che soffro sì di ansia, ma tipo di un ansia sociale che spunta specialmente nei confronti di persone assolutamente sconosciute oppure in classiche "situazioni sociali" (alle quali comunque non sono sottoposto).
In altre parole, come nel caso dell'autobus, non la avverto nel solito senso, ma solo con quel bisogno.
Non so se fosse il caso di fare questa richiesta in Psicologia, ma in ciò che sto per raccontare non posso che immaginare l'ansia come causa.
Da diversi anni a questa parte, quando capita che ogni mio giorno diventi una routine, si posiziona circa alla stessa ora un bisogno improvviso e incontenibile di andare al gabinetto.
In particolare ricordo che questo problema iniziò ad essere più frequente quando andavo al quarto superiore, da pendolare con l'autobus. Ogni santa mattina, circa un quarto d'ora prima di arrivare, iniziava a farsi sentire questo bisogno che quindi portava una sensazione di scorfonto e angoscia vista l'impossibilità di farvi fronte.
Appena arrivavo, correvo velocissimo contro l'istituto fino a giungere in quell'ormai adorato gabinetto.
Questo accadeva tutte le mattine e per quanto riguarda l'ansia non è che ce l'avessi per qualcosa in particolare, quando dovevo andare a scuola, anzi non l'avvertivo nemmeno se non per quella manifestazione.
Ho provato a fare/non fare/cambiare colazione, per esempio; c'è stato anche il periodo in cui presi ansiolitici (non per questa ragione), ma nulla.
Eventualmente finii la scuola. Dopo un anno di stare a casa sono qui all'università e quasi ogni santa mattina, per quanto mi sforzi di fare il bisogno prima di andare a lezione, arrivo lì mezz'ora prima, poi la lezione inizia e dopo un'ora o prima, puntualmente, devo uscire per andare al gabinetto.
Ci vado una volta e poi magari capita una seconda volta durante la pausa (senza contare ogni tanto quella a casa e quella durante la mezz'ora senza lezione).
La mia alimentazione non è proprio delle migliori e comunque c'è da dire che questo ciclo ferreo si spezza ogni fine settimana quando non devo andare all'università.
La cosa curiosa, ma che comunque mi desta molta preoccupazione, è che durante le prove in itinere (durante le quali non si può uscire) il bisogno scompare quasi nel nulla.
Ma proprio perché sono preoccupato in anticipo, spesso mi curo di mangiare poco o di non mangiare per niente causandomi spesso la sgradevole e fastidiosa sensazione di fame.
Adesso, vi chiedo: domani ho un compito alle nove e anche se non mi è mai successo durante uno di questi (ma non ricordo se ne ho fatto qualcuno all'orario "pericoloso") sono preoccupato che questo problema possa comprometterne lo svolgimento.
Come affrontare questa situazione?
** Aggiungo che soffro sì di ansia, ma tipo di un ansia sociale che spunta specialmente nei confronti di persone assolutamente sconosciute oppure in classiche "situazioni sociali" (alle quali comunque non sono sottoposto).
In altre parole, come nel caso dell'autobus, non la avverto nel solito senso, ma solo con quel bisogno.
[#1]
Per prima cosa, sei già stato visitato dal medico per questo problema?
Se sì, che cosa ha detto?
E' vero che potrebbe essere legato all'ansia e a situazioni emotive, ma in prima battuta è sempre doveroso sentire il parere MEDICO.
Cordiali saluti,
Se sì, che cosa ha detto?
E' vero che potrebbe essere legato all'ansia e a situazioni emotive, ma in prima battuta è sempre doveroso sentire il parere MEDICO.
Cordiali saluti,
Dott.ssa Angela Pileci
Psicologa,Psicoterapeuta Cognitivo-Comportamentale
Perfezionata in Sessuologia Clinica
[#2]
Ex utente
Dottoressa, grazie per la risposta.
Forse lei si riferisce al medico curante, quello di famiglia insomma. Non ricordo se gli fosse stato proposto questo problema in particolare, ma non è stato comunque raro che mi rivolgessi a lui per occasionali dolori causati dalla sindrome del colon irritabile (o, almeno, quella la sua diagnosi).
Purtroppo, qui dove mi trovo ora per gli studi, non ho un medico curante.
Non so se mangiare stasera e non so se mangiare domattina.
Forse lei si riferisce al medico curante, quello di famiglia insomma. Non ricordo se gli fosse stato proposto questo problema in particolare, ma non è stato comunque raro che mi rivolgessi a lui per occasionali dolori causati dalla sindrome del colon irritabile (o, almeno, quella la sua diagnosi).
Purtroppo, qui dove mi trovo ora per gli studi, non ho un medico curante.
Non so se mangiare stasera e non so se mangiare domattina.
[#3]
Si, mi riferivo al medico di base, perché se la problematica è organica (sebbene poi possa anche determinare un certo disagio psicologico e/o sociale in situazioni sociali), il primo aspetto da trattare è di tipo medico.
Se, invece, il medico ha escluso il problema fisico (ma non mi pare, dal momento che parla di colon irritabile), allora dovrebbe farsi consigliare altre terapie.
Il medico che cosa Le ha prescritto?
Se, invece, il medico ha escluso il problema fisico (ma non mi pare, dal momento che parla di colon irritabile), allora dovrebbe farsi consigliare altre terapie.
Il medico che cosa Le ha prescritto?
[#5]
Gentile Utente,
Forse dovrebbe spostare lo sguardo dal sintomo e dal bagno, e cercare, mediante un aiuto specilsitico- ovviamente passando prima dal medico per escludere altro - le cause del suo disagio psico/corporeo.
L'ansia, sociale, lo stress mal gestito, l'autobus....e così via, sono epifenomeni di altro che andrebbe analizzato e soprattuto curato
Forse dovrebbe spostare lo sguardo dal sintomo e dal bagno, e cercare, mediante un aiuto specilsitico- ovviamente passando prima dal medico per escludere altro - le cause del suo disagio psico/corporeo.
L'ansia, sociale, lo stress mal gestito, l'autobus....e così via, sono epifenomeni di altro che andrebbe analizzato e soprattuto curato
Cordialmente.
Dr.ssa Valeria Randone,perfezionata in sessuologia clinica.
https://www.valeriarandone.it
[#6]
Ex utente
Scusatemi se non mi sono fatto risentire, ma mi capita spesso di perdere interesse in un consulto che apro perché mi rendo conto, ogni volta, che in effetti da qui possiate fare ben poco.
E quindi, per la gioia di tutti i dottori che, ringrazio, hanno risposto più volte alle mie numerose richieste, qualche giorno fa ho preso appuntamento con uno psicoterapeuta nella mia zona.
Il motivo: semplicemente è arrivato il momento di tentare un'altra volta.
Purtroppo ho dei dubbi circa il suo modus operandi; non tanto perché ne sono informato (perché infatti non lo sono per niente), ma di più sono preoccupato che non sia il tipo di terapia che faccia al caso mio anche se, al limite, potrebbe funzionare.
Lui pratica "terapia breve strategica" (ne sapete qualcosa?); anche se sono piuttosto confuso su cosa io debba essere concretamente "terapizzato" sono fiducioso che con la sua esperienza possiamo giungere ad inquadrare correttamente l'oggetto dei miei disagi.
E quindi, per la gioia di tutti i dottori che, ringrazio, hanno risposto più volte alle mie numerose richieste, qualche giorno fa ho preso appuntamento con uno psicoterapeuta nella mia zona.
Il motivo: semplicemente è arrivato il momento di tentare un'altra volta.
Purtroppo ho dei dubbi circa il suo modus operandi; non tanto perché ne sono informato (perché infatti non lo sono per niente), ma di più sono preoccupato che non sia il tipo di terapia che faccia al caso mio anche se, al limite, potrebbe funzionare.
Lui pratica "terapia breve strategica" (ne sapete qualcosa?); anche se sono piuttosto confuso su cosa io debba essere concretamente "terapizzato" sono fiducioso che con la sua esperienza possiamo giungere ad inquadrare correttamente l'oggetto dei miei disagi.
[#7]
La terapia mi sembra adeguata. Le psicoterapie attive e focalizzate come la strategica o la cognitivo-comportamentale sono adatte a questo tipo di disturbi.
Però se ha questo tipo di preoccupazione (cioè che la psicoterapia possa non funzionare) è meglio se ne parla apertamente col terapeuta perché fa parte del problema.
Cordiali saluti,
Però se ha questo tipo di preoccupazione (cioè che la psicoterapia possa non funzionare) è meglio se ne parla apertamente col terapeuta perché fa parte del problema.
Cordiali saluti,
[#8]
Ex utente
Salve.
Lunedì sono stato all'appuntamento e devo dire che sono entrato lì con un punto interrogativo e ne sono uscito con due.
Cioè, intendo, sono rimasto poco convinto: la prima impressione che mi ha dato è che, quando mi spiegava secondo lui il tipo di problema che avevo, ecc... insomma quando parlava, sembrava che leggesse un copione, con una sua voce senza tono e usando frasi che sembravano essere preparate in anticipo.
In un discorso abbastanza breve avrà usato la parola "paradossalmente" almeno 10 volte.
Non ero molto a mio agio, non riuscivo a esprimermi come volevo e soprattutto non gli ho fatto sapere alcune cose (gli ho detto che era ancora presto per certe questioni).
Infine era troppo serio, distaccato e poco amichevole (comunque gentile, non era scorbutico).
Ricordo che l'ultimo psicologo/terapeuta era tutto l'opposto e che, principalmente, riuscì a farmi "sputare il rispo" esattamente in dieci minuti.
Peccato solo che, dal punto di vista terapeutico, brancolasse nel buio.
La cosa più strana è che mi ha invitato a pensare se voler prendere un prossimo appuntamento, esortandomi ad aspettare il più possibile. Cioè, più tardi glielo avrei chiesto, meglio sarebbe stato. Perché? A che gioco sta giocando?
Cioè, mi ha dato l'impressione che quasi quasi, gli sarebbe seccato che sarei venuto direttamente la settimana prossima (anzi, me l'ha in un certo senso detto implicitamente).
- C'è tempo - mi disse - vieni... molto.. più avanti.
O qualcosa del genere.
Quindi, se volessi porre fine ai miei disagi il prima possibile?
In conclusione, lui non mi piace, ma ero incuriosito dalla sua terapia che credo ancora possa funzionare.
Che faccio?
Lunedì sono stato all'appuntamento e devo dire che sono entrato lì con un punto interrogativo e ne sono uscito con due.
Cioè, intendo, sono rimasto poco convinto: la prima impressione che mi ha dato è che, quando mi spiegava secondo lui il tipo di problema che avevo, ecc... insomma quando parlava, sembrava che leggesse un copione, con una sua voce senza tono e usando frasi che sembravano essere preparate in anticipo.
In un discorso abbastanza breve avrà usato la parola "paradossalmente" almeno 10 volte.
Non ero molto a mio agio, non riuscivo a esprimermi come volevo e soprattutto non gli ho fatto sapere alcune cose (gli ho detto che era ancora presto per certe questioni).
Infine era troppo serio, distaccato e poco amichevole (comunque gentile, non era scorbutico).
Ricordo che l'ultimo psicologo/terapeuta era tutto l'opposto e che, principalmente, riuscì a farmi "sputare il rispo" esattamente in dieci minuti.
Peccato solo che, dal punto di vista terapeutico, brancolasse nel buio.
La cosa più strana è che mi ha invitato a pensare se voler prendere un prossimo appuntamento, esortandomi ad aspettare il più possibile. Cioè, più tardi glielo avrei chiesto, meglio sarebbe stato. Perché? A che gioco sta giocando?
Cioè, mi ha dato l'impressione che quasi quasi, gli sarebbe seccato che sarei venuto direttamente la settimana prossima (anzi, me l'ha in un certo senso detto implicitamente).
- C'è tempo - mi disse - vieni... molto.. più avanti.
O qualcosa del genere.
Quindi, se volessi porre fine ai miei disagi il prima possibile?
In conclusione, lui non mi piace, ma ero incuriosito dalla sua terapia che credo ancora possa funzionare.
Che faccio?
[#9]
Gentile Utente,
di solito per problematiche del genere, tutti questi dubbi debbono essere affrontati direttamente con lo psicoterapeuta, ma se il problema è la mancanza di fiducia nel professionista e non nel metodo che utilizza, può optare per cambiare terapeuta.
Cordiali saluti,
di solito per problematiche del genere, tutti questi dubbi debbono essere affrontati direttamente con lo psicoterapeuta, ma se il problema è la mancanza di fiducia nel professionista e non nel metodo che utilizza, può optare per cambiare terapeuta.
Cordiali saluti,
[#10]
Ex utente
Grazie per il suggerimento, ma in tal caso sarei costretto a ripetere circa le stesse cose già dette (e a me non piace dire le cose più volte).
E soprattutto sarebbero stati soldi gettati al vento.
Visto che comunque mi ha detto che posso prendermela con calma, devo decidere se tornare lì oppure se lasciare perdere.
Possibile che nonostante la buona volontà non abbia fortuna con queste cose?
E' proprio destino che debba rimanere sventurato così come sono...
Per quanto riguarda il parlarne direttamente con lui, il problema è che non importa cosa abbia intenzione di dire o di cosa parlare, ma una volta lì perdo la capacità di esprimermi come vorrei e i discorsi che faccio diventano quindi privi di senso.
E' una cosa che mi capita a volte.
E soprattutto sarebbero stati soldi gettati al vento.
Visto che comunque mi ha detto che posso prendermela con calma, devo decidere se tornare lì oppure se lasciare perdere.
Possibile che nonostante la buona volontà non abbia fortuna con queste cose?
E' proprio destino che debba rimanere sventurato così come sono...
Per quanto riguarda il parlarne direttamente con lui, il problema è che non importa cosa abbia intenzione di dire o di cosa parlare, ma una volta lì perdo la capacità di esprimermi come vorrei e i discorsi che faccio diventano quindi privi di senso.
E' una cosa che mi capita a volte.
[#12]
Ex utente
Io sono una persona che le informazioni le vuole avere dentro di sé, no su un foglietto.
La mia difficoltà sta nel reperirle e nel comunicarle in modo ottimale.
Questa cosa mi capita, a volte, al di là della seduta di Lunedì.
La mia diffidenza nei confonrti del terapeuta sorge anche perché nella città dove mi trovo sono solo, senza il supporto diretto dei miei genitori; per questo motivo devo fare ancora più attenzione riguardo le persone con le quali ho a che fare (non mi sono mai gestito da solo prima di settembre).
Mi capita di pensare, rimurginare, fare discorsi in silenzio. Bei discorsi, sensati e perfetti vorrei osare. Ma quando arriva il momento di "dire" è come un castello di carte che crolla.
A volte crolla dentro la mia stessa immaginazione, altre volte mentre parlo perdo il filo e finisco "fuori-tema" oppure continuo la discussione dicendo cose a cui in realtà non credo solo per il bisogno di continuare a parlare quando in effetti non ci sarebbe nient'altro da dire.
Per questo motivo preferisco scrivere: ho tutto il tempo per pensare; più tempo ho, meglio scrivo, perché riesco ad organizzare meglio i miei pensieri (non sempre mi riesce neppure così).
Non mi piace scrivere al nessuno: ogni volta che ci provo mi chiedo "ma che sto facendo?" e quindi strappo e butto via (come non mi piace parlare da solo ad alta voce).
Questo non significa che le cose che scrivo siano perfette e che io ne sia soddisfatto: rileggendo cose antiche (di settimane o mesi), mi capita di non riconoscermi in quello che leggo, come se la mia personalità e il mio pensiero (e i miei stessi mali) siano dinamici.
Alcune delle poche cose che scrivo che non sono lette da quasi nessuno, sono dei versi.
Io considero che una singola prima seduta (specialmente visto che ho avuto diverse prime sedute) sia quasi totalmente inutile.
Quando sono stato lì Lunedì, ho iniziato a sentire caldo e sentirmi in imbarazzo.
[è normale, lo sò; infatti potrei considerarlo un mito lo psicologo precedente, che ne dice? stessa sensazione presumo, ma ricordo che subito la chiacchierata diventò informale, quasi amichevole (questo potrebbe essere sia un pregio e un difetto)]
Quando iniziavo a parlare, subito mi bloccavo, non sapevo cosa e come dovevo dire.
La quantità di "argomenti" di cui potevo parlare era ingente così come era difficile scegliere da cosa cominciare, visto che i miei problemi sono tanti, non gravi, ma comunque tutti collegati tra loro.
Quando un po' riuscii a sbloccarmi, ricordo di aver avuto la sensazione di aver parlato di cose, sensazioni e stati d'animo che non erano attuali, parlandone al presente.
Come ho già scritto, un po' non mi riconoscevo in ciò che gli stavo raccontando di me.
Ho avuto ed ho ancora difficoltà a comprendere se in effetti le cose di cui gli ho parlato fossero problemi ancora presenti oppure no.
Gli ho raccontato di una sensazione come se ci fosse la sabbia nel mio cervello, ora direi come se gli ingranaggi fossero arrugginiti e facciano fatica a girare.
A volte lo chiamerei un rumore di fondo, altre volte nebbia, ecc...
Oggi è uno di questo giorni e infatti non riesco a studiare.
E' la seconda volta che non è una buona giornata dopo aver fatto un certo sogno: sogno di abbracciare una ragazza o di baciarla. Questa cosa mi deprime così tanto che a volte mi sento implodere.
La mia difficoltà sta nel reperirle e nel comunicarle in modo ottimale.
Questa cosa mi capita, a volte, al di là della seduta di Lunedì.
La mia diffidenza nei confonrti del terapeuta sorge anche perché nella città dove mi trovo sono solo, senza il supporto diretto dei miei genitori; per questo motivo devo fare ancora più attenzione riguardo le persone con le quali ho a che fare (non mi sono mai gestito da solo prima di settembre).
Mi capita di pensare, rimurginare, fare discorsi in silenzio. Bei discorsi, sensati e perfetti vorrei osare. Ma quando arriva il momento di "dire" è come un castello di carte che crolla.
A volte crolla dentro la mia stessa immaginazione, altre volte mentre parlo perdo il filo e finisco "fuori-tema" oppure continuo la discussione dicendo cose a cui in realtà non credo solo per il bisogno di continuare a parlare quando in effetti non ci sarebbe nient'altro da dire.
Per questo motivo preferisco scrivere: ho tutto il tempo per pensare; più tempo ho, meglio scrivo, perché riesco ad organizzare meglio i miei pensieri (non sempre mi riesce neppure così).
Non mi piace scrivere al nessuno: ogni volta che ci provo mi chiedo "ma che sto facendo?" e quindi strappo e butto via (come non mi piace parlare da solo ad alta voce).
Questo non significa che le cose che scrivo siano perfette e che io ne sia soddisfatto: rileggendo cose antiche (di settimane o mesi), mi capita di non riconoscermi in quello che leggo, come se la mia personalità e il mio pensiero (e i miei stessi mali) siano dinamici.
Alcune delle poche cose che scrivo che non sono lette da quasi nessuno, sono dei versi.
Io considero che una singola prima seduta (specialmente visto che ho avuto diverse prime sedute) sia quasi totalmente inutile.
Quando sono stato lì Lunedì, ho iniziato a sentire caldo e sentirmi in imbarazzo.
[è normale, lo sò; infatti potrei considerarlo un mito lo psicologo precedente, che ne dice? stessa sensazione presumo, ma ricordo che subito la chiacchierata diventò informale, quasi amichevole (questo potrebbe essere sia un pregio e un difetto)]
Quando iniziavo a parlare, subito mi bloccavo, non sapevo cosa e come dovevo dire.
La quantità di "argomenti" di cui potevo parlare era ingente così come era difficile scegliere da cosa cominciare, visto che i miei problemi sono tanti, non gravi, ma comunque tutti collegati tra loro.
Quando un po' riuscii a sbloccarmi, ricordo di aver avuto la sensazione di aver parlato di cose, sensazioni e stati d'animo che non erano attuali, parlandone al presente.
Come ho già scritto, un po' non mi riconoscevo in ciò che gli stavo raccontando di me.
Ho avuto ed ho ancora difficoltà a comprendere se in effetti le cose di cui gli ho parlato fossero problemi ancora presenti oppure no.
Gli ho raccontato di una sensazione come se ci fosse la sabbia nel mio cervello, ora direi come se gli ingranaggi fossero arrugginiti e facciano fatica a girare.
A volte lo chiamerei un rumore di fondo, altre volte nebbia, ecc...
Oggi è uno di questo giorni e infatti non riesco a studiare.
E' la seconda volta che non è una buona giornata dopo aver fatto un certo sogno: sogno di abbracciare una ragazza o di baciarla. Questa cosa mi deprime così tanto che a volte mi sento implodere.
[#13]
>>> Infine era troppo serio, distaccato e poco amichevole (comunque gentile, non era scorbutico).
Ricordo che l'ultimo psicologo/terapeuta era tutto l'opposto e che, principalmente, riuscì a farmi "sputare il rispo" esattamente in dieci minuti.
Peccato solo che, dal punto di vista terapeutico, brancolasse nel buio
>>>
Come vedi, sentirsi a proprio agio con il proprio terapeuta è importante, ma non è l'unico fattore.
Riguardo all'uso dei paradossi verbali e fattuali (il terapeuta che ti dice di pensarci bene prima di tornare da lui), questi sono molto comuni in TBS. Perciò non occorre preoccuparsi o spaventarsi.
Fossi in te, piuttosto, mi spaventerei di più dell'estremo bisogno di informazioni che sembri avere. Perché con tutta probabilità è quello che ti blocca.
Superare i blocchi, ansiosi e non, è soprattutto questione di fare cose diverse per sperimentare le situazioni ansiogene in modo diverso. Non serve a nulla cercare di capire prima. Capire viene sempre dopo, prima ci sono le sensazioni.
Perciò ti trovi di fronte a una scelta: o accetti un modo di fare terapia che non collude con il tuo disturbo e che quindi non funziona nel modo in cui ti aspettavi funzionasse, oppure non lo accetti. Non sei obbligato.
Questo ovviamente non dice nulla sulla bravura del terapeuta a cui ti sei rivolto, ovviamente.
Ricordo che l'ultimo psicologo/terapeuta era tutto l'opposto e che, principalmente, riuscì a farmi "sputare il rispo" esattamente in dieci minuti.
Peccato solo che, dal punto di vista terapeutico, brancolasse nel buio
>>>
Come vedi, sentirsi a proprio agio con il proprio terapeuta è importante, ma non è l'unico fattore.
Riguardo all'uso dei paradossi verbali e fattuali (il terapeuta che ti dice di pensarci bene prima di tornare da lui), questi sono molto comuni in TBS. Perciò non occorre preoccuparsi o spaventarsi.
Fossi in te, piuttosto, mi spaventerei di più dell'estremo bisogno di informazioni che sembri avere. Perché con tutta probabilità è quello che ti blocca.
Superare i blocchi, ansiosi e non, è soprattutto questione di fare cose diverse per sperimentare le situazioni ansiogene in modo diverso. Non serve a nulla cercare di capire prima. Capire viene sempre dopo, prima ci sono le sensazioni.
Perciò ti trovi di fronte a una scelta: o accetti un modo di fare terapia che non collude con il tuo disturbo e che quindi non funziona nel modo in cui ti aspettavi funzionasse, oppure non lo accetti. Non sei obbligato.
Questo ovviamente non dice nulla sulla bravura del terapeuta a cui ti sei rivolto, ovviamente.
Dr. G. Santonocito, Psicologo | Specialista in Psicoterapia Breve Strategica
Consulti online e in presenza
www.giuseppesantonocito.com
[#14]
Ex utente
Dottore, grazie per la risposta.
Sapevo sin dall'inizio che il tipo di terapia sarebbe stato diverso rispetto a ciò che "desideravo", ma in fondo avevo ed ho ancora il sospetto che potrebbe essere efficace.
Come ho detto, sono interessato, ma ora sorge un guaio: la mia vita ha subìto un cambiamento da quando sono andato all'università, e se prima avevo un'idea di cosa fosse necessario "aggiustare" nel mio modo di comportarmi, o nel mio modo di pensare, adesso sono io che brancolo nel buio.
Mi chiedo se risolvere i miei problemi abbia senso da fare adesso, o se sia possibile da fare adesso, visto che ora ho veri impegni concernenti l'università.
Forse, in fondo, la mia è una folle paura di cambiamento o, ancora, è un disagio proveniente dal porsi un problema che non è di mia competenza (capire cos'ho e come risolvere).
Forse questa cosa mi confonde le idee, in un certo senso.
Credo che sarebbe saggio tornarci, e vedere come va...
Grazie ancora.
Sapevo sin dall'inizio che il tipo di terapia sarebbe stato diverso rispetto a ciò che "desideravo", ma in fondo avevo ed ho ancora il sospetto che potrebbe essere efficace.
Come ho detto, sono interessato, ma ora sorge un guaio: la mia vita ha subìto un cambiamento da quando sono andato all'università, e se prima avevo un'idea di cosa fosse necessario "aggiustare" nel mio modo di comportarmi, o nel mio modo di pensare, adesso sono io che brancolo nel buio.
Mi chiedo se risolvere i miei problemi abbia senso da fare adesso, o se sia possibile da fare adesso, visto che ora ho veri impegni concernenti l'università.
Forse, in fondo, la mia è una folle paura di cambiamento o, ancora, è un disagio proveniente dal porsi un problema che non è di mia competenza (capire cos'ho e come risolvere).
Forse questa cosa mi confonde le idee, in un certo senso.
Credo che sarebbe saggio tornarci, e vedere come va...
Grazie ancora.
[#16]
Ho riletto tutto il consulto, ma non ho capito se "andare al bagno" riguardi l'orinare o il defecare.
E in ogni caso, esclusa la causa organica - ho riletto tutto il consulto, ma non ho capito se è stato fatto - la componente ansiosa è notevole.
E tuttavia pare che Lei boicotti la possibilità di essere curato (= la terapia).
E' così affezionato al sintomo? da cosa la protegge?
E in ogni caso, esclusa la causa organica - ho riletto tutto il consulto, ma non ho capito se è stato fatto - la componente ansiosa è notevole.
E tuttavia pare che Lei boicotti la possibilità di essere curato (= la terapia).
E' così affezionato al sintomo? da cosa la protegge?
Dr. Carla Maria BRUNIALTI
Psicoterapeuta, Sessuologa clinica, Psicologa europea.
https://www.centrobrunialtipsy.it/
[#17]
Ex utente
Salve dottoressa, la ringrazio davvero per l'interessamento.
Per andare in bagno intendevo defecare e la causa organica non è stata "ufficialmente" esclusa; anzi, probabilmente è presente anche se non in maniera esagerata visto che lei stessa riconosce una componente ansiosa notevole.
In vari consulti precedenti ho esposto una lunga storia di terapie presso psicologi e psichiatri diversi; e anche se le viene difficile, si fidi quando le dico che tutto ciò che ho passato in tal senso è sproporzionato rispetto alla qualità dei miei disagi.
Sono stato da diversi professionisti e uno in particolare è stato in grado di peggiorare nettamente ed irreversibilmente le mie condizioni. Ho speso moltissimi soldi. E, infine, il risultato netto di tutto il calvario è stato negativo.
Il motivo per il quale prendo ormai con le pinze la possibilità di fare terapia si riconduce a tutto questo che può interpretare come un problema di fiducia nei confronti dei professionisti del vostro settore e di quello affine.
Non posso fare statistica con una cinquina di dottori, ma neppure posso ignorare queste esperienze.
La mia riluttanza consiste nel ragionamento che non vale la pena di sprecare energie per cercare un terapetua, provare la terapia, buttare i soldi e accorgersi che non funziona, nonstante le esperienze passate mi abbiano già suggerito che sarebbe stato molto probabile che fosse finita in tal modo.
Io credo che abbia senso l' "affezionarsi" ai propri disturbi: secondo il parare di un inesperto (io), la malattia mentale possiede come un istinto di autoconservazione come fosse un parassita, che magari, in fondo, consiste nell'istinto di sopravvivenza dell'individuo stesso, in quanto questa nasce per proteggerlo, come meccanismo di difesa ma che, purtroppo, per qualche ragione a me sconosciuta, difendendolo dall'esterno lo logora invece dall'interno.
Cambiare è difficile e faticoso, è un lavoro; mentre rimanere nei propri mali è preferibile per quanto questi siano dolorosi.
Il parassita che vive dentro la mia mente, ma che in fondo vuole proteggermi, ogni mattina in un istante casuale tra le 9:30 alle 10:00 (all'università) mi dice: "vai in bagno, lo puoi fare, tanto la lezione non è vitale".
E l'inerzia, causata dall'abitudine di farlo tutti i giorni, che è difficile cambiare, mi fa alzare ogni mattina e andare in bagno.
Durante i compiti il parassita riesce a svolgere il suo lavoro in maniera ancora migliore; egli mi dice "questo sarebbe il momento che tu andassi in bagno, ma stai svolgendo un lavoro molto importante nel quale non dovrei interferire, altrimenti potrei produrre dei seri imprevisti nella tua vita".
E questa non è un'esagerazione: se salto un compito potrebbe significare dover studiare anche per lo scritto; questo potrebbe significare meno tempo e quindi darsi una materia in meno; ovvero avere più materie per la prossima sessione d'esami e, al limite, finire fuori corso.
Il parassita, durante i compiti, mi ricorda che dovrei andare in bagno (ciò si traduce col bisogno, ma moderato e trattenibile), ma si rende conto che la sua azione sarebbe distruttiva e non protettiva, se mi costringesse.
Le piace la mia teoria?
In ogni caso, ho già preso il secondo appuntamento per Lunedì.
Per andare in bagno intendevo defecare e la causa organica non è stata "ufficialmente" esclusa; anzi, probabilmente è presente anche se non in maniera esagerata visto che lei stessa riconosce una componente ansiosa notevole.
In vari consulti precedenti ho esposto una lunga storia di terapie presso psicologi e psichiatri diversi; e anche se le viene difficile, si fidi quando le dico che tutto ciò che ho passato in tal senso è sproporzionato rispetto alla qualità dei miei disagi.
Sono stato da diversi professionisti e uno in particolare è stato in grado di peggiorare nettamente ed irreversibilmente le mie condizioni. Ho speso moltissimi soldi. E, infine, il risultato netto di tutto il calvario è stato negativo.
Il motivo per il quale prendo ormai con le pinze la possibilità di fare terapia si riconduce a tutto questo che può interpretare come un problema di fiducia nei confronti dei professionisti del vostro settore e di quello affine.
Non posso fare statistica con una cinquina di dottori, ma neppure posso ignorare queste esperienze.
La mia riluttanza consiste nel ragionamento che non vale la pena di sprecare energie per cercare un terapetua, provare la terapia, buttare i soldi e accorgersi che non funziona, nonstante le esperienze passate mi abbiano già suggerito che sarebbe stato molto probabile che fosse finita in tal modo.
Io credo che abbia senso l' "affezionarsi" ai propri disturbi: secondo il parare di un inesperto (io), la malattia mentale possiede come un istinto di autoconservazione come fosse un parassita, che magari, in fondo, consiste nell'istinto di sopravvivenza dell'individuo stesso, in quanto questa nasce per proteggerlo, come meccanismo di difesa ma che, purtroppo, per qualche ragione a me sconosciuta, difendendolo dall'esterno lo logora invece dall'interno.
Cambiare è difficile e faticoso, è un lavoro; mentre rimanere nei propri mali è preferibile per quanto questi siano dolorosi.
Il parassita che vive dentro la mia mente, ma che in fondo vuole proteggermi, ogni mattina in un istante casuale tra le 9:30 alle 10:00 (all'università) mi dice: "vai in bagno, lo puoi fare, tanto la lezione non è vitale".
E l'inerzia, causata dall'abitudine di farlo tutti i giorni, che è difficile cambiare, mi fa alzare ogni mattina e andare in bagno.
Durante i compiti il parassita riesce a svolgere il suo lavoro in maniera ancora migliore; egli mi dice "questo sarebbe il momento che tu andassi in bagno, ma stai svolgendo un lavoro molto importante nel quale non dovrei interferire, altrimenti potrei produrre dei seri imprevisti nella tua vita".
E questa non è un'esagerazione: se salto un compito potrebbe significare dover studiare anche per lo scritto; questo potrebbe significare meno tempo e quindi darsi una materia in meno; ovvero avere più materie per la prossima sessione d'esami e, al limite, finire fuori corso.
Il parassita, durante i compiti, mi ricorda che dovrei andare in bagno (ciò si traduce col bisogno, ma moderato e trattenibile), ma si rende conto che la sua azione sarebbe distruttiva e non protettiva, se mi costringesse.
Le piace la mia teoria?
In ogni caso, ho già preso il secondo appuntamento per Lunedì.
[#18]
La Sua vita è focalizzata sul sintomo e sul rimuginare.
Forse potrebbe essere migliore.
Se si rivolge con fiducia la terapia funziona, se mette tutti questi paletti la comunicazione risulta stentata e forse incomprensibile. E l'esito della terapia certamente non ottimale.
Buon percorso.
Forse potrebbe essere migliore.
Se si rivolge con fiducia la terapia funziona, se mette tutti questi paletti la comunicazione risulta stentata e forse incomprensibile. E l'esito della terapia certamente non ottimale.
Buon percorso.
[#19]
Ex utente
Salve.
Lunedì sono stato dal terapeuta e devo dire che è andata molto bene: diciamo che mi sentivo molto a mio agio, anche a spiegargli alcuni miei problemi.
Ancora ho diverse altre cose importanti da raccontargli; purtroppo i miei non sono fatti dei quali si può parlare in un'ora.
Purtroppo ho come l'impressione di essermi spiegato male in alcune cose, o che lui abbia capito male. Oppure potrebbe, in un certo senso, far parte della terapia.
In ogni caso scrivo di nuovo perché ho constatato, abbastanza irritato, che la teoria da me esposta non stava minimamente in piedi (e vabbè, mica me lo aspettavo, quella era tanto per chiacchierare).
Il problema è che, per la prima volta, non sono riuscito a trattenermi dall'andare in bagno durante il compito. Per fortuna il professore mi ha fatto uscire, io mi sono sentito imbarazzato perché già mi aveva visto andare in bagno prima del compito stesso.
Quella era già la terza volta di mattina che ci andavo: la prima a casa, preventiva, la seconda all'università subito prima della prova e poi la terza. Dopo il compito un'altra volta circa un'ora e mezzo dopo.
Non capisco se ho un problema ossessivo, o ansioso che tipo si somatizza, oppure come mi avete suggerito "organico".
Potrei anche ipotizzare, ma non ne sono per niente sicuro, che sia frutto dell'esercizio che il terapeuta mi ha chiesto di fare.
Infine bisogna considerare anche che ho una pessima alimentazione (provocata da una sorta di fobia al cibo che possiedo da tutta la vita) che incide per forza nella salute dell'intestino.
-- Mi rendo conto che trasformo questi consulti in una specie di diario, ma mi è utile per organizzarmi le idee.
Lunedì sono stato dal terapeuta e devo dire che è andata molto bene: diciamo che mi sentivo molto a mio agio, anche a spiegargli alcuni miei problemi.
Ancora ho diverse altre cose importanti da raccontargli; purtroppo i miei non sono fatti dei quali si può parlare in un'ora.
Purtroppo ho come l'impressione di essermi spiegato male in alcune cose, o che lui abbia capito male. Oppure potrebbe, in un certo senso, far parte della terapia.
In ogni caso scrivo di nuovo perché ho constatato, abbastanza irritato, che la teoria da me esposta non stava minimamente in piedi (e vabbè, mica me lo aspettavo, quella era tanto per chiacchierare).
Il problema è che, per la prima volta, non sono riuscito a trattenermi dall'andare in bagno durante il compito. Per fortuna il professore mi ha fatto uscire, io mi sono sentito imbarazzato perché già mi aveva visto andare in bagno prima del compito stesso.
Quella era già la terza volta di mattina che ci andavo: la prima a casa, preventiva, la seconda all'università subito prima della prova e poi la terza. Dopo il compito un'altra volta circa un'ora e mezzo dopo.
Non capisco se ho un problema ossessivo, o ansioso che tipo si somatizza, oppure come mi avete suggerito "organico".
Potrei anche ipotizzare, ma non ne sono per niente sicuro, che sia frutto dell'esercizio che il terapeuta mi ha chiesto di fare.
Infine bisogna considerare anche che ho una pessima alimentazione (provocata da una sorta di fobia al cibo che possiedo da tutta la vita) che incide per forza nella salute dell'intestino.
-- Mi rendo conto che trasformo questi consulti in una specie di diario, ma mi è utile per organizzarmi le idee.
[#20]
>>> purtroppo i miei non sono fatti dei quali si può parlare in un'ora.
Purtroppo ho come l'impressione di essermi spiegato male in alcune cose, o che lui abbia capito male
>>>
No, fa tutto parte delle tue ossessioni e ansie.
La paura di non aver raccontato tutto e subito o di essersi spiegato male è tipico del paziente ossessivo.
>>> Mi rendo conto che trasformo questi consulti in una specie di diario, ma mi è utile per organizzarmi le idee
>>>
No, al contrario: contro l'ansia non è utile scrivere diari, perché non fa altro che aumentare le rimuginazioni.
Attieniti solo a ciò che ti viene suggerito in terapia e, per il momento, abbandona ogni tentativo di capire, interpretare, di dare un senso alle tue paure. Altrimenti non farai altro che darti la zappa sui piedi.
La cosa che più desiderano le ossessioni è che tu ci pensi, così possono crescere e aumentare.
Purtroppo ho come l'impressione di essermi spiegato male in alcune cose, o che lui abbia capito male
>>>
No, fa tutto parte delle tue ossessioni e ansie.
La paura di non aver raccontato tutto e subito o di essersi spiegato male è tipico del paziente ossessivo.
>>> Mi rendo conto che trasformo questi consulti in una specie di diario, ma mi è utile per organizzarmi le idee
>>>
No, al contrario: contro l'ansia non è utile scrivere diari, perché non fa altro che aumentare le rimuginazioni.
Attieniti solo a ciò che ti viene suggerito in terapia e, per il momento, abbandona ogni tentativo di capire, interpretare, di dare un senso alle tue paure. Altrimenti non farai altro che darti la zappa sui piedi.
La cosa che più desiderano le ossessioni è che tu ci pensi, così possono crescere e aumentare.
[#26]
"Come mi suggerisce il dottor Santonocito, forse insistere ancora su questo sito è un buon modo per peggiorare la mia situazione; considerando che avete già fatto abbastanza (con tutte le mie domande e tutti i vostri consigli) e che ora sono formalmente di nuovo in terapia. "
Le rispondiamo da un mese e, credo, che abbiamo contribuito ad acuire le sue ansie.....e rimuginazioni e soprattutto le sue resistenze al cambiamento.
Le auguro un buon percorso psicoterapico.
Le rispondiamo da un mese e, credo, che abbiamo contribuito ad acuire le sue ansie.....e rimuginazioni e soprattutto le sue resistenze al cambiamento.
Le auguro un buon percorso psicoterapico.
Questo consulto ha ricevuto 26 risposte e 8.1k visite dal 07/05/2015.
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